Bioetica
Gli operatori sanitari e il peso delle scelte durante l’emergenza COVID-19
Per molti operatori sanitari la gestione dell’emergenza COVID-19, oltre che stremante da un punto di vista psico-fisico, ha messo a dura prova anche lo stato emotivo legato a molte scelte di natura etica e morale che si sono dovute prendere ed in alcuni casi applicare come status quo.
Si è parlato molto — e giustamente — di quelle intollerabili situazioni in cui pesava sui sanitari il compito di decidere chi curare e chi no, a seconda di un ingiustificato giudizio su quello che è il leitmotiv della malata bioetica moderna: la «qualità della vita» dell’essere umano. Decidere, cioè, in base all’età, alle speranze e alle pregiudiziose valutazioni mediche circa il tipo di esistenza che possibilmente ha di fronte a sé la persona eventualmente da curare.
…quelle intollerabili situazioni in cui pesava sui sanitari il compito di decidere chi curare e chi no, a seconda di un ingiustificato giudizio su quello che è il leitmotiv della malata bioetica moderna: la «qualità della vita» dell’essere umano
Ci sono storie che raccontano di come l’ossigeno sia stato tolto ad una persona anziana per essere data ad una più giovane, per le ragioni totalmente anti-etiche summenzionate. Una fra tutte quella dell’ex deputato di Monti, Mario Sberna, che colpito dal COVID e ricoverato in ospedale ha potuto toccare con mano questo stato di cose (gli chiedemmo via messaggio di rilasciarci una breve intervista, ma ci rispose che dopo l’intervista da lui rilasciata al Corriere gli arrivarono molti attacchi, quindi non ne avrebbe più parlato anche su vivo consiglio del suo vescovo).
Tuttavia non è tutto: anzi, parlando solo di questo enorme problema gestionale, nondimeno causato da anni e anni di tagli alla sanità per via del «ce lo chiede l’Europa di fare spending review», si rischia di dimenticare o, peggio, di non citare, tanti altri piccoli dettagli che hanno reso il lavoro di tanti operatori un vero e proprio incubo morale.
Penso, essendo sicuramente anche un po’ di parte, a tutti gli infermieri e agli operatori socio-sanitari che hanno lavorato durante il periodo più intenso nelle RSA o in qualsivoglia residenza per anziani, all’interno delle quali sappiamo (e forse nemmeno del tutto) ciò che è accaduto.
Penso a quei tanti sanitari che hanno visto gli anziani morire come mosche, soli e purtroppo «imprigionati» dentro ad un punto di non ritorno, nel vero senso della parola
Penso a quei tanti sanitari che hanno visto gli anziani morire come mosche, soli e purtroppo «imprigionati» dentro ad un punto di non ritorno, nel vero senso della parola. Molti di questi professionisti si sono trovati decimati nel giro di pochissimi giorni, cosicché quelli rimasti hanno dovuto far fronte ad uno stato di cose indescrivibile a parole se non vissuto sulla propria pelle.
Ed ecco che, proprio in questo caso, si sono dovute fare delle scelte, per taluni magari considerate più piccole, ma con una dimensione morale enorme. Per questo motivo credo valga la pena scrivere un paio di righe analizzando quelle che sono le scelte etiche in circostanze straordinarie come quelle verificatesi durante l’emergenza sanitaria, e che ha avuto il suo apice tra febbraio ed aprile.
Molte realtà, trovandosi a corto di personale poiché contagiato, come dicevamo, hanno dovuto limitare al minimo indispensabile la cura della persona, garantendo solo una rapida igiene intima, la nutrizione e l’alimentazione degli ospiti — anche questa cosa ristretta in tempi brevi e non certo con le modalità applicabili in una situazione non emergenziale
Oltre ai dispositivi di protezione individuale, gli operatori sanitari rimasti operativi all’interno di molte strutture per anziani hanno dovuto applicare una sostanziale regola: entrare a contatto il meno possibile e per il minor tempo possibile con gli ospiti degenti. Mansioni cioè concentrate quanto più possibile in un unico ingresso nella stanza, per un tempo non superiore a 10-15 minuti.
