Geopolitica
Birmania, l’Arakan Army controlla il confine con il Bangladesh, Rohingya ancora vittime

Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Dopo sei mesi di combattimenti conquistata la municipalità di Maungdaw e ora i combattimenti procedono nei territori meridionali. La milizia etnica buddhista sembra sul punto di dar vita a un proprio Stato e molti temono che possa decidere di vendicarsi sui gruppi Rohingya che negli ultimi mesi hanno combattuto a fianco dell’esercito birmano, spesso costretti con la forza.
L’Arakan Army, la principale milizia etnica che combatte contro l’esercito golpista nello Stato birmano occidentale del Rakhine, ha preso il controllo del confine con il Bangladesh dopo aver conquistato nei giorni scorsi la municipalità di Maungdaw. L’annuncio è stato dato dai portavoce della milizia: dopo mesi di combattimento, domenica l’Arakan Army ha preso possesso dell’ultima roccaforte della giunta, il battaglione della polizia di frontiera numero cinque, e in questo modo può controllare anche la parte settentrionale del Rakhine, dove era già in corso la creazione di un proto-Stato nelle aree liberate dal regime birmano.
L’Arakan Army ha preso parte alla guerra civile contro l’esercito birmano solo a luglio del 2022, a più di un anno dal colpo di Stato militare del febbraio 2021 che ha scatenato il conflitto. Come molte milizie etniche del Myanmar, aveva firmato un cessate il fuoco con la giunta, venuto meno dopo che il Tatmadaw (l’esercito birmano) ha bombardato una base militare.
A ottobre dello scorso anno ha lanciato un’offensiva, l’Operazione 1027, insieme al MNDAA e al TNLA, altre due storiche milizie etniche del Myanmar impegnate a combattere contro la giunta militare nel nord del Paese al confine con la Cina.
Da allora l’Arakan Army è riuscito a riconquistare quasi tutto il territorio Rakhine, abitato perlopiù dalla popolazione di etnia Rohingya e di fede musulmana, mentre l’Arakan Army è composto da combattenti di etnia rakhine (o arakanese) che sono in prevalenza buddhisti. Lo stesso nome della milizia, Arakan, veniva utilizzato per descrivere la regione del Rakhine prima che il governo birmano cambiasse l’appellativo nel 1989.
Con la conquista di Maungdaw, l’Arakan Army ora controlla tutte e tre le municipalità che confinano con il Bangladesh: Maungdaw e Buthidaung nel Rakhine, e Paletwa, nello Stato di Chin, che confina anche con l’India. L’unico avamposto che non è ancora stato riconquistato è il quartier generale del comando militare occidentale del regime, una sconfitta, che al pari di quella di Lashio, nello Stato Shan, sarebbe pesantissima per l’esercito. I combattimenti ora procedono nella parte meridionale dello Stato per il controllo di altre tre municipalità: Gwa, Taungup e Ann.
Tuttavia molti temono che l’Arakan Army si vendicherà contro la popolazione Rohingya che ha combattuto a fianco dell’esercito birmano nell’ultimo anno di guerra. A dispetto della proposta di emissione di un mandato d’arresto internazionale nei confronti del capo della giunta birmana, il generale Min Aung Hlaing, la situazione sul campo è stata completamente stravolta dal conflitto civile e i Rohingya si sono trovati a essere doppiamente vittime: la prima volta a causa delle effettive persecuzioni dell’esercito a partire dal 2017, e una seconda volta a causa della guerra civile.
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Il Tatmadaw, infatti, nell’ultimo anno ha iniziato a reclutare tra le proprie file i Rohingya, sfruttando il conflitto etnico e religioso con l’Arakan Army. Centinaia di Rohingya, poi finiti a far parte di uno dei gruppi più potenti e brutali, l’Arakan Rohingya Salvation Army (ARSA), sono stati arruolati dall’esercito birmano anche con la forza.
L’Arakan Army, che negli ultimi mesi aveva discriminato e attaccato deliberatamente anche i civili Rohingya (più di 100 in un attacco a inizio agosto), nei giorni scorsi ha confermato la situazione, dicendo di combattuto contro una serie di milizie Rohingya oggi alleate con l’esercito birmano: oltre all’ARSA, anche l’Arakan Rohingya Army (ARA), e la Rohingya Solidarity Organization (RSO).
Di questa situazione, il procuratore capo della Corte Penale Internazionale, il britannico Karim Khan, che ha proposto l’emissione di un mandato di arresto nei confronti di Min Aung Hlaing, non ha fatto menzione nei suoi comunicati, ma si è solo concentrato sulle sofferenze dei Rohingya nei campi profughi iperaffollati del Bangladesh.
Anche le condizioni di vita nel Rakhine, però, sono da mesi drammatiche: il mese scorso le Nazioni unite avevano annunciato che due milioni di persone erano a rischio carestia dopo che la giunta militare ha mantenuto bloccati gli accessi (via terra e via fiume) al Rakhine, impedendo l’invio di cibo, carburante, medicine e degli aiuti umanitari. Per alleviare la situazione, l’Arakan Army potrebbe ripristinare gli scambi commerciali con il Bangladesh, ma non è ancora chiaro se sarà davvero in grado di amministrare il territorio liberato dalla giunta militare.
Finché non termina il conflitto civile in Myanmar, è molto più probabile che gli scontri continuino sul filo delle tensioni etniche.
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Geopolitica
La Colombia accusa gli Stati Uniti di aver iniziato una «guerra»

