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Spirito

Sermone funebre di mons. Tissier

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Nella sua omelia, don Davide Pagliarani, sottolinea la fedeltà esemplare di mons. Tissier alla Fraternità San Pio X e alla Santa Chiesa.
Uomo semplice, costante e fervente, prestò servizio con instancabile dedizione nonostante le difficoltà.

 

Tutta la sua vita fu incentrata sulla difesa della messa tradizionale e del regno di Cristo Re.

 

La Fraternità, pur afflitta, trova conforto nell’esempio che lascia e continua ad affidarsi alla Provvidenza per il futuro.

 

 

Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, così sia.

 

Miei signori, cari fratelli, care sorelle, cari fedeli,

 

Innanzitutto desidero esprimere le nostre più sincere condoglianze alla famiglia di monsignor Tissier, ai membri qui presenti. Condividiamo, essendo famiglia spirituale di monsignor Tissier, condividiamo il loro lutto.

 

Sì, la Fraternità oggi è veramente in lutto. È una perdita significativa: è la perdita di un vescovo. È la perdita, per così dire, di una pagina della nostra storia. Una pagina molto bella della nostra storia.

 

Ma questa perdita, e il lutto in cui ci troviamo oggi, sono compensati dalla consolazione dell’esempio che ci ha lasciato. Nostro Signore, che mantiene sempre la sua parola, è venuto a cercarlo «come un ladro»: non eravamo preparati a una morte così improvvisa. Ma Nostro Signore, nella sua delicatezza, volle venire a prenderlo proprio mentre stava per celebrare la messa. Fu in quel momento che monsignore perse conoscenza. Il suo ultimo atto fu quello di andare a celebrare la messa, e morì dopo pochi giorni.

 

Non è un caso: la massa era la sua ragion d’essere. Ha cercato monsignor Lefebvre, perché cercava la fedeltà alla messa. Vi aderì lo stesso anno in cui fu promulgata la nuova messa, e rimase fedele a questa messa eterna. E ora, il Buon Dio lo considerava maturo: maturo per questa nuova liturgia, la liturgia eterna, in cui i sacerdoti, i vescovi, cantano costantemente: «Ecco l’Agnello che è stato immolato – questo Agnello, che io – anch’io ho immolato, durante tutta la mia vita sacerdotale – ecco l’Agnello degno di ricevere gloria e onore nell’eternità».

 

San Paolo descrive monsignor Tissier

Non è troppo difficile tratteggiare in poche parole il ritratto di Mons. Tissier, perché lo fece già San Paolo 2000 anni fa. Cito San Paolo. Cosa chiede San Paolo a un vescovo? E vedrete come ciò corrisponde perfettamente al nostro caro monsignor Tissier. Le circostanze stesse del suo episcopato, del suo sacerdozio, furono descritte da San Paolo 2000 anni fa.

 

«Ti prego, davanti a Dio e davanti a Gesù Cristo che deve giudicare i vivi e i morti, per la sua venuta e per il suo regno: proclama la parola, insisti a tempo opportuno e sfavorevole, rimprovera, supplica, minaccia con ogni pazienza e dottrina». Ebbene, questo è ciò che monsignor Tissier sapeva fare. Era franco, sincero, semplice, senza doppiezze… fermo, costante, libero, libero di predicare la verità, di dire la verità, libero di servire Nostro Signore Gesù Cristo.

 

«Poiché – ci dice san Paolo – verrà un tempo in cui gli uomini non sopporteranno più la sana dottrina, ma raduneranno attorno a sé i maestri secondo i loro desideri. Provando un forte prurito alle orecchie e distogliendo l’udito dalla verità, si rivolgeranno alle favole». Descrizione molto precisa della situazione in cui si trova la Chiesa, dove gli uomini si sono rivolti alle favole, dove gli uomini di Chiesa si sono rivolti alle favole: l’ecumenismo è una favola; il secolarismo è una favola; il sinodo è una favola nuova, che produrrà altre favole… Che grazia averlo capito nel 1969! Che grazia aver cercato monsignor Lefebvre, averlo scoperto ed essergli fedele. Che grazia non credere alle favole!

