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Geopolitica

Fico vota e lancia l’avvertimento: l’Occidente vuole l’escalation con Mosca

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A meno di tre settimane dall’attentato che lo ha coinvolto, il premier slovacco Robert Fico è tornato per votare alle elezioni europee e fare dichiarazioni importanti sulla situazione politica e geopolitica dell’ora presente.

 

Una foto dal suo profilo Facebook lo mostra mentre, dall’ospedale, vota per il Parlamento UE come mezzo miliardo di altri europei.

 

«Ho votato in ospedale perché anche queste elezioni sono importanti. È necessario votare per i deputati europei che sosterranno le iniziative di pace e non la continuazione della guerra. L’accordo dei paesi occidentali di consentire all’Ucraina di utilizzare armi occidentali per colpire obiettivi sul territorio russo è solo la prova che le grandi democrazie occidentali non vogliono la pace, ma l’escalation delle tensioni con la Russia, cosa che sicuramente accadrà. Come Primo Ministro della Slovacchia, non trascinerò il Paese in tali avventure militari e, nell’ambito delle nostre limitate capacità slovacche, farò di tutto per garantire che la pace abbia la priorità sulla guerra».

 

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Fico ha avuto modo quindi di esprimersi sul rischio di guerra globale che stiamo tutti correndo, indicando precisamente le responsabilità di questa corsa verso il precipizio.

 

La recente decisione di Washington e dei suoi alleati in Europa di consentire a Kiev di utilizzare armi fornite dall’Occidente per attacchi a lungo raggio in profondità nel territorio russo dimostra che i sostenitori dell’Ucraina «non vogliono la pace», ha detto sabato il primo ministro slovacco Robert Fico.

 

Il premier di Bratislava riferiva a una recente serie di dichiarazioni di Stati Uniti, Regno Unito, Germania e altre nazioni occidentali, in cui i loro leader hanno affermato che Kiev può ora utilizzare le armi da loro fornite negli attacchi contro il territorio russo riconosciuto a livello internazionale.

 

All’inizio di questa settimana, il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha definito questa mossa un modo per garantire la pace, sostenendo che il potenziale successo della Russia sul campo di battaglia è la più grande minaccia alla pace nel continente. Il Cremlino ha risposto alle dichiarazioni occidentali accusando la NATO di provocare un nuovo «ciclo di tensioni». A maggio, il presidente russo Vladimir Putin aveva avvertito che l’uso di armi a lungo raggio contro la Russia avrebbe «gravi conseguenze» per l’Occidente.

 

Questo tipo di azioni da parte degli Stati Uniti e dei loro alleati sono destinate a portare ad un’ulteriore escalation delle tensioni tra Mosca e l’Occidente, ha avvertito Fico, aggiungendo che non vuole che la sua nazione prenda parte a tali «avventure militari».

 

«Le nazioni occidentali non vogliono la pace, ma un’escalation delle tensioni con la Federazione Russa, che sicuramente accadrà», ha detto il primo ministro slovacco in un post su Facebook.

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Fico ha invitato i suoi connazionali a votare alle elezioni del Parlamento europeo e a sostenere i candidati che «sostengono le iniziative di pace e non la continuazione della guerra».

 

Le osservazioni arrivano pochi giorni dopo un’altra dichiarazione in cui affermava che l’UE e la NATO hanno «santificato il concetto dell’unica opinione corretta – vale a dire che la guerra in Ucraina deve continuare ad ogni costo per indebolire la Federazione Russa». Chiunque non sia d’accordo viene automaticamente etichettato come «agente russo», ha aggiunto.

 

Sabato, un altro leader europeo – il primo ministro ungherese Viktor Orban – aveva avvertito che l’Occidente è «a pochi centimetri da un conflitto diretto» con la Russia, aggiungendo che sia l’UE che gli Stati Uniti hanno un disperato bisogno che forze pro-pace arrivino al potere per evitare ulteriore escalation. Il premier magiaro ha insistito sostenendo che l’Occidente potrebbe raggiungere un cessate il fuoco nel conflitto in Ucraina «entro 24 ore» se solo avesse la volontà di farlo.

 

Come riportato da Renovatio 21, Orban ha collegato pubblicamente l’attentato a Fico con i preparativi di guerra dell’Occidente.

