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Camerun: un vescovo interviene su temi legati al Sinodo

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Mons. Andrew Nkea Fuyana, parroco dell’arcidiocesi camerunese di Bamenda, ha approfittato di una sessione di lavori preparatori al Sinodo sulla sinodalità, svoltosi il 23 agosto 2024, per fare il punto sulla posizione dell’Africa e della teologia dell’Unione Africana su una serie di questioni controverse temi sollevati dal Sinodo.

 

L’Africa parla con una sola voce…

Uno degli elementi centrali dell’intervento dell’arcivescovo di Bamenda, che è anche presidente della Conferenza Episcopale del Camerun, è stato quello di sottolineare che i delegati africani si erano già espressi con una sola voce, durante la prima sessione del Sinodo, e che dovrebbe continuare a farlo per il secondo.

 

Secondo l’intervento, riportato da ACI Africa, il vescovo ha affermato che «quando siamo andati al Sinodo, era chiaro che l’Africa deve farsi carico del proprio destino. Sapevamo che dovevamo far sentire la nostra voce nella prima fase del Sinodo», ha detto mons. Nkea.

 

Ha poi sottolineato che la posizione dell’Africa sulle questioni controverse del Sinodo in corso non ha nulla a che fare con la politica. «I membri che hanno partecipato al Sinodo non prevedono nulla nel contesto della creazione di una Chiesa africana: La Chiesa è la Chiesa di Cristo. E dobbiamo opporci ai politici che ci dicono che è tempo di creare una Chiesa africana».

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…secondo la Scrittura e gli insegnamenti della Chiesa

Il secondo elemento su cui ha insistito, e che integra il primo, è che «nel far sentire la voce dell’Africa, i delegati hanno chiarito che il continente “non parla solo da un punto di vista culturale».

 

L’arcivescovo camerunese ha chiarito: «nel presentare le nostre posizioni al Sinodo, non abbiamo quindi voluto essere percepiti come presentanti posizioni dell’Africa, a causa della cultura da cui proveniamo. La nostra posizione non ha nulla a che fare con la cultura; si tratta di fedeltà alla verità, fedeltà a ciò che Cristo ha insegnato e a ciò che gli apostoli hanno trasmesso alle generazioni successive»,

 

Ha difeso la posizione dei delegati africani al Sinodo sulla questione del «matrimonio gay», che secondo lui è stata sollevata nelle conversazioni sinodali a Roma, aggiungendo: «l’Africa non difende un’idea culturale. L’Africa ha difeso l’insegnamento della Chiesa per 2000 anni».

 

Un rifiuto delle novità basate sulla Tradizione

Mons. Nkea Fuanya ha insistito, spiegando che il «veemente no» dell’Africa su temi scottanti come la benedizione delle coppie irregolari e omosessuali, così come l’ordinazione delle donne diacono, è stato guidato dalla Scrittura e dagli insegnamenti della Chiesa cattolica, e «non puramente» dalla cultura del continente, che, secondo lui, è stata definita «inferiore».

 

Per quanto riguarda i matrimoni tra persone dello stesso sesso, ha affermato che l’Africa ha «respinto con veemenza» Fiducia supplicans, il documento pubblicato pochi mesi dopo la prima sessione dell’incontro sinodale di Roma. «Torniamo alla seconda sessione con lo stesso veemente rifiuto di questo documento», ha detto.

 

Sulla questione dell’ordinazione delle donne, altro tema caldo del Sinodo, l’arcivescovo ha dichiarato: «la nostra Chiesa ha una tradizione». Ha concluso che queste ragioni spiegano perché l’Africa dovrebbe parlare con una voce chiara su temi scottanti e questioni controverse, non solo al Sinodo sulla sinodalità in corso, ma anche oltre.

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.news.

