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Partite le messe senza sacerdote

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La diocesi di Genova ha fatto partire ufficialmente le messe «celebrate» in assenza del sacerdote. Lo riporta il settimanale diocesano Il Cittadino di Genova.

 

Al posto del sacerdote vi sarebbero «catechisti», formati in corsi specifici. I giornali che riportano la notizia dicono che il ruolo potrebbe essere svolto, forse, anche donne. Compresa l’omelia.

 

Sarebbe esclusa – al momento… – la consacrazione dell’ostia, che rimane atto che possono compiere solo i sacerdoti, ministri di Dio.

 

Alla base della decisione vi sarebbe la crisi totale delle vocazioni: in poco meno di venti anni i religiosi si sono più che dimezzati nelle 278 parrocchie genovesi.

 

«In questi ultimi anni nella vita ecclesiale delle nostre parrocchie – scrive il vicario del vescovo don Gianfranco Calabrese – è emerso e sta emergendo sempre di più il problema delle “Assemblee festive nel Giorno del Signore in assenza del presbitero”. Il diminuire dei sacerdoti, con il conseguente aumento del numero delle comunità affidate ad un solo parroco, fanno sì che diventi sempre più difficile garantire l’Eucaristia festiva in tutte le parrocchie».

 

Ecco che la Curia quindi ha deciso di varare questo «progetto pilota», guarda caso proprio nei giorni del Sinodo sulla sinodalità in svolgimento a Roma.

 

Il giornale dei vescovi Avvenire getta acqua sul fuoco: «Nessuna “Messa senza prete”, ma Liturgie della Parola con la Comunione»

 

«Quando non sarà più possibile garantire tutte le domeniche, in tutte le parrocchie la celebrazione della Santa Messa (…) si potrà ipotizzare la Liturgia della Parola, purché ci siano i presupposti di partecipazione dei fedeli e di una celebrazione dignitosa, animata da un diacono permanente o da laici, uomini o donne, ministri straordinari dell’Eucaristia, debitamente preparati dall’Ufficio liturgico diocesano».

 

Si tratta di uno schiaffo potente alla tradizione del cattolicesimo genovese, un tempo tra i più tradizionalisti d’Italia – basti pensare al monsignor Siri, il cardinale arcivescovo della città che per alcuni ambienti sedevacantisti era stato eletto papa nel conclave 1958 con il nome di «Gregorio».

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Si era sentito parlare di «messe senza prete» qualche anno fa in Austria, ma pareva più che altro un progetto non ancora organizzato. Il fenomeno, invece, è diffuso da anni – e programmaticamente.

 

Il quotidiano CEI ricorda che «la questione non costituisce certo un inedito», e per spiegarlo sente il direttore dell’Istituto di liturgia pastorale «Santa Giustina» di Padova: «Non si tratta di una novità perché queste celebrazioni – non Messa senza prete! – furono già previste nella costituzione liturgica del Vaticano II e, soprattutto, furono regolamentate da un Direttorio della Congregazione per il Culto Divino del 1988».

 

«In seguito a questo importante documento molte diocesi si “attrezzarono” riflettendo sulla problematica, offrendo linee teologico-pastorali e schemi celebrativi. In Italia, soprattutto nell’area centro-settentrionale, il fenomeno si registra soprattutto a partire dagli anni Novanta. Allo stato attuale alcune diocesi (tra le quali Torino, Udine, Vicenza) si sono dotate di sussidi che, accanto agli schemi celebrativi, offrono un inquadramento teologico e pastorale».

 

«Il valore di queste celebrazioni è radicato nella centralità del giorno del Signore per la vita dei credenti e trova la sua legittimità nell’impossibilità accertata di avere presbiteri che possano presiedere l’Eucaristia» continua l’esperto patavino.« Al centro della celebrazione c’è la proclamazione della Parola, la stessa che viene proclamata in tutte le chiese secondo il Lezionario, alla quale si aggiunge, se l’Ordinario ne dà facoltà, la distribuzione della comunione eucaristica. In questo modo, anche le comunità sprovviste di un presbitero presidente si radunano per la lode di Dio, l’ascolto della Parola, la preghiera e la partecipazione al Corpo del Signore e vivono così la comunione con tutte le comunità sparse nel mondo».

 

Il sacerdote intervistato da Avvenire nega che «i laici non possono tenere l’omelia in quanto si tratta di un compito riservato al ministro ordinato: vescovo, presbitero e diacono».

 

Purtuttavia «in questa celebrazioni i laici possono leggere un testo precedentemente preparato con il parroco o con un altro sacerdote».

