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Spirito

«Fate del Santo Sacrificio della Messa la principale ragione della vostra vita»: omelia del Giovedì Santo di mons. Viganò

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Renovatio 21 pubblicata l’omelia per la Messa Crismale del Giovedì Santo di monsignor Carlo Maria Viganò.

 

 

NEC SENESCAT TEMPORE

Omelia per la Messa Crismale del Giovedì Santo

 

Inde etiam Moysi famulo tuo mandatum dedisti,
ut Aaron fratrem suum prius aqua lotum
per infusionem hujus unguenti
constitueret Sacerdotem. 

Præf. ad cons. Chrisma 

 

Nel Giovedì della Settimana Santa la Chiesa onora con la massima solennità alcuni tra i più importanti Misteri della nostra Religione. Nell’antichità questo giorno benedetto iniziava con la riconciliazione dei pubblici peccatori che avevano espiato le proprie colpe durante la Quaresima. Vivo ego, dicit Dominus: nolo mortem peccatoris, sed ut magis convertatur, et vivat. 

 

Ma perché il peccatore non muoia, perché si converta e viva, è indispensabile che sia perpetuato in modo incruento il Sacrificio della Nuova ed Eterna Alleanza, la Santa Messa; e perché questo Sacrificio perenne possa essere celebrato, occorre il Sacerdozio, e quindi l’Episcopato che lo trasmetta nella linea della Successione Apostolica; e con esso gli Oli e il Crisma dell’unzione dei Sacerdoti e dei Re, dei Profeti e dei Martiri. Occorre insomma che il Messia – il Χριστός, l’Unto del Signore – gloriosamente risorto e asceso al Cielo dopo aver patito ed essere morto sulla Croce, perpetui la propria presenza nella Santa Chiesa, Suo Mistico Corpo, fino al giorno del Suo ritorno alla fine dei tempi.

 

In questo giorno benedetto ricordiamo l’Ultima Cena, l’istituzione del Sacerdozio, della Messa, del Santissimo Sacramento. La liturgia vespertina ci riporta nel Cenacolo, dove gli Apostoli ricevono dal Signore il Suo testamento spirituale, prima dell’agonia nel Getsemani e la cattura da parte del Sinedrio.

 

E mentre i giorni che precedono e seguono il Giovedì Santo ci propongono i Vangeli della Passione e i segni esteriori del lutto, oggi la Chiesa si veste di bianco, intona il Gloria e si concentra sulla contemplazione di queste ultime ore che il Redentore trascorre con i Suoi discepoli. 

 

Mai come in questa fase cruciale della storia della Chiesa e dell’umanità possiamo sentire e condividere l’apprensione degli Apostoli, il loro disorientamento nel vedersi lavare i piedi dal Maestro, la loro consapevolezza di un destino incombente, il sonno che li coglie durante l’Agonia nell’Orto degli Ulivi, il timore che li indurrà a fuggire, il triplice rinnegamento di Pietro nel Pretorio, la disperazione che porterà Giuda a togliersi la vita, la silenziosa presenza di Giovanni e delle Pie Donne nell’ascesa al Calvario e ai Piedi della Croce. 

 

 

Nell’arco di poche ore il banchetto rituale per la Pasqua ebraica, nel quale è anticipata l’unica Messa celebrata prima del Sacrificio del Golgota, cede all’apparente trionfo dei carnefici, alla cattura del Signore, a un processo condotto con la frode e con falsi testimoni, alla Sua condanna a morte sull’infame patibolo riservato agli schiavi, agli oltraggi della turba aizzata dagli scribi e dai sacerdoti.

 

Ritroviamo tutto questo nei segni composti della Liturgia che si conclude mestamente, nel rito della spoliazione degli altari accompagnato dal canto monocorde del Salmo 21, nella sostituzione del suono delle campane con il rumore austero del crotalo.

 

Potremmo dire che la vita terrena del Salvatore – e per estensione l’intera storia della Salvezza – siano racchiuse in questo giorno, nel quale il Signore consente ai Dodici, e a noi con essi, di godere di un breve sprazzo di solenne consolazione e speranza prima delle ore tremende del Venerdì Santo. 

