Epidemie
Donne costrette alla mascherina durante il parto: vomito, attacchi di panico, difficoltà respiratorie

Alcune donne sono state costrette a indossare la mascherina durante il parto, causando vomito, attacchi di panico e difficoltà respiratorie, nonostante le linee guida sanitarie ufficiali dicessero che non avrebbero dovuto farlo.
L’organizzazione benefica britannica Pregnant Then Screwed ha condotto la ricerca chiedendo a 936 donne che hanno partorito a dicembre le loro esperienze.
Una donna di 39 anni di nome Rosie ha detto a BBC News che si sentiva come se stesse morendo perché soffriva così tanto, ma gli operatori sanitari hanno continuato a insistere affinché indossase una mascherina
160 di loro, circa uno su cinque, che hanno avuto il travaglio sono state costrette a indossare una copertura per il viso.
Una donna di 39 anni di nome Rosie ha detto a BBC News che si sentiva come se stesse morendo perché soffriva così tanto, ma gli operatori sanitari hanno continuato a insistere affinché indossase una mascherina.
«Mi sentivo claustrofobica e la mascherina mi faceva venire la nausea e mi faceva anche prendere dal panico. Sto spingendo fuori il mio bambino, ho questa mascherina sul viso e la sensazione di claustrofobia è semplicemente enorme».
«Stavo ansimando per l’aria. Mi sono sentito completamente soffocata. Non potrò mai dimenticare la sensazione di non essere in grado di respirare, e la paura e il panico che ho provato mentre indossavo una mascherina»
«Avevo paura che, tra tutto quello che stava succedendo, stavo per sentirmi male dentro la mascherina», ha detto Rosie, aggiungendo che a un certo punto si è tolta la maschera ma le è stato immediatamente ordinato di rimetterla.
Natalie Titherington, un’altra donna costretta a indossare una maschera durante il parto, ha detto di essere stata costretta a farlo nonostante fosse dilatata di 8 cm e sperimentasse contrazioni molto dolorose.
«Stavo ansimando per l’aria. Mi sono sentito completamente soffocata. Non potrò mai dimenticare la sensazione di non essere in grado di respirare, e la paura e il panico che ho provato mentre indossavo una mascherina», ha detto.
«Le donne con cui abbiamo parlato hanno avuto l’asma, hanno avuto le vertigini, una donna ha persino vomitato con la maschera durante il travaglio. Questo è completamente evitabile. La guida deve essere chiarita e comunicata a tutte le donne incinte che non hanno bisogno di indossare maschere durante il travaglio 175»
Titherington ha quindi dovuto sottoporsi a un cesareo di emergenza e gli è stato detto ancora una volta di indossare una maschera per tutta la procedura.
«Le donne con cui abbiamo parlato hanno avuto l’asma, hanno avuto le vertigini, una donna ha persino vomitato con la maschera durante il travaglio. Questo è completamente evitabile. La guida deve essere chiarita e comunicata a tutte le donne incinte che non hanno bisogno di indossare maschere durante il travaglio 175», afferma Joeli Brearley, CEO e fondatore di Pregnant Then Screwed.
Come scrive Summit News, «il culto della copertura del viso non morirà facilmente».
Resta incredibile, in tutto il mondo, come norme sanitarie draconiane vengono implementate a discapito dell’esistenza dei cittadini senza che vi sia alcuna ragione scientifica per farlo.
Si è installato, nella società, una sorta di «diritto positivo» istantaneo, nato per la soddisfazione immediata delle voglie dello Stato sanitario e delle multinazionali farmaceutiche
Pensiamo, ad esempio, alle difficoltà che stanno avendo alcune operatrici sanitarie che i datori di lavoro vogliono obbligare alla vaccinazione (pena l’essere lasciate a casa, come da orrendo DL 44) anche se stanno allattando.
