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Persecuzioni

Birmania, la giunta militare attacca un villaggio cattolico

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di Asianews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

 

Sono almeno 20 le case bruciate in questi giorni a Chan Thar, oltre 500 le scorte di riso andate perse e parecchi gli sfollati. I soldati hanno fatto irruzione e dato fuoco alle abitazioni «senza alcuna ragione», raccontano fonti locali ad AsiaNews. La resistenza anti-golpe sta incontrando sempre più difficoltà.

 

 

 

I soldati della giunta militare birmana hanno attaccato in questi giorni il villaggio di Chan Thar, township di Ye U, nella regione centrale di Sagaing.

 

Circa 70 militari hanno fatto irruzione verso le 10 di sabato 7 maggio. Poche ore dopo i soldati hanno cominciato a bruciare le case «senza alcuna ragione», racconta ad AsiaNews un’insegnante locale.

 

«Hanno iniziato a dare fuoco alle case alle 14. Il giorno dopo hanno ricominciato a bruciare il villaggio alle 6 del mattino e verso le 7 se ne sono andati».

 

Oltre 20 case sono andate distrutte, insieme a un ufficio che fungeva da biblioteca pubblica: «Le abitazioni e le proprietà sono diventate cenere davanti agli occhi della gente nel giro di poche ore», continuano le fonti in loco.

 

«Le persone si sono nascoste per non subire danni». Anche diverse scorte di cibo, tra cui 500 ceste di riso, sono andate perdute insieme a un mulino e una pressa per la paglia.

 

«Quando gli abitanti sono tornati alle loro case hanno realizzato di essere rimasti senza un posto dove dormire». Parecchie persone si sono rifugiate a casa di parenti vicini o sono state trasferite in comunità d’accoglienza cristiane.

 

Chan Thar è un villaggio interamente cattolico. Nell’ultimo anno è stato preso di mira già quattro volte dall’esercito. I soldati «hanno sempre preso quello che volevano e ucciso persone innocenti», spiega l’insegnante del villaggio. Nei mesi scorsi le forze armate hanno distrutto la chiesa e arrestato un parroco, insieme ad altri 8 giovani sacerdoti della diocesi di Mandalay. Sono stati rilasciati solo dopo una lunga negoziazione.

 

Chan Thar è anche il luogo di origine dell’arcivescovo Alphonse U Than Aung, ma negli anni ha offerto alla diocesi anche molte suore ed educatori. Prima del golpe e della guerra civile il villaggio ospitava 1.300 persone e contava 277 case.

 

La notizia dell’attacco è trapelata solo dopo che le linee internet sono state ripristinate.

 

La guerra civile imperversa in Myanmar da oltre un anno: il primo febbraio 2021 il Tatmadaw (l’esercito birmano) ha condotto un colpo di Stato con cui ha estromesso il precedente governo civile guidato da Aung San Suu Kyi, attualmente detenuta e sotto processo.

 

Secondo il sito indipendente The Irrawaddy, nella regione di Sagaing la resistenza anti-golpe è particolarmente tenace, ma sta incontrando sempre più difficoltà. Negli ultimi 15 mesi oltre 7.500 case sono state date alle fiamme.

 

Di fronte a questa drammatica situazione dimenticata dal mondo la Fondazione Pime continua a mantenere aperto il Fondo S145 Emergenza Myanmar, per sostenere le iniziative delle Chiese locali, molte delle quali fondate proprio dai missionari del Pime prima dell’espulsione dei missionari stranieri nel 1966.

 

L’obiettivo della campagna è dare un aiuto immediato a migliaia di persone, andando a sostenere la rete di accoglienza che le diocesi di Taungoo e di Taunggyi stanno allestendo. Tante realtà religiose locali hanno risposto a questa emergenza. È a loro che invieremo aiuti, partendo dai bisogni elementari delle persone: un tetto, il cibo, una scuola per i più piccoli, che da due anni ormai – tra pandemia e guerra – non la frequentano più.