 

Nel giorno in cui i Leviti rinnovano le promesse sacerdotali e il vincolo di unità con il Vescovo, dobbiamo interrogarci su quale sia il modello al quale vogliamo conformare il nostro Sacerdozio. Vi sono infatti molti modi di intendere e vivere il Ministero sacerdotale, ma uno solo è conforme alla volontà di Nostro Signore Gesù Cristo. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi (Gv 15, 16), ha detto il divin Maestro.

 

E se ci ha scelti, se vi ha scelti, è perché siate come Egli vi vuole, e perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga (ibid.). Perché andiate, non perché rimaniate.

 

Perché possiate crescere nella santità, e non per crogiolarvi nella vostra mediocrità, o peggio per sprofondare nel peccato. Perché portiate frutto.

 

Voi non siete sindacalisti, né propagandisti, né funzionari di un’organizzazione umanitaria, né membri di un circolo filantropico. Non siete chiamati a tranquillizzare le anime, né ad assecondarle, ma a svegliarle dal loro torpore, ad ammonirle, a spronarle opportune, importune. Non siete più del mondo, ma nel mondo: la nera veste che indossate è segno di separazione e di rinuncia; esempio per i buoni e monito per i peccatori.

 

Non siete presidenti di un’assemblea, ma ministri di Cristo, dispensatori dei Misteri di Dio (1 Cor 4, 1). Non siete attori su un palcoscenico, né conferenzieri su un podio: siete sacerdoti, nei cui gesti e dalle cui parole chi vi ascolta deve vedere e ascoltare Nostro Signore, Sommo Sacerdote, che allarga le braccia sulla Croce per offrirSi al Padre. La Chiesa, il Sacerdozio, la Messa, i Sacramenti, la Liturgia, il Vangelo non sono vostra proprietà, né un brogliaccio che Dio vi lascia liberi di manomettere, stravolgere o «rileggere» a vostro piacimento.

 

Onorate dunque la Sacra Tradizione non come fredde ceneri di un passato ormai sepolto, ma come viva fiamma che tutto deve incendiare di soprannaturale Carità, ad iniziare da voi stessi. Perché se non siete sale della terra e lievito della massa, finirete per essere gettati a terra e calpestati (Mt 5, 13) da coloro che credete di compiacere.

 

Fate del Santo Sacrificio della Messa la principale ragione della vostra vita e delle vostre giornate, perché è da esso che dipende la salvezza della Chiesa, del mondo e la vostra. Completate nel vostro corpo quel che manca ai patimenti di Cristo, come dice l’Apostolo (Col 1, 24), per il bene del Suo Corpo che è la Chiesa. Resistite fortes in fide (1Pt 5, 9), secondo il monito di San Pietro. State in guardia perché il vostro cuore non si lasci sedurre e voi vi allontaniate, servendo dèi stranieri o prostrandovi davanti a loro (Deut 11, 16). Attenetevi al consiglio del Commonitorium di San Vincenzo Lerino: In ipsa item Catholica Ecclesia magnopere curandum est ut id teneamus quod ubique, quod semper, quod ab omnibus creditum est.

 

Questa è regola certissima della Fede, dinanzi ad una Gerarchia apostata che eclissa la vera Chiesa di Cristo e dinanzi ad un usurpatore del Sommo Pontificato. Imparate ad obbedire a Dio prima che agli uomini, ricordandovi che il destino del sacerdote o del Vescovo è indissolubilmente legato a quello del suo Signore:

 

Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma io vi ho scelti dal mondo, per questo il mondo vi odia. Ricordatevi della parola che vi ho detto: Un servo non è più grande del suo padrone. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi; se hanno osservato la mia parola, osserveranno anche la vostra. Ma tutto questo vi faranno a causa del mio nome, perché non conoscono colui che mi ha mandato (Gv 15, 18-21).

 

La Chiesa si accinge ad affrontare la passio Ecclesiæ, essa che è Corpo Mistico di Cristo, e che come il suo Capo deve non solo affrontare il supplizio nelle singole membra dei Martiri, come è avvenuto nel corso della Storia, ma anche nell’intero corpo, condotto dinanzi ad un nuovo Sinedrio che odia la Chiesa come odia Cristo.

