Connettiti con Renovato 21

Geopolitica

India, una donna uccisa e nuove violenze in Manipur. Tribali denunciano: governo non fa nulla

Pubblicato

il

Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

Quella dello Stato dell’India nord-orientale è una ferita ancora aperta: ieri sera alcune case sono state date alle fiamme e la comunità Kuki, in prevalenza cristiana, continua a denunciare le incursioni di gruppi di estremisti Meitei. Si teme un maggiore coinvolgimento anche dei Naga, finora estranei alle violenze. I colloqui proposti dal ministero dell’Interno si sono conclusi con un nulla di fatto.

 

Nel villaggio di Zairon Hmar, distretto di Jiribam, ieri sera una donna è stata uccisa in nuovi scontri nel Manipur, lo Stato dell’India nord-orientale in cui più da un anno si verificano violenze sulla base dell’appartenenza a diversi gruppi etnici. Più di 10 case sono state bruciate, si pensa da militanti Meitei, secondo quanto dichiarato dall’Indigenous Tribal Leaders’ Forum, che raccoglie al suo interno diversi gruppi tribali.

 

«Lo scambio di colpi d’arma da fuoco è continuato per circa un’ora. Durante l’attacco, più di dieci case sono state date alle fiamme. Una donna di nome Sangkim è morta bruciata dopo che il fuoco ha avvolto la sua casa», si legge nel comunicato. Un ufficiale ha spiegato che «diversi abitanti del villaggio sono riusciti a fuggire durante l’attacco e si sono rifugiati nella foresta vicina».

 

L’ITLF ha inoltre espresso preoccupazione per la recente occupazione del villaggio di Kangchup Panjang, nel distretto di Kangpokpi, da parte di membri pesantemente armati del gruppo militante KCP-PWG, un’organizzazione militare Meitei. La loro presenza e infiltrazione nelle aree Kuki ha creato tensione e paura tra la popolazione (a prevalenza cristiana) che risiede nelle aree collinari.

 

L’ITLF ha proseguito nella sua dichiarazione condannando il governo del Manipur e il governo indiano centrale, entrambi guidati dal Bharatiya Janata Party (BJP), per l’inazione nei confronti dei militanti armati Meitei, che occupano i territori Kuki-Zo: «Questa militarizzazione incontrollata all’interno delle nostre terre può essere vista solo come una tattica orchestrata dal chief minister del Manipur N. Biren Singh, che distoglie l’attenzione dal suo ruolo nella violenza sistematica contro il popolo Kuki-Zo», hanno detto i leader dell’ITLF, sottolineando la necessità che il governo metta al bando i gruppi estremisti, come l’Arambai Tenggol (AT) e minacciando che le comunità Kuki-Zo non rimarranno spettatori passivi mentre le loro terre e le loro vite sono minacciate.

Iscriviti al canale Telegram

Le violenze del Manipur sono scoppiate a maggio 2023 e da allora si riaccendono periodicamente. Ultimamente si sono registrati scontri anche con la comunità Naga, finora esterna al conflitto tra Kuki e Meitei, perché i Naga vivono e commerciano con entrambi gli altri due gruppi tribali. A fine ottobre alcuni militanti di AT hanno aggredito e rapito due commercianti Naga, facendo temere un allargamento delle violenze ad altri gruppi indigeni.

 

I dati ufficiali indicano che almeno 226 persone sono morte e oltre 60mila continuano a essere sfollate, ma il governo centrale non ha ancora erogato i risarcimenti per le vittime che erano stati promessi, secondo quanto spiegato da The Wire. Anche l’istituzione di un comitato per la pace è fallita: il ministro dell’Interno Amit Shah ne aveva annunciato la creazione inserendo anche l’attuale chief minister Singh, a cui molti membri si opponevano. In segno di protesta, gli esponenti di diversi partiti hanno abbandonato il comitato.

 

Il governo centrale allora, a metà ottobre, ha tentato di tenere colloqui separati con i rappresentanti delle comunità Kuki, Meitei e Naga, i primi tra i funzionari del ministero dell’Interno e i politici locali da quando sono iniziate le violenze.

 

Alcune fonti hanno commentato dicendo che «non è stato discusso nulla di sostanziale» e che «finché non ci sarà la garanzia di fermare la violenza, non si potranno fare ulteriori passi». In seguito, i deputati dell’Assemblea legislativa locale di etnia Kuki hanno chiesto un’amministrazione separata per la loro comunità come precondizione per i colloqui di pace.

 

Invitiamo i lettori di Renovatio 21 a sostenere con una donazione AsiaNews e le sue campagne.

