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Il vescovo Schneider racconta di quando convinse Benedetto XVI ad abbandonare la Comunione nella mano

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In una nuova videointervista che sarà rilasciata in parti a partire dall’8 dicembre, il vescovo Athanasius Schneider di Astana, Kazakistan, racconta come nel 2008 convinse Papa Benedetto XVI a smettere di distribuire la Santa Comunione sulla mano. Lo riporta LifeSiteNews, che cita interviste esaminate in anteprima.

 

Nella serie di interviste di prossima pubblicazione, monsignor Schneider inizia raccontando quanto sia rimasto sorpreso quando ha saputo di essere stato scelto per diventare vescovo, e come questa sorpresa sia aumentata solo quando ha saputo che era stato nominato per decisione personale di Benedetto XVI.

 

«Devi sapere che la tua nomina è stata una decisione personale di Papa Benedetto», disse all’epoca l’allora nunzio vaticano a Schneider.

 

Queste parole confermarono a Schneider che la sua nomina all’episcopato era «la volontà di Dio», aggiungendo che aveva conosciuto l’allora cardinale Joseph Ratzinger prima che fosse eletto papa.

 

Schneider ha riferito che poco prima della sua consacrazione episcopale nel 2005, durante il Sinodo dei vescovi sulla Santa Eucaristia al quale Benedetto aveva invitato Schneider, il prelato kazako di origine tedesca ha parlato in privato con il papa.

 

Schneider ha detto durante questo incontro ha chiesto al Papa di non distribuire la Comunione sulla mano, cosa che «mi ha riempito di grande preoccupazione». Benedetto ha risposto, secondo Schneider, che «questo è vero» e che «diversi vescovi lo hanno già detto».

 

Schneider ha detto che il giorno successivo ha consegnato al Papa un opuscolo che lui stesso aveva scritto sull’argomento e vi ha incluso una nota che diceva: «Santo Padre, le chiedo, nel nome di Gesù Cristo, lei come Papa, di non distribuire più la Santa Comunione in mano».

 

A quel punto, secondo Schneider, Benedetto stava ancora distribuendo la Comunione in mano.

 

Si dice che Benedetto abbia risposto a Schneider qualche settimana dopo in una lettera, dicendo che il suo «testo è convincente», «ma», avrebbe aggiunto, «come sapete, ci sono gruppi potenti nella Chiesa che si oppongono a questa intenzione».

 

Secondo quanto riferito, Benedetto all’epoca lasciò la sua dichiarazione su questo e aggiunse semplicemente la sua benedizione, motivo per cui Schneider disse di essere rimasto scioccato quando Benedetto alla fine smise di distribuire la Comunione sulla mano.

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Inoltre, nel 2008, l’opuscolo Dominus Est di Schneider, contrario alla Comunione sulla mano, è stato pubblicato in italiano dalla Libreria Editrice Vaticana. Schneider ha dichiarato che nello stesso anno, nella solennità del Corpus Domini, «il papa cominciò a fare quello che gli avevo chiesto», cioè a distribuire la Santa Comunione solo sulla lingua a chi la riceveva era inginocchiato.

 

«Non ha più dato alcuna Comunione sulla mano fino alla fine del suo pontificato», ha dichiarato Schneider nell’intervista, aggiungendo che il cambiamento lo ha reso «molto felice, molto sorpreso e felice».

 

Schneider ha raccontato che poco dopo, in un’udienza generale, ha detto a papa Benedetto: «che Dio la ricompensi per il miracolo avvenuto al Corpus Domini, Santo Padre».

 

Ratzinger, dice Schneider, «ha capito subito, ha sorriso» e ha risposto «Sì, è molto più appropriata questa forma».

 

In una visita ad limina a Roma quello stesso anno, Schneider disse di aver potuto ringraziare ancora una volta il Santo Padre in persona, il quale ancora una volta «confermò» la sua posizione sulla questione, dicendo che «dovrebbe essere così».