 

E in queste ore benedette, anche a noi è dato di celebrare il Sacerdozio di cui siamo insigniti: chi nella pienezza dell’Episcopato, chi nella partecipazione dei differenti gradi dell’Ordine Sacro che avete ricevuto. Raccolti intorno al Calvario dell’altare, ripetiamo le parole e i gesti che il Signore ha insegnato agli Apostoli, fedeli al mandato ricevuto: Hæc quotiescumque feceritis, in mei memoriam facietis (1Cor 11, 25). Ciascuno di noi può dire con Sant’Agostino: Admiramini, gaudete, Christus facti sumus. (Tract. XXI).

 

Siamo diventati Cristo: i fedeli, mediante il Battesimo; voi sacri Ministri, nel Sacerdozio ministeriale ordinato; noi Vescovi, nella pienezza del Sacerdozio e nella Successione apostolica. Ripetiamo ciò che ci è stato insegnato e comandato di fare.

 

 

Tramandiamo intatto – con l’aiuto di Dio e l’assistenza dello Spirito Santo – ciò che abbiamo ricevuto: Tradidi quod et accepi (1Cor 1, 3). Perché nulla abbiamo da trasmettere di nostro, ma tutto di ciò che Cristo ci ha dato: Dominus pars hereditatis meæ et calicis mei: tu es qui restitues hereditatem meam mihi (Ps 15, 5), il Signore è la mia parte di eredità e il mio calice: tu sei Colui che mi riporta in possesso dell’eredità che avevo colpevolmente perduto. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se veramente partecipiamo alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria (Rom 8, 17). 

 

Il nostro essere eredi di Dio e coeredi di Cristo, richiede dunque l’assimilazione del Sacerdozio regale di Nostro Signore: un Sacerdozio che consiste nell’offrire la Vittima divina nel Sacrificio incruento della Messa; ma anche nell’offrire noi stessi, misticamente, come vittime in unione all’Agnello immacolato; e nell’essere, come Cristo pietra angolare, il mistico altare sul quale è celebrato il rito. Solo così, carissimi fratelli, possiamo essere degni di sentirci ripetere dal Maestro le consolanti parole che Egli rivolse nel Cenacolo agli Apostoli: 

 

Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda (Gv 15, 12-16).

 

Imploriamo la Vergine Santissima, la Regina Crucis, Madre del Sommo Sacerdote, Madre della Vittima divina, Tabernacolo dell’Altissimo, di poter essere veramente amici di Cristo, nel compiere ciò che Egli ci comanda.

 

Nel rimanere svegli e pregare durante l’agonia della Sua Chiesa; nell’esserGli fedeli nel momento in cui nuovi Giuda Lo consegnano al Sinedrio; nel non fuggire per pavidità, nel non rinnegarLo come fece Pietro.

 

Nell’amarci gli uni gli altri come Egli ci ha amati: Congregavit nos in unum Christi amor; nel saper dare la vita come Egli l’ha data per noi. Nel partecipare alle Sue sofferenze, per partecipare anche alla Sua gloria.

 

E così sia. 

 

+ Carlo Maria Viganò

Arcivescovo

 

17 Aprile 2025
Feria V in Cœna Domini 

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Due nuovi «santi» venezuelani riaccendono le tensioni tra Chiesa e Stato