 

Il primo ministro slovacco Robert Fico ha sostenuto che il tentativo di omicidio che lo ha quasi ucciso il mese scorso è stato provocato da politici sostenuti dall’estero che rifiutano di accettare politiche estere che danno priorità agli interessi di Bratislava rispetto alle agende delle principali potenze occidentali.

 

Mercoledì Fico aveva pubblicato una dichiarazione video, segnando la sua prima apparizione pubblica dalla sparatoria del 15 maggio in cui è stato gravemente ferito. Ha attribuito agli operatori sanitari il merito di avergli salvato la vita e ha detto che prevede di riprendere almeno alcune delle sue mansioni lavorative entro la fine di questo mese o all’inizio di luglio.

 


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Il Primo Ministro ha condannato gli sforzi volti a minimizzare il tentativo di omicidio e ad attribuirne interamente la colpa a un uomo armato squilibrato. «Lo perdono e gli permetto di capire cosa ha fatto e perché lo ha fatto, nella sua testa», ha detto Fico. «Alla fine è evidente che era solo un messaggero del male e dell’odio politico, che l’opposizione politicamente fallita e frustrata ha portato in Slovacchia a proporzioni ingestibili».

 

Fico è tornato al potere per un quarto mandato come primo ministro dopo che il suo partito della socialdemocrazia slovacca (SMER-SD) ha vinto le elezioni parlamentari del paese lo scorso settembre. Ha detto che le sue ferite causate dalla sparatoria del mese scorso erano così gravi che sarebbe stato un «piccolo miracolo» per lui riprendere le sue mansioni lavorative entro poche settimane. Ha messo in guardia contro gli sforzi degli avversari politici – compresi i media finanziati dall’attivista politico miliardario George Soros – di ignorare le implicazioni del tentato omicidio.

 

«Voglio chiedere ai media antigovernativi, soprattutto a quelli in comproprietà con la struttura finanziaria di George Soros, di non imboccare questa strada e di rispettare non solo la gravità delle ragioni del tentato omicidio, ma anche le conseguenze di questo tentativo», ha detto Fico.

 

Il leader di lunga data ha aggiunto che da diversi mesi metteva in guardia da possibili violenze politiche a causa dell’odio e dell’aggressività dei partiti di opposizione slovacchi. Ha lamentato il fatto che le principali democrazie occidentali siano rimaste in silenzio mentre quei partiti attaccavano gli oppositori politici e alimentavano l’odio.

 

Egli ha avvertito che se le forze di opposizione continueranno sulla strada attuale ci si dovrà aspettare ulteriore violenza politica. «L’orrore del 15 maggio, che tutti voi avete avuto modo di vedere praticamente dal vivo, continuerà e ci saranno altre vittime».

 

«Gli eccessi violenti e odiosi contro il legittimo potere governativo sono tollerati a livello internazionale senza alcun commento», ha aggiunto Fico. «L’opposizione non è stata in grado di valutare, perché nessuno l’ha costretta a farlo, dove la loro politica aggressiva e piena di odio avesse portato settori della società, ed era solo questione di tempo prima che si verificasse una tragedia».

 

Fico ha affermato che i partiti che hanno governato la Slovacchia dal 2020 al 2023 hanno fatto tutto ciò che le più grandi democrazie occidentali richiedevano, incluso trattare Russia e Cina come «nemici mortali». Il precedente regime di Bratislava ha anche «saccheggiato» le scorte militari slovacche per fornire armi all’Ucraina, ha aggiunto. Dopo essere tornato al potere in ottobre, il governo di Fico ha interrotto tali aiuti, sollevando l’ira delle potenze della NATO.

 

«È proprio il conflitto in Ucraina che l’UE e la NATO hanno esaltato ancora di più, santificando letteralmente il concetto dell’unica opinione corretta – vale a dire che la guerra in Ucraina deve continuare ad ogni costo per indebolire la Federazione Russa», ha affermato Fico. «Chi non si identifica con questa unica opinione obbligatoria viene immediatamente etichettato come agente russo e politicamente emarginato a livello internazionale. È un’osservazione crudele, ma il diritto a un’opinione diversa ha cessato di esistere nell’UE».

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Fico negli scorsi mesi si era opposto, assieme ad un nutrito gruppo di Parlamentari polacchi, al Trattato Pandemico, definito uno sforzo «globalista» per indebolire le sovranità nazionali. Era noto inoltre che il premier slovacco aveva ordinato a inizio anno un’indagine sulla risposta al COVID-19 e sui vaccini, con occhio di riguardo agli oltre 21.000 morti in eccesso registrati nel Paese dal 2020.