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L’arcivescovo Forte contro i fedeli che vogliono la Comunione sulla lingua. Mentre continuano le profanazioni sataniche

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In un video emerso in queste ore è visibile l’arcivescovo Bruno Forte, dell’arcidiocesi di Chieti-Vasto mentre rimprovera tre parrocchiani per aver ricevuto la Santa Eucaristia sulla lingua. Lo riporta LifeSite.   Durante l’omelia, Forte rimprovera i tre fedeli per aver ricevuto la Santa Comunione sulla lingua e affermata che qualsiasi cattolico che scelga di ricevere la Comunione sulla lingua non solo è «disobbediente» alla gerarchia ecclesiastica, ma commette anche il peccato di orgoglio.   «Permettete che chiarisca un punto. Ci sono state tre persone che non hanno voluto la Comunione in mano. Prima di tutto, nel Nuovo Testamento Gesù dice “làbete“. Il verbo lambano in greco significa prendere in mano» ammonisce il prelato, che decisamente non condivide le posizioni di quanti, come monsignor Athanasius Schneider nel libro Christus Vincit, ritiene che la giusta traduzione, visto anche il latino accipere, non è «prendere» ma «ricevere».  

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«Per secoli la Chiesa ha preso in mano la comunione. Solo in alcuni secoli oscuri, temendo la mancanza di igiene, si è sostituito questo gesto con quello del prenderla in bocca» spiega monsignor Forte, forte forse di tanti insegnamenti pandemici pienamente recepiti dal cattolicesimo moderno.   «Ma grazie a Dio oggi siamo tutti cresciuti. Le mani ce le laviamo», assicura l’arcivescovo, che in realtà non lo può sapere, e che probabilmente non è mai stato nel bagno di un Autogrill, dove è possibile osservare l’immancabile tragitto delle moltitudini dal pisciatoio all’auto senza passare per il lavandino. (Monsignor Forte probabilmente è di quelli che non sanno perché nei bar all’aperitivo la ciotola della nocciolino include un cucchiaino).   «Per cui la Comunione si prende in mano» annunzia perentorio il religioso, «con il gesto umile di stendere la mano e di accoglierla».   «Chi non lo fa, fa un atto di orgoglio, si crede più saggio e più esperto del papa e dei vescovi che hanno deciso che la Comunione si prende in mano». Anche qui, è sensibile un accento dai tempi pandemici, quando alla popolazione veniva ripetuto di fidarsi degli esperti.   «Per piacere siate umili ed obbedienti alla Chiesa. Almeno nel momento in cui fate la Comunione, facendo la volontà che è quella espressa nella Chiesa, dal papa e dai vescovi».  
  Non è chiaro da dove il monsignore esperto tragga l’ordine secondo cui «la Comunione si prende in mano» secondo la volontà di Chiesa, papa e vescovi.   La Santa Comunione sulla lingua è stata la norma nella Chiesa per oltre 1.300 anni, mentre la Comunione sulla mano si è diffusa a livello mondiale solo con le riforme degli anni Settanta.   Nell’istruzione Memoriale Domini papa Paolo VI scrive della Comunione sulla lingua: «Questo modo di distribuire al Comunione, tenuta presente nel suo complesso la situazione attuale della Chiesa, si deve senz’altro conservare, non solo perché poggia su di una tradizione plurisecolare, ma specialmente perché esprime e significa il riverente rispetto dei fedeli verso la Santa Eucaristia. Non ne è per nulla sminuita la dignità della persona dei comunicandi; tutto anzi rientra in quel doveroso clima di preparazione, necessario perché sia più fruttuosa la Comunione al Corpo del Signore».   Monsignor Forte pare inoltre ignorare l’istruzione Redemptionis Sacramentum (2004) scrive che ogni fedele ha «sempre il diritto di ricevere, a sua scelta, la santa Comunione in bocca».   L’arcivescovo è ritenuto da alcuni osservatori come teologo pro-LGBT che ha introdotto il tema dell’omosessualità al Sinodo per la famiglia.   Il vaticanista Edward Pentin in un articolo dell’anno passato sulle nomine al Dicastero per la Dottrina della Fede scriveva che il prelato sarebbe «responsabile delle sezioni sull’omosessualità nel controverso documento provvisorio del primo Sinodo sulla famiglia del 2014 che tentava di aprire la porta all’accettazione delle relazioni omosessuali nella Chiesa». Il link è ad un articolo della BBC sull’argomento. «È stato una voce di spicco nel sostenere una maggiore inclusione e rispetto per l’omosessualità e i diritti degli omosessuali all’interno della Chiesa» scrive il giornalista linkando un articolo de La Stampa.   Della chiesa moderna colpisce l’ostinazione, al limite della fake news, riguardo la Comunione nella mano come unica forma liturgica. È infatti arcinoto come la possibilità di non dare sulla lingua l’Eucarestia crei la questione della profanazione: in breve, alimenti network satanisti, che per i loro immondi riti necessitano dell’Ostia consacrata (hanno, di fatto, più fede di molti vescovi…)   L’idea di tale pericolo era giù presente nell’istruzione di Paolo VI, quando si dice che «con questa forma ormai tradizionale (…)si evita il pericolo di profanare le specie eucaristiche, nelle quali «è presente in modo unico, sostanzialmente e ininterrottamente, il Cristo tutto e intero; Dio e uomo». Parimenti, la Redemptionis Sacramentun scrive che «se c’è pericolo di profanazione, non sia distribuita la santa Comunione sulla mano dei fedeli».   La questione è rimbalzata nelle cronache mondiale, in maniera comica e tragica al contempo, quando un gruppo Satanista ha officiato un rito fuori dal Campidoglio del Kansas, dovendo però assicurare che l’Ostia che sarebbe stata utilizzata non era consacrata.   Tale cortocircuito dello Stato moderno ha visto quindi l’attuarsi di una scena eroica: quando il satanista ha innalzato la particola e la ha buttata al suolo calpestandola, un signore che stava ai lati è intervenuto gettandosi a terra per consumarla con la bocca, ricevendo quindi le botte dal leader satanista.  

