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Terrorismo

Londra inserisce nella lista nera tre avamposti di coloni israeliani

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La Gran Bretagna ha imposto sanzioni a diversi avamposti di coloni e organizzazioni israeliane in Cisgiordania, invitando lo Stato ebraico a reprimere la violenza contro i residenti palestinesi.

 

Gli insediamenti israeliani in Cisgiordania sono illegali secondo il diritto internazionale, in quanto sono visti come ostacoli alla formazione di uno Stato palestinese indipendente. Tuttavia, molti ebrei scelgono di costruire comunità lì per motivi religiosi e sostengono di vivere su un’antica terra israeliana nota come Giudea e Samaria. I violenti scontri tra coloni e palestinesi locali sono stati ampiamente documentati da gruppi per i diritti umani.

 

In una dichiarazione di martedì, il Foreign Office del Regno Unito ha affermato di aver inserito nella lista nera tre avamposti, che hanno sostenuto coloni «estremisti» e sono coinvolti in «attività che costituiscono un grave abuso del diritto dei palestinesi a non essere sottoposti a trattamenti o punizioni crudeli, inumani o degradanti».

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Sono state prese di mira anche quattro organizzazioni di coloni, tra cui la yeshiva Od Yosef Chai, che il governo del Regno Unito ha descritto come «una scuola religiosa inserita nell’insediamento di Yitzhar nota per promuovere la violenza contro i non ebrei».

 

La yeshiva (cioè scuola rabbinica) era inizialmente situata nella Tomba di Giuseppe a Nablus, ma fu trasferita nell’insediamento di Yitzhar dopo che il sito originale fu abbandonato in seguito allo scoppio dell’Intifada di Al-Aqsa. Nell’aprile 2014, l’IDF sequestrò la yeshiva, che fungeva da quartier generale da dove venivano lanciati violenti attacchi sia ai villaggi palestinesi vicini che alle forze di sicurezza israeliane, e gli studi talmudici vennero sospesi.

 

«Quando sono andato in Cisgiordania all’inizio di quest’anno, in uno dei miei primi viaggi come ministro degli Esteri, ho incontrato palestinesi le cui comunità hanno subito orribili violenze per mano dei coloni israeliani», ha affermato il ministro degli Esteri David Lammy, annunciando le restrizioni.

 

«L’inazione del governo israeliano ha permesso che prosperasse un ambiente di impunità in cui la violenza dei coloni è stata autorizzata ad aumentare senza controllo. I coloni hanno preso di mira in modo scioccante persino scuole e famiglie con bambini piccoli», ha aggiunto.

 

Lammy ha esortato Israele a «reprimere la violenza dei coloni e a fermare l’espansione dei coloni sulle terre palestinesi».

 

Sono stati registrati più di 1.400 «incidenti di violenza dei coloni» da quando è scoppiata la guerra tra Israele e Hamas nell’ottobre 2023, ha affermato il Foreign Office, citando dati delle Nazioni Unite.

 

Il primo ministro israeliano Beniamino Netanyahu ha sfidato le pressioni internazionali promettendo negli ultimi anni di espandere gli insediamenti. L’anno scorso, il suo governo ha approvato una risoluzione che semplifica drasticamente il processo di approvazione dei piani di costruzione. La decisione è stata ampiamente elogiata dai leader dei coloni, che hanno sostenuto che gli israeliani che vivono in Cisgiordania non dovrebbero essere trattati come «cittadini di seconda classe».

 

La Cisgiordania conta ora 2,7 milioni di palestinesi e mezzo milione di coloni israeliani. La maggior parte dei coloni giustifica la propria occupazione della terra sulla base di argomenti religiosi o storici e respinge qualsiasi rivendicazione palestinese sulla stessa terra. Tuttavia, quasi il mondo intero considera illegali gli insediamenti israeliani. Anche gli Stati Uniti almeno nelle comunicazioni di superficie, vedono tale situazione come un ostacolo alla soluzione dei due Stati.

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Prima della strage del rave, alcuni coloni erano addirittura stati accusati dal governo israeliano di «terrorismo ebraico».