 

«Ma tu, vigila e non rifiutare nessun lavoro. Compi il lavoro di un evangelista. Compi il tuo ministero, sii sobrio» «Siate generosi nel vostro lavoro»: predicare sempre Cristo, la verità. «Il lavoro di un evangelista»: predicare Nostro Signore così com’è, senza alterare nulla, anche se non piace. «Compi il tuo ministero», il tuo dovere, fino alla fine. E «essere sobrio» è molto interessante: monsignor Tissier ci lascia l’esempio di una vita molto povera, sobria. E certo, questa semplicità, questa povertà, quest’anima infantile conservata fino alla fine, è stata il segreto, la chiave della sua fedeltà.

 

Ed è soprattutto su questa fedeltà di monsignor Tissier che vorrei meditare con voi qualche istante, perché la sua fedeltà riassume perfettamente la sua vita. Fedele a monsignor Lefebvre, fedele alla Fraternità e fedele alla Chiesa.

 

La fedeltà di Mons. Tissier

Monsignor Tissier aveva questa nozione molto chiara: essere fedeli alla Fraternità significa essere fedeli alla Chiesa. Ha denunciato molto chiaramente questo falso dilemma, secondo il quale si dovrebbe scegliere tra la fedeltà alla Chiesa e la fedeltà alla Fraternità. NO! Essere fedeli alla Fraternità significa essere fedeli ai mezzi datici dalla Provvidenza per rimanere fedeli alla Chiesa. Non scegliamo. E Mons. Tissier lo ha detto molto, molto chiaro.

 

Fedele nel tempo: ecco il bello! È stato uno dei primissimi seminaristi a cercare mons. Lefebvre, nel 1969, prima ancora che la Fraternità fosse fondata, senza sapere cosa sarebbe successo. Guidati esclusivamente dalla fede e dal desiderio di servire Nostro Signore. Nel 1969! Noi, col senno di poi, sappiamo cosa è successo. Nel 1969 c’erano solo pochi seminaristi, la metà dei quali se ne sarebbero andati prima ancora che la Società fosse fondata. Che fede, che fedeltà fino ad oggi, fino al 2024! Fedeltà nel tempo, perseveranza… La perseveranza è fedeltà nel tempo, questa fedeltà incrollabile.

 

E fedeltà nelle prove: tutte le prove che descrive nella biografia di mons. Lefebvre, tutte queste prove del fondatore della Fraternità sono descritte con l’occhio, e l’attenzione, e il cuore del testimone diretto e del discepolo e fedele attento, che comprende, fin dall’inizio, come l’opera di Dio debba essere sempre fruttuosa attraverso la croce. Sì, questa croce che Dio non ha risparmiato fin dall’inizio alla Fraternità; e questa croce che sempre incontreremo e che è il segno che la Fraternità è opera di Dio.

 

E in questa fedeltà, e per questa stessa fedeltà, ha il merito, monsignor Tissier, di aver raccolto, per primo, di aver studiato, ordinato tutti gli avvenimenti della vita di Mons. Lefebvre, e tutti i suoi insegnamenti. Da discepolo fedele, non voleva che nulla di ciò che Mons. Lefebvre ci ha lasciato in eredità andasse perduto.

 

Ha sempre avuto questa preoccupazione: che questo pensiero venga trasmesso con fedeltà alle generazioni più giovani, a tutti noi, alle generazioni future. Si tratta di una preoccupazione cruciale per un’opera che vuole essere un’opera di conservazione e di trasmissione, come la Fraternità San Pio, delle parole di San Paolo, che lo stesso monsignor Lefebvre ha voluto fare sue: «Ho trasmesso ciò che ho ricevuto», Tradidi quod et accepi. Ho trasmesso fedelmente ciò che mi è stato donato, senza toccare nulla, così come l’ho ricevuto, con la delicatezza del discepolo, l’umiltà del discepolo: più si è umili, più si è fedeli nel trasmettere il tesoro che abbiamo ricevuto, così com’è, senza toccarlo.