 

La videointervista è stata realizzata da Certamen, un gruppo di giovani cattolici che promuove la fede cattolica tradizionale (qui un video sul Purgatorio) con l’ausilio di video.

 

 

Nella stessa intervista riportata da LifeSiteNews, Schneider ha anche raccontato di come sia riuscito a ottenere da papa Francesco l’ammissione che l’affermazione della dichiarazione di Abu Dhabi secondo cui «la diversità delle religioni» è «voluta da Dio» si riferisce semplicemente alla «volontà permissiva di Dio», intendendo che Dio non desidera positivamente che esistano diverse religioni che si contraddicono tra loro sull’essenza di Dio e sui Suoi Precetti per gli uomini.

 

Questa affermazione sulla diversità delle religioni è, secondo mons. Schneider, «inaccettabile» e «contro il Primo Comandamento», motivo per cui ha detto di essersi sentito spinto a tenere un discorso durante la visita ad limina con Francesco a Roma, e nella presenza dei suoi confratelli vescovi, per chiedere a Francesco di «proclamare la verità».

 

Ad un certo punto, nel corso di diversi scambi, Schneider avrebbe detto a Francesco: «Vi chiedo, nel nome di Gesù Cristo, di proclamare al mondo intero che non c’è altra via di salvezza oltre a Gesù Cristo. Se lo farete, sarà una delle tue più grandi consolazioni nel momento del Vostro giudizio davanti al Tribunale di Dio».

 

Ma, con rammarico di Schneider, anche se alla fine era riuscito a convincere Francesco a fare almeno una dichiarazione pubblica sulla questione della «volontà permissiva di Dio», Francesco sarebbe poi tornato alla posizione precedente in un’udienza generale, dove aveva detto che era «buono che ci fossero religioni diverse», secondo Schneider. Questo comunicato è stato poi successivamente inviato a tutte le facoltà teologiche del mondo.

 

Schneider ha detto di lamentare «l’ambiguità» di Francesco e le sue affermazioni contraddittorie, aggiungendo che le vede nel contesto del «modernismo, relativismo», secondo il quale diverse affermazioni con contenuti opposti possono «starsi su un piano di parità l’una accanto all’altra».

 

Nel seguito dell’intervista, il presule kazako è intervenuto ancora una volta per condannare la soppressione della tradizionale Messa latina, affermando che «il Papa non ha ricevuto da Gesù Cristo il potere di sminuire la Tradizione». Pertanto, «Traditiones Custodes è un documento molto, molto triste, bisogna dirlo», ha proseguito, sostenendo che Francesco «ha abusato del suo potere» in materia.

 

Ci auguriamo che «questo documento abbia vita breve», ha concluso Schneider.

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Sinodo in Italia: silenzio, stiamo affondando

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Il processo sinodale italiano, avviato nel 2021 su appello di Papa Francesco, ha appena compiuto una nuova tappa il 24 e 25 ottobre 2025, con l’approvazione a larga maggioranza di un testo che privilegia l’ideologia progressista.   «Il mostro, che crediamo essere l’eccezione, è la regola. Andate in fondo alla Storia: Nerone è un plurale». Questo pensiero di Victor Hugo è trasferibile sulle rive del Tevere, per chi è finalmente arrivato «in fondo al Sinodo»?   Avviato dalla Conferenza Episcopale Italiana (CEI), il cammino sinodale transalpino ha avuto una fase preparatoria nel 2021-2023, seguita dalla redazione di un documento preparatorio – Instrumentum laboris – nel novembre 2024. Tra gennaio e febbraio 2025, tutte le diocesi e le istituzioni cattoliche hanno inviato i loro contributi, dando vita a un primo documento di sintesi.   Presentato nell’aprile 2025, questo testo è stato respinto per la sua palese eterodossia su temi delicati come l’inclusione delle persone LGBT, l’ordinazione delle donne e la gestione di alcuni abusi. I progressisti hanno denunciato la decisione, che l’arcivescovo Erio Castellucci, presidente del comitato sinodale nazionale, ha difeso sostenendo che i tempi stretti e i numerosi emendamenti avevano reso il testo «troppo conciso e inadeguato».   Il rinvio all’autunno 2025 ha consentito una revisione completa, volta a smussare le asperità scandalose del testo iniziale. A seguito di questa revisione, il 25 ottobre, nell’assemblea finale, oltre 800 partecipanti, tra laici, clero e religiosi, hanno adottato un documento. Un gruppo di vescovi è stato incaricato dalla Conferenza Episcopale Italiana (CEI) di elaborare e tradurre il testo in risoluzioni concrete per l’assemblea autunnale della Conferenza Episcopale nel novembre 2025.   L’impresa sembra impossibile, poiché il testo sinodale è ancora pieno di ambiguità e contraddizioni. Il documento è un miscuglio che, da un lato, sottolinea una Chiesa che è «lievito di pace e di speranza», attenta ai più vulnerabili: i poveri e le persone con disabilità.