 

Tuttavia, i raid dei coloni verso i palestinesi continuavano fino alla rivolta violenta del 26 febbraio 2023 nella città cisgiordana di Huwara.

 

Come riportato da Renovatio 21, i coloni ebraici hanno tenuto un mega-convegno per pianificare la colonizzazione di Gaza. Al raduno massivo, tra balli sfrenati di musica tunza-tunza, hanno partecipato vari ministri del governo Netanyahu.

 

Vari attacchi di coloni ebraici si sono registrati anche nel quartiere armeno di Gerusalemme, dove è in corso una disputa immobiliare che ha assunto connotati di violenza religiosa anticristiana.

 

L’anno scorso gli attacchi ai cristiani in Terra Santa sono stati definiti come «senza precedenti».

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Immagine di Shark1989z via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International

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Terrorismo

Bomba a Rafah, Hamas nega la responsabilità

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Hamas ha respinto ogni responsabilità per l’esplosione di un ordigno che ha colpito un veicolo blindato israeliano a Rafah, città nel sud di Gaza, e ha invitato la comunità internazionale a fare pressione su Israele affinché rispetti l’accordo di cessate il fuoco.   Il cessate il fuoco, mediato dagli Stati Uniti e entrato in vigore a Gaza il 10 ottobre, prevedeva il ritiro delle truppe israeliane da alcune aree dell’enclave e il rilascio da parte di Hamas degli ultimi 20 ostaggi israeliani rimasti, in cambio della liberazione di circa 2.000 detenuti palestinesi.   La presa di posizione è giunta dopo che le Forze di Difesa Israeliane (IDF) hanno segnalato il ferimento di un ufficiale in un’esplosione a Rafah. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha attribuito l’attentato a Hamas, ma il movimento palestinese ha replicato che l’incidente è avvenuto in una zona completamente sotto controllo israeliano, dove «non è presente alcun palestinese».   Mercoledì Hamas ha diffuso un comunicato su Telegram in cui ha sottolineato che i residuati bellici costituiscono un pericolo noto nella regione, aggiungendo che «non ha alcuna responsabilità per nessuno di questi incidenti da quando è entrato in vigore l’accordo di cessate il fuoco», in particolare per quanto riguarda «gli esplosivi piazzati dall’occupazione stessa nella zona».

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Hamas ha esortato Israele a rispettare l’intesa e ad «astenersi dal inventare scuse per intensificare e indebolire la tregua», ribadendo il proprio impegno a osservarne i termini.   Anche un alto esponente di Hamas, Mahmoud Mardawi, ha scritto su X di ritenere che l’esplosione di Rafah sia stata provocata da ordigni inesplosi rimasti dal conflitto. Netanyahu, al contrario, ha sfruttato l’episodio per affermare che Hamas «non ha intenzione di disarmare» – requisito essenziale della tregua – e ha avvertito che «Israele risponderà di conseguenza».   Hamas ha sollecitato pressioni internazionali per obbligare Israele a implementare gli accordi sottoscritti. Ha dichiarato che Gerusalemme Ovest deve «astenersi dal fabbricare giustificazioni» per proseguire l’escalation e i tentativi di «sabotare l’accordo».   Malgrado il cessate il fuoco, i raid aerei israeliani sono proseguiti e gli aiuti umanitari sono diminuiti, aggravando ulteriormente la situazione a Gaza, secondo le agenzie ONU e i mediatori regionali. I palestinesi hanno accusato Israele di violare l’intesa.  

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Immagine di UNRWA/ Ashraf Amra via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 3.0 IGO
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Terrorismo

Il Pentagono pubblica il video della «vendetta» sui terroristi siriani

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Il Pentagono ha reso pubblici video di combattimento che documentano le forze statunitensi e alleate impegnate in massicci attacchi contro presunti obiettivi terroristici dello Stato Islamico in Siria, nell’ambito della risposta di Washington all’uccisione recente di personale americano.

 

In un post pubblicato venerdì sera su X, il Comando Centrale degli Stati Uniti (CENTCOM) ha reso noto che le truppe americane e giordane hanno colpito oltre 70 bersagli nella Siria centrale, impiegando più di 100 munizioni a guida di precisione. Il Pentagono ha precisato che gli attacchi rientrano nell’Operazione Hawkeye Strike e hanno visto l’impiego di caccia statunitensi, elicotteri d’attacco, artiglieria e velivoli da combattimento giordani.