Molte realtà, trovandosi a corto di personale poiché contagiato, come dicevamo, hanno dovuto limitare al minimo indispensabile la cura della persona, garantendo solo una rapida igiene intima, la nutrizione e l’alimentazione degli ospiti — anche questa cosa ristretta in tempi brevi e non certo con le modalità applicabili in una situazione non emergenziale.
I bagni, solitamente garantiti settimanalmente in ogni RSA, sono stati ovviamente bloccati per oltre due mesi: fare un bagno ad un paziente positivo o comunque presunto tale vuole dire generare aerosol, la condizione più prolifica per il contagio del virus attraverso le goccioline che si generano attraverso il vapore acqueo.
I bagni, solitamente garantiti settimanalmente in ogni RSA, sono stati ovviamente bloccati per oltre due mesi
Come si può facilmente dedurre, stiamo parlando di uno svilimento — per usare un edulcorato eufemismo — sul piano dell’assistenza e sul principio cardine di essa: il «prendersi cura» — prima ancora del «curare», inteso come «guarire» — della Persona.
Nonostante tali decisioni siano certamente state dettate da una situazione straordinaria e non propriamente voluta, ciò non vuol dire che non si vengano comunque a generare interrogativi di natura etica e morale sopra ai quali molti lavoratori ancora soffrono e gemono.
«Avrò agito bene?»
«Mi sento di aver tradito la mia vocazione professionale»
«Mi sento di aver tradito la mia vocazione professionale»
«Ho lasciato soli tanti ospiti per paura di contagiarmi»
«Potevo fare di più, e invece non mi sono preso cura dei pazienti»
«Ho lasciato soli tanti ospiti per paura di contagiarmi»
Sono, credo, solo alcune delle domande e dei pensieri che ancora oggi assillano la mente di tanti sanitari in prima linea durante il periodo più intenso.
Come può rispondere la bioetica a tutto questo, cercando di dare un po’ di conforto a chi davvero ha sofferto e ancora soffre il peso delle proprie decisioni e di quelle che sente come imperdonabili omissioni?
In questi casi elencati, a differenza del folle principio di allocazione in un contesto di carenza delle risorse sanitarie (shortage) citato all’inizio a proposito della scelta su chi curare e chi no, la risposta è piuttosto semplice, per quanto possa risultare difficile da credere.
L’analisi, specie per i contesti interni alle residenze per anziani in cui il personale ha subito un vertiginoso crollo a causa dei contagi, va basata sul principio di proporzionalità del rischio.
Ovvero: se è vero che prestare quante più attenzioni possibili (cura nell’igiene, pazienza nel dare da mangiare, un bagno settimanale garantito, la relazione e la vicinanza finanche fisica) ad una persona anziana, già emotivamente e psicologicamente provata dal contesto e perlopiù malata sia qualcosa di assolutamente buono, giusto e finanche doveroso, è altrettanto vero che se ciò può comportare un rischio per l’operatore che si prodiga per farlo, la proporzione del rischio, eticamente parlando, spinge a sospendere o comunque a limitare quelle accortezze o quei tempi più dilatati che si avrebbero in una situazione ordinaria.
Questo perché l’eventuale contagio di un operatore per mettere in atto una buona, anzi buonissima intenzione e conseguente azione — cioè fare due chiacchiere in più con un paziente, fargli un bagno di ristoro o altro ancora — prolungando un contatto con l’ospite o prendendosi maggiore cura — non solo non avrebbe giovato all’operatore stesso che si sarebbe ammalato, ma si sarebbe altresì ripercossa e su quello specifico ospite, e su tutti gli altri. Nondimeno sui pochi colleghi rimasti a far fronte all’emergenza.