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Tralasciando il dubbio valore delle nuove procedure di canonizzazione, una doppia canonizzazione in Venezuela è diventata rapidamente una questione di Stato, rivelando le profonde fratture tra una Chiesa cattolica fortemente coinvolta nell’arena politica, a rischio di apparire come una forza di opposizione, e il potere chavista detenuto dal presidente Nicolas Maduro.   Per comprendere la storia, dobbiamo fare un passo indietro. Il 19 ottobre 2025, papa Leone XIV proclamò «santi» i primi due venezuelani nella storia del Paese: José Gregorio Hernández Cisneros, il «medico dei poveri», e María del Carmen Rendiles Martínez, fondatrice della comunità delle Serve di Gesù. L’evento divenne rapidamente un affare politico.   Nicolás Maduro, al potere dal 2013, non ha perso tempo a sfruttare la canonizzazione. Dopo la cerimonia nella casa-museo di José Gregorio Hernández, circondato da fedeli e autorità governative, il capo dello Stato ha rilasciato una serie di dichiarazioni sui social media: «Siamo felici per i nostri santi. Sono entrambi grandi! Il papa ha agito giustamente!», ha dichiarato, esprimendo «immensa, eterna gratitudine» al pontefice, che ha definito un «amico» e un «fratello».   E presentare l’evento come un gesto provvidenziale di fronte alle «minacce» che la «più grande potenza militare della storia» rappresenterebbe nei Caraibi, vale a dire gli Stati Uniti, che da diversi anni cercano invano di far cadere il regime chavista.   Il chavismo ha una lunga storia con la religione: Hugo Chavez ha invocato la cosiddetta Teologia della Liberazione per la sua «Rivoluzione Bolivariana». Il processo di canonizzazione, guidato con grande entusiasmo dal defunto Papa Francesco, è visto da Nicolas Maduro come una forma di benedizione per il regime.   Ma l’opposizione non è rimasta indietro. Maria Corina Machado, vincitrice del premio Nobel per la Pace 2025, un premio altamente politico, ed Edmundo Gonzalez, il candidato presidenziale fallito, hanno rilasciato una dichiarazione congiunta in cui José Hernández e Carmen Rendiles vengono descritti come «due santi per 30 milioni di ostaggi venezuelani», riferendosi al destino di 800.000 prigionieri «politici» e migliaia di esuli.

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«Questi santi esemplari, che hanno dedicato la loro vita al servizio degli altri, offrono speranza e consolazione in mezzo all’oscurità», scrivono, invocando un «miracolo imminente»: la caduta del regime chavista.   Temendo che la messa papale del 19 ottobre potesse suggerire una forma di approvazione per Maduro, il giorno seguente, durante una messa di ringraziamento a San Pietro, il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato della Santa Sede ed ex nunzio in Venezuela dal 2009 al 2013, ha pronunciato un’omelia in cui ha chiesto «di aprire le prigioni ingiuste, di spezzare le catene dell’oppressione, di liberare gli oppressi, di spezzare tutte le catene».   Il caso torna di attualità a Caracas: la «Festa della Santità», prevista per il 25 ottobre 2025 allo stadio Monumental Simon Bolívar , davanti a 50.000 fedeli e alla presenza di tutti i vescovi venezuelani, è stata annullata il 22 ottobre, ufficialmente per «problemi di sicurezza e capienza» – erano state registrate più di 80.000 iscrizioni mentre la capienza non supera i 40.000 posti: «È una questione di sicurezza, sarebbero stati necessari circa tre stadi», spiega uno dei portavoce dell’arcidiocesi.   Nell’arcidiocesi di Caracas si vociferava addirittura che il regime chavista intendesse noleggiare autobus per migliaia di sostenitori, trasformando l’evento in una dimostrazione di forza pro-Maduro. Il cardinale Baltazar Porras, arcivescovo emerito di Caracas, ha denunciato il 17 ottobre una situazione «moralmente inaccettabile»: «crescente povertà, militarizzazione come forma di governo, corruzione, mancanza di rispetto per la volontà popolare» e ha chiesto il rilascio dei prigionieri.   Nicolas Maduro rispose quattro giorni dopo: «Baltazar Porras ha dedicato la sua vita a cospirare contro José Gregorio Hernández (uno dei neo-canonizzati). È stato sconfitto da Dio, dal popolo». L’accesa discussione tra Chiesa e Stato – in un Paese in cui l’80% della popolazione è cattolica – arriva mentre gli Stati Uniti intensificano la pressione contro il regime chavista.   Lo schieramento di una grande flotta al largo delle coste del Paese, accompagnata da un sottomarino nucleare d’attacco, da caccia F-35 e dalla CIA ufficialmente autorizzata da Donald Trump a operare sul territorio venezuelano: si intensifica la pressione su un Paese economicamente rovinato dal bolivarianismo e che – per fortuna o per sfortuna? – è uno dei più dotati in termini di risorse petrolifere. Abbastanza da suscitare cupidigia.   Articolo previamente apparso su FSSPX.News  

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Immagine di Guillermo Ramos Flamerich via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
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Omelia relativista di Papa Leone XIII: «nessuno possiede tutta la verità»

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Papa Leone XIV ha dichiarato che «nessuno possiede la verità assoluta» e che «nessuno è escluso» dalla Chiesa, durante la sua omelia domenicale del 26 ottobre, pronunciata in occasione della messa giubilare per i gruppi sinodali e gli organismi partecipativi.