 

Le immagini diffuse mostrano raid aerei ed esplosioni che colpiscono presunte posizioni di militanti in varie località, con obiettivi identificati come infrastrutture terroristiche e depositi di armi.

 

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«Questa operazione è cruciale per impedire all’ISIS di ispirare complotti terroristici e attacchi contro il territorio statunitense», ha dichiarato il comandante del CENTCOM, ammiraglio Brad Cooper. «Continueremo a inseguire senza tregua i terroristi che intendono danneggiare gli americani e i nostri partner in tutta la regione».

 

Dall’attacco del 13 dicembre contro le forze statunitensi e alleate, le truppe americane e dei partner hanno effettuato dieci operazioni in Siria e Iraq, che hanno portato all’eliminazione o alla cattura di 23 presunti membri dell’ISIS, secondo il CENTCOM. Negli ultimi sei mesi, in Siria sono state condotte oltre 80 missioni antiterrorismo, ha aggiunto.

 

Il presidente Donald Trump ha affermato che il nuovo governo siriano era stato informato dell’operazione di rappresaglia e l’ha appoggiata, mentre il segretario alla Difesa Pete Hegseth ha sottolineato che si è trattato di una «dichiarazione di vendetta» e non di una guerra.

 

Gli Stati Uniti mantengono da anni una presenza militare in Siria, sostenendo le Forze Democratiche Siriane (SDF) – gruppo a guida curda e che controllano il Nord-Est – e gruppi ribelli minori nel Sud del Paese. Dopo il repentino collasso del regime di Bashar al-Assad alla fine dell’anno scorso e l’ascesa al potere degli islamisti guidati da al-Sharaa, il Pentagono ha ampliato la cooperazione militare anche con le nuove autorità.

 

Negli ultimi mesi, forze di sicurezza statunitensi e siriane hanno effettuato numerose operazioni congiunte, presumibilmente dirette contro le cellule dell’ISIS. Gli USA avevano schierato fino a 2.000 militari in Siria, ma l’amministrazione Trump ha annunciato all’inizio del 2025 l’intenzione di ridurre la presenza e il numero di basi gestite dal Pentagono nel Paese.

 

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Terrorismo

Generale russo assassinato a Mosca

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Un generale russo è rimasto ucciso nell’esplosione di un’autobomba a Mosca, ha comunicato il Comitato investigativo. Lo riporta la stampa russa.   Le autorità hanno identificato la vittima nel tenente generale Fanil Sarvarov, responsabile dell’addestramento operativo presso lo Stato Maggiore. Secondo la nota ufficiale, un ordigno esplosivo era stato collocato sotto l’autoveicolo su cui viaggiava il militare ed è detonata lunedì mattina nella zona meridionale della capitale russa.   I media hanno riferito che l’esplosione ha provocato danni anche ad altri veicoli vicini e ha causato gravi ferite all’autista di Sarvarov.  

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  Le autorità russe hanno indicato che una delle piste principali è quella di un omicidio commissionato dai servizi segreti ucraini, ricordando che Kiev ha già fatto ricorso a ordigni esplosivi per eliminare in modo mirato funzionari e figure pubbliche.   Lo scorso dicembre, una bomba nascosta in un monopattino elettrico aveva ucciso il tenente generale Igor Kirillov, comandante delle truppe di difesa nucleare, chimica e biologica della Russia, insieme al suo aiutante, in un attentato che gli inquirenti hanno attribuito all’Ucraina.   Secondo il sito del Ministero della Difesa, Sarvarov era un ufficiale di carriera con esperienza di combattimento maturata durante le operazioni antiterrorismo nel sud della Russia tra la fine degli anni ’90 e l’inizio degli anni 2000. Il 56enne era stato nominato nel 2016 a capo del dipartimento incaricato della preparazione degli ufficiali superiori nelle esercitazioni di stato maggiore e in altri eventi. In precedenza aveva partecipato al dispiegamento russo in Siria.

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