Tutti infatti, ospiti e operatori, non potevano permettersi di perdere altri pezzi di quella forza lavoro fatta non solo di braccia, di gambe e di testa, ma anche di tanto cuore e tanto coraggio, più che mai fondamentale in quei momenti di puro delirio, sgomento e desolazione
Tutti infatti, ospiti e operatori, non potevano permettersi di perdere altri pezzi di quella forza lavoro fatta non solo di braccia, di gambe e di testa, ma anche di tanto cuore e tanto coraggio, più che mai fondamentale in quei momenti di puro delirio, sgomento e desolazione.
Per quanto evitare di entrare in una stanza, avere il minimo contatto con i pazienti, diminuire lo spazio di cura possa essere sembrato inumano, è stata in realtà l’unica scelta etica corretta che si poteva prendere in quei momenti per evitare l’ulteriore collasso del personale, che avrebbe gravato ulteriormente su quel minimo di cura che comunque continuava, provvidenzialmente, ad essere garantita.
Nella speranza che queste considerazioni possano quietare il cuore di tanti bravi, bravissimi professionisti del settore sanitario-assistenziale, dobbiamo sempre ricordarci che la Bioetica non affonda le sue radici e non fornisce le sue risposte nell’emotività fine a se stessa risultando alle volte ( se pur comprensibilmente) irrazionale, ma si interroga e risponde attraverso un’analisi lucida, interdisciplinare, che metta in risalto l’efficacia e la forza della ragione unita all’Amore sincero per l’Essere Umano nella sua integrità ontologica e in qualità di creatura.
Cristiano Lugli
Bioetica
Il Quebecco si muove per riconoscere il «diritto» all’aborto nella proposta di costituzione
Il Quebecco ha proposto una legge per sancire un apparente «diritto» all’aborto nella bozza di costituzione della provincia canadese.
Il 9 ottobre, l’Assemblea nazionale del Quebecco ha presentato il disegno di legge n. 1, Legge costituzionale del 2025 sul Quebec, che mira a stabilire una costituzione per il Quebec che dia priorità ai valori della provincia, tra cui la cosiddetta «libertà» di aborto.
«Ora dobbiamo andare oltre», ha dichiarato il primo ministro François Legault all’Assemblea Nazionale. «Il Quebecco ha scelto di restare in Canada, ma ha anche scelto di affermare il suo carattere nazionale e distintivo».
«È giunto il momento di affermare, in modo chiaro, l’esistenza costituzionale della nazione del Quebecco», ha proseguito. «La Costituzione riunirà tutte le nostre regole, tutti i nostri valori fondamentali in un’unica legge. Diventerà la legge di tutte le leggi».
La proposta di legge costituzionale comprende diversi emendamenti contrari alla vita, tra cui l’inserimento delle leggi sull’aborto e sull’eutanasia nella costituzione provinciale. La legge è stata approvata con 71 voti favorevoli e 30 contrari. «Lo Stato protegge la libertà delle donne di abortire», promette l’articolo numero 29.
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Il Quebecco ha recentemente confermato il suo sostegno all’aborto quando la Corte superiore provinciale ha stabilito che le “zone bolla” delle strutture per l’aborto sono incostituzionali, ma «giustificate».
Attualmente, la legge del Quebec impedisce l’attività di advocacy pro-life entro un raggio di 50 metri da qualsiasi struttura o sede di un’attività che offre di eseguire il feticidio. Tra le attività vietate rientrano anche scoraggiare una donna dall’aborto od offrire risorse alternative per aiutare la madre a tenere il bambino.
Inoltre, la legge promette di prendere di mira i malati e gli anziani attraverso l’eutanasia. La legge si impegna a garantire che «qualsiasi persona le cui condizioni lo richiedano abbia il diritto di ricevere cure di fine vita», un termine che include il ricorso all’eutanasia. Da notare come l’anno scorso era emerso uno studio sul Quebecco che rivelava che più di uno su dieci bambini abortiti nel secondo trimestre nasce vivo, ma solo il 10% sopravvive più di tre ore.