 

E in questo tesoro che monsignor Tissier ha saputo trasmettere fedelmente, come ogni persona di genio, come un vero biografo di monsignor Lefebvre, ha certamente saputo sintetizzare questo pensiero e questa materia attorno ad un’idea centrale, che ricorreva sistematicamente nelle sue prediche, nei suoi discorsi: è l’idea di Cristo Re. È molto più di un motto episcopale, per monsignor Tissier.

 

Possiamo dire che questa è stata la stella di tutto il suo episcopato: i diritti di Nostro Signore sulle anime, sulle coscienze, sulle persone, sulla Chiesa, sulla famiglia e sulla società. Quante volte Mons. Tissier è tornato lì! Era davvero l’idea centrale attorno alla quale aveva riordinato e riorganizzato tutto.

 

E questa fedeltà non era soltanto una fedeltà teorica ai principi. Questa lealtà si è riflessa nell’adempimento del suo dovere statale fino alla fine. E forse sono il primo testimone a poterlo dire: Mons. Tissier ha voluto servire la Fraternità fino alla fine, al di là delle sue forze. È stato incredibile, nonostante la sua età.

 

Da dove viene questa forza? Da dove viene questa forza? È venuto dall’amore di Nostro Signore e dall’amore della Fraternità. E posso assicurarle che ogni volta che abbiamo provato – che ho provato, scusatemi se uso la prima persona – a invitare monsignore a viaggiare magari un po’ meno, per alleggerire i suoi compiti… era inutile, era impossibile. Non ci sono arrivato. Non ci sono arrivato… Ma adesso, adesso, è il ricordo più bello che conserverò di Mons. Tissier. Ed è un esempio per tutti i membri della Fraternità: trovate forza in Nostro Signore! Trovare la forza che va oltre la forza fisica che ci resta. Fino alla fine, fino agli ultimi minuti della nostra vita.

 

Che grande esempio!

 

Il futuro della Fraternità

Naturalmente ora ci chiediamo tutti: cosa succederà? Abbiamo perso un vescovo. Come sta vivendo la Fraternità questo momento? E soprattutto, come vivrà il futuro? Il prossimo futuro, con tutto ciò che ciò implica?

 

La Fraternità vive questo momento nella calma, nella preghiera, nella gratitudine alla Provvidenza per averci donato un tale vescovo. E la Confraternita non ha fretta. Segue semplicemente i segni della Provvidenza.

 

Quella stessa Provvidenza che sempre ci ha mostrato il suo aiuto nei momenti più critici, più difficili. Quella Provvidenza alla quale questo giovane di 24 anni si è arreso nel 1969, e che lo ha guidato fino ad oggi. Questa Provvidenza che ha condotto la Fraternità in mezzo alla peggiore tempesta della storia della Chiesa… Questa Provvidenza non ci abbandonerà oggi.

 

Questa Provvidenza non ci abbandonerà domani. Ci ha già dimostrato più che a sufficienza il suo aiuto, la sua assistenza. E così il nostro lutto oggi si mescola a una rinnovata fiducia.

 

Quindi cosa cambia? Adesso cambia solo una cosa, una sola cosa: è la certezza e il riconoscimento di avere un vescovo in meno sulla terra, ma di avere nell’eternità qualcuno che vigila sulla Fraternità. Abbiamo un nuovo protettore, che nell’eternità continua ad osservarci, continua con la sua preghiera ad assisterci, e continua, attraverso i ricordi che ci ha lasciato, naturalmente, attraverso il suo esempio, ad indicarci in quale direzione deve andare. Questo è ciò che cambia per noi.

 

Approfitto di questa parola anche per ringraziare per tutte le preghiere, tutti i messaggi che sono stati rivolti alla Fraternità in questi ultimi giorni, che testimoniano sia la grande stima che tutti nutrivano per monsignor Tissier, sia l’attaccamento di tutti a la Fraternità. Vi ringrazio per tutte queste preghiere, e naturalmente vi invito a continuare a pregare: e per il riposo dell’anima di monsignor Tissier, e per la Fraternità in questo momento particolare.