 

La sparizione della figura stessa del sacerdote era già stata discussa da taluni teologi e attivisti modernisti negli anni subito successivi al Concilio Vaticano II. La religione diventa un fatto privato, come per i protestanti e pure oltre: la spiritualità è individuale e universale, come in un panteismo orientale, e il sacro può e deve essere esperito senza alcuna mediazione di sorta.

 

Si può immaginare che dietro ai progetti di eliminazione definitiva del sacerdote vi siano – in ultima analisi, nel profondo della metastoria – coloro che vogliono colpire non i presbiteri, ma Dio stesso. Perché una «celebrazione» senza prete significa l’assenza del miracolo davanti al popolo della transustanziazione, cioè, per la dottrina cattolica, l’assenza di Dio stesso.

 

Le «messe senza sacerdoti» portano all’idea, contraddittoria ma in via di realizzazione, delle «messe senza Dio». Perché Egli è il vero obiettivo, la vera vittima, delle manovre moderniste che avanzano da secoli, e che sembrano ora quasi totalmente slatentizzate.

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Più prosaicamente, il problema non riguarda solo la mancanza di sacerdoti ma soprattutto la scarsità dei fedeli. Le messe della chiesa conciliare sono oramai deserte, appena qualche testa grigia che per qualche ragione resiste.

 

Se il prete mi ripete esattamente la stessa cosa che mi ripete la TV (raccolta differenziata, omosessualismo, immigrazionismo, indifferentismo) perché mai devo andare in chiesa, dove speravo si parlasse della mia anima e del suo destino?

 

Se quelli che mi dicevano fino a qualche anno fa essere peccati ora vengono esaltati sull’altare, come posso non essere confuso?

 

Come posso fidarmi della chiesa se essa promuove fenomeni come l’immigrazione che rendono più insicura la mia esistenza? Come posso avere fiducia del pastore se esso non dà protezione al gregge e anzi vi fa entrare i lupi?

 

Perché dovrei andare in chiesa se lì non c’è Dio? Quanti sacerdoti sono rimasti a credere davvero che l’Eucarestia sia Cristo?  E quanti agiscono di conseguenza? Quanti invece operano, inconsciamente o volontariamente, uno svilimento dell’Eucarestia durante le loro funzioni?

 

Come qualche signora anziana sia resistita a tale catastrofe è un mistero. Ma è chiaro che la gerarchia cattolica e i suoi preti in pantaloni non vogliono nemmeno loro.

 

Il progetto è indubbiamente quello dello svuotamento delle chiese, la loro liquidazione, anche in senso immobiliare, se non la loro demolizione fisica, come visibile in vari Paesi come la Francia e l’Olanda. Sulla questione potremmo pure raccontare episodi capitati vicino a chi scrive.

 

Non vogliono fedeli perché non vogliono più la Fede?

 

Non vogliono più i Cristiani perché non vogliono Cristo?

 

E allora, dietro alle quinte di tutto questo, chi potrà mai esserci?

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Papa Leone intervenga sull’Eucarestia a Brigitte Macron: parla un sacerdote francese

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Padre Guy Pagès,un sacerdote della diocesi di Parigi, n ha scritto una lettera aperta a Papa Leone XIV chiedendogli di imporre sanzioni a coloro che hanno permesso la profanazione della Santa Eucaristia quando la first lady francese ha ricevuto pubblicamente la Comunione durante una messa speciale celebrata dall’arcivescovo di Parigi, Laurent Ulrich, nella cattedrale di Notre Dame. Lo riporta LifeSite.   L’occasione è stata la riapertura ufficiale della cattedrale dopo il terribile incendio, scoppiato il lunedì della Settimana Santa del 2019, che avrebbe potuto distruggerla.   La lettera di Pagè è piena di angoscia per la sorte eterna di coloro che hanno reso possibile questo sacrilegio e, citando la valutazione di Benedetto XVI, avverte che si può fare un parallelo tra l’abuso sui minori all’interno della Chiesa e il disprezzo per il Corpo di Cristo.   Esattamente un anno fa, l’8 dicembre 2024, Brigitte Macron, sposata civilmente con il presidente francese Emmanuel Macron, ha raggiunto il marito a Notre Dame e salì è salita suo posto in prima fila per ricevere la Santa Comunione. Ha ricevuta l’Ostia dalle mani di monsignor Philippe Marsset, vescovo ausiliare di Parigi, alla presenza dell’arcivescovo di Parigi, Laurent Ulrich. Non una parola, né un sopracciglio alzato, di fronte a questo scandalo pubblico. Brigitte Macron, che ha divorziato dal suo primo marito, André-Louis Auzière, nel 2006, non risulta aver regolarizzato la sua situazione coniugale con un matrimonio religioso dopo la morte di Auzière nel dicembre 2019. Inoltre, è una sostenitrice pubblica dell’aborto, dell’eutanasia e delle rivendicazioni LGBT.   In quanto personaggio pubblico che vive un’unione matrimoniale irregolare – per quanto ne sa l’uomo della strada – e che dichiara apertamente il suo sostegno a cause incompatibili con la fede cattolica, Brigitte Macron non avrebbe dovuto avvicinarsi all’altare per ricevere la Santa Comunione, e la sua situazione e le sue posizioni pubbliche su queste questioni avrebbero dovuto in ogni caso indurre il ministro del sacramento a imporre un rifiuto chiaro, seppur discreto.   La messa è stata trasmessa da Le Jour du Seigneur, il programma cattolico della televisione pubblica francese. Al minuto 1 ora e 56, si vede chiaramente Brigitte Macron ricevere la Comunione, mentre il commentatore afferma: «ha tutto il diritto di farlo». Aggiunge che Emmanuel Macron non si è avvicinato per ricevere l’Ostia per «totale rispetto» della «laicità», la separazione tra Chiesa e Stato. La premiérè dame riceve l’Eucarestia, ovviamente, in mano.

