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Geopolitica

Assaltata l’ambasciata francese in Niger, che sospende le vendite dell’Uranio. Parigi prepara un blitz?

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Ieri nella capitale del Niger, Niamey, migliaia di persone che sostengono colpo di Stato si sono riunite in massa davanti all’ambasciata francese, dopo che Parigi ha annunciato di aver sospeso gli aiuti al Paese africano per il colpo di Stato.

 

Alcuni manifestanti hanno cercato di entrare nell’edificio, mentre altri hanno rimosso una targa con la scritta «Ambasciata di Francia in Niger», rimpiazzandola con bandiere del Niger e della Russia.

 

Tra gli slogan, oltre a «abbasso la Francia», sono comparsi anche cori «Viva la Russia» e «Viva Putin».

 

 


 

Durante la marcia organizzata a sostegno del golpe, le bandiere russe, oltre a quelle nigerine, non sono mancate, con attacchi diretti verso la Francia, l’Ecowas (cioè, la Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale) e l’Unione Africana.

 

 

 

Successivamente, i manifestanti si sono radunati nella piazza di fronte all’Assemblea Nazionale, arrivando da diverse zone della città: «Abbasso la Francia, abbasso Barkhane, non ci interessa l’Ecowas, l’Unione Europea e l’Unione Africana!» ha scandito in chiarezza la protesta.

 

 

L’operazione Barkhane è una missione in corso avviata il 1° agosto 2014 e guidata dall’esercito francese per contrastare i gruppi islamisti nella regione africana del Sahel attraverso operazioni anti-insurrezionali. La forza francese coinvolta ammonta a circa 3.000 uomini ed ha la sua sede principale a N’Djamena, la capitale del Ciad. Questa operazione è realizzata in collaborazione con quattro paesi, tutti ex colonie francesi situate nella regione del Sahel: Burkina Faso, Ciad, Mauritania e Niger. Insieme, questi paesi sono noti come il «G5 Sahel».

 

 

Il nome «Barkhane» fa riferimento a un tipo di duna a forma di mezzaluna tipica del deserto del Sahara. In passato, il Mali faceva anche parte di questa operazione, ma ha cacciato le forze francesi (incluse le ONG) accusando Parigi di sostenere i terroristi che dice di combattere.

 

I francesi hanno ancora almeno 1500 soldati nel Paese assegnati a Barkhane. Alcuni di essi sono visti in alcuni video non verificati spuntati in rete in cui sembrano coordinare l’evacuazione dei cittadini francesi.

 

 

Le richieste dei manifestanti includono la richiesta di arrestare coloro che facevano parte del governo precedente, con l’accusa di appropriazione indebita di fondi. Durante la proteste, tutte le strade che portano all’ambasciata di Francia e degli Stati Uniti sono state chiuse. Inoltre, nelle vicinanze dell’ambasciata francese, sono stati utilizzati lacrimogeni per disperdere i manifestanti e tenerli lontani dall’area della missione diplomatica di Parigi.

 

L’Ecowas ha quindi programmato un vertice in Nigeria per discutere della situazione del colpo di Stato nel Niger. La giunta militare nigerina ha denunciato sabato che durante tale vertice, l’Ecowas intenderebbe approvare un «piano di aggressione contro il Niger», con l’imminente possibilità di un intervento militare a Niamey. La giunta militare ha avvertito l’Ecowas della sua «forte determinazione» a difendere il Paese nel caso in cui un’azione militare venisse intrapresa.

 

L’ipotesi di un intervento francese è nell’aria, e persino temuto dal governo italiano.

 

«Un intervento fatto da europei bianchi per andare ad incidere in una cosa interna rischierebbe secondo me di avere effetti deflagranti» ha detto il ministro della Difesa italiano Guido Crosetto ieri in una dichiarazione. «Si cammina sulle uova e ogni atto bisogna valutarlo tre volte per quello che può essere l’effetto. Va bene mantenere i contingenti europei affinché la situazione non deflagri e diventi una guerra sanguinosa, ma è il momento di ragionare: abbiamo ferite nel mondo che nascono da accelerazioni non ragionate. Secondo me la situazione è recuperabile senza interventi troppo duri».

 

«È un colpo di stato anomalo» ha dichiarato oggi il Crosetto. «Non si capisce se la parte militare abbia aderito per convinzione o solo per evitare una guerra civile».  Il ministro della Difesa ha voluto poi sottolineare l’inesistenza di una linea comune dell’UE: «Non mi viene in mente un solo caso di politica internazionale in cui i 27 siano d’accordo. Sul Niger io non so che cosa pensa e cosa farà domani la Francia. Non lo sa la Germania e non lo sanno gli Usa. Non sappiamo come si muovono gli altri Stati, perché non esiste un tavolo di coordinamento».