 

Tutto questo affidiamo alla Santissima Vergine. Il vescovo Tissier aveva per lei una grande devozione. Sua è stata la devozione della Fraternità, ed è soprattutto sotto la sua protezione che, ne siamo certi, il futuro sarà in continuità con il passato, e con la storia della Fraternità così come si è svolta fino ad oggi, e come mons Tissier in particolare ha saputo incarnarlo e rappresentarlo.

 

Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, così sia.

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.news.

 

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I tribunali possono obbligare una suora ad essere reintegrata?

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La Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) è stata investita di un caso insolito, gestito in modo particolarmente singolare. Suor Elisabetta ha fatto parte di una comunità religiosa della Chiesa greco-cattolica ucraina tra il 2011 e il maggio 2017. In quel periodo, ha lasciato il monastero di sua spontanea volontà. Agli occhi del diritto canonico, non è più una suora ed è tornata al suo nome civile, Zhanna K.  

Una corte d’appello ucraina ha stabilito che l’ex suora risiede ancora nella sua ex cella monastica

Dal febbraio 2018, Zhanna K. desidera tornare al monastero e vivere nella sua ex cella. Ha tentato di entrare diverse volte, ma le serrature sono state cambiate. A quanto pare, non ha altro alloggio. Zhanna K. ha invocato, davanti ai tribunali ucraini, il suo diritto a tornare nella cella monastica che ha occupato per otto anni come Suor Elisabetta.   Ha vinto la causa davanti a una corte d’appello ucraina il 18 dicembre 2023. La corte ha stabilito che la sua cella costituiva una casa ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) e che il monastero doveva consentirle il ritorno. La corte ha ordinato al monastero di fornire a Zhanna K. le chiavi del cancello del monastero e della porta d’ingresso che conduce alle celle.   Di fronte a questa decisione, il monastero ha presentato ricorso alla Corte Suprema ucraina. Il monastero sostiene che la controversia rientra nel diritto canonico, non nel diritto civile. Si basa in particolare sul principio di autonomia delle organizzazioni religiose, tutelato dalla libertà di religione ai sensi dell’articolo 9 della Convenzione europea.

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La Grande Camera della CEDU emetterà un parere consultivo.

Prima di pronunciarsi sulla controversia, la Corte Suprema ucraina ha sottoposto il caso alla CEDU, richiedendo un parere consultivo. La Corte Suprema ucraina chiede alla CEDU se la cella monastica di un’ex suora sia protetta in quanto residenza privata e se i tribunali civili avessero giurisdizione per pronunciarsi su una simile controversia religiosa.   Il parere consultivo richiesto sarà emesso dalla Grande Camera, la corte suprema della CEDU. Avrà quindi un impatto sul riconoscimento dei diritti delle comunità religiose in tutta Europa. Il Centro Europeo per il Diritto e la Giustizia (ECLJ) ha ottenuto l’autorizzazione a intervenire come terza parte nel procedimento e ha presentato le sue osservazioni scritte il 31 ottobre 2025.   Queste osservazioni dimostrano che una cella monastica non è la dimora di una suora, tanto meno dopo che questa ha lasciato la comunità, e che tale questione rientra nell’organizzazione interna della comunità.  

La Corte d’Appello ucraina si sbaglia sulla natura di una cella monastica.

Il diritto al rispetto della propria casa, tutelato dall’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, è applicabile a un monastero? In tal caso, tale diritto deve essere riconosciuto al monastero stesso e non a ogni singola suora. In effetti, la CEDU ha già riconosciuto che le persone giuridiche possono avere diritto al rispetto del proprio domicilio.   Inoltre, una cella monastica non può essere separata dal monastero nel suo complesso. Infatti, la sua organizzazione è comunitaria e le monache pronunciano voti che mettono in comune tutti i loro beni e rinunciano alla propria casa (voto di povertà), si impegnano a non costituire una famiglia (voto di castità) e promettono di obbedire al superiore della congregazione (voto di obbedienza).   Le celle monastiche sono considerate spazi di riposo e preghiera, non case. Sono identiche. Una monaca non può modificare la decorazione o l’arredamento della sua cella. Non può invitare persone esterne alla comunità. Generalmente consuma i pasti in comune con le altre monache, non nella sua cella.