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Padre Guy Pagès ha dichiarato di non aver ricevuto alcuna risposta da Roma che rispondesse alle sue preoccupazioni – né è stata rilasciata alcuna dichiarazione da parte di nessuno che facesse luce sullo stato civile di Brigitte o su posizioni personali che giustifichino un ipotetico riavvicinamento alla Chiesa cattolica, scrive LifeSite.   Padre Pagès ha chiarito di essere «respinto» dal modo in cui la Santa Eucaristia veniva trattata da coloro che detenevano autorità nella Chiesa e di aver sperato in una pubblica sconfessione. Ha atteso fino al 22 giugno prima di scrivere una prima lettera aperta al Dicastero per il Culto Divino, con copie per i Dicasteri per la Dottrina della Fede e per i Vescovi, nonché per la Conferenza Episcopale Francese. Lo ha fatto, ha dichiarato a LifeSiteNews, perché nessun altro si era espresso e si sentiva personalmente obbligato a reagire.   Ha aggiunto che la sanzione per i membri del clero che amministrano i sacramenti in contraddizione con le regole della Chiesa è la loro «sospensione».   Le sue prime parole alla gerarchia cattolica nella lettera di giugno erano per ricordare loro l’ articolo 183 della Redemptionis Sacramentum (25 marzo 2004) che recita: «In modo assolutamente particolare tutti, secondo le possibilità, facciano sì che il Santissimo Sacramento dell’Eucaristia sia custodito da ogni forma di irriverenza e aberrazione e tutti gli abusi vengano completamente corretti. Questo è compito della massima importanza per tutti e per ciascuno, e tutti sono tenuti a compiere tale opera, senza alcun favoritismo».   Il sacerdote ha aggiunto che l’applicazione del canone 915 del Codice di Diritto Canonico («Non siano ammessi alla sacra comunione gli scomunicati e gli interdetti, dopo l’irrogazione o la dichiarazione della pena e gli altri che ostinatamente perseverano in peccato grave manifesto») avrebbe permesso di evitare lo scandalo indicando correttamente le condizioni per ricevere l’Eucaristia, soprattutto quando la presenza della coppia presidenziale era stata annunciata in anticipo.   Ora don Pagès scrisse una lettera a Papa Leone XIV, sottolineando che la sua prima lettera ai dicasteri era stata ignorata.   Sua Santità, Il 22 giugno ho inviato una lettera alla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, denunciando i sacrilegi commessi contro il Corpo di Cristo domenica 8 dicembre 2024, durante la celebrazione della riapertura della Cattedrale di Notre-Dame a Parigi, un evento ripreso dai media di tutto il mondo e a cui hanno partecipato numerose personalità pubbliche, tra cui capi di Stato, che vivono pubblicamente in violazione dei comandamenti di Dio e della Sua Chiesa, e a cui è stata comunque amministrata la Comunione eucaristica, in particolare alla persona che appare come la moglie del Presidente della Repubblica.   Tuttavia, poiché la loro presenza era stata annunciata, sarebbe stato facile indicare le condizioni richieste prima di dare loro la Comunione (CIC 915; Redemptionis Sacramentum 84 ). Il 10 ottobre, non avendo ancora ricevuto risposta dal Dicastero, ho inviato un’ulteriore lettera con richiesta di ricevuta, anch’essa rimasta finora senza risposta. Sento il dovere di portare questi fatti alla vostra attenzione.   La drammatica situazione in cui si trova la Chiesa a causa del suo rifiuto di applicare il diritto canonico in casi gravi di pedofilia avrebbe dovuto convincerci ad applicarlo con rigore in futuro. Benedetto XVI, del resto, ha collegato il modo in cui trattiamo il Corpo di Cristo al modo in cui trattiamo i bambini (Vatican News, 11 aprile 2019 ) … Sono convinto che non ci sarà primavera per la Chiesa finché non torneremo a ricevere la Comunione sulla lingua e in ginocchio , come Benedetto XVI ha insegnato con il suo esempio durante la sua visita a Parigi nel 2008.   Spero quindi che interveniate affinché le molteplici profanazioni dell’Eucaristia commesse in quel giorno siano punite. In caso contrario, la loro banalizzazione aumenterà e più sacerdoti e fedeli andranno all’Inferno ( Cfr. San Giovanni Crisostomo in Entretiens et méditations ecclésiastiques, Rusand, Parigi, 1826), perché è vero che chi riceve la Comunione indegnamente mangia la sua condanna (1 Cor 11,27), e ancor più il sacerdote che gliela dà (1 Rm 1,32). Il 12 marzo 1913, Gesù si lamentò con San Pio da Pietrelcina: «La mia casa è diventata per molti un luogo di divertimento. Così è anche per i miei sacerdoti . Sotto falsa apparenza mi tradiscono con comunioni sacrileghe».   Voglia gradire, Santissimo Padre, l’espressione dei miei deferenti saluti nel Signore.   Che San Tarcisio assista Vostra Santità nella sua missione divina!   Padre Guy Pagès