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Queste nobili intenzioni, spesso distorte da una visione naturalistica, convivono con il progetto di riformare il governo delle parrocchie attraverso gruppi ministeriali misti – diaconi, laici, religiosi – e di «rinfrescare» il linguaggio liturgico per renderlo accessibile alle culture contemporanee…   Utilizzando il gergo progressista richiesto , il documento adottato sottolinea i processi sinodali per il clero e i laici, tra cui una riconfigurazione territoriale delle parrocchie in «comunità di comunità». I team interdiocesani, supportati da un organismo di coordinamento nazionale, dovrebbero promuovere l’educazione affettiva e sessuale dei giovani, in collaborazione con la pastorale familiare, i movimenti ecclesiali e le organizzazioni della società civile.   L’approvazione del 25 ottobre è stata approvata a larga maggioranza, ma con una notevole opposizione. Le mozioni riguardanti l’educazione emotiva e il genere hanno suscitato la maggiore resistenza da parte delle donne, mentre quelle sulla condivisione delle responsabilità tra laici e clero hanno offeso in larga misura gli uomini.   Sebbene sarebbe più corretto parlare di un naufragio totale con questo documento, il vescovo Castellucci ha presentato la fase sinodale appena conclusa nella Penisola come una «esperienza spirituale» in cui la Chiesa si lascia «turbare dallo Spirito»: a pochi giorni da Halloween, c’era effettivamente motivo di preoccupazione.   Il cardinale Matteo Zuppi, capo dei vescovi italiani, ha sottolineato che «l’essenziale è già stato compiuto: una Chiesa che discute e decide insieme è segno di uno Spirito che soffia dove vuole». L’affermazione potrebbe sembrare ironicamente irrilevante se non fosse in gioco la fede: il problema, infatti, non è tanto sapere che «la Chiesa sta discutendo», quanto capire di cosa sta discutendo e per quale scopo.   Ridurre il processo sinodale a un mero esercizio metodologico, a un rito partecipativo privo di contenuto teologico, ci limita a una mera allusione allo Spirito Santo, anziché a una vera e propria invocazione. E allora un altro Spirito, lo spirito del mondo, prende il suo posto, perché è vero che la natura aborrisce il vuoto.   Articolo previamente apparso su FSSPX.News   SOSTIENI RENOVATIO 21
Immagine di Meeting Rimini via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC-SA 4.0
   
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Spirito

«Siamo stati creati per la gloria»: omelia nella festa di Ognissanti di mons. Viganò

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Renovatio 21 pubblica l’omelia nella festa di Ognissanti dell’arcivescovo Carlo Maria Viganò

Vos, purpurati martyres,
Vos candidati præmio
Confessionis, exsules
Vocate nos in patriam.

Rabano Mauro
Inno Placare, Christe

 

Dopo la solenne celebrazione della Regalità di Nostro Signore Gesù Cristo, nell’ultima Domenica di Ottobre, il primo Novembre è dedicato a coloro che con Cristo hanno combattuto il bonum certamen, meritando di trionfare con Lui nella vittoria sfolgorante sul demonio.