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Il principio europeo di «autonomia delle organizzazioni religiose» applicato al monastero

Questa realtà monastica non ha equivalenti secolari. Per questo motivo, deve essere regolata da un regime specifico: quello della libertà di religione, riconosciuto dall’articolo 9 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che garantisce alle organizzazioni religiose il diritto al rispetto della propria autonomia. L’autonomia mira a garantire che le organizzazioni religiose «possano funzionare pacificamente, senza interferenze arbitrarie da parte dello Stato».   Pertanto, le comunità religiose sono libere di operare come ritengono opportuno e di definire «le condizioni di adesione» e quindi di «escludere i membri esistenti». Lo Stato deve accettare «il diritto di queste comunità di rispondere, secondo le proprie regole e i propri interessi, a qualsiasi movimento di dissenso che possa sorgere al loro interno».   La CEDU ritiene inoltre che «in caso di disaccordo dottrinale o organizzativo tra una comunità religiosa e uno dei suoi membri, la libertà religiosa dell’individuo, si esercita attraverso il suo diritto di lasciare liberamente la comunità».   Pertanto, se la cella monastica occupata da Zhanna K. non è mai stata la sua casa, questa cella non può, a maggior ragione, essere considerata la sua casa dopo che ha lasciato il monastero e non è più una monaca.   Costringere il monastero a ospitare Zhanna K. implicherebbe o la sua reintegrazione nella vita monastica come Suor Elisabetta o la revisione dell’intero funzionamento della comunità per garantirle un posto speciale come laica. Tale obbligo violerebbe il diritto del monastero al rispetto della propria autonomia.  

La Corte d’Appello ucraina ha oltrepassato i limiti della sua giurisdizione

Il principio dell’autonomia delle organizzazioni religiose ha conseguenze sulla giurisdizione dei tribunali civili in un caso del genere. Questi tribunali possono applicare le decisioni delle organizzazioni religiose, ma non possono giudicarne il merito.   In sostanza, il controllo da parte dei tribunali civili deve limitarsi a verificare l’assenza di abusi da parte delle autorità religiose. Concedendo a un’ex suora il diritto di tornare nella sua cella, nonostante la decisione del monastero, la Corte d’Appello ucraina ha ecceduto la propria giurisdizione.   Questa sentenza della Corte d’Appello è stata ancora più inaspettata se si considera che la legge ucraina offre ai monasteri garanzie in merito alla loro libertà di organizzare e utilizzare i propri edifici. Inoltre, anche adottando un’interpretazione estensiva del diritto all’alloggio, fornire una cella a una suora non crea alcun diritto civile ai sensi della legge ucraina.   Articolo previamente apparso su FSSPX.News

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Immagine di Jeanette via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC-SA 2.0
 
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Svelate le vetrate contemporanee per la Cattedrale di Notre-Dame

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Dopo due anni di polemiche, e nonostante la forte opposizione delle associazioni per la tutela del patrimonio, la sostituzione delle vetrate di Viollet-le-Duc, rimaste intatte dall’incendio che ha colpito la Cattedrale di Notre-Dame il 15 aprile 2019, con creazioni contemporanee sta prendendo forma: i modelli sono ora esposti.

 

La mostra D’un seul souffle è stata inaugurata il 10 dicembre 2025 nella Galleria 10.2 del Grand Palais (Parigi, VIII arrondissement). I visitatori possono scoprire i modelli a grandezza naturale, i bozzetti e altri lavori preparatori per le sei vetrate create da Claire Tabouret, vincitrice del concorso indetto dal ministero della Cultura.

 

Queste vetrate sono destinate a sostituire le creazioni ottocentesche di Viollet-le-Duc in sei cappelle della navata sud, vetrate progettate dall’architetto in linea con le origini gotiche della cattedrale. La petizione che ne richiede la conservazione spiega: «oltre alle vetrate narrative del deambulatorio, del coro e del transetto, le cappelle della navata presentano vetrate a grisaglia puramente decorative».

 

«Qui si manifesta una ricerca di unità architettonica e di gerarchia spaziale che è parte integrante della sua opera e che il restauro ha specificamente mirato a riscoprire. Inoltre, il progetto in corso ha incluso la pulizia e il consolidamento di tutte queste vetrate, vetrate che non sono state toccate né danneggiate dall’incendio e che sono classificate come monumenti storici, proprio come il resto dell’edificio».