 

Si può donare con causale “S145 – Emergenza Myanmar”:

  • direttamente on line a questo link scegliendo tra le opzioni il progetto “S145 – Emergenza Myanmar”
  • con bonifico bancario intestato a Fondazione Pime Onlus
    IBAN: IT 11 W 05216 01630 000000005733
    (si raccomanda di inviare copia dell’avvenuto bonifico via email a uam@pimemilano.com indicando nome, cognome e indirizzo, luogo e data di nascita, codice fiscale)
  • sul conto corrente postale n. 39208202 intestato a Fondazione Pime Onlus via Monte Rosa, 81 20149 Milano
  • in contanti o con assegno presso il Centro Pime di Milano in via Monte Rosa 81 dal lunedì al venerdì (9.00-12.30 e 13.30-17.30).

 

 

 

Invitiamo i lettori di Renovatio 21 a sostenere con una donazione Asianews e le sue campagne.

 

 

 

Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

 

 

Immagine da AsiaNews

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Persecuzioni

I cristiani di Aleppo ancora una volta occupata dai jihadisti

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La ribellione contro il governo siriano, iniziata nel 2011, era stata sospesa dal 2020, quando Turchia e Russia hanno negoziato un cessate il fuoco per fermare l’offensiva del governo. La regione di Idlib è l’ultima roccaforte controllata dall’opposizione e dai jihadisti. L’enclave è principalmente nelle mani del gruppo islamista Hayat Tahrir al-Sham.

 

Va aggiunto che ci sono anche fazioni ribelli sostenute da Ankara che operano sotto la bandiera dell’Esercito nazionale siriano e delle forze turche. Il cessate il fuoco è stato più o meno rispettato. Il mese scorso, l’inviato speciale delle Nazioni Unite per la Siria ha avvertito che le guerre a Gaza e in Libano stanno «catalizzando pericolosamente il conflitto nel Nord-Ovest della Siria».

 

E infatti, il 27 novembre 2024, le forze di opposizione hanno lanciato un attacco nel Nord-Ovest, riuscendo a impadronirsi dei territori difesi dalle forze governative del presidente Bashar al-Assad. Il gruppo islamista Hayat Tahrir al-Sham e le fazioni alleate hanno preso il controllo di diverse città e villaggi nelle province di Aleppo e Idlib.

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Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani (SOHR), che dispone di una rete di informatori, l’offensiva ha provocato almeno 242 morti. Tra loro, quattro civili uccisi in mattinata dalle bombe piovute su Aleppo. Questa città, che un tempo era la capitale economica e commerciale del Paese, è diventata il simbolo della devastazione di un conflitto ormai dimenticato.

 

Fides riporta la testimonianza dell’Arcivescovo maronita di Aleppo, Joseph Tobji, datata 30 novembre: «Dopo tre giorni di attacchi, le cosiddette milizie dell’opposizione hanno preso la città. Adesso tutto tace. La città è sospesa. E nessuno ci dice niente», lamenta l’alto prelato.

 

E aggiunge che dopo «gli scontri, per il momento, non c’è stato spargimento di sangue, grazie a Dio. L’esercito [governativo] ha lasciato Aleppo e la città è ora nelle mani delle milizie dell’opposizione. Circolano voci sull’arrivo di truppe dell’esercito siriano, ma nulla è certo. Viviamo nell’insicurezza».

 

Per ora la sua chiesa resta aperta, si celebrano messe e non si registrano attacchi diretti contro obiettivi legati alle comunità cristiane. «Al momento siamo tranquilli, ma non sappiamo cosa accadrà. È come se tutta la città vivesse con il fiato sospeso», aggiunge l’arcivescovo.

 

Padre Hugo Alaniz, dell’Istituto del Verbo Incarnato, conferma all’Agenzia Fides che quasi tutta la città di Aleppo è nelle mani dei ribelli: «questa mattina, riferisce il missionario di origine argentina, siamo usciti con mons. Hanna [Mons. Hanna Jallouf, Vicaria Apostolica di Aleppo per i cattolici di rito latino] e siamo andati a visitare alcune delle nostre comunità e continueremo i nostri tour in le prossime ore. Per ora stanno tutti bene, grazie a Dio».