Renovatio 21 offre questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21


Immagine screenshot da YouTube

Continua a leggere

Geopolitica

Vance in Israele critica la «stupida trovata politica»: il voto di sovranità sulla Cisgiordania è stato un «insulto» da parte della Knesset

Pubblicato

il

Da

La proposta di applicare la sovranità israeliana sulla Cisgiordania occupata, considerata da molti come un’equivalente all’annessione totale del territorio palestinese, ha suscitato una forte condanna internazionale, incluso un netto dissenso da parte degli Stati Uniti.   Il disegno di legge ha superato di stretta misura la sua lettura preliminare martedì, con 25 voti a favore e 24 contrari nella Knesset, composta da 120 membri. La proposta passerà ora alla Commissione Affari Esteri e Difesa per ulteriori discussioni.   Una dichiarazione parlamentare afferma che l’obiettivo del provvedimento è «estendere la sovranità dello Stato di Israele ai territori di Giudea e Samaria (Cisgiordania)».   Il momento del voto è stato significativo e provocatorio, poiché è coinciso con la visita in Israele del vicepresidente J.D. Vance, impegnato in discussioni sul cessate il fuoco a Gaza e sul centro di coordinamento gestito dalle truppe statunitensi e dai loro alleati, incaricato di supervisionare la transizione di Gaza dal controllo di Hamas. Vance ha percepito la tempistica del voto come un gesto intenzionale, accogliendolo con disappunto.

Iscriviti al canale Telegram

Anche il Segretario di Stato Marco Rubio, in visita in Israele questa settimana, ha espresso critiche prima di lasciare il Paese mercoledì, dichiarando che il disegno di legge sull’annessione «non è qualcosa che appoggeremmo».   «Riteniamo che possa rappresentare una minaccia per l’accordo di pace», ha detto Rubio, in linea con la promozione della pace in Medio Oriente sostenuta ripetutamente da Trump. «Potrebbe rivelarsi controproducente». Vance ha ribadito che «la Cisgiordania non sarà annessa da Israele» e che l’amministrazione Trump «non ne è stata affatto soddisfatta», sottolineando la posizione ufficiale.   Vance, considerato il favorito per la prossima candidatura presidenziale repubblicana dopo Trump, probabilmente ricorderà questo episodio come un momento frustrante e forse irrispettoso, specialmente in un contesto in cui la destra americana appare sempre più divisa sulla politica verso Israele.   Si dice che il primo ministro Netanyahu non sia favorevole a spingere per un programma di sovranità, guidato principalmente da politici oltranzisti legati ai coloni. In una recente dichiarazione, il Likud ha definito il voto «un’ulteriore provocazione dell’opposizione volta a compromettere i nostri rapporti con gli Stati Uniti».   «La vera sovranità non si ottiene con una legge appariscente, ma con un lavoro concreto sul campo», ha sostenuto il partito.   Tuttavia, è stata la reazione di Vance a risultare la più veemente, definendo il voto una «stupida trovata politica» e un «insulto», aggiungendo che, pur essendo una mossa «solo simbolica», è stata «strana», specialmente perché avvenuta durante la sua presenza in Israele.   Come riportato da Renovatio 21, Trump ha minacciato di togliere tutti i fondi ad Israele in caso di annessione da parte dello Stato Giudaico della West Bank, che gli israeliani chiamano «Giudea e Samaria».  

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21
Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
Continua a leggere

Geopolitica

Trump minaccia di togliere i fondi a Israele se annette la Cisgiordania

Pubblicato

il

Da

Israele «perderebbe tutto il sostegno degli Stati Uniti» in caso di annessione della Giudea e della Samaria, nome con cui lo Stato Ebraico chiama la Cisgiordania, ha detto il presidente USA Donald Trump.

 

Trump ha replicato a un disegno di legge controverso presentato da esponenti dell’opposizione di destra alla Knesset, il parlamento israeliano, che prevede l’annessione del territorio conteso come reazione al terrorismo palestinese.

 

Il primo ministro Benjamin Netanyahu, sostenitore degli insediamenti ebraici in quell’area, si oppone al provvedimento, poiché rischierebbe di allontanare gli Stati arabi e musulmani aderenti agli Accordi di Abramo e al cessate il fuoco di Gaza.