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Solo questo episodio, con immagini pubbliche che parlano chiarissimo, dovrebbe far decadere urbi et orbi la pratica della Comunione sulla mano, vero grande sistema di alimentazione del satanismo odierno.   Renovatio 21 tenta di seguire da vicino i casi di Ostie trafugate, che – lontani dalle cronache mainstream – si ripetono costantemente in tutto il mondo.   Come riportato da Renovatio21, all’inizio di maggio dello scorso anno, in Francia, il tabernacolo della chiesa di Notre-Dame, a Livry-Gargan (Seine-Saint-Denis) è stato divelto e ritrovato a pochi metri dall’edificio. Il Santissimo Sacramento non è stato trafugato, a differenza di quanto accaduto nella chiesa Sainte-Trinité a Louvroil (Nord) dove sono scomparse le Ostie consacrate.   Un altro episodio sacrilego è avvenuto nella parrocchia di San Michele Arcangelo a Portland, in Oregon, dove è stato invece rubato il tabernacolo.   Anche l’Italia ha i suoi casi: ad aprile 2024  qualcuno è entrato di notte all’interno del Santuario di Ponte delle Pietra, a Perugia. È stato detto che l’effrazione aveva probabilmente l’intento di trafugare oggetti di arte sacra, tuttavia, ha scritto Renovatio 21 all’epoca, è lecito ipotizzare che l’obiettivo principale dei malviventi fosse quello di rubare le Ostie consacrate.   Molti fedeli sono arrivati alla Santa Messa tradizionale – il vetus ordo, il rito antico, la «Messa in latino», chiamatela come volete – durante la pandemia, quando impressionarono, oltre che il sacerdote con i guanti di lattice, la distribuzione forzata in mano della Santa Comunione.   I lettori di Renovatio 21 che vogliono evitare lo scempio di vedere la Santa Eucarestia piazzata nelle mani dei fedeli possono scriverci per chiederci dove assistere a delle Sante Messe dove ciò non può accadere.

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Immagine: Jan van den Hoecke (1611–1651), La Santa Comunione del Beato Federico di Ratisbona (1630-1651), collezione privata. Immagine di pubblico dominio CCo via Wikimedia  
           
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Sede vacante: dal funerale ai giorni successivi

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La vacanza della Sede Apostolica, che segue la morte o le dimissioni di un papa, è un momento chiave nella vita della Chiesa cattolica. Le norme che regolano questo periodo sono rigidamente codificate e lasciano poco spazio all’improvvisazione. FSSPX.Attualità offre ai lettori una comprensione più chiara delle norme che governano lo Stato della Città del Vaticano fino all’elezione del nuovo papa.