 

«Dichiaro inoltre molto chiaramente che il partito SMER non sosterrà il rafforzamento dei poteri dell’Organizzazione Mondiale della Sanità a spese degli Stati sovrani nel gestire la lotta alle pandemie» tuonava il Fico tra gli applausi.

 

«Dirò anche che tale idiozia può essere stata solo inventata da avide compagnie farmaceutiche, che hanno iniziato a percepire l’opposizione di certi governi contro la vaccinazione obbligatoria».

 

«Secondo la Costituzione della Repubblica Slovacca, la validità di tale accordo internazionale a favore dell’OMS richiede il consenso del Consiglio Nazionale della Repubblica Slovacca, e io non credo che i partiti politici della Slovacchia sovrana possano esprimere tale approvazione».

 

Il Fico aveva accusato pubblicamente l’atmosfera guerrafondaia nell’alleanza. Teniamo a mente ulteriormente che Bratislava, primo Paese a farlo, ha riavviato i rapporti culturali con Mosca.

 

«Il mio popolo ha problemi più grandi dell’Ucraina» aveva detto il premier appena eletto.

 

«Finché sarò a capo del governo slovacco, non sarò mai d’accordo sul fatto che un paese debba essere punito per aver lottato per la propria sovranità».

 

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Immagine screenshot da Twitter

 

 

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Geopolitica

L’incontro Trump-Zelensky è stato «pessimo». Accenni al tunnel eurasiatico-americano

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L’incontro di venerdì alla Casa Bianca tra il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj è stato descritto come «teso», con Zelensky che non è riuscito a ottenere la consegna dei missili a lungo raggio Tomahawk. Lo riporta la testata Axios, citando fonti informate.   Trump ha comunicato allo Zelens’kyj che non intende fornire i Tomahawk «almeno per il momento», hanno rivelato due fonti a conoscenza dell’incontro. I colloqui, durati circa due ore e mezza, sono stati definiti da una fonte come «non facili» e da un’altra come «difficili». A momenti, la discussione è diventata «un po’ emotiva», secondo il rapporto.   «Nessuno ha alzato la voce, ma Trump è stato fermo», ha dichiarato una fonte ad Axios. L’incontro si è concluso bruscamente quando Trump avrebbe detto: «Penso che abbiamo finito. Vediamo cosa succede la prossima settimana», probabilmente riferendosi ai colloqui imminenti tra Russia e Stati Uniti.   Parlando successivamente con i giornalisti, lo Zelens’kyj ha evitato di rispondere a domande sulle forniture di Tomahawk, limitandosi a dire che gli Stati Uniti «non desiderano un’escalation».   Trump ha sottolineato che per Washington «non è semplice» fornire i missili, poiché gli Stati Uniti devono preservare le proprie scorte per la difesa nazionale. Ha anche riconosciuto che autorizzare Kiev a condurre attacchi in profondità in Russia potrebbe portare a un’escalation del conflitto.   Mosca ha avvertito che fornire missili all’Ucraina «non cambierebbe la situazione sul campo di battaglia», ma «comprometterebbe gravemente le prospettive di una soluzione pacifica» e danneggerebbe le relazioni tra Russia e Stati Uniti.   Lo Zelens’kyj ha cercato per settimane di ottenere i missili Tomahawk, con una gittata massima di 2.500 km, insistendo che l’Ucraina li avrebbe utilizzati solo contro obiettivi militari per aumentare la pressione sulla Russia e favorire un accordo di pace. Tuttavia, il leader ucraino ha minacciato blackout nelle regioni di confine russe e a Mosca. Funzionari russi hanno anche suggerito che Kiev intenda usare i missili per «attacchi terroristici».   Durante i momenti con la stampa, il presidente ha prodotto una scena imprevedibile quando ha parlato della discussione avuta con Putin di un tunnel tra l’Alaska e la Siberia, chiedendo quindi allo Zelens’kyj cosa ne pensasse. L’ex attore ha risposto con tempi comici «non sono felice di questa cosa», sorridendo. «Non credo che gli piaccia» ha detto Trump ridendo.  