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Poligamia: il Vaticano non intende modificare il diritto canonico

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Il Dicastero per la Dottrina della Fede (DDF) ha ribadito che attualmente non esiste alcun piano per modificare il diritto canonico relativo alle unioni poligame, molto comuni nell’Africa subsahariana. Questa dichiarazione del Cardinale Victor Manuel Fernandez, Prefetto del DDF, arriva dopo una nota dottrinale sulla monogamia come fondamento del matrimonio cristiano.

 

I vescovi africani potrebbero essere delusi, poiché avevano chiesto una modifica del diritto canonico per scoraggiare ulteriormente la piaga della poligamia, profondamente radicata nelle tradizioni africane. Commentando la nota di Una Caro del 25 novembre 2025, il Cardinale Fernandez ha sottolineato che il nuovo testo non intendeva «condannare esplicitamente la poligamia», ma piuttosto «promuovere la monogamia come ideale evangelico», limitandone significativamente la portata.

 

Ciò è ancora più significativo se si considera che il Prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede si è affrettato a sottolineare che l’iniziativa rispondeva principalmente alle ripetute richieste dei vescovi africani, espresse durante le visite ad limina e al Sinodo sulla sinodalità. In Africa, questi prelati affrontano importanti sfide pastorali in regioni in cui la poligamia colpisce fino al 24% dei cristiani in Burkina Faso, secondo i dati del Pew Research Center.

 

In una lunga nota a piè di pagina, Una Caro affronta le tradizioni africane a livello giuridico, dove la prima moglie svolge spesso un ruolo centrale nei riti funebri e nell’educazione dei figli di altre unioni. «Studi sulle culture africane mostrano che diverse tradizioni attribuiscono particolare importanza al primo matrimonio», si legge.

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Tuttavia, il cardinale Fernandez insiste sul fatto che questa menzione non implica, a suo avviso, una revisione del canone 1148, che consente a un uomo poligamo convertito al cattolicesimo di scegliere una delle sue mogli per convalidare un matrimonio cristiano, con preferenza per la prima.

 

I vescovi africani, riuniti nell’ambito del Simposio delle Conferenze Episcopali di Africa e Madagascar (SECAM), avevano tuttavia criticato questa flessibilità canonica, in particolare in un documento dell’agosto 2025 intitolato «Le sfide pastorali della poligamia». In esso, denunciavano casi in cui gli uomini «mettono da parte» la loro prima moglie per sceglierne una più giovane, causando sia scandalo che ingiustizia all’interno delle loro comunità.

 

Il prefetto della DDF ha riconosciuto queste «situazioni violente» nei villaggi isolati, dove le donne abbandonate rischiano la miseria o la morte: «Dobbiamo trovare una soluzione prudente che porti gradualmente a unioni monogame», ha dichiarato al sito di informazione The Pillar, specificando al contempo che i vescovi africani devono impegnarsi in questa riflessione, senza modifiche immediate al diritto canonico. Questa posizione si inserisce in un contesto più ampio.