 

Nella zona adiacente alla residenza vescovile si trovano le suore carmelitane e le suore di Madre Teresa di Calcutta con i 60 anziani di cui si prendono cura. I giovani della residenza universitaria e altre suore si trasferirono in altre zone della città. «E tutti – aggiunge padre Hugo – chiedono preghiere».

 

Asianews riporta la testimonianza di padre Bahjat Karakach, parroco della chiesa Saint-François d’Assise ad Aleppo: l’escalation è legata «all’impasse politica in cui si trova la Siria da diversi anni, mentre era chiaro a tutti che non sarebbe fattibile a lungo termine», dice.

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E continua: «non c’è mai stata una soluzione reale e definitiva, ma solo accordi fragili che non potevano durare a lungo termine» e ora è urgente un intervento deciso da parte della comunità internazionale. I terribili eventi del passato generano un clima di tensione e paura nella comunità cristiana, conclude.

 

Per la cronaca, truppe governative e ribelli si sono scontrati per più di quattro anni ad Aleppo – tra luglio 2012 e dicembre 2016 – provocando la morte di oltre 20.000 civili e lasciando la città devastata.

 

Mentre all’inizio della guerra c’erano 150.000 cristiani, oggi ne sono rimasti solo 25.000.

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.news.

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Immagine di Preacher lad via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International

 

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Parlamentare musulmano chiede leggi sulla blasfemia in Gran Bretagna

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Un parlamentare musulmano britannico ha chiesto la reintroduzione delle leggi sulla blasfemia durante una recente sessione parlamentare.   Il deputato laburista Tahir Ali ha esortato il governo britannico a rendere illegale la «profanazione» dei testi religiosi e dei profeti.   Ali ha affermato che il governo dovrebbe reintrodurre le leggi sulla blasfemia, che sono state ufficialmente eliminate dal codice penale nel 2008 e nel 2021, molti anni dopo la loro ultima applicazione.

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Ali, che rappresenta la circoscrizione di Birmingham di Hall Green, che ha una popolazione in maggioranza nera, asiatica e di minoranze, ha affermato che la blasfemia è responsabile della diffusione dell’«odio» e ha fatto riferimento a una risoluzione del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite che condanna la profanazione dei testi religiosi, tra cui il Corano.   Il primo ministro Keir Starmer ha espresso la sua solidarietà per le preoccupazioni di Ali e ha rifiutato di escludere la reintroduzione di una legge sulla blasfemia.  

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Il partito laburista ha incontrato notevoli difficoltà con le comunità musulmane durante le elezioni nazionali anticipate dell’estate, in gran parte a causa della politica del partito sulla guerra Israele-Gaza.   I candidati indipendenti pro-Palestina hanno rubato quote significative del voto laburista in diverse circoscrizioni chiave in tutto il Paese.   Le proteste della scorsa estate, dove intere città si sono sollevate contro la cosiddetta two tier policy che privilegia la popolazione immigrata rispetto a quella autoctona hanno provocato la reazione di alcune bande di immigrati del Punjab (cioè musulmani pakistani), molto diffusi nel Paese da decenni, che in alcuni casi si sono scontrati con i britannici bianchi.   Vari commentatori hanno ricordato il caso di Rothertam, nel nord delle miniere di carbone, dove gruppo di immigrati musulmani, tutti adulti, avrebbe stuprato dal 1997 al 2013 qualcosa come mille bambine dagli undici ai sedici anni con problemi mentali o famigliari. I giornali scrissero che la spirale del silenzio attorno al caso – polizia, famiglie, assistenti sociali, politici – per paura di sembrare politicamente scorretti mostrando tali ramificazioni oscure dell’immigrazione massiva.   Come riportato da Renovatio 21, le cosiddette «leggi anti-blasfemia» in Pakistan sono un vero strumento di persecuzione nei confronti dei cristiani del Paese, dove per una denuncia inventata di un vicino musulmano geloso si può finire imprigionati a vita, condannati a morte o linciati in piazza – o magari pure decapitati con machete per direttissima.

