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Cina

Auto contro la folla: tre attacchi in poche ore in Cina

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

Almeno sei morti e numerosi feriti in diversi episodi a Pechino, a Shenyang e in una scuola nella provincia di Zhejiang. Le autorità non hanno diffuso dettagli ma le immagini sono ampiamente circolate in rete. Diversi commentatori sul web attribuiscono i gesti alla rabbia contro la società creata dalle questioni economiche.

 

Tre diversi attacchi con auto lanciate contro persone si sono verificato nel giro di poche ore martedì 19 marzo in Cina. Sono avvenuti nella capitale Pechino, nella megalopoli nord-orientale di Shenyang e nella città orientale Taizhou, nella provincia di Zhejiang: il bilancio è di almeno sei morti e più di una dozzina di feriti.

 

Sebbene le autorità non abbiano fornito molti dettagli, le foto e i video degli attacchi circolati in rete hanno mostrato gli incidenti. Non si conoscono ancora le motivazioni degli attacchi, ma i commenti dicono che gli attacchi indiscriminati sono diventati un modo per vendicarsi della società e sfogare il malcontento.

 

Il primo attacco è avvenuto alle 7 del mattino a Shenyang, dove un’auto nera è finita contro il marciapiede sul lato opposto della strada. L’incidente ha causato tre morti e due di loro sono deceduti dopo essere stati trasportati in ospedale. I media ufficiali non hanno fornito ulteriori dettagli sull’incidente; tuttavia le foto circolate online hanno mostrato una bombola di gas posizionata sul sedile del passeggero accanto al conducente.

 

Intorno alle 11,20, un altro incidente ha avuto luogo nel Taizhou Vocational & Technical College della provincia di Zhejiang. L’attacco è avvenuto quando le lezioni erano terminate e gli studenti stavano lasciando le aule. L’auto è piombata sulla folla. I video online hanno mostrato che ambulanze e veicoli della polizia sono arrivati al campus e hanno isolato la scena. La polizia ha annunciato che l’incidente ha provocato tre morti e 16 feriti e che il conducente dell’auto è uno studente del college.

 

Il terzo attacco è avvenuto la sera, nel centro della capitale Pechino. Un’auto nera ha investito pedoni e scooter e la polizia ha fornito meno dettagli. L’annuncio della polizia non ha indicato il numero delle vittime e ha solo detto che l’auto ha colpito più scooter dopo aver avuto un «incidente stradale».

 

I video hanno mostrato i detriti degli scooter e il sangue a terra e molti feriti, mentre il conducente dell’auto nera è rimasto immobile al volante all’arrivo della polizia. La polizia ha anche steso un telo blu per impedire alle persone di vedere la scena. I video dell’incidente sono stati presto censurati sui social network.

 

I tre attacchi successivi in un solo giorno hanno suscitato discussioni in rete. Alcuni commenti ritengono che l’indebolimento dell’economia degli ultimi anni abbia causato malcontento e voglia di vendicarsi

 

Il 1° marzo, un uomo alla guida di un’automobile e si era lanciato contro la folla vicino a una scuola elementare a Dezhou, nella provincia del Shandong. Secondo i media ufficiali, diversi alunni sono rimasti feriti e due sono morti.

 

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Immagine da AsiaNews.
 

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Cina

Xi ricorda il 25° anniversario delle atrocità NATO in Serbia. Noi rammentiamo altri misteri della globalizzazione anni ’90

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Il presidente cinese Xi Jinping è arrivato martedì in Serbia per una visita di due giorni, in occasione del 25° anniversario del mortale attacco aereo americano contro l’ambasciata cinese a Belgrado.   L’attacco, avvenuto durante la guerra aerea della NATO del 1999 a sostegno dei separatisti di etnia albanese in Kosovo, uccise tre cittadini cinesi e ne ferì altri 20. Pechino non ha mai accettato del tutto le scuse di Washington secondo cui l’attacco era stato un errore causato da «vecchie mappe».   La Cina «non dovrebbe mai dimenticare» le bombe che hanno causato la morte di Shao Yunhuan, Xu Xinghu e Zhu Ying, ha scritto Xi in un articolo pubblicato martedì dal più antico quotidiano serbo, Politika.   «Il popolo cinese ha a cuore la pace, ma non permetteremo mai che una storia così tragica si ripeta», ha aggiunto il presidente.

