Guerra cibernetica
Giornale israeliano: polizia ha usato lo spyware Pegasus contro Netanyahu

Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews.
Nel mirino il figlio e alcuni stretti collaboratori dell’ex primo ministro. Oltre a loro spiati — senza esplicito mandato della magistratura – anche giornalisti, uomini d’affari e personalità istituzionali. La condanna del presidente israeliano e del governo. Per il ministro degli Interni la vicenda è equiparabile a un «terremoto».
La polizia israeliana ha usato lo spyware Pegasus dell’azienda informatica NSO Group per tracciare e sorvegliare gli smartphone di personaggi pubblici di primo piano; nel mirino alcuni giornalisti di inchiesta, leader e attivisti, dipendenti governativi e persone vicine all’ex premier Benjamin Netanyahu, fra i quali alcuni stretti collaboratori e il figlio. È quanto rivela, nella seconda parte del rapporto pubblicata oggi, il quotidiano economico israeliano Calcalist, secondo cui lo strumento di hacking è stato utilizzato contro una dozzina di persone senza l’autorizzazione specifica di un tribunale ed è durato diversi anni.
Secondo l’inchiesta, la polizia si sarebbe introdotta in decine di telefoni di persone che non erano indagate, né sospettate di crimini. Fra queste l’allora direttore generale delle finanze, oltre ai ministri della Giustizia, delle comunicazioni e dei trasporti.
Nel mirino anche l’uomo d’affari Rami Levy, l’ex amministratore delegato di Walla Ilan Yeshua, fra i testimoni chiave dell’inchiesta contro Netanyahu e uno dei figli (Avner) dell’ex Primo Ministro, oltre ai collaboratori Topaz Luk e Yonatan Urich.
Lo spyware Pegasus consente ai suoi operatori di accedere in remoto ai telefoni infettati dal software. Venduto alle agenzie di Intelligence e alle forze dell’ordine di tutto il mondo, lo spyware sfrutta le vulnerabilità di sicurezza nei sistemi operativi Android e iPhone per accedere ai contenuti del dispositivo, dai messaggi alle foto. Il programma consente inoltre di attivare da remoto la fotocamera e il microfono del telefono, all’insaputa della vittima.
Il ministro israeliano della Pubblica sicurezza Omer Bar-Lev ha dato disposizione per formare una commissione di inchiesta statale chiamata a indagare sulla vicenda, che ha sollevato unanime condanna e indignazione fra i parlamentari. Lo stesso premier Naftali Bennett ha promesso di far luce sullo scandalo, che rischia di inasprire lo scontro politico e istituzionale in una nazione segnata da scandali, sospetti e profonde lacerazioni interne.
In seguito alla pubblicazione del rapporto la polizia israeliana ha ammesso fra le righe un uso improprio dello spyware, pratica comune durante il mandato dell’ex capo della polizia Roni Alsheich, già vice-capo dello Shin Bet (il servizio di intelligence interno). Fra i sospettati vi è anche l’allora capo del dipartimento informativo della polizia Yosef Kahlon.
L’inchiesta pubblicata da Calcalist ha sollevato polemiche e prese di posizione durissime fra le massime cariche dello Stato ebraico. Intervenendo a una conferenza stampa questa mattina il presidente Isaac Herzog ha invocato «una indagine approfondita».
«Non possiamo perdere la nostra democrazia – ha aggiunto il capo dello Stato –, non possiamo perdere la nostra polizia e non possiamo perdere il sostegno dell’opinione pubblica nei loro confronti».
Il ministro degli Interni Ayelet Shaked ha detto che, se fosse vero, il rapporto è equiparabile a un «terremoto» con azioni «che si addicono ai regimi oppressivi di un secolo fa».
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Immagine di Foreign and Commonwealth Office via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic (CC BY 2.0)
Guerra cibernetica
Aeroporti nordamericani hackerati con messaggi pro-Hamas