 

Netanyahu ha criticato aspramente il disegno di legge, accusando i promotori di opposizione di una «provocazione» deliberata in concomitanza con la visita del vicepresidente statunitense J.D. Vance. (Lo stesso Vance ha qualificato il disegno di legge come un «insulto» personale)

Sostieni Renovatio 21

«I commenti pubblicati giovedì dalla rivista TIME sono stati espressi da Trump durante un’intervista del 15 ottobre, prima dell’approvazione preliminare alla Knesset di mercoledì – contro il volere del primo ministro – di un disegno di legge che estenderebbe la sovranità israeliana a tutti gli insediamenti della Cisgiordania» ha scritto il quotidiano israeliano Times of Israel.

 

Evidenziando l’impazienza dell’amministrazione verso tali iniziative, il vicepresidente di Trump, J.D. Vance, ha dichiarato giovedì, lasciando Israele, che il voto del giorno precedente lo aveva «offeso» ed era stato «molto stupido».

 

«Non accadrà. Non accadrà», ha affermato Trump a TIME, in riferimento all’annessione. «Non accadrà perché ho dato la mia parola ai Paesi arabi. E non potete farlo ora. Abbiamo avuto un grande sostegno arabo. Non accadrà perché ho dato la mia parola ai paesi arabi. Non accadrà. Israele perderebbe tutto il sostegno degli Stati Uniti se ciò accadesse».

 

Vance ha precisato che gli era stato descritto come una «trovata politica» e «puramente simbolica», ma ha aggiunto: «Si tratta di una trovata politica molto stupida, e personalmente la considero un insulto».

 

Gli Emirati Arabi Uniti, che hanno guidato i Paesi arabi e musulmani negli Accordi di Abramo, si oppongono da tempo all’annessione della Cisgiordania, sostenendo che renderebbe vani i futuri negoziati di pace nella regione.

 

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21


Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr

Continua a leggere

Geopolitica

Sanzioni sul petrolio, Trump ora è «completamente sul piede di guerra con la Russia»: parla Medvedev

Pubblicato

il

Da

L’ex presidente della Federazione Russa Dmitrij Medvedevha qualificato le recenti sanzioni imposte dal presidente Donald Trump ai colossi petroliferi russi come un «atto di guerra» che colloca gli Stati Uniti in aperta ostilità con Mosca.   «Gli Stati Uniti sono nostri nemici, e il loro chiacchierone “pacificatore” ha ormai intrapreso la via della guerra contro la Russia», ha affermato Medvedev, alto esponente della sicurezza nazionale russa. «Le decisioni adottate rappresentano un atto di guerra contro la Russia. E ora Trump si è completamente allineato con l’Europa folle», ha precisato nella sua dichiarazione.   Rosneft e Lukoil, le principali compagnie petrolifere russe, sono state bersaglio delle sanzioni del Tesoro statunitense, unitamente a decine di loro filiali, con un conseguente rialzo del 3% dei prezzi mondiali del petrolio giovedì. Ulteriori effetti si sono riverberati sull’India, primo importatore di greggio russo, che sta considerando una contrazione dei propri acquisti.

Iscriviti al canale Telegram

Trump ha ripetutamente sostenuto che «la guerra non sarebbe mai dovuta iniziare» e che le responsabilità ricadono su Joe Biden, ma Medvedev ha criticato anche il leader repubblicano su questo punto, secondo i media statali russi.   Medvedev ha ipotizzato che Trump sia stato influenzato da falchi interni e internazionali a irrigidirsi, piuttosto che da una convinzione ideologica come per il suo predecessore Biden. «Ma ora è il suo conflitto», ha concluso, ribadendo che la Russia deve puntare al raggiungimento degli obiettivi militari anziché ai negoziati.   «Certo, diranno che non aveva scelta, che è stato costretto dal Congresso e così via», ha ammesso Medvedev nella dichiarazione. Tuttavia, non emergono indizi chiari che l’amministrazione Trump abbia esercitato pressioni concrete sul suo alleato Zelens’kyj per concedere cessioni territoriali sostanziali o per abbandonare definitivamente l’aspirazione all’adesione alla NATO. Al contrario, Trump ha autorizzato attacchi a lungo raggio sul suolo russo e ha persino approvato il supporto dei servizi segreti agli ucraini per colpire infrastrutture energetiche nel cuore del Paese.   Con queste escalation promosse da Trump, Medvedev asserisce che il presidente è in carico ormai il conflitto in atto, anche dopo che la Casa Bianca ha confermato l’annullamento del vertice di Budapest con Putin. «Non voglio che un incontro sia sprecato», aveva detto Trump all’inizio della settimana. «Non voglio buttare via tempo, quindi valuteremo cosa accadrà».   Anche il Cremlino aveva sottolineato che «serve una preparazione, una preparazione seria» prima di concretizzare un summit.

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21
Immagine di Bashkortostan.ru via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International
Continua a leggere

Più popolari