 

Il giorno seguente, 2 Novembre, viene ricordato un altro sterminato esercito di anime sante: quelle di coloro che il fuoco del Purgatorio purifica, come l’oro nel crogiuolo, per renderle degne di essere ammesse alla gloria della contemplazione della Maestà divina.

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Il Re, i Suoi più valorosi compagni d’arme, i Suoi soldati, e un’infinità di Santi sconosciuti. Profeti, Apostoli, Martiri, Confessori, Vergini e Vedove; Papi, Vescovi e Abati; Re e Sovrane. E la Regina di tutti costoro, la Condottiera delle Milizie, la Beatissima Semprevergine Maria. E le schiere angeliche: Serafini, Cherubini, Troni; Dominazioni, Virtù, Potestà; Principati, Arcangeli e Angeli. Miriadi di anime illuminate come un mistico firmamento dalla luce sfolgorante del Sol Justitiæ, Nostro Signore Gesù Cristo, Re e Pontefice. 

 

Tibi omnes angeli,
tibi cœli et universae potestates:
tibi cherubim et seraphim,
incessabili voce proclamant:
Sanctus, Sanctus, Sanctus,
Dominus Deus Sabaoth.
Pleni sunt cœli et terra majestatis gloriæ tuæ.
Te gloriosus Apostolorum chorus,
te Prophetarum laudabilis numerus,
te Martyrum candidatus laudat exercitus.

 

A questo sterminato consesso di Santi manchiamo solo noi, che in questa valle di lacrime peregriniamo verso la Patria celeste che troppo spesso crediamo lontana.

 

Una Patria da cui siamo exsules, esuli cacciati dalla Giustizia divina in quanto figli di Adamo ed Eva, riammessi per Grazia alla presenza beatifica della Santissima Trinità grazie alla Redenzione del Nuovo Adamo e alla Corredenzione della Nuova Eva. Con noi abbiamo molti compagni di viaggio, altri ci hanno preceduti, altri li incontreremo per via.

 

I nostri genitori, una volta lasciata questa vita passeggera, continueranno a pregare per noi nell’eternità e li ritroveremo ad attenderci quando suonerà la nostra ora. I nostri figli, i nostri nipoti perderanno anche noi, un giorno, e benediremo la volta che abbiamo loro insegnato a recitare un De profundis, perché la loro preghiera allevierà le nostre sofferenze purificatrici e ci avvicinerà a quel locus refrigerii, lucis et pacis cui tanto aneliamo.

 

Anche noi pregheremo per loro, dal Purgatorio e dal Paradiso, affinché con l’aiuto della Grazia riescano ad espiare le loro colpe su questa terra, con la penitenza, il digiuno, la preghiera; con la Carità, che copre una moltitudine di peccati (1 Pt 4, 8). La Carità: l’unica Virtù che non verrà mai meno, perché consustanziale al Dio Uno e Trino. La Virtù il cui fuoco arde di un tale amore per Dio, da consumare le nostre infedeltà.

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Chi tra voi è ancora giovane, e pensa di aver dinanzi a sé ancora molto tempo prima del Giudizio particolare, forse non riesce a comprendere perché nelle persone più mature si renda via via più percepibile quella sorta di «nostalgia» per la gloria del Cielo che ci fa quasi desiderare la morte per prima raggiungere il Padre Celeste e i santi del Paradiso. Noi anziani sentiamo questo desiderium patriæ che ce la fa anelare più della luce del sole [Patria me major quam lucis sidera deerat, cfr. Ovidio, Tristia, I, 3].

 

Un desiderio che non ci viene dal ricordo di qualcosa che abbiamo lasciato – non essendo mai stati ammessi al Paradiso – quanto da quell’impronta che portiamo impressa nella nostra natura e che ci ricorda di essere opera della mano sapiente del Creatore, fatti a immagine e somiglianza della Santissima Trinità, trinitari anche noi nelle nostre facoltà – memoria, intelletto, volontà. La memoria del Padre, l’intelletto del Figlio, la volontà del Paraclito. 