Messaggi che elogiavano Hamas e attaccavano alti funzionari americani e israeliani sono stati trasmessi tramite sistemi di diffusione sonora e visualizzati su schermi digitali in tre aeroporti canadesi e uno statunitense lo scorso martedì. Lo ha riportato la stampa locale.
Le autorità hanno avviato indagini su quello che appare come un attacco informatico coordinato.
L’attacco hacker avrebbe colpito i display informativi e i sistemi audio di due aeroporti nella Columbia Britannica, l’aeroporto internazionale di Windsor in Ontario e l’aeroporto internazionale di Harrisburg in Pennsylvania.
Dear @realDonaldTrump,
Canada’s Kelowna airport had a serious security breach. Hacked with Hаmаs propaganda.
Mark Carney won’t stand up to the Muslim Brotherhood, but will stand up for them.
🇨🇦 is a security threat to the world.
Thank you for your attention to this matter. pic.twitter.com/hm0DyMd3Nx
— dahlia kurtz ✡︎ דליה קורץ (@DahliaKurtz) October 15, 2025
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Le immagini dei display aeroportuali, diffuse dai notiziari locali, mostravano il messaggio «Israele ha perso la guerra, Hamas ha vinto con onore», insieme a una dichiarazione offensiva contro il presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Sullo schermo è apparsa anche la firma digitale «Hackerato da Mutarrif Siberislam». Le trasmissioni audio includevano, secondo quanto riferito, slogan pro-palestinesi come «Palestina libera» e insulti rivolti sia a Trump che al primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu.
Le autorità dell’aeroporto di Kelowna hanno confermato l’incidente, spiegando che una terza parte aveva avuto accesso sia agli schermi informativi sui voli sia al sistema di diffusione sonora. Un portavoce dell’aeroporto internazionale di Victoria ha precisato che solo il sistema audio dell’aeroporto era stato compromesso.
Transport Canada ha dichiarato di essere a conoscenza degli attacchi, incluso un ulteriore incidente all’aeroporto internazionale di Windsor.
Le autorità di Harrisburg hanno confermato che l’episodio è sotto indagine da parte di funzionari locali, statali e federali.
Come riportato da Renovatio 21, due anni fa il sistema dell’aviazione canadese fu oggetto di un misterioso attacco hacker che lo paralizzò totalmente, poco dopo che uno stop fosse dato agli aerei delle Filippine e un «problema tecnico» (questa la versione ufficiale) mettesse a terra tutti gli aerei USA, evento che non ha avuto precedenti se non nelle ore dopo l’attentato dell’11 settembre 2001. In quel caso, alcuni ipotizzarono un attacco di hacking di tipo ransomware, con riscatto pagato in bitcoin, il cui valore, in quelle ore, di fatto aumentò.
Come riportato da Renovatio 21, un attacco hacker ha colpito il mese scorso anche grandi aeroporti europei.
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Immagine screenshot da Twitter
Guerra cibernetica
Importanti fughe di dati del governo britannico emergono sul dark web

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Guerra cibernetica
Un’ondata di minacce informatiche di massa colpisce uno stato africano

Mercoledì, il ministro per le tecnologie dell’informazione e della comunicazione della Namibia, Emma Theofelus, ha dichiarato all’Assemblea nazionale che nella prima metà del 2025 il Paese ha registrato oltre un milione di minacce informatiche e un numero simile di vulnerabilità di sistema.
Gli incidenti, rilevati dal Namibian Cybersecurity Incident Response Team (NAMSIRT), includevano frodi su schede SIM, furti d’identità e truffe online.
Theofelus ha aggiunto che il Ministero sta implementando una Strategia Nazionale per la Sicurezza Informatica e un Piano di Sensibilizzazione in collaborazione con SALT Essential IT, Lifeline Childline Namibia e UNICEF Namibia. La campagna prevede formazione gratuita, sia in presenza che virtuale, per promuovere pratiche online più sicure.
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Secondo un’agenzia di stampa locale che cita un rapporto del NAMSIRT, tra il 1° gennaio e il 30 giugno sono state rilevate 1,1 milioni di minacce informatiche e quasi 1 milione di vulnerabilità di sistema.
Nel 2024 la Namibia ha subito oltre 1,1 milioni di attacchi informatici. Come riportato da The Namibian, l’esperta in frodi certificata Melanie Meiring ha osservato che questi attacchi hanno colpito aziende, enti governativi e cittadini, con Telecom Namibia «che ha subito una grave violazione che ha esposto oltre 626 gigabyte di dati sensibili».
Questi dati riflettono una tendenza più ampia a livello continentale. Secondo il rapporto dell’Interpol di maggio, oltre due terzi dei Paesi africani considerano la criminalità informatica una minaccia di livello medio o alto, rappresentando oltre il 30% di tutti i reati segnalati nell’Africa orientale e occidentale.
Ad agosto, l’Interpol ha coordinato un’importante operazione contro la criminalità informatica, denominata Serengeti 2.0, in collaborazione con le forze dell’ordine di 18 Paesi africani.
L’operazione ha portato all’arresto di oltre 1.000 sospettati e al recupero di quasi 100 milioni di dollari di fondi illeciti, identificando più di 88.000 vittime in casi che includevano truffe ereditarie, attacchi ransomware e compromissioni di email aziendali.
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