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I caccia serbi MiG-29, acquistati dalla Russia diversi anni fa per sostituire le perdite inflitte dalla NATO, avrebbero dovuto fornire una guardia d’onore all’aereo di Xi mentre entrava nello spazio aereo serbo.   Dall’ultima visita di Xi nel 2016, Pechino è emersa come il più grande investitore straniero di Belgrado e il secondo partner commerciale dopo Bruxelles. La Cina ha anche sostenuto l’integrità territoriale della Serbia nei confronti del Kosovo, il cui governo provvisorio ha dichiarato l’indipendenza nel 2008 con il sostegno degli Stati Uniti e della NATO. L’UE ha recentemente indicato il riconoscimento del Kosovo come condizione per l’eventuale adesione della Serbia.   «Sosteniamo gli sforzi della Serbia per sostenere la sua sovranità e integrità territoriale e ci opponiamo a qualsiasi tentativo da parte di qualsiasi forza di interferire negli affari interni della Serbia», ha scritto Xi nel suo articolo per Politika.   Cina e Serbia «mantengono posizioni simili su molte importanti questioni internazionali e regionali», ha osservato lo Xi, aggiungendo che i due paesi dovrebbero cooperare per realizzare «un mondo multipolare equo e ordinato e una globalizzazione economica universalmente vantaggiosa e inclusiva».   Sia Pechino che Belgrado hanno rifiutato di unirsi agli Stati Uniti e ai loro alleati nell’imporre un embargo alla Russia sul conflitto in Ucraina, nonostante le ripetute richieste in tal senso da parte dell’Occidente. Lunedì, visitando la Francia, Xi ha detto al presidente Emmanuel Macron di respingere i tentativi occidentali di fare pressione sulla Cina sull’Ucraina e di «incitare una nuova guerra fredda».   Xi ha descritto la Serbia come «una terra di bellezza e leggende» e ha affermato che la sua amicizia con la Cina, «forgiata con il sangue dei nostri compatrioti», ispirerà le due nazioni “a marciare avanti a grandi passi”.   Nei due giorni di visita la delegazione cinese, composta da circa 400 persone, firmerà con i padroni di casa serbi circa 30 accordi. Dopo Belgrado, Xi visiterà la vicina Ungheria, un altro importante partner commerciale cinese in Europa sebbene sia membro dell’UE.   Come riportato da Renovatio 21, la Serbia, memore dei bombardamenti del 1999, ha fatto capire che mai vorrà entrare nella NATO, che pure per coincidenza ha sede proprio a Bruxelles. Vucic ha dichiarato in questi mesi che il Kosovo starebbe operando per iniziare, ancora una volta, «una guerra NATO-Serbia».   La Repubblica Popolare Cinese, che un anno fa ha operato una grande e misteriosa consegna militare a Belgrado, ha detto di ritenere che ci sia la NATO dietro alle tensioni in Kosovo.   L’incidente diplomatico scaturito nel 1999 fu poi ricordato, appena dopo le elezioni USA 2020, in un controverso video pubblico cinese uscito subito dopo le elezioni americane 2020, un importante professore pechinese, Di Dongsheng, spiegava che Cina e USA fino a Trump avevano sempre goduto di solidi canali riservati che permettevano loro di risolvere qualsiasi problema con rapidità: l’esempio specifico che faceva era proprio quello del bombardamento dell’ambasciata di Belgrado.   «Aggiustavamo tutto in due mesi. Qual è la ragione? Dirò qualcosa di esplosivo: è perché abbiamo persone al vertice. Al vertice del nucleo delle cerchie più interiori del potere e dell’influenza in America, Noi abbiamo i nostri vecchi amici».   Nello stesso discorso, il professor  Di accennava sornione al fondo del figlio depravato di Biden, Hunternoto per i suoi numerosi affari con la Cina e con i suoi vertici. «Trump ha detto che il figlio di Biden ha una sorta di fondo globale. Lo avete sentito? Chi lo ha aiutato a mettere in piedi il fondo?»     Due anni fa divenne virale nell’internet cinese un video di una riunione del 1998 della Commissione Relazioni Estere del Senato USA dove  il senatore del Delaware Joe Biden rivendica le sue proposte di bombardamento della Yugoslavia, dettagliando anche gli obbiettivi da colpire come ponti e depositi di carburante.   «Io ho proposto di bombardare Belgrado. Io ho proposto di mandarci i piloti americani a distruggere tutti i ponti sul fiume Drina», rivendica orgoglioso il Biden.     Il bombardamento dell’ambasciata yugoslava della Repubblica Popolare avvenne sotto l’amministrazione Clinton, quella che sfruttò il crollo dell’URSS per ridisegnare il mondo secondo lo schema mondialista delle élite anglosassoni, dall’Ucraina al Kosovo alla Cina indotta a divenire la «fabbrica del pianeta» con conseguente deindustrializzazione occidentale.   A quei tempi, oltre a trattare l’ingresso di Pechino nell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) che avrebbe dato lo start definitivo alla cosiddetta globalizzazione, tra il Dragone e Washington era scoppiato uno specioso episodio di spionaggio di segreti nucleari captati dai cinesi, contro cui, apparentemente, gli uomini di Clinton fecero non molto.   Uno degli operativi politici legato alle questioni cinesi dell’epoca era Mark Middleton, poi ritenuto come uomo di collegamento tra Clinton e l’oscuro finanziere pedofilo Jeffrey Epstein. Negli anni ’90, Middleton ha servito da filo conduttore tra Clinton e l’Epstein, avendo organizzato almeno 7 delle 17 visite che Epstein fece alla Casa Bianca, e ha volato lui stesso più volte sul Lolita Express, secondo il Daily Mail.   Come riportato da Renovatio 21, Middleton fu trovato legato a Epstein trovato impiccato con un colpo di fucile al petto in un ranch in Arkansas nel 2022. Una delle plurime morti sospette attorno al caso Epstein che, più genericamente, viene ascritta al cosiddetto «Clinton Body Count», una lista di decessi che alcuni osservatori riconducono alla cerchia di Bill e Hillary.  