 

Potremmo dire che il ricordo ancestrale del Paradiso perduto si sia trasmesso, insieme alle conseguenze del peccato originale – la morte, la malattia, il dolore… – proprio come il figliuol prodigo prova nostalgia della casa del Padre, del quale ha dilapidato l’eredità. Quel richiamo struggente ci ricorda da dove veniamo, ma soprattutto ci indica la Patria a cui siamo destinati.

 

Il pellegrinaggio del popolo eletto nel deserto verso la Terra Promessa è figura del pellegrinaggio della Chiesa verso il ritorno nella gloria del proprio Capo, ma anche immagine del pellegrinaggio di ciascuno di noi verso la Nuova Gerusalemme.

 

Siamo stati creati per la gloria. Siamo stati voluti e quindi amati per essere partecipi della gloria del Dio Creatore, Redentore e Santificatore. Siamo stirpe di Re, figli ed eredi di Dio, coeredi di Cristo. E la nostra eredità inizia qui, cari fratelli. Inizia con la scala crucis che vediamo raffigurata in un’immagine medievale, in cui il Salvatore sale i pioli di una scala che conduce alla Croce. La nostra eredità eterna inizia con la volontaria accettazione della croce che la Provvidenza ci ha destinato, e che è l’unica che siamo in grado di portare, l’unica su cui possiamo serenamente salire, su cui possiamo con fiducia aprire le braccia.

 

La scala crucis è anche scala paradisi, perché nella sequela del Redentore questa via regia conduce dritto al cospetto della Maestà divina. Una suggestiva immagine di San Giovanni Climaco ci mostra le anime salire verso il Cielo, con gli Angeli che le accompagnano nella salita e i diavoli che cercano di trascinarle giù.

 

I Santi – quelli che veneriamo sui nostri altari, dei quali incensiamo le Reliquie, sulle spoglie dei quali celebriamo il Santo Sacrificio della Messa e che per noi intercedono in Cielo – non sono l’eccezione in una norma di mediocrità. Non è normale non essere santi. Vi furono epoche in cui la santità era tutt’uno con l’essere Cristiani, perché nella furia della persecuzione uomini e donne, giovani e anziani erano quotidianamente chiamati ad affrontare il Martirio. Molti lo subirono come catecumeni, ancor prima di essere ammessi al Battesimo. Portiamo i loro nomi proprio perché il loro esempio ci sproni ad imitarli sulla stessa via di santità. Professiamo la stessa Fede apostolica, celebriamo gli stessi Misteri, e continuiamo ad avere gli stessi nemici: il mondo, la carne, il diavolo.

 

Un Cattolico che non vuole essere santo, che non desidera il Paradiso, che non anela a Dio – sicut cervus ad fontes aquarum – e che non sente questa «nostalgia» del Vero e del Bene, non ha capito nulla della nostra santa Religione, né tantomeno del miracolo di infinita Carità che ha spinto la Seconda Persona della Santissima Trinità ad incarnarSi e a patire per noi, senz’altra motivazione se non l’amore divino nei nostri riguardi e la gloria della Trinità stessa. Perché essere santi è un dovere di ciascuno di noi, in obbedienza al precetto: Siate santi come Dio è santo (Lv 19,2; 1Pt 1,16); ma se solo ci lasciamo conquistare da Nostro Signore la santità non è più un obbligo, ma la necessaria, spontanea e riconoscente risposta alla chiamata del Re, sotto i vessilli del Quale è un onore militare. 

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I Santi sono coloro che hanno acclamato e continuano ad acclamare: Regnare Christum volumus! contro il grido blasfemo della scelesta turba. Sono coloro che fanno regnare il loro Signore anzitutto nella propria anima, rendendola degna dimora della Santissima Trinità mediante la vita della Grazia e l’unione con Dio. Sono coloro che nell’umiltà si lasciano guidare dalla mano sapiente del Signore, docili come una penna tra le Sue dita, perché sia chiaro che l’opera che ne esce è interamente divina. Quoniam tu solus Sanctus.