 

L’idea dei golpisti nigerini riguardo ad un possibile blitz unilaterale di Parigi potrebbe quindi non essere campata in aria. Il presidente Emmanuel Macron si è limitato ad affermare che il suo governo «non tollererà alcun attacco alla Francia e ai suoi interessi» in Niger, contestando il colpo di Stato da lui definito «perfettamente illegittimo» – espressione interessante: per il presidente francese, con evidenza, alcuni golpe sono legittimi, altri no…

 

 

Ecco quindi che il Niger avrebbe sospeso tutte le esportazioni di uranio ed oro verso la Francia. «La giunta ha continuato a intensificare la retorica antifrancese. Ha annunciato che sospenderà con effetto immediato l’esportazione di uranio in Francia. Il Niger è il settimo produttore mondiale di uranio e la Francia, che fa affidamento sull’energia nucleare per il 75% della generazione di potenza, è un importante importatore».

 

Secondo quanto riportato da vari giornali, l’uranio nigerino costituirebbe il 30% del fabbisogno di materiale fissile dell’industria atomica francese.

 

Come riportato ieri da Renovatio 21, quattro settimane prima del golpe era stato firmato un accordo Cina-Niger sul commercio di uranio.

 

La Francia ha affermato che riconoscerà come unica autorità legittima il solo presidente deposto Mohamed Bazoum, la cui precisa ubicazione rimane sconosciuta, sebbene abbia appena incontrato il leader del Ciad, che secondo quanto riferito sta cercando di mediare. «Ci sono persino accuse di forze francesi che preparano un attacco missilistico al palazzo presidenziale» scrive Zerohedge. «Tuttavia, la Francia non ha né confermato né smentito che il governo di Bazoum in esilio lo abbia richiesto».

Come noto, il gruppo Wagner, non ancora visto direttamente in scena in Niger, è tuttavia ben presente nel vicino Mali, dove ha scacciato di fatto l’influenza francese.

 

Il capo della Wagner Evgenij Prigozhin, che giorni fa è riapparso in Russia per la prima volta ad un forum africano a San Pietroburgo, in un raro messaggio ha celebrato positivamente il colpo di stato e accusando il colonialismo francese e occidentale in Africa.

 

In un lungo messaggio pubblicato sui social media, Prigozhin ha attribuito la situazione in Niger all’eredità del colonialismo e ha affermato, senza prove, che le nazioni occidentali stavano sponsorizzando gruppi terroristici nel Paese.

 

La situazione si complica se si pensa che uno dei leader del golpe è stato in realtà addestrato a Fort Benning, in Georgia, dalle forze speciali USA. Infatti il capo delle forze per le operazioni speciali del Niger Moussa Salaou Barmou, è stato infatti addestrato dalle forze armate statunitensi, scrive The Intercept. Ufficiali militari addestrati dagli Stati Uniti hanno preso parte a 11 colpi di stato in Africa occidentale dal 2008.

 

«Abbiamo avuto una relazione molto lunga con gli Stati Uniti», ha affermato Barmou nel 2021. «Essere in grado di lavorare insieme in questa veste è molto positivo per il Niger».

 

Proprio il mese scorso, Barmou ha incontrato il tenente generale Jonathan Braga, capo del comando delle operazioni speciali dell’esercito americano, presso la base aerea 201, una base di droni nella città nigeriana di Agadez che funge da fulcro di un arcipelago di avamposti statunitensi nell’Africa Occidentale

 

Caos a parte, è evidente cosa sta accadendo: un altro fronte si può aprire in questa prospettiva di conflitto globale, una nuova soglia di conflitto tra i blocchi mondiali. Dopo l’Ucraina e Taiwan, ecco il Niger. Statene certi, non è finita. Venezuela, Bolivia, Himalaya, Moldavia, Yemen, Siria, Libano, Pakistan, Afghanistan, Australia… ognuno di questi luoghi possiede un conflitto che può essere slatentizzato sanguinariamente.

 

La Terza Guerra Mondiale è davvero alle porte: ringraziate di questo la demenza alla Casa Bianca, e i suoi stupidi lacchè europei.