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Una sostituzione fortemente controversa

La decisione di installare vetrate contemporanee nella Cattedrale di Notre-Dame è un’iniziativa personale di Emmanuel Macron, annunciata durante la sua visita al cantiere l’8 dicembre 2023 e sostenuta dall’arcivescovo di Parigi Laurent Ulrich. «Che vengano cambiate e che portino l’impronta del XXI secolo», dichiarò il Presidente all’epoca.

 

La sostituzione delle vetrate di Viollet-le-Duc, sopravvissute all’incendio del 2019, aveva scatenato un’accesa controversia. Nel luglio 2024, la Commissione Nazionale per il Patrimonio e l’Architettura ha respinto il progetto, sostenendo che la creazione artistica non dovrebbe sacrificare elementi del patrimonio di interesse pubblico.

 

La Tribune de l’Art ha lanciato una petizione che, ad oggi, ha raccolto quasi 300.000 firme. L’associazione Sites & Monuments ha presentato ricorso al Tribunale Amministrativo di Parigi per annullare o risolvere l’appalto pubblico. Il ricorso è stato respinto dal tribunale a fine novembre.

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Nel frattempo, lo Stato vuole trarre profitto dal restauro di Notre-Dame

Didier Rykner, il dinamico direttore de La Tribune de l’Art, che si oppone a questa sostituzione, ha appena pubblicato un editoriale in cui denuncia l’avidità dello Stato, che pretende fondi privati ​​per coprire spese che dovrebbero essere a suo carico.

 

Come sottolinea il giornalista, l’istituzione pubblica responsabile della conservazione e del restauro della Cattedrale di Notre-Dame non dovrebbe essere mantenuta. «Ora che le tracce dell’incendio sono scomparse, non vi è alcuna giustificazione per cui questa struttura, creata esclusivamente per questo restauro, continui a funzionare».

 

«Notre-Dame ha ora bisogno di restauro, ma questi lavori dovrebbero continuare, come di consueto, sotto la direzione del DRAC Île-de-France, ovvero il ministero della Cultura, senza bisogno di un’istituzione pubblica. Un’istituzione del genere, i cui costi di gestione sono considerevoli, non è più giustificata, a meno che non si decida di creare istituzioni pubbliche per il restauro di tutti i principali monumenti statali…»

 

Inoltre, permane un «surplus» di fondi privati ​​donati per il restauro della cattedrale più famosa del mondo, che sarà utilizzato per il restauro dell’abside e degli archi rampanti che la sostengono, e anche, a quanto pare, per la sacrestia, i tre grandi rosoni e le facciate nord e sud del transetto. Ma Philippe Jost, direttore dell’istituzione pubblica, chiede altri 140 milioni.

 

E Didier Rykner ha concluso: «non dobbiamo più dare un solo centesimo a Notre-Dame per sostituire uno Stato in rovina che si rifiuta di adempiere ai propri obblighi. Le cattedrali, come Notre-Dame, devono essere restaurate e mantenute dal loro proprietario, lo Stato. E l’istituzione pubblica, che ha fatto la sua parte e ora vuole deturpare la cattedrale rimuovendo le vetrate di Viollet-le-Duc, non ha più ragione di esistere. Deve essere chiusa».

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia

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Il cardinale Zen risponde alle critiche del sacerdote cinese e avverte che la Chiesa potrebbe imitare il crollo anglicano