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Immagine di Richard Townshend via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 3.0 Unported
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Tempi brutti per i cristiani in Europa

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La valutazione aggiornata degli atti anticristiani nel Vecchio Continente appena pubblicata dall’Osservatorio sull’intolleranza e la discriminazione contro i cristiani in Europa (OIDAC Europe) rivela un’allarmante erosione della tolleranza religiosa, in particolare nei confronti del cattolicesimo, in una regione celebrata come la culla del pluralismo e della libertà.

 

«Unendo le statistiche della polizia e i dati della società civile, sono stati identificati 2.444 atti anticristiani in 35 paesi europei, inclusi 232 attacchi personali contro i cristiani».

 

L’osservazione del direttore della sezione europea dell’OIDAC è chiara, soprattutto perché «dobbiamo supporre un numero elevato di casi non denunciati», tiene a precisare Anja Hoffmann. C’è da dire che basta il rapporto di fine novembre 2024 che l’OIDAC ha appena pubblicato per far suonare le sirene d’allarme.

 

Con 2.444 incidenti registrati in 35 Paesi europei, i risultati – che coprono gli atti anticristiani perpetrati durante tutto il 2023 – rivelano un allarmante aumento del disprezzo verso i cattolici, in una regione che viene data come la «culla della libertà».

 

Il rapporto documenta 232 casi di attacchi diretti: tra questi, numerose chiese profanate, statue o immagini di Cristo e santi vandalizzate, un sagrestano che ha perso la vita in un attacco jihadista, un cattolico convertito dall’Islam sopravvissuto a un tentato omicidio per «apostasia»…

 

L’anno 2023 è caratterizzato da un forte aumento degli atti perpetrati contro il cattolicesimo nei Paesi con radici cristiane: «dalle chiese vandalizzate agli attacchi fisici, i cristiani vengono attaccati in tutti i Paesi dell’OSCE », spiega Régine Polak, portavoce dell’Organizzazione Europea per la Sicurezza.

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Secondo i dati forniti da OIDAC Europe, sembra che i Paesi più colpiti da questa epidemia anticristiana siano: la Francia, con quasi 1.000 azioni penali registrate per l’anno 2023; al secondo posto il Regno Unito, con 700 atti anticristiani; seguita dalla Germania, che ha visto un aumento del 105% dei crimini d’odio, da 135 nel 2022 a 277 nel 2023.

 

Oltre agli attacchi violenti, in diversi Paesi europei cresce la discriminazione contro i cristiani sul posto di lavoro e negli spazi pubblici, portando ad un aumento di una forma di autocensura tra i cristiani in Europa.

 

Il 2023 ha visto anche una serie di restrizioni alle libertà religiose da parte di diversi governi europei, che vanno dai divieti di processioni religiose alle azioni legali contro i cristiani per l’espressione pacifica delle loro convinzioni religiose e delle loro posizioni etiche, sulla questione dell’aborto, in particolare.

 

L’OIDAC richiama quindi l’attenzione su quella che definisce l’ascesa di una «laicità imposta dallo Stato», espressione che designa una forma di governo che potrebbe rappresentare un pericolo per i diritti religiosi sotto il pretesto della neutralità: «i governi sono responsabili della protezione dei diritti, ma in alcuni casi diventano oppressori», avverte il rapporto.

 

Un’ostilità crescente – e in sordina – che avviene in un contesto di dislocazione della matrice cattolica, in particolare in Francia, sotto l’effetto combinato della secolarizzazione e dell’incapacità delle gerarchie ecclesiastiche di incarnare pienamente un cattolicesimo assunto e individuato all’interno della società.

 

Questa è una sfida che vorremmo vedere raccolta nella classe politica.

 

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.news.

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Immagine di Olivier Mabelly via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC-ND 2.0

 

 

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