 

 

 

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Geopolitica

Senatore americano: «il Sudafrica è nostro nemico»

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Il senatore repubblicano John Kennedy ha definito il Sudafrica un nemico degli Stati Uniti, mentre i legislatori spingono sempre più affinché Pretoria venga esclusa dall’African Growth and Opportunity Act (AGOA), l’iniziativa commerciale di punta di Washington.

 

L’ambasciatore Jamieson Greer, rappresentante commerciale degli Stati Uniti, è stato interrogato dal senatore repubblicano John Kennedy durante un’audizione della sottocommissione per gli stanziamenti del Senato in merito all’inclusione del Sudafrica nella potenziale estensione dell’AGOA.

 

Kennedy ha chiesto a Greer: «Cosa intendi fare riguardo al Sudafrica come parte dell’AGOA, dato che il Sudafrica non è amico dell’America?»

 

Greer ha risposto: «Esatto. Abbiamo avuto alcune conversazioni con i sudafricani in materia di commercio, e ci sono molte questioni di politica estera che non affronto con il Sudafrica. Ma quando si tratta di commercio, hanno molte barriere… Abbiamo chiarito ai sudafricani che se vogliono avere una situazione tariffaria migliore con noi devono occuparsi di queste barriere tariffarie e non tariffarie Sono una vera economia, una grande economia, giusto. Hanno una base industriale, una base agricola; dovrebbero acquistare prodotti dagli Stati Uniti», ha detto Greer.

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Kennedy ha poi fatto presente a Greer che, se l’AGOA venisse prorogata di un anno, senza riformarla, il Sudafrica ne trarrebbe beneficio. Greer ha ammesso, ma ha sottolineato che il Sudafrica è già stato colpito da una tariffa reciproca del 30%, «molto più alta rispetto al resto del continente». Ha tuttavia osservato che il Sudafrica rappresenta un caso unico.

 

Kennedy ha continuato: «Non pensi che dovremmo separare il Sudafrica e l’AGOA? Greer concordò, dicendo che sarebbe stato felice di prendere in considerazione quella proposta. Il Congresso è venuto da me e mi ha detto che vogliamo l’AGOA. E se dobbiamo cedere, dobbiamo trovare un modo per migliorarlo. Se pensate che dovremmo riservare al Sudafrica un trattamento diverso, sono aperto, perché penso che rappresentino un problema unico».

 

«Beh, rappresentano un problema unico per l’America. Voglio dire, sono i nostri nemici in questo momento. Sono amici di tutti i nostri nemici. E sono stati molto critici nei confronti degli Stati Uniti» ha dichiarato Kennedy.

 

Greer concorda: «È proprio così. Ed è per questo che vengono trattati in modo molto diverso. La maggior parte del continente africano, l’Africa subsahariana, ne ha solo il 10%, mentre il Sudafrica ne ha il 30%».

 

All’inizio di quest’anno, gli Stati Uniti hanno imposto una tariffa del 30%sulle importazioni dal Sudafrica, dopo che i funzionari statunitensi non hanno risposto a diverse proposte commerciali presentate da Pretoria.

 

A luglio, l’IOL ha riferito che il Presidente Cyril Ramaphosa aveva preso atto della corrispondenza del Presidente degli Stati Uniti Donald Trump sull’imposizione unilaterale di una tariffa commerciale del 30% contro il Sudafrica. Ramaphosa ha anche osservato che il Sudafrica è uno dei numerosi Paesi che hanno ricevuto comunicazioni simili che annunciavano tariffe all’epoca.

 

«Questa tariffa del 30% si basa su una particolare interpretazione della bilancia commerciale tra Sudafrica e Stati Uniti. Questa interpretazione controversa rientra tra le questioni all’esame dei team negoziali di Sudafrica e Stati Uniti», ha affermato il portavoce di Ramaphosa, Vincent Magwenya.

 

Di conseguenza, il Sudafrica sostiene che la tariffa reciproca del 30% non rappresenta accuratamente i dati commerciali disponibili. Nella nostra interpretazione dei dati commerciali disponibili, la tariffa media sulle merci importate in entrata in Sudafrica è del 7,6%.

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«È importante sottolineare che il 56% delle merci entra in Sudafrica con una tariffa della nazione più favorita dello 0%, mentre il 77% delle merci statunitensi entra nel mercato sudafricano con un dazio dello 0%», ha affermato. Tuttavia, la presidenza a Pretoria ha chiarito che il Sudafrica continua a impegnarsi per coltivare relazioni commerciali più strette con gli Stati Uniti.