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Il progetto di tunnello sotto lo stretto di Bering, che tocca le isole Diomede, esiste da molto tempo.   Il concetto di un collegamento tra i due continenti (un ponte o tunnel chiamato «Kennedy-Khrushchev World Peace Bridge») è emerso durante la Guerra Fredda, con proposte già nel 1905 dall’Impero Russo e nel 1904 da magnati ferroviari americani. Nel 2007, la Russia ha pianificato un tunnel da $65 miliardi come parte di una rete ferroviaria trans-siberiana. Nel 2011, funzionari russi hanno sostenuto un tunnel da 100 km per collegare Yakutsk a Komsomolsk-on-Amur, estendendolo all’Alaska. Nel 2015, si è parlato di una collaborazione Russia-Cina per un ponte stradale con oleodotti.   Il 16 ottobre 2025, Kirill Dmitriev, inviato per gli investimenti del presidente russo Vladimir Putin e CEO del Fondo Russo per gli Investimenti Diretti (RDIF), ha proposto il «Putin-Trump Tunnel» su X (ex Twitter), rivolgendosi direttamente a Elon Musk e alla sua Boring Company, l’azienda che crea tunnelli stradali. Il Dmitriev lo ha descritto come un «simbolo di unità» per collegare le Americhe all’Eurasia.   Dmitriev ha rivelato che uno studio di fattibilità è iniziato sei mesi fa (aprile 2025), con RDIF che ha già esperienza in ponti come quello Russia-Cina.   Con i suoi 112 chilometri di lunghezza, si tratterebbe del tunnel più lungo del mondo. Un costo stimato sarebbe di 65 miliardi, ma riducibile, per una durata di lavori di meno di otto anni.   Come riportato da Renovatio 21, l’incontro Trump-Zelens’kyj è seguito a una telefonata tra Trump e Putin, dopo la quale entrambe le parti hanno espresso l’intenzione di organizzare un vertice a Budapest, in Ungheria, nel prossimo futuro.  

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Trump e Putin si telefonano: «può portare alla pace»

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Giovedì il presidente russo Vladimir Putin ha avuto una conversazione telefonica con il presidente statunitense Donald Trump, come confermato dal portavoce del Cremlino Demetrio Peskov.

 

Circa 40 minuti prima della conferma russa, Trump aveva annunciato sulla sua piattaforma Truth Social di essere impegnato in una chiamata «in corso» e «prolungata» con Putin.

 

Il colloquio tra i due leader si è tenuto in un contesto di crescenti tensioni tra Mosca e Washington, a seguito della proposta di Trump di fornire all’Ucraina missili Tomahawk a lungo raggio, in grado di colpire in profondità il territorio russo, in vista del suo incontro programmato con Volodymyr Zelens’kyj per venerdì.

 

Mosca ha criticato duramente questa possibile decisione, avvertendo che annullerebbe la fiducia diplomatica costruita tra Russia e Stati Uniti senza alterare la situazione sul campo.

 

Fornire tali armi a Kiev spingerebbe Mosca ad adottare contromisure necessarie, ha dichiarato il portavoce del Cremlino Peskov.

 

La telefonata rappresenta il primo contatto tra Putin e Trump dal loro incontro di persona ad Anchorage, in Alaska, a metà agosto. Mosca ha riferito che, dopo il vertice, le comunicazioni con Washington si sono notevolmente ridotte. Tuttavia, i funzionari russi hanno sottolineato che il processo avviato in Alaska «non è terminato» e che lo «spirito di Anchorage» rimane «vivo».

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Trump ha dichiarato che il colloquio con Putin potrebbe condurre a un accordo di pace per il conflitto ucraino. Le tensioni tra Stati Uniti e Russia si sono intensificate a causa delle possibili forniture di missili Tomahawk all’Ucraina, e i negoziati di pace sono rimasti in stallo. Trump ha descritto la conversazione, durata due ore e mezza, come «molto produttiva», suggerendo che un accordo di pace potrebbe essere imminente.

 

«Ho trovato che fosse una chiamata eccellente, molto produttiva… Pensiamo di poter fermare [il conflitto]», ha detto. «Questa potrebbe essere una chiamata così fruttuosa che alla fine… vogliamo raggiungere la pace».

 

In precedenza, Trump aveva scritto su Truth Social che durante la telefonata erano stati compiuti «grandi progressi» e aveva annunciato che lui e Putin avevano concordato di organizzare un vertice bilaterale a Budapest, in Ungheria.