Allo stesso tempo, il Quebecco, una provincia notoriamente liberale, ha il tasso più alto di suicidio assistito in Canada.
La provincia ha registrato un aumento del 17% dei decessi per eutanasia nel 2023 rispetto al 2022, con il programma che ha causato la morte di 5.686 persone. Questa cifra elevata rappresenta un impressionante 7,3% di tutti i decessi nella provincia, collocando il Québec in cima alla lista a livello mondiale. Di conseguenza, si è avuto anche il rivoltante record per la predazione degli organi, con la triplicazione dei trapianti da vittime di eutanasia.
Come riportato da Renovatio 21, ad agosto l’Ordine dei medici del Quebecco ha dichiarato che l’eutanasia è un «trattamento appropriato» per i bambini nati con gravi problemi di salute. L’eutanasia per i neonati era stata sostenuta dai medici quebecchesi ancora tre anni fa, mentre è discussa apertamente l’eliminazione eutanatica dei malati di demenza.
Gli sforzi quebecchesi si iscrivono in un contesto globale in cui, come per un silenzioso ordine dipanato in tutta la Terra, vari Paesi a trazione progressista sta cercando di costituzionalizzare l’aborto, sulla scorta di quanto fatto da Emanuele Macron in Francia due anni fa.
Come riportato da Renovatio 21, anche il governo spagnuolo sta lavorando per sancire il diritto al feticidio nella Costituzione.
Un anno fa a Brusselle è stato approvato il progetto di inclusione dell’aborto nella Carta Europea. L’anno precedente gli eurodeputati avevano chiesto che il feticidio divenisse «diritto fondamentale».
Altri Paesi non marciano nella stessa direzione, Cinque giorni fa il Parlamento Olandese ha respinto una risoluzione che dichiarava l’aborto come «diritto umano», idea alla base di tanti progetti di enti transnazionali
Due mesi fa la Repubblica Domenicana ha riconfermato il divieto totale di aborto.
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Bioetica
Morte cerebrale, trapianti, predazione degli organi, eutanasia: dai criteri di Harvard alla nostra carta d’identità
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Ambiente
Studi sui metodi per testare le sostanze chimiche della pillola abortiva nelle riserve idriche
I funzionari governativi USA stanno valutando se sia possibile sviluppare metodi per rilevare le sostanze chimiche contenute nella pillola abortiva nelle riserve idriche degli Stati Uniti, in seguito all’iniziativa del gruppo Students for Life. Lo riporta LifeSite.
Quest’estate, i funzionari dell’Agenzia per la Protezione Ambientale americana (EPA) hanno incaricato gli scienziati di determinare se fosse possibile sviluppare metodi per rilevare tracce di pillole abortive nelle acque reflue. Sebbene al momento non esistano metodi approvati dall’EPA, è possibile svilupparne di nuovi, hanno recentemente dichiarato al New York Times due fonti anonime.
La divulgazione fa seguito alla richiesta di 25 membri repubblicani del Congresso USA che hanno chiesto all’EPA di indagare sulla questione.
«Esistono metodi approvati dall’EPA per rilevare il mifepristone e i suoi metaboliti attivi nelle riserve idriche?», chiedevano i deputati in una lettera del 18 giugno. «In caso contrario, quali risorse sono necessarie per sviluppare questi metodi di analisi?»
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I legislatori hanno osservato che il mifepristone è un «potente bloccante del progesterone» che altera l’equilibrio ormonale e potrebbe «potenzialmente interferire con la fertilità di una persona, indipendentemente dal sesso».
Dopo l’annullamento della sentenza Roe v. Wade, Students for Life aveva rilanciato una campagna per indagare sulle tracce di pillole abortive e sui resti fetali nelle acque reflue. Il gruppo ha affermato che il mifepristone e i resti fetali potrebbero potenzialmente danneggiare gli esseri umani, gli animali e l’ambiente.