 

Mentre è prevista la partecipazione di numerosi capi di Stato e di una grande folla di fedeli ai funerali di Papa Francesco, si stanno organizzando anche le giornate successive. I cardinali hanno a disposizione un tempo massimo di venti giorni dalla vacanza della sede per iniziare a eleggere il nuovo papa: in realtà il termine è più breve, e la velocità con cui sono stati decisi i funerali del pontefice argentino sembra dimostrare che la Curia – cardinale Parolin in testa – non vuole perdere tempo.

 

Il cardinale Giovanni Battista Re, decano del Sacro Collegio, ha convocato i futuri elettori che convergono a Roma: erano già 113 – su 135 – presenti nella Città Eterna il 24 aprile 2025. Questa convocazione non è una formalità, ma un invito imperativo, posto sotto il sigillo della «santa obbedienza». Ogni cardinale, investito del sacro incarico di partecipare all’elezione del Pontefice, è tenuto a rispondere a questa chiamata e a recarsi nel luogo designato, a meno che non ne sia gravemente impedito.

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Il quadro legislativo del Vaticano prevede il caso dei cardinali che, per motivi imprevisti, giungono dopo l’inizio del conclave, ma prima che sia completata l’elezione del nuovo papa. A questi ultimi verrebbe consentito di partecipare al processo elettorale, garantendo così che la loro voce, legittimamente attesa, possa contribuire alla deliberazione. Questa disposizione dimostra la volontà di preservare l’unità e la rappresentatività del Sacro Collegio, nonostante i rischi del viaggio.

 

Allo stesso modo, se un cardinale dovesse lasciare la Città del Vaticano nei prossimi giorni per un motivo grave, riconosciuto dalla maggioranza degli elettori, conserverebbe il diritto di ritornarvi e di riprendere il suo posto nell’elezione.

 

La Santa Sede ha già reso noti i nomi dei due predicatori che interverranno, uno nei giorni successivi ai funerali del defunto papa, l’altro all’inizio del conclave: Dom Donato Ogliari, O.S.B., abate di San Paolo fuori le Mura, e il cardinale Raniero Cantalamessa, frate cappuccino che ha voluto restare sacerdote nonostante la sua elevazione al cardinalato, e che è anche un ex predicatore della Casa Pontificia.

 

Il primo è un benedettino che ha conseguito il titolo di dottore in teologia presso l’Università Cattolica di Lovanio, dopo aver pubblicato una tesi sulla grazia e il libero arbitrio nel dibattito tra Sant’Agostino e i semipelagiani. Nominato membro del Dicastero per i vescovi da Papa Francesco nel luglio 2022, Dom Ogliari svolge un ruolo nella selezione dei nuovi vescovi e vanta esperienza amministrativa, in particolare come vicepresidente della Conferenza monastica italiana.

 

Il cardinale Cantalamessa è più noto, avendo svolto l’incarico di predicatore in Vaticano sotto gli ultimi tre papi. È uno dei sostenitori del «Rinnovamento Carismatico» nel quale vede una grazia per tutta la Chiesa.

 

Si può dire che questi due religiosi, il cui compito è quello di pronunciare davanti al Sacro Collegio alcune prediche che delineeranno i contorni del prossimo pontificato, siano sostenitori di un riformismo moderato, nello spirito del Concilio Vaticano II, ma non troppo come si dice oltretevere. Ciò illustra una forma di rifocalizzazione – molto relativa – a cui una parte del Sacro Collegio sembra ora aspirare per il futuro della Chiesa.

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.News.