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Il cardinale Joseph Zen, 93enne vescovo emerito di Hong Kong, ha risposto a un articolo di un sacerdote cinese che accusava coloro che, come Zen, criticano l’ultima nomina episcopale nella Cina continentale di mostrare «stupidità», «malizia» o una «personalità distorta». Lo riporta LifeSite.   Nel suo articolo che celebrava il ritiro del vescovo Zhang Weizhu dalla diocesi di Xinxiang e la consacrazione del vescovo Li Jianlin, padre Han Qingping ha accusato Zen in termini appena velati: «se qualcuno, semplicemente perché la sceneggiatura non si sviluppa secondo le proprie aspettative, allora “nega o addirittura ricorre a dicerie e calunnie” (della bella scena sopra menzionata)… questa è puramente una manifestazione del fatto che “non è stupido” ma “malvagio” o “ha un disturbo della personalità”, proprio come un certo cardinale».   «Questo mi ha toccato nel profondo», ha risposto il cardinale Zen sul suo blog personale, pubblicato in lingua inglese su X. «Non ammetto di essere una “cattiva persona” o di avere un “disturbo della personalità”, ma sono davvero abbastanza “stupido” da “prenderla sul personale”».

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«Per sfogare il suo risentimento verso questo malvagio cardinale, padre Han improvvisamente devia dall’argomento nel paragrafo finale per parlare del cosiddetto sinodo sulla “sinodalità”», ha osservato Sua Eminenza.   «Ciò che ho definito “comportamento suicida della Chiesa” non si riferisce all’intero cosiddetto sinodo, né all’intera questione della “sinodalità”; si riferisce solo all”attuazione della cosiddetta fase esecutiva del Sinodo basata sul cosiddetto Documento conclusivo”», ha spiegato il porporato.   Il cardinale Zen ha affermato che l’attuazione del documento finale rischia di creare disunità nella Chiesa.   «Sia il segretario generale del sinodo che il suo relatore ammettono che diverse diocesi possono avere interpretazioni molto diverse di quel documento (da un sostegno entusiastico a una forte opposizione); secondo queste diverse interpretazioni, diverse regioni avranno “prove” diverse», ha scritto il principe di Santa Romana Chiesa.   «In definitiva, la nostra Chiesa non ha forse accettato lo stesso tipo di ‘diversità’ della Comunione anglicana?», ha chiesto il cardinale, avvertendo che la Chiesa cattolica romana potrebbe presto trovarsi ad affrontare un futuro disastroso simile: «di conseguenza, la Chiesa d’Inghilterra conserva solo circa il 10% dei credenti anglicani del mondo; il restante ottanta percento si è separato per formare la Global Anglican Future Conference, non accettando più la guida spirituale dell’arcivescovo di Canterbury!»   Papa Francesco si è lasciato alle spalle «caos e divisione», aveva scritto il porporato di Hong Kongo in un post sul blog di novembre. «La nostra più grande speranza è che papa Leone unisca la Chiesa sul fondamento della verità, radunandoci tutti nella missione dell’evangelizzazione. Dobbiamo offrire le nostre preghiere e i nostri sacrifici per papa Leone».

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Il cardinale Zen non ha esitato a condividere le sue preoccupazioni sul processo sinodale. Dopo la morte di Francesco, Sua Eminenza aveva avvertito gli elettori prima del conclave che la Chiesa si trova ad affrontare una «questione di vita o di morte» mentre si confronta con esso. In un commento pubblicato nel febbraio 2024, Sua Eminenza aveva affermato di sperare che «questo Sinodo sulla “sinodalità” possa concludersi con successo».   Per molti anni, lo Zen ha rimproverato il Vaticano per la sua indulgenza nei confronti del Partito Comunista Cinese in merito alla nomina dei vescovi. Allo stesso tempo, ha concluso il suo post sottolineando la sua devozione alla Cattedra di San Pietro.   «La mia critica a certe azioni papali nasce proprio dalla mia profonda riverenza per il Papa», ha affermato, citando diversi versetti del Vangelo, tra cui Matteo 14 e Luca 22, che fanno riferimento al momento in cui San Pietro – che non era ancora papa – dubitò di Nostro Signore mentre camminava sulle acque e quando Cristo gli disse che lo avrebbe rinnegato tre volte, rispettivamente.   A ottobre, il cardinale Zen ha denunciato il pellegrinaggio LGBT all’interno della Basilica di San Pietro. «Il Vaticano era a conoscenza di questo evento in anticipo, ma non ha emesso alcuna condanna in seguito. Lo troviamo davvero incomprensibile!», ha esclamato, chiedendo che venissero compiuti sacrifici di preghiera e digiuno.  

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