 

Come riportato da Renovatio 21, la scorsa settimana Trump ha dichiarato che il Sudafrica è indegno di essere parte membro di «qualsiasi cosa» e non otterrà un invito al summit del G20 del prossimo anno in Florida, in quanto ritenuto «non degno» di figurare come membro «in alcun contesto».

 

Come riportato da Renovatio 21, l’imbarazzante incontro nello studio ovale tra Trump e il presidente sudafricano Ramaphosa, dove il primo mostrò al secondo le immagini del massacro dei bianchi nel Paese, avvenne pochi giorni dopo che Trump aveva pubblicamente accolto decine di rifugiati afrikaner.

 

A inizio mese l’amministrazione Trump ha dichiarato che le ammissioni di rifugiati per l’anno fiscale 2026 saranno limitate a sole 7.500 unità, il numero più basso di sempre, con priorità per i sudafricani bianchi in fuga dalle persecuzioni.

 

L’Ordine Esecutivo è stato emesso dopo che l’amministrazione Trump ha duramente criticato il governo sudafricano per le nuove misure di riforma agraria che consentono l’appropriazione di terreni privati senza indennizzo. L’amministrazione Trump ha affermato che le misure sarebbero state utilizzate per colpire i proprietari terrieri bianchi, come misure simili erano state adottate in altri paesi africani, in particolare lo Zimbabwe.

 

I primi sudafricani bianchi ammessi negli Stati Uniti con questa nuova designazione, 59 in totale, sono sbarcati negli Stati Uniti a maggio.

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La scena di scontro nello Studio Ovale ha ricordato ad alcuni osservatori quella del presidente ucraino Volodymyro Zelens’kyj all’inizio di quest’anno, quando quest’ultimo fu cacciato dalla Casa Bianca. Lo Studio Ovale sta divenendo de facto un luogo della verità detta fuori dai denti, dove le maschere diplomatiche cadono, e i leader internazionali possono venire castigati per la loro inadeguatezza o i loro crimini veri e propri.

 

Come riportato da Renovatio 21, vari gruppi boeri da anni ritengono di essere oggetti di una vera persecuzione se non di una pulizia etnica, con abbondanza disperante episodi di crimine, torture e violenza efferata di ogni sorta. I boeri hanno cercato, e trovato, anche l’aiuto della Russia di Vladimiro Putin.

 

Come riportato da Renovatio 21, Ernst Roets, responsabile politico del Solidarity («Movimento di Solidarietà»), un network di organizzazioni comunitarie sudafricane che conta più di 500.000 membri, ha dichiarato che, nonostante le indicibili violenze e torture subite dalle comunità bianche in Sud Africa, nel prossimo futuro «l’Europa sarà peggio».

 

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Immagine di Treasurer Ron Henson via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic

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Putin sostiene Maduro nella situazione di stallo con gli Stati Uniti

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Il presidente russo Vladimir Putin ha rinnovato il suo pieno appoggio al presidente venezuelano Nicolás Maduro, nonostante l’intensificazione della presenza militare statunitense nei Caraibi.   I due leader hanno evidenziato l’eccezionale solidità dei rapporti tra Mosca e Caracas nel corso di una telefonata avvenuta giovedì. Secondo quanto riferito dal Cremlino, Putin «ha espresso solidarietà al popolo venezuelano e ha ribadito il proprio sostegno alla ferma determinazione del governo guidato da Maduro nel difendere la sovranità nazionale e gli interessi del Paese dalle ingerenze esterne».   I presidenti hanno confermato l’impegno a dare piena attuazione al trattato di partenariato strategico firmato lo scorso maggio.   Dal canto suo, il governo venezuelano ha fatto sapere che Putin e Maduro hanno sottolineato «la natura strategica, solida e in costante crescita delle relazioni bilaterali» e che il leader russo ha manifestato il proprio sostegno agli sforzi di Maduro volti a «rafforzare la pace, la stabilità politica e lo sviluppo economico».