 

A noi esuli è però concesso uno spiraglio di Paradiso, su questa terra. Uno spiraglio della gloria della Maestà divina che anticipa ciò che ci attende e che rende disponibili le Grazie soprannaturali per affrontare il viaggio fino alla meta finale. Questo angolo di Paradiso lo troviamo nelle nostre chiese, nei nostri Tabernacoli, attorno a ciascuno dei quali si raccolgono adoranti tutti gli Angeli.

 

Lo troviamo nella Santa Messa, quando il sacerdote fa scendere dal Cielo il Re dei Re, ripetendo in forma incruenta il Sacrificio della Croce. E in questo Paradiso in terra, delimitato dalle colonne e dalle volte di una chiesa come dalle travi di un granaio, noi possiamo comunicarci al Corpo e Sangue di Cristo, presente in Corpo, Sangue, Anima e Divinità esattamente come Egli siede sul Trono dell’Agnello nella gloria del Cielo. 

 

Te per orbem terrarum
sancta confitetur Ecclesia,
Patrem immensæ maiestatis;
venerandum tuum verum et unicum Filium;
Sanctum quoque Paraclitum Spiritum. 

 

Forse è proprio dalla sacralità della Messa, dalla solennità dei gesti arcani, dalla profondità dei testi liturgici, dal torrente impetuoso di Grazie che il Santo Sacrificio riversa su di noi, che ci viene quella «nostalgia» per il Cielo, per la presenza dei nostri cari, per la luce della Verità somma, per il calore della perfetta Carità, per la gloria di Dio e dei Suoi Santi. Tu rex gloriæ, Christe. Cum sanctis tuis in æternum, quia pius es.

 

E così sia. 

 

+ Carlo Maria Viganò

Arcivescovo

 

1 Novembre MMXXV
In festo Omnium Sanctorum

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Immagine: Fra Angelico (circa 1395–1455), Giudizio finale (circa 1450), Gemäldegalerie, Berlino

Immagine di Dosseman via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International


 

 

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Spirito

Lo stile di Leone XIV: conservare il vero senza rigettare il falso?

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In una Nota sullo stile di Papa Leone XIV del 1° giugno 2025, pubblicata sul suo blog e riproposta da Sandro Magister su Settimo Cielo il 2 giugno, Leonardo Lugaresi, esperto di Padri della Chiesa, si sforza di «cogliere un aspetto dello stile di pensiero e di governo di Papa Leone XIV, che mi sembra emergere chiaramente nei suoi primi discorsi; un tratto che merita la massima attenzione per il suo valore paradigmatico, non solo nei contenuti ma anche, e direi soprattutto, nel metodo».   Questo stile, secondo lo studioso italiano, equivale a fare «giusto uso» della tradizione: «raccogliere ciò che c’è di buono in ogni persona, in ogni discorso, in ogni evento, e filtrare ciò che è cattivo».   Spiega: «Ma oggi sarebbe altrettanto sbagliato pretendere che spetti al papa compiere una sorta di “controriforma”. Se posso azzardare una previsione, credo che questo comunque non accadrà. Penso invece che da Leone XIV possiamo attenderci non tanto delle correzioni esplicite o delle formali ritrattazioni di certi aspetti ambigui, confusi e in qualche caso problematici del precedente pontificato, quanto un loro “giusto uso” che, se così posso esprimermi, li “rimetta al loro posto”».   E illustra il suo punto con un esempio: «ad alcuni è dispiaciuto che nel discorso del 19 maggio ai rappresentanti delle altre chiese e di altre religioni papa Leone abbia citato la controversa Dichiarazione di Abu Dhabi».