 

Il presidente USA ha riferito ai giornalisti che l’incontro si terrà probabilmente entro due settimane, dopo i colloqui tra il Segretario di Stato americano Marco Rubio e il ministro degli Esteri russo Sergio Lavrov, oltre all’incontro di Trump con il leader ucraino Volodymyr Zelens’kyj a Washington, previsto per venerdì. L’ultimo vertice Putin-Trump, svoltosi ad Anchorage, in Alaska, ad agosto, non aveva prodotto risultati concreti, ma giovedì Trump ha dichiarato di aver «posto le basi» per un processo di pace più ampio.

 

Riguardo alle possibili consegne di missili Tomahawk a Kiev, Trump non ha né confermato né smentito i piani, sottolineando però che, pur disponendo di «molti» missili, gli Stati Uniti ne hanno bisogno per la propria sicurezza e «non possono esaurire» il loro arsenale.

 

Secondo Yury Ushakov, consigliere di Putin per la politica estera, durante la telefonata il presidente russo ha avvertito Trump che l’invio di Tomahawk a Kiev non cambierebbe l’andamento del conflitto, ma potrebbe «compromettere gravemente le prospettive di una soluzione pacifica» e danneggiare le relazioni tra Russia e Stati Uniti.

 

Ushakov ha sottolineato che Putin ha riaffermato l’impegno di Mosca per una «risoluzione politico-diplomatica pacifica», descrivendo la discussione come «molto concreta ed estremamente franca», aggiungendo che i preparativi per il prossimo vertice Putin-Trump inizieranno immediatamente, con Budapest in fase di valutazione come sede.

 

Il primo ministro ungherese Vittorio Orban ha poi scritto su X di aver discusso con Trump, confermando che i preparativi sono già in corso.

 

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Geopolitica

Budapest si prepara ad ospitare il vertice Putin-Trump

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L’Ungheria e la Russia hanno avviato discussioni sui preparativi per il vertice tra il presidente russo Vladimir Putin e il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, previsto a Budapest, ha annunciato il ministro degli Esteri ungherese Peter Szijjarto.   In un post su Facebook pubblicato venerdì, Szijjarto ha riferito di aver avuto una conversazione telefonica con Yury Ushakov, principale consigliere di Putin per la politica estera, confermando che «i preparativi sono in pieno svolgimento».   Il primo ministro ungherese Viktor Orban ha dichiarato di aver parlato al telefono con Putin venerdì. Szijjártó ha aggiunto che il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov e il Segretario di Stato americano Marco Rubio si incontreranno più tardi nella stessa giornata.   Szijjarto ha sottolineato che l’Ungheria è pronta a garantire la sicurezza dei colloqui tra Russia e Stati Uniti, che si concentreranno sul conflitto ucraino, e che Budapest accoglierà Putin con rispetto, assicurandogli libertà di movimento da e per il Paese.

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Giovedì Orban aveva annunciato che Budapest è pronta a ospitare l’incontro tra i due presidenti, definendolo «una grande notizia per i popoli amanti della pace nel mondo» e descrivendo l’Ungheria come «un’isola di pace».   L’incontro tra Trump e Putin è stato annunciato per la prima volta dal presidente statunitense giovedì, dopo una telefonata tra i due leader, la prima in quasi due mesi, durata oltre due ore secondo il Cremlino e la Casa Bianca. Trump ha definito la conversazione «molto produttiva», sottolineando che «sono stati compiuti grandi progressi».   Anche il Cremlino ha confermato il vertice programmato, con Ushakov che ha dichiarato che i preparativi sarebbero iniziati «senza indugio». Ha precisato che Budapest era stata proposta come sede dell’incontro da Trump e che Putin aveva subito appoggiato l’idea.   L’ultimo incontro tra Putin e Trump si era tenuto a metà agosto in Alaska, incentrato sul conflitto in Ucraina e sul rilancio delle relazioni tra Russia e Stati Uniti. È stato il loro primo faccia a faccia dal 2019. Entrambi i leader avevano definito il vertice produttivo, pur senza registrare progressi significativi.   Sebbene i contatti tra Mosca e Washington siano successivamente diminuiti, Lavrov ha dichiarato all’inizio di questa settimana che il processo avviato in Alaska «non è concluso» e che le due nazioni hanno ancora «molto da fare».

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