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La telefonata è arrivata pochi giorni dopo il sequestro, da parte degli Stati Uniti, di una petroliera salpata da un porto venezuelano all’inizio del mese. La procuratrice generale statunitense Pam Bondi ha dichiarato che la nave era già stata sanzionata in passato per aver presumibilmente trasportato petrolio iraniano.   Caracas ha definito l’operazione «un atto di pirateria» e ha accusato Washington di voler «saccheggiare» le risorse naturali venezuelane.   Da settembre gli Stati Uniti hanno dispiegato una flotta navale nei Caraibi e hanno fermato oltre venti imbarcazioni sospettate di traffico di droga in acque internazionali. Secondo quanto riportato da Reuters, l’amministrazione americana si starebbe preparando a intercettare ulteriori navi che trasportano greggio venezuelano nell’ambito della campagna di massima pressione contro Maduro, accusato dal presidente Donald Trump di collusione con i cartelli della droga.   Maduro ha respinto categoricamente ogni legame del suo governo con il narcotraffico, ha promesso di difendere il Paese da una eventuale invasione e ha bollato le azioni di Washington come «colonialiste», avvertendo che potrebbero scatenare «una guerra folle» nella regione.   Come riportato da Renovatio 21, due settimane fa si era parlato di una telefonata segreta tra Trump e Maduro.   Gli Stati Uniti hanno offerto una taglia di 50 milioni di dollari per informazioni che conducano all’arresto o alla condanna di Maduro, ritenuto dagli americani a capo di una ghenga narcoterrorista.   Diverse notizie della scorsa settimana indicano che Washington stia pianificando operazioni in Venezuela e abbia identificato potenziali bersagli legati al presunto narcotraffico. Gli USA avrebbero schierato nella zona circa 16.000 soldati e otto navi da guerra della Marina.

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Il Venezuela ha stigmatizzato il rinforzo militare come violazione della sovranità e tentativo di golpe. Il governo venezuelano starebbe cercando appoggio da Russia, Cina e Iran. Mosca ha di recente riaffermato la sua alleanza con Caracas, esprimendo pieno sostegno alla leadership del Paese nella difesa della propria integrità. Mosca ha accusato il mese scorso Washington di preparare il golpe in Venezuela.   Come riportato da Renovatio 21, Maduro, che avrebbe offerto ampie concessioni economiche agli USA per restare al potere, sarebbe stato oggetto di un tentativo di rapimento tramite il suo pilota personale.   Trump nelle scorse settimane ha ammesso di aver autorizzato le operazioni CIA in Venezuela. Di piani CIA per uccidere il presidente venezuelano il ministro degli Interni del Paese aveva parlato lo scorso anno.   Come riportato da Renovatio 21, Maduro aveva denunciato l’anno scorso la presenza di mercenari americani e ucraini in Venezuela. «Gli UA finanziano Sodoma e Gomorra» aveva detto.    

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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0) 
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L’Ungheria dice che il capo della NATO «pugnala alle spalle» e «alimenta la guerra»

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Il ministro degli Esteri ungherese Peter Szijjarto ha accusato il segretario generale della NATO Mark Rutte di «alimentare le tensioni belliche» con dichiarazioni «irresponsabili», sostenendo che la Russia potrebbe prepararsi ad attaccare l’Alleanza entro pochi anni.

 

Giovedì Rutte aveva dichiarato che «siamo il prossimo obiettivo della Russia» e aveva invitato i membri della NATO ad accelerare l’incremento della spesa per la difesa, aggiungendo che Mosca «potrebbe essere pronta a impiegare la forza militare contro la NATO entro cinque anni».

 

In un post pubblicato venerdì su Facebook, lo Szijjarto ha definito le parole di Rutte «assurdità», affermando che «chiunque nutrisse ancora dubbi sul fatto che a Bruxelles abbiano completamente perso il senno, dopo queste dichiarazioni ne sarà definitivamente convinto».

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Lo Szijjarto ha interpretato i commenti come un chiaro segnale che «tutti a Bruxelles si sono schierati contro gli sforzi di pace del presidente degli Stati Uniti Donald Trump» e che il segretario generale della NATO abbia «di fatto pugnalato alle spalle i negoziati di pace».

 

«Noi ungheresi, in quanto membri della NATO, rigettiamo le affermazioni del Segretario Generale! La sicurezza dei Paesi europei non dipende dall’Ucraina, ma dalla NATO stessa… Dichiarazioni provocatorie di questo tipo sono irresponsabili e pericolose! Chiediamo a Mark Rutte di cessare immediatamente di alimentare le tensioni legate alla guerra!!!»

 

L’Ungheria ha più volte assunto posizioni divergenti rispetto alla maggioranza dei partner UE e NATO sul conflitto ucraino, sostenendo che ulteriori forniture di armi a Kiev non farebbero che prolungare le ostilità. Budapest ha sempre invocato l’avvio di negoziati diretti tra Russia e Ucraina, ha criticato le sanzioni occidentali contro Mosca considerandole dannose per l’economia europea e si è opposta ai piani dell’UE di utilizzare gli asset russi congelati per finanziare l’Ucraina, definendoli illegittimi.

 

 

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Immagine di NATO North Atlantic Threaty via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 2.0 Generic

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