Come ammisero le linee guida britanniche e persino l’OMS a fine 2020, non vi erano dati riguardo gli effetti del vaccino sul latte materno, così che lo Stato sconsigliava la vaccinazione a donne incinta o con bambini piccoli. Nessuno ha tirato fuori un dato, uno studio, una legge che contraddicesse quest’idea: eppure le istituzioni vaccinatorie pretendono lo stesso la vaccinazione di chi allatta, senza curarsi di proteste ed anche di eventuali denunce.
Nell’ora presente non c’è una vera legge seguita dal potere pandemico, c’è anzi la violazione di tutte le leggi e le Carte precedenti. C’è l’attuazione di ogni suo stimolo senza riguardo per la Costituzione, per le fonti del diritto, per i tanto decantati «diritti umani», per ogni idea di leggere naturale in generale
Si è installato, nella società, una sorta di «diritto positivo» istantaneo, nato per la soddisfazione immediata delle voglie dello Stato sanitario e delle multinazionali farmaceutiche, una giurisprudenza imposta che esiste in opposizione alla legge naturale – e per indicarlo quale immagine è più eloquente di una mascherina al momento del parto e di una siringa che colpisce una donna che offre il seno al suo bambino.
Tale «diritto positivo» pandemico non è dissimile da quello che vige nelle dittature (dove solo lo Stato deve essere ascoltato, dove la natura dell’uomo è definita dal governo) tuttavia in questa sua reincarnazione biosecuritaria esso diviene perfino peggiore di quello che era attuato in URSS e dintorni: nell’ora presente non c’è una vera legge seguita dal potere pandemico, c’è anzi la violazione di tutte le leggi e le Carte precedenti. C’è l’attuazione di ogni suo stimolo senza riguardo per la Costituzione, per le fonti del diritto, per i tanto decantati «diritti umani», per ogni idea di leggere naturale in generale.
Bisogna capirlo una volta per tutte: questa è una guerra selvaggia contro la dignità umana.
Bisogna capirlo una volta per tutte: questa è una guerra selvaggia contro la dignità umana.
Epidemie
Morti in casa anche per 8 giorni: emergenza ‘kodokushi’ tra gli anziani soli giapponesi

Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Secondo l’Agenzia nazionale di polizia, nel primo semestre del 2025 sono stati oltre 40mila in Giappone i casi di morte isolata in casa. Il 28% viene scoperto dopo più di una settimana. Tra le cause: invecchiamento della popolazione, indebolimento dei legami, riluttanza a chiedere aiuto. Padre Marco Villa, responsabile di un centro d’ascolto a Koshigaya: «Una persona mi ha appena detto: mi è rimasto un solo amico, ci sentiamo due volte all’anno… La solitudine il dramma più grande di questo Paese».
Kodokushi (孤独死): la morte in casa di persone circondate da una profonda aridità relazionale, che non viene scoperta anche per un lungo periodo di tempo dopo il decesso. È uno dei drammatici volti della solitudine in Giappone. Secondo i nuovi dati dell’Agenzia nazionale di polizia diffusi oggi, in Giappone solo nel primo semestre del 2025 sono stati 40.913 i decessi avvenuti in isolamento nelle abitazioni.
Una cifra che segna un aumento di 3.686 casi rispetto allo stesso periodo del 2024. Ma il dettaglio forse più inquietante è che almeno il 28% di essi (11.669 persone) è stato scoperto dopo almeno 8 giorni.
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Una delle principali cause è anzitutto l’invecchiamento della popolazione del Giappone: 1 persona su 4 ha più di 65 anni. «Inoltre, si tende sempre più a non avere legami significativi né con il territorio, né con la famiglia. La maggioranza della gente non vive nei luoghi dove è cresciuta, ma si trova a vivere dove c’è lavoro», spiega ad AsiaNews dal Giappone padre Marco Villa, missionario del PIME che opera a Koshigaya, cittadina nella periferia nord di Tokyo, nella diocesi di Saitama. «Quindi, si fa più fatica a intrecciare relazioni significative con gente che non si conosce. Ciò accade anche perché avere relazioni a volte è davvero una cosa faticosa, allora si decide di non impegnarsi».