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Cina

Storie di utero in affitto in Cina

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Renovatio 21 traduce questo articolo di Bioedge.

 

Questa storia nasce dall’intersezione tra la politica cinese del figlio unico, l’assenza volontaria di figli, la maternità surrogata e le norme tradizionali di pietà filiale.

 

Come riportato dal South China Morning News, un uomo di Yiyang, nella provincia di Hunan, nella Cina centrale, desiderava disperatamente un nipote. Ma sua figlia, 29 anni, ha rifiutato di avere figli o di sposarsi. Così, all’insaputa della moglie, ha organizzato tramite un’agenzia una studentessa universitaria come madre surrogata. Era impregnata del suo stesso sperma.

 

Sua moglie è tornato a casa un giorno nel 2022 e trovò una tata con un bambino. Lo sconosciuto disse alla moglie che la bambina apparteneva a lei e a suo marito. E infatti, poiché il marito aveva rubato la carta d’identità della moglie, lei e il marito erano stati registrati come genitori del bambino.

 

La moglie infuriata ha detto ai media: «Mio marito ha detto [a mia figlia]: “La tua scelta significa che non sarò mai nonno. Che senso ha crescerti? Non avere un bambino significa non essere filiale, secondo la cultura tradizionale cinese”». Ora minaccia di divorziare da lui.

 

Anche la figlia è sconvolta. Lei sostiene che suo padre è del tutto incapace di allevare un figlio da solo. Teme di essere legalmente obbligata ad allevare lei stessa il bambino se i suoi genitori procedessero con il divorzio.

 

L’orgoglioso padre è ignaro dell’opposizione della sua famiglia. Il suo commento è stato che, poiché la bambina era così carina e sana, la prossima volta avrebbe potuto chiedere all’agenzia di maternità surrogata un maschio.

 

Michael Cook

 

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Cina

Ancora un governo filo-cinese alle Isole Salomone: Pechino mantiene la presa sul Pacifico

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.   Il nuovo primo ministro dell’arcipelago sarà Jeremiah Manele, che ha già ricoperto l’incarico di ministro degli Esteri. Gli analisti si aspettano che, nonostante i legami con la Cina, addotti un approccio meno conflittuale. Ma la competizione resta aperta tra le nazioni del Pacifico, divise tra la fedeltà ai partner occidentali e gli accordi (soprattutto sulla sicurezza) con Pechino.   Il governo delle Isole Salomone resterà filo-cinese: i deputati designati dopo la tornata elettorale del 17 aprile hanno scelto come primo ministro Jeremiah Manele, che ha ricoperto l’incarico di ministro degli Esteri nel 2019, anno in cui le Isole Salomone, sotto la guida del precedente premier Manasseh Sogavare, hanno deciso di interrompere le relazioni diplomatiche con Taiwan per firmare, tre anni dopo, un trattato sulla sicurezza (i cui dettagli non sono stati resi pubblici) con la Cina, che continua così a mantenere una certa influenza nel Pacifico.   Sogarave la settimana scorsa aveva dichiarato che avrebbe rinunciato alla corsa a primo ministro a causa dei risultati deludenti del suo partito, e ha poi appoggiato la candidatura e la nomina di Manele, il quale ha già annunciato che manterrà stretti legami con Pechino. Ma gli analisti si aspettano che, a differenza del predecessore, Manele adotti un approccio meno conflittuale verso i partner occidentali, che guardano con preoccupazione alle relazioni tra la Cina e le nazioni insulari che costellano l’Oceano Pacifico.   Negli ultimi anni, infatti, Pechino ha rafforzato con diversi Paesi la cooperazione nell’ambito delle forze di polizia ed elargito fondi e investimenti per la costruzione di porti, strade e infrastrutture di telecomunicazione, in posti dove gli spostamenti e i contatti sono resi complicati dalla scarsità di risorse e dal progressivo aumento del livello dei mari dovuto al cambiamento climatico.