 

La poligamia è diffusa nell’Africa occidentale e centrale: in Ciad, il 21% dei cristiani vive in famiglie poligame, e in Mali il 14%. Durante il Sinodo sulla famiglia del 2014, mons. Ignatius Kaigama – ora arcivescovo di Abuja, in Nigeria – ha sottolineato che la poligamia spesso mira ad assicurare la prole, sollevando interrogativi pastorali per i convertiti. «Come possiamo aiutarli? Come possiamo condurli alla conversione?», si è chiesto.

 

Il documento del SECAM ha anche deplorato le pratiche falsamente pastorali di alcuni sacerdoti, come la tolleranza informale o lo status di «catecumenato permanente» per i poligami, sostenendo invece un annuncio «radicale» del Vangelo.

 

I vescovi africani non hanno quindi veramente prevalso e il controverso autore del documento Fiducia Supplicans (2023) sulla benedizione delle coppie irregolari si è, nella migliore delle ipotesi, impegnato ad aiutare i vescovi africani a trovare «soluzioni appropriate», senza però «isolare» i sacerdoti che esercitano il loro ministero in contesti in cui la poligamia è la norma.

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.News.

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Corredentrice e Mediatrice: cosa chiedevano i vescovi alla vigilia del Vaticano II

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Il numero di novembre 2025 del Courrier de Rome assume un significato particolare alla luce della Nota Mater populi fidelis del cardinale Fernández, che rifiuta i titoli di Corredentrice e Mediatrice di tutte le Grazie. Per cogliere la portata di questa rottura, i due studi storici di padre Jean-Michel Gleize costituiscono il cuore di questo numero e ne costituiscono l’interesse principale.   Questi articoli richiamano alla mente un fatto significativo, spesso dimenticato: alla vigilia del Concilio Vaticano II, l’episcopato cattolico chiese quasi all’unanimità una definizione di Corredenzione e Mediazione Universale. Le citazioni che l’autore estrae dagli Atti conciliari sono sorprendenti. Il vescovo di Malta, l’arcivescovo Galea, vedeva in questa definizione «un grandissimo aiuto» per riunire i cristiani separati, affermando che questa verità sarebbe stata accolta «come la voce della Madre Celeste che vuole riportare tutti i suoi figli all’unità».   I vescovi spagnoli, da parte loro, hanno affermato inequivocabilmente che Maria «merita di essere Mediatrice presso il Mediatore» e che, secondo San Pio X, è «la prima dei ministri a distribuire le grazie».   La Polonia, fedele alla sua tradizione mariana, ha espresso con forza il sentimento del popolo cristiano. Il vescovo Blecharczyk ha osservato che tutti – «ignoranti o dotti» – credono che Maria, suscitata da Dio, sia «la collaboratrice dell’opera della Redenzione” e “la Mediatrice di tutte le grazie che scaturiscono dalla Redenzione come dalla loro fonte».

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Quanto al vescovo Czerniak, egli ha affermato che questa dottrina è ormai così chiara, così profondamente radicata nella Tradizione e nell’insegnamento dei papi, che deve essere resa professione di fede: «La Beata Vergine Maria deve essere dichiarata Mediatrice di tutte le grazie […] perché la volontà di Dio l’ha creata come Mediatrice universale».   Questi testi dimostrano che la dottrina di Maria, Corredentrice e Mediatrice, non si basava sulle opinioni di teologi isolati, ma sulla voce unificata della Chiesa docente, che vedeva in questa definizione un bene spirituale importante per i fedeli e persino un mezzo per convertire i non cattolici. Le poche obiezioni registrate – solo due autentiche – non riguardavano mai la dottrina in sé, ma piuttosto considerazioni di opportunità pastorale.   Rivelando questa unanimità episcopale, padre Gleize dimostra che la Nota del Dicastero, riducendo la cooperazione di Maria a un mero esempio, «non riflette accuratamente la dottrina del Magistero della Chiesa».   Questo numero offre quindi uno spunto cruciale per comprendere l’attuale dibattito mariano: lungi dall’essere spunti devozionali, Corredenzione e Mediazione Universale sono al centro della fede cattolica trasmessa dai pastori. Leggere questo dossier significa riscoprire questa profonda armonia, oggi oscurata, tra la Tradizione viva della Chiesa e la verità sulla Madre di Dio.   Articolo previamente apparso su FSSPX.News

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Immagine: Chiesa cattolica di Nostra Signora del Perpetuo Soccorso (Grove City, Ohio) – Statua della Beata Vergine Maria Immagine di Nheyob via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International; immagine tagliata
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