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia

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Il ritorno della diplomazia vaticana. A papa morto

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Renovatio 21 ha spesso sottolineato che una delle tragedie del papato bergogliano è stata senza dubbio la perdita del prestigio diplomatico.   Quello che una vola era un canale di comunicazione saldissimo ed affidabile tra nazioni terrestri – al punto che il Giappone nei primi mesi del 1945 cercò di attivare la Santa Sede per trattare la pace con gli americani, procedimento che per qualche ragione si arenò cagionando la distruzione atomica di Hiroshima e Nagasaki – era ridotto ad una pantomima superficiale, vuota, sbagliata, come nello stile dell’argentino.   La fine del rispetto internazionale per il Vaticano come paciere mondiale è stata incontrovertibile. Lo abbiamo visto negli insulti del romano pontefice ad alcune etnie russe (si è dovuto poi, molto ineditamente per un papa, scusare), agli elogi agli stessi russi (per i quali Kiev e baltici), nelle conferenze stampa aeree dove è sembrato che Bergoglio millantasse iniziative di pace improbabili, nei viaggi a vuoto del cardinale Zuppi (ahimè, ora tra i papabili) a Kiev, dove il governo ha perennemente ignorato e schernito il Sacro Palazzo, persino quando vi è stato ospite. Per non parlare dei disastri con la Cina dove il Partito Comunista Cinese, valutato il peso internazionale del vaticano bergogliano, vìola impunemente gli accordi nominandosi da sé i vescovi, senza ovviamente incorrere in scomunica, e continua senza requie nella persecuzione dei veri vescovi, chiamati per qualche ragione «sotterranei»..   Eppure, sabato mattina una scena di potenza immane si è materializzata ai margini dei funerali papali: Trump ha incontrato Zelens’kyj tra i marmi della Basilica, sedendosi sulle due seggiole messe lì per loro. L’immagine, subito ripubblicata dai canali del presidente statunitense, ha fatto il giro del mondo.    

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Alcuni ora stanno scrivendo che nel vertice di pace estemporaneo è stato snobbato Macron, che ronzava da quelle parti interessato. Così come Starmer, che pure era lì – e, ovviamente, Giorgia Meloni. La quale, ci sovviene, è romana.   Non è chiaro cosa uscirà dalla scena. Alcuni nella stampa mainstream scrivono che Trump, notoriamente avverso all’ucraino, si sarebbe rabbonito. Lo Zelens’kyj, dicono, avrebbe chiesto ancora armi. Tanto per cambiare. A San Pietro, poi – non una cosa che scandalizza il lettore di Renovatio 21, che ricorderà quando Parolin parlò del diritto agli armamenti poco prima che Bergoglio fece quel suo bizzarro rito fatimoide – quello che su queste colonne abbiamo descritto come «consacrazione a mano armata». Il segretario di Stato, il lettore lo sa, ora è nelle prime corsie per lo sprint verso il Soglio petrino.   Tuttavia, nessuno dei retroscena è in realtà importante.   Perché è innegabile la bellezza, la giustizia di questa immagine. Questi pretini, monsignori, belli e sorridenti che portano le sedie. E quei due, qualsiasi cosa si possa pensare di loro, che si mettono a parlare, nel pieno centro della cristianità. Hanno parlato, per forza di cose, di pace. Ciò è bellissimo, ciò è giusto.     Qualcuno dirà: la solita trovata, perfetta, di Trump. Optics. Look. PR – è comunicazione visuale, lui è un maestro, a partire dall’insistenza diacronica per il ciuffo sintetico, inconfondibile, immediato. Non saprei dire: l’ultima volta che aveva saputo ingenerare un’immagine di tale potenza forse Dio stesso gli aveva dato una mano: quando gli spararono e lui alzò il pugno al cielo col volto rigato di sangue e la bandiera USA che garriva sopra di lui.   Il Vaticano quindi pare essere tornato, brevemente, estemporaneamente, involontariamente, il vero luogo della diplomazia, e della pace globale. Dio, la tradizione cattolica – quella per cui questa micrologica monarchia teocratica, per quanto acciaccata, è ancora nella mente e nel cuore di tutta l’umanità e dei suoi leader – lo hanno permesso.   Una preghiera acciocché torni quel tempo dove il centro del mondo coincideva con il centro del suo spirito. Solo da lì si può ricostruire l’equilibro.   Solo ricostruendo la Chiesa si potrà avere la vera pace.   Make Vatican Great Again. Ma sul serio.   Roberto Dal Bosco

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