 

Le sue parole, che potrebbero essere interpretate come relativistiche rispetto alla proclamazione della fede unica della Chiesa cattolica, hanno sconvolto moltissimi.

 

L’amore è la «regola suprema della Chiesa». «Nessuno è chiamato a comandare», ma «tutti sono chiamati a servire»; nessuno deve «imporre le proprie idee», tutti sono invitati all’ascolto reciproco; e «nessuno è escluso» poiché «tutti siamo chiamati a partecipare».

 

«Nessuno possiede la verità tutta intera, tutti dobbiamo umilmente cercarla, e cercarla insieme»: un’affermazione scioccante per chi è il vicario di colui che è la Via, la Verità e la Vita..

 

Essere Chiesa sinodale significa riconoscere che la verità non si possiede, ma si cerca insieme, lasciandosi guidare da un cuore inquieto e innamorato dell’Amore.

 

Leone ha enfatizzato il concetto di Chiesa «sinodale», termine spesso usato dal suo predecessore, Papa Francesco, pur rimanendo vago nel significato. «Le équipe sinodali e gli organi di partecipazione sono immagine di questa Chiesa che vive nella comunione», ha aggiunto oscuramente il romano pontefice.

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«Dobbiamo sognare e costruire una Chiesa umile. Una Chiesa che non sta dritta in piedi come il fariseo, trionfante e gonfia di sé stessa, ma si abbassa per lavare i piedi dell’umanità; una Chiesa che non giudica come fa il fariseo col pubblicano, ma si fa luogo ospitale per tutti e per ciascuno; una Chiesa che non si chiude in sé stessa, ma resta in ascolto di Dio per poter allo stesso modo ascoltare tutti».

 

«Impegniamoci a costruire una Chiesa tutta sinodale, tutta ministeriale, tutta attratta da Cristo e perciò protesa al servizio del mondo» ha esortato il sommo pontefice con linguaggio sempre più tecnico e cervellotico.

 

Sebbene nessun individuo possegga la pienezza della verità, la Chiesa cattolica, in quanto Corpo mistico di Cristo guidato dallo Spirito Santo, ha sempre sostenuto di essere la custode del deposito della fede, ossia la verità rivelata da Dio.

 

I commenti di papa Leone appaiono ambigui e potenzialmente relativistici, poiché non ha chiarito la distinzione tra i membri fallibili della Chiesa, che possono errare nella comprensione della verità, e la Chiesa stessa, che custodisce e proclama l’unica vera fede.

 

Le parole di Prevost sembrano andare contro il Catechismo della Chiesa Cattolica: «Il Magistero della Chiesa si avvale in pienezza dell’autorità che gli viene da Cristo quando definisce qualche dogma, cioè quando, in una forma che obbliga il popolo cristiano ad un’irrevocabile adesione di fede, propone verità contenute nella rivelazione divina, o anche quando propone in modo definitivo verità che hanno con quelle una necessaria connessione» (CCC, I dogmi della fede, 88).

 

La Sacra Scrittura parla della «casa di Dio, che è la chiesa del Dio vivente, colonna e base della verità» (1Tim 3,15).

 

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Immagine di Edgar Beltrán via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International 