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Geopolitica
Svelato il profilo dell’accordo tra Israele e Hamas

Il piano di cessate il fuoco per Gaza proposto dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump prevede il ritiro delle forze israeliane da vaste aree dell’enclave palestinese e la liberazione degli ostaggi rimanenti da parte di Hamas entro pochi giorni. Lo riportano varie testate giornalistiche internazionali.
Una fonte egiziana coinvolta nei negoziati ha dichiarato a Sky News Arabia che i mediatori hanno raggiunto un accordo per un «cessate il fuoco completo» e un «ritiro graduale dell’esercito israeliano dal 70% di Gaza».
Nel frattempo, la testata israeliana Ynet ha riportato che le forze israeliane dovrebbero ritirarsi entro 24 ore lungo una linea prestabilita, lasciando a Israele il controllo di circa il 53% dell’enclave. Questo includerebbe il ritiro delle IDF da Gaza City e da diverse altre aree centrali, secondo l’articolo.
L’agenzia Reuters scrive che Hamas rilascerebbe tutti gli ostaggi vivi entro 72 ore dall’approvazione del governo israeliano. In cambio, Israele libererebbe 250 palestinesi condannati all’ergastolo e 1.700 abitanti di Gaza detenuti dal 2023, incluse tutte le donne e i minori. Hamas detiene ancora circa 48 ostaggi, di cui Israele ritiene che circa 20 siano ancora in vita.
Dopo aver annunciato un progresso significativo nei negoziati, Trump ha dichiarato a Fox News che gli ostaggi saranno probabilmente rilasciati lunedì, promettendo che Gaza «sarà ricostruita».
«Gaza… diventerà un posto molto più sicuro… altri Paesi della zona aiuteranno la ricostruzione perché hanno enormi quantità di ricchezza e vogliono che ciò accada», ha affermato Trump, senza specificare quali nazioni siano coinvolte.
Nonostante l’apparente passo avanti, rimangono diverse questioni irrisolte, come la governance di Gaza nel dopoguerra e il destino di Hamas, che Israele ha giurato di eliminare completamente. Il piano di pace originale di Trump prevedeva un ruolo amministrativo limitato per l’Autorità Nazionale Palestinese, che governa parti della Cisgiordania, ma solo dopo significative riforme.
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Immagine di Jaber Jehad Badwan via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
Geopolitica
Il Cremlino: i colloqui Russia-USA sull’Ucraina sono in «seria pausa». Nessun incontro Trump-Putin in agenda

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