Padre Marco Villa nel 2012 ha favorito la nascita a Koshigaya del Centro d’Ascolto Mizu Ippai («un bicchiere d’acqua») – di cui è responsabile – proprio con l’obiettivo di sostenere le persone affette dalla solitudine, comprese le persone hikikomori, che soffrono di isolamento patologico ed estraniamento. Nel suo servizio non è raro che venga a conoscenza di casi di kodokushi, l’ultimo solo pochi mesi fa. «Una signora che frequenta il centro è rientrata a casa la sera, dopo un incontro. Dopo circa due settimane, il figlio mi ha chiamato dicendo che non aveva contatti con la mamma, chiedendo se l’avessi sentita. È andato a vedere se si trovava a casa, e l’ha trovata morta», racconta p. Marco Villa.
Questo caso dimostra che anche le persone che riescono a curare dei legami, a uscire di casa, possono andare incontro a una morte isolata. «Vivendo da sola si è imbattuta in questi rischi», dice Villa. Rischi che aumentano in quelle persone che, invece, vivono una solitudine più estrema, perché non hanno dei familiari vicini, o perché non hanno degli amici.
Padre Marco Villa racconta anche di una telefonata avuta poco prima di essere contattato oggi da AsiaNews. «Una persona mi ha detto che è morto un suo amico; ora gli rimane un amico solo, che sente due volte all’anno: una per gli auguri di compleanno e una per gli auguri di buon anno. È l’unico amico che ha: mi ha chiesto di passare del tempo insieme. Queste sono situazioni che incontro regolarmente», aggiunge.
Oltre alla significativa quota di persone anziane in Giappone, favorisce il preoccupante fenomeno kodokushi anche «la ritrosia della persona giapponese a chiedere aiuto». Villa spiega che, culturalmente, nel domandare è insita «la preoccupazione di dare fastidio agli altri, di non voler dare preoccupazioni a causa delle proprie difficoltà».
La tendenza rilevata è la gestione in totale autonomia dei problemi personali. Ciò affievolisce inevitabilmente i legami con le persone della famiglia, così come con coloro che vivono nello stesso luogo. Un elemento che il missionario definisce «costante», basandosi sulla sua esperienza in Giappone. «La solitudine è il dramma principale del Paese», dice.
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Padre Marco Villa ammette di essere rimasto «sconvolto» dai casi di solitudine profonda incontrati nel Paese. Da questo sentimento nacque il Centro d’Ascolto Mizu Ippai di Koshigaya. «Chiesi al vescovo (della diocesi di Saitama, ndr) di poter iniziare un’attività a tempo pieno per cercare di alleviare la solitudine delle persone», racconta. Il Centro mette in campo le risorse del «volontariato dell’ascolto»: non professionisti all’opera, ma volontari e volontarie che offrono il proprio ascolto, nella struttura, così come alla stazione ferroviaria, luogo di aggregazione per la presenza di numerosi negozi.
Un’attività che affianca le iniziative istituzionali. «Lo Stato è consapevole di queste situazioni e cerca di essere sempre più capillare nel territorio attraverso strutture dedicate, cercando di creare delle occasioni di incontro per la gente. Questo è un tentativo, secondo me valido, che il Giappone porta avanti», spiega.
Come invertire la tendenza di questa drammatica e così diffusa esperienza umana? «La cosa fondamentale è creare delle occasioni di incontro, dei luoghi adatti per potersi trovare; fondamentalmente cercando di diventare amici delle persone che vivono in stato di solitudine», dice padre Marco Villa.
Solitudine che in alcuni casi viene «risolta» da lunghi dialoghi intrattenuti con l’intelligenza artificiale. «Ieri un ragazzo mi diceva che l’AI è l’unica persona che lo capisce, che riesce a capire i suoi problemi. Così crede di avere qualcuno, qualcosa con cui si relaziona, che però non è certamente un essere umano», aggiunge.