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Pensiero

Miseria dell’ora legale, contro Dio e la legge naturale

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Ho un argomento molto metafisico, e al contempo concretissimo, per combattere l’abominio dell’ora legale. Un argomento che sono persino in grado di visualizzare.   Ci sono, certo i numeri: ci dicono che risparmieremo 300 gigawattora. Quando stanotte mi sono svegliato ad un orario innaturale, nella confusione inevitabile di non sapere se è troppo presto o troppo tardi, ho ripensato ad un altro dato: quante persone, in questi giorni, moriranno negli incidenti stradali dovuti ai colpi di sonno? Non credo che nessuno abbia mai fatto questo calcolo, che sarebbe più importante che qualsiasi discorso sparagnino.   Ma a chi importa? L’ora legale, teorizzata da Beniamino Franklin che, democraticamente, voleva piazzare un cannone in ogni via per svegliare la popolazione all’ora che diceva lui per risparmiare in candele, in Italia fu adottata nel 1916, in piena Prima Guerra Mondiale: i nostri ragazzi andavano verso l’inutile strage, il potere pensava a cambiargli l’orologio. Non sono in grado di calcolare l’effetto che l’ora legale può aver avuto sulle trincee, e non ho voglia nemmeno di chiedermelo.   Tuttavia non è questo pensiero di morte – diligente e terminale conseguenza dell’azione dello Stato moderno, che è macchina antiumana – che mi spinge a vedere nell’ora legale un’aberrazione satanica.

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Ho, negli occhi, e nel cuore, un’immagine invincibile, quella della chiesetta dove assisto alla Santa Messa, ovviamente in rito tridentino. Molti lettori già la conoscono, perché ho usato la sua foto in vari articoli.   Andò più o meno così: oramai sette anni fa, trovammo questa chiesetta – dell’estrema nobiltà della proprietà che ce la concesse parlerò altrove. Si tratta di un oratorio che risale al XII secolo, ma notizie certe in merito non si hanno, e mi piace pensare che vi sia davvero un millennio di storia lì.   La chiesa sta fuori dalla città, sopra un borghetto che sa ancora di medioevo, su una collina di boschi e pareti di roccia. L’oratorio stesso sembra posato su un’enorme roccia, anzi sembra esservi stato scolpito, sottratto una scalpellata dopo l’altra da quantità di mani laboriose e fedeli vissute in secoli dimenticati.   Arrivati al nostro secolo, arrivati a noi, c’era pronto tutto quello che serviva: il luogo era stato restaurato, nessuno vi aveva introdotto il tavolone-alare conciliare, a poca distanza c’era tanto parcheggio… per i tanti che, non solo dalla provincia, finalmente potevano avere a portata la Messa in latino.   Iniziarono così le celebrazioni del rito antico, tuttavia ottenemmo dai sacerdoti, impegnati a dire Messe in tanta parte della regione ed oltre, un orario pre-serale, alle 18.   D’inverno, a quell’ora è il buio. Nella scala di pietra mettevamo delle candeline, e lo facciamo ancora oggi in caso di celebrazione notturna. L’effetto è abbastanza magico, tuttavia nulla ha a che fare con quanto avremmo scoperto più avanti.  

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Anni dopo, a fronte di una comunità di fedeli sempre più vasta e persistente (unita davvero, come dimostrò la solidarietà in pandemia…) aumentarono il numero di Sante Messe, e fu concessa quindi una celebrazione la domenica mattina, alle 11:00.   Saltò così fuori il fenomeno che ancora mi stupisce, mi commuove. Ci accorgemmo che, precisamente a mezzogiorno – ora nella quale si ha, con la messa iniziata alle 11, la consacrazione eucaristica, un raggio di luce entra dalla finestra a lato e colpisce esattamente il centro dell’altare, dove è posato il tabernacolo.   L’incenso aiuta a vederlo, tuttavia a volte può capitare di notarlo anche in assenza di fumo. È impressionante. Tendo a sospettare di quanti vedono questa cosa e non restano sbalorditi. Le immagini che vedete qui sotto non sono ritoccate in nessun modo. Anzi, ad occhio nudo l’effetto è ancora più forte.    