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«È vero che quel documento contiene il passaggio forse più “problematico” del pontificato di Francesco, perché vi si trova un’affermazione circa la volontà divina che gli uomini aderiscano a religioni diverse dalla fede cristiana che è pressoché impossibile interpretare in modo compatibile con la dottrina cattolica».   «Tuttavia, da parte di chi è ben saldo nella certezza (scritturistica e tradizionale!) che tutti gli uomini sono chiamati a convertirsi a Cristo, perché ‘in nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati’ (At 4, 12), si può benissimo citare un altro passo, del tutto innocuo, di quello stesso documento, proprio nella logica che ho cercato di descrivere;»   «È anche in questo modo, io spero, che si realizzerà una sorta di ‘riassorbimento dell’eccezione bergogliana’ nel corpo vivo della tradizione»   «Ah! Con quanta galanteria vengono espresse queste cose!» [Molière, Il Misantropo, Atto I, Scena 2] Le affermazioni eretiche diventano “eccezioni” che devono essere «riassorbite”, diluite in affermazioni “innocenti” per renderle accettabili al «corpo vivo della tradizione»! Con un simile regime, c’è da temere che questo corpo non rimanga vivo a lungo! Ci si può accontentare di «filtrare» l’errore senza rifiutarlo esplicitamente?

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Leone XIV può accontentarsi di aggirare gli errori senza condannarli?

Nelle Res Novæ del 4 agosto, padre Claude Barthe scrive: «Leone XIV, è un fatto, è responsabile dell’eredità di Francesco. Questa eredità, fondamentalmente conciliare, se si escludono la sinodalità, che resiste a qualsiasi tentativo di definizione precisa, e l’impegno ecologico, può essere riassunta in tre testi: Amoris Laetitia e Fiducia Supplicans, sulla morale del matrimonio, e Traditionis Custodes sulla liturgia tradizionale».   Sulla moralità del matrimonio, prosegue, «tutta la difficoltà di Amoris Laetitia si concentra nel paragrafo 301, da cui si potrebbe ricavare la seguente proposizione: “Alcuni di coloro che vivono in adulterio, anche se conoscono la norma che stanno trasgredendo, potrebbero non essere in stato di peccato mortale”».   «Leone XIV dovrebbe abbracciare questo insegnamento bergogliano, che mina gravemente la santità del matrimonio. Aggirarlo abilmente, indirettamente, non sarà sufficiente per invalidarlo. Dovrà necessariamente approvarlo o annullarlo. La Chiesa, infatti, è custode del contenuto della Rivelazione e della dottrina di fede e morale a cui bisogna aderire per essere salvati. […]»   «Non ci si può accontentare, a difesa della fede, di dichiarazioni che mitighino tale eterodossia o la controbilancino con insegnamenti contrari che tuttavia lascino intatta la dottrina difettosa. È necessario, per la salvezza delle anime, sradicare la falsa dottrina».   Riguardo alla Messa tradizionale, padre Barthe osserva che «a causa di papa Bergoglio, la questione è diventata molto semplice: tutto l’approccio repressivo di Traditionis Custodes si basa, infatti, sul suo articolo 1: ‘I libri liturgici promulgati dai santi pontefici Paolo VI e Giovanni Paolo II, in conformità con i decreti del Concilio Vaticano II, sono l’unica espressione della lex orandi del Rito Romano (…)»   «Secondo Traditionis Custodes, a seguito della riforma conciliare, la liturgia romana precedente a questa riforma ha quindi perso il suo status di lex orandi. […] (Certamente) è estremamente auspicabile che il nuovo papa conceda a questa liturgia, direttamente o indirettamente, maggiore libertà. Ma, nonostante ciò, resta da insegnare nella Chiesa la seguente proposizione: “I libri liturgici in vigore prima della riforma di Paolo VI non esprimono la lex orandi del Rito Romano”»

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«La questione che il Magistero della Chiesa è ora chiamato a risolvere è questa: questa proposizione è vera o falsa? Se è falsa, deve essere condannata, con tutte le conseguenze che ne conseguono».   Pertanto, un uso sapiente della «tradizione vivente» per assorbire le «eccezioni bergogliane» sembra non solo insufficiente, ma soprattutto pericoloso. Anche in questo caso, solo il futuro potrà dirlo. E il futuro appartiene a Dio.   Articolo previamente apparso su FSSPX.News

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