Per uscire da queste situazioni, ne è convinto il missionario, «basta poco: una via, una linea, un aggancio, capace di instaurare un minimo di relazione umana».
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Epidemie
Aumento delle infezioni da sifilide in Germania, soprattutto tra gli omosessuali

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Epidemie
L’ameba mangia-cervello uccide 19 persone in India

Lo Stato indiano del Kerala, nel Sud del Paese, sta affrontando una crisi sanitaria in escalation a causa di un’epidemia di meningoencefalite amebica primaria (PAM), causata dall’ameba «mangia-cervello» la Naegleria fowleri.
Le autorità hanno confermato giovedì che l’infezione ha provocato 19 morti e decine di casi, colpendo persone di età compresa tra i tre mesi e i 91 anni, rendendo difficile individuare fonti di esposizione comuni o contenere la diffusione.
La PAM, generata da un’ameba presente in acque dolci calde e nel suolo, penetra nel corpo attraverso il naso, attaccando il tessuto cerebrale e causando un’infiammazione potenzialmente letale in pochi giorni.
Il ministro della Salute, Veena George, ha definito la situazione una «grave emergenza sanitaria». Intervistata da NDTV News, ha spiegato: «Non si tratta di focolai legati a un’unica fonte d’acqua, come in passato, ma di casi isolati, il che complica le indagini epidemiologiche».
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La George ha poi evidenziato l’importanza di una diagnosi precoce: «Il nostro tasso di sopravvivenza del 24% è ben superiore alla media globale, inferiore al 3%, grazie a interventi tempestivi e all’uso del farmaco miltefosina».
Un medico governativo, parlando con l’agenzia AFP, ha confermato che, nonostante il numero limitato di casi, «sono in corso test su vasta scala per identificare e trattare i contagi». Le autorità hanno intensificato le misure di controllo sull’igiene delle acque, invitando la popolazione a evitare fonti d’acqua dolce stagnanti o non trattate.
Secondo un rapporto governativo citato da News18, la PAM colpisce principalmente il sistema nervoso centrale, con un impatto sproporzionato su bambini, adolescenti e giovani adulti sani. Gli esperti chiariscono che l’infezione non avviene ingerendo acqua contaminata, ma attraverso il contatto con le vie nasali durante attività come nuoto o immersioni in acque non sicure.
Il lettore di Renovatio 21 conosce la minaccia dell’ameba mangia-cervello con dovizia.
Come riportato da Renovatio 21, l’anno passato un cittadino dello Stato americano della Georgia era morto per infezione dell’ameba mangia-cervello. Ancora più recente il caso di un giovane che è morto di encefalite in Israele pochi giorni dopo aver contratto l’ameba Naegleria fowleri.
Si trattava all’epoca della terza persona a morire negli Stati Uniti in un solo anno a causa della mostruosa creatura microscopica, che pare diffondersi sempre più a Nord.
Uno studio del CDC pubblicato nel 2020, ha rilevato che cinque dei sei casi di meningoencefalite amebica primaria (PAM), come viene chiamata l’infezione cerebrale causata da Naegleria fowleri, si sono verificati durante o dopo il 2010.
Come riportato da Renovatio 21, nel 2022 un cittadino del Missouri e un bambino del Nebraska sono stati ammazzati dall’ameba mangia-cervello.
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Come riportato da Renovatio 21, due anni fa è emersa la rilevazione di vibrio vulnificus, cioè di un tipo di batteri «carnivori», nelle spiagge della Florida.
Negli ultimi 15 anni, una malattia neurodegenerativa estremamente rara che mangia il cervello umano lasciando buchi è diventata sempre più comune in Giappone, ma il caso PAM statunitense sembra molto diverso.
Prioni sarebbero stati invece alla base di un’epidemia di cervi-zombie nel 2019.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia; rielaborata
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