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È interessante notare che lo abbiamo riscoperto noi a Messa, ma da qualche parte l’eco di questo miracolo luminoso risuonava ancora. Una signora della Pro Loco, che ha stampato un libro sulla chiesetta, mi aveva domandato se mai fosse vera una leggenda locale secondo cui nel giorno del Santo patrono dell’oratorio un raggio di luce colpisce l’altare. Ho risposto invitandola a Messa la domenica successiva, dove ha fatto tante foto con il telefonino, e compreso che la leggenda conteneva una realtà ancora più stupefacente: quel raggio si produce ogni giorno.   Il fenomeno impone tanti pensieri. Il primo, è che le mani che hanno eretto questa chiesa sapevano fare cose che i moderno non sono in grado di fare. Di più: chi l’ha costruita, l’ha basata su principi che sono sconosciuti all’architettura moderna. Per fare una chiesa, bisogna orientarla, cioè l’abside deve dare ad orientem (come il sacerdote prima del Concilio), ma non solo.   Ho l’idea che chi ha costruito la chiesetta lo abbia fatto proprio a partire da quel raggio, alla faccia di quanti ne osservino gli elementi (scala esterna, portone, altare) e li considerino disallineati. Ossia, l’intera chiesa è concepita a partire dal rapporto del Cielo con la Terra, cioè di Dio con l’uomo – questo è un senso ultimo della religione cristiana, quella della divinità che si fa essere umano, del Dio del Cielo che scende sulla Terra, del Cielo che nutre la Terra con la sua luce, il suo calore la sua grazia.  

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Quel raggio, che casca durante la Santa Messa esattamente nel momento più alto, significa in maniera incontrovertibile l’armonia tra il Cielo e la Terra. L’accordo, nella bellezza, accordato all’uomo da un Dio buono, un Dio che è luce, che è amore.   Questo è l’ordine celeste, infinito, stupendo. Questo è il logos. Questo è il cosmos.   Non ci sono voluti tanti mesi per capire che, a parte il cattivo tempo, c’era solo una cosa in grado di distruggere il nostro raggio divino: l’ora legale. Come a marzo si cambia l’ora, quella luce svanisce, si fa più tenue, fino a sparire, facendo capolino, forse, solo dopo la Messa, quando qualcuno si attarda ad una confessione fuori tempo ed altri (io) rassettano prima di chiudere.   Di fatto, poi, il fascio luminoso scompare del tutto, dalla vista come dai cuori. Fine della magia, per ordine dello Stato moderno.  

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Ho sempre preso questo fatto come la prova definitiva della nequizia dell’ora legale – del suo essere un invento contronatura, e quindi contro Dio.   Solo il mondo moderno poteva pensare di alterare persino il tempo: l’uomo si sente in grado di modificare l’immutabile, l’uomo introduce il suo artificio in un sistema la cui complessità ha milioni di anni. Non è diverso per tante altre questioni: ad esempio, i vaccini, la fecondazione in vitro, la bioingegneria…   L’uomo-dio crede di poter mettere mano su qualsiasi cosa, devastando le leggi stesse della creazione, disintegrando quindi l’equilibrio del Cielo e della Terra – una realtà conosciuta dalla saggezza cinese: «l’uomo si conforma alla Terra / La Terra si conforma al Cielo / il Cielo si conforma al Tao» (Tao Te King, XXV). Era chiaro, agli antichi cinesi, che il Cielo è legato alla morale: «Sotto il cielo tutti / sanno che il bello è bello, / di qui il brutto, sanno che il bene è bene, / di qui il male» (Tao Te King, II).   Ora, nel Cristianesimo l’armonia tra la Terra e il Cielo è in realtà una vera alleanze tra persone, cioè tra gli uomini e Dio – e questa nuova alleanza è il Cristo risorto.   Alterare il tempo significa frantumare la relazione naturale con il Cielo. Adulterare la luce del sole significa quindi andare contro il divino, contro la legge naturale, contro Dio.   Non poteva essere altrimenti: il mondo moderno odia, più ancora dell’uomo, Nostro Signore, che vuole sostituire con l’essere umano ubriacato di hybris satanica, l’umanità onnipotente che, apoteosi del non serviam, si crede capace di cambiare le leggi del cosmo.   Ecco perché combatto l’ora legale: perché, ve ne rendiate conto o no, fa parte della macchina in atto per distruggere la presenza di Dio sulla Terra.   E quel raggio magnifico me lo ha ricordato anche domenica scorsa: sì, tornata l’ora del Sole, l’ora vera, è tornato. E con lui è venuta ancora da noi questa immagine potente di reincanto del mondo, di bellezza divina, di armonia cosmica, questa visione sacra che vale più di qualsiasi risparmio.   Vale tutto. Vale il senso vero dell’esistenza e dell’universo.   Roberto Dal Bosco

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