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Solo per fare alcuni esempi, dal 2013 è attivo uno scambio di agenti di polizia con le isole Figi, dove nel 2021 è arrivato per la prima volta, presso l’ambasciata cinese, anche un ufficiale di collegamento. Lo scorso anno sono state inviate squadre di esperti a Vanuatu e Kiribati (un altro Paese che ha revocato il riconoscimento a Taiwan nel 2019), mentre l’assistenza alle Isole Salomone è stata rafforzata dopo le proteste che sono scoppiate nella capitale, Honiara, nel 2021 e molti temono che il patto sulla sicurezza firmato nel 2022 preveda il dispiegamento di forze militari cinesi sull’arcipelago.   Ancora: dopo le rivolte di gennaio in Papua Nuova Guinea, il ministro degli Esteri papuano, Justin Tkachenko, ha dichiarato che a settembre la Cina si era offerta di fornire attrezzature e tecnologie di sorveglianza, ma subito dopo si è sincerato di sottolineare che, in ogni caso, la Papua Nuova Guinea non «metterà a repentaglio o comprometterà le relazioni» con i partner occidentali.   Inoltre, la Cina ha proposto investimenti per rilanciare il settore del turismo a Palau e sulle Isole Marshall, due Paesi che, insieme alla Micronesia, sono legati a Washington tramite dei Patti di libera associazione (Compacts of Free Association, COFA), che permettono agli Stati Uniti di avere accesso agli apparati di difesa e di sicurezza delle nazioni del Pacifico in caso di attacco (ma non solo).   Secondo gli esperti, la Cina ha un doppio interesse a promuovere la cooperazione di polizia con questi Paesi: da una parte vi è la necessità pratica di proteggere la diaspora e gli investimenti cinesi, soprattutto nel caso di rivolte e disordini, che si sono dimostrati frequenti.   Dall’altra è evidente che si tratta di un’area dove Pechino si è inserita per avere maggiore influenza nella regione a scapito degli Stati Uniti. I funzionari di Washington hanno nuovamente espresso le loro preoccupazioni all’inizio dell’anno dopo la visita di alcuni agenti di polizia cinesi a Kiribati, dove temono che la Cina possa ricostruire una pista d’atterraggio militare, a meno di 4mila chilometri dalle Hawaii.   Alle piccole nazioni del Pacifico, però, la competizione geopolitica tra la Cina e gli alleati occidentali potrebbe non dispiacere affatto, perché fornisce un elemento in più su cui fare leva nei rapporti diplomatici e ottenere così maggiori aiuti e risorse. Nel 2022 il ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, non era riuscito a convincere i leader del Pacifico a firmare due nuovi accordi di cooperazione e l’anno successivo, il primo ministro delle Figi, Sitiveni Rabuka, aveva affermato che avrebbe stracciato l’accordo di scambio di ufficiali di polizia con la Cina, ma ha poi ammorbidito i toni.   In questa competizione per l’influenza nel Pacifico, Pechino sostiene che gli Stati Uniti non siano un partner affidabile, cercando di contrastare quella che ritiene essere una visione anti-cinese proposta dai media occidentali. A gennaio di quest’anno, in seguito a una fuga di informazioni, è stato scoperto che tra i compiti di un diplomatico cinese di stanza presso l’ambasciata di Honiara c’era anche quello di influenzare la copertura mediatica locale sulle elezioni presidenziali a Taiwan.   Gli Stati occidentali, dal canto loro, hanno evidenziato lo stile autoritario della polizia e dei funzionari provenienti dalla Cina, dove i diritti umani spesso passano in secondo piano. Nel 2017, per esempio, la polizia delle Figi aveva arrestato 77 cittadini cinesi, poi estradati in collaborazione con le autorità locali.   Invitiamo i lettori di Renovatio 21 a sostenere con una donazione AsiaNews e le sue campagne. Renovatio 21 offre questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

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Immagine di Arthur Chapman via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial 2.0 Generic
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