Nel novembre 2022, i dipendenti di Students for Life si sono lamentati del fatto che le agenzie governative non controllassero le acque reflue per individuare eventuali sostanze chimiche contenute nelle pillole abortive e hanno deciso di assumere i propri «studenti investigatori» per analizzare l’acqua.
La campagna era fallita sotto l’amministrazione Biden. Nella primavera del 2024, undici membri del Congresso, tra cui il senatore Marco Rubio della Florida, attuale Segretario di Stato, scrissero all’EPA chiedendo in che modo il crescente uso di pillole abortive potesse influire sull’approvvigionamento idrico.
Secondo due funzionari, l’EPA ha scoperto di non aver condotto alcuna ricerca precedente sull’argomento, ma non ha avviato alcuna nuova indagine correlata.
Kristan Hawkins, presidente di Students for Life, ha annunciato venerdì: «tre presidenti democratici hanno promosso in modo sconsiderato l’uso della pillola abortiva chimica. Ora l’EPA sta finalmente indagando sull’inquinamento causato dalla pillola abortiva».
«Ogni anno oltre 50 tonnellate di sangue e tessuti contaminati chimicamente finiscono nei nostri corsi d’acqua», ha continuato su X. «Spetta al presidente Trump e al suo team ripulire questo disastro».
A giugno un rapporto pubblicato da Liberty Counsel Action indicava che più di 40 tonnellate di resti di feti abortiti e sottoprodotti della pillola abortiva sono infiltrati nelle riserve idriche americane.
«Come altri farmaci noti per causare effetti avversi sul nostro ecosistema, il mifepristone forma metaboliti attivi», spiega il rapporto di 86 pagine. «Questi metaboliti possono mantenere gli effetti terapeutici del mifepristone anche dopo essere stati escreti dagli esseri umani e contaminati dagli impianti di trattamento delle acque reflue (WWTP), la maggior parte dei quali non è progettata per rimuoverli».
Non si tratta della prima volta che vengono lanciati gli allarmi sull’inquinamento dei fiumi da parte della pillola abortiva RU486, detta anche «pesticida umano».
Come riportato da Renovatio 21, le acque di tutto il mondo sono inquinate da fortemente dalla pillola anticoncenzionale, un potente steroide usato dalle donne per rendersi sterili, che viene escreto con l’orina con effetto devastante sui fiumi e sulla fauna ittica. In particolare, vi è l’idea che la pillola starebbe facendo diventare i pesci transessuali.
Danni non dissimili sono stati rilevati per gli psicofarmaci, con studi sui pesci di fiume resi «codardi e nervosi».
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Nonostante i ripetuti allarmi sul danno ambientale dalla pillola, le amministrazioni di tutto il mondo – votate, in teoria, all’ecologia e alla Dea Gaia – continuano con programmi devastatori, come quello approvato lo scorso anno a Nuova York di distribuire ai topi della metropoli sostanze anticoncezionali. A ben guardare, non si trova un solo ambientalista a parlare di questa sconvolgente forma di inquinamento, ben più tremenda di quello delle auto a combustibile fossile.
Ad ogni modo, come Renovatio 21 ripeterà sempre, l’inquinamento più spiritualmente e materialmente distruttore è quello dei feti che con l’aborto chimico vengono espulsi nel water e spediti via sciacquone direttamente nelle fogne, dove verranno divorati da topi, pesci, insetti, anfibi e altri animali del sottosuolo.
Su questo non solo non si trovano ambientalisti a protestare: mancano, completamente, anche i cattolici.
Come riportato da Renovatio 21, l’OMS poche settimane fa ha aggiunto la pillola figlicida alla lista dei «medicinali essenziali». Il segretario della Salute USA Robert Kennedy jr. aveva promesso una «revisione completa» del farmaco di morte (gli sarebbe stato chiesto dallo stesso Trump) ma negli scorsi giorni esso è stato approvato dall’ente regolatore FDA.
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