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Geopolitica

Milley anticipa che l’offensiva ucraina sarà «lunga e molto violenta». Scott Ritter dice che è fallita

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Il presidente del Joint Chiefs of Staff – organo che riunisce i capi di stato maggiore degli Stati Uniti – generale Mark Milley  ha predetto che la controffensiva dell’Ucraina sarà lunga e «molto violenta» a seguito di una riunione del gruppo di consultazione per il supporto all’Ucraina (Ukraine Defense Contract Group) a Bruxelles il 15 giugno.

 

In conferenza stampa congiunta con il segretario alla Difesa USA Lloyd Austin, Milley ha rifiutato di fornire una tempistica per la controffensiva: «questa è una lotta molto difficile. È una lotta molto violenta, e probabilmente richiederà una notevole quantità di tempo e a costi elevati», che la NATO esorta l’Ucraina a pagare.

 

L’ex colonello americano e ispettore ONU Scott Ritter ha dato un’altra versione dello stato delle cose in un articolo apparso sul sito russo Sputnik: «l’Ucraina non ha la capacità militare per superare le difese russe».

 

«Le brigate d’assalto ucraine più d’élite, equipaggiate con la più recente tecnologia militare occidentale, non sono riuscite ad avanzare oltre quella che la dottrina difensiva russa chiama la linea di difesa “di copertura”, il cuscinetto progettato per incanalare e interrompere una forza d’attacco prima di raggiungere ila “principale” linea di difesa».

 

«Il numero delle vittime ucraine è stato estremamente pesante, con la Russia che ha raggiunto un rapporto di uccisioni di 10: 1 in termini di personale, che è insostenibile dal punto di vista ucraino. Le ragioni del fallimento ucraino sono di natura fondamentale».

 

La prima ragione addotta da Ritter è la qualità delle difese russe unita alla tenacia del difensore russo e alla schiacciante superiorità di cui gode la Russia in termini di supporto di fuoco contro il quale le forze e le tattiche ucraine sono insufficienti.

 

In secondo luogo, «gli ucraini stanno pagando il prezzo dell’impressionante campagna russa di soppressione della difesa aerea nemica (SEAD) che va avanti da molte settimane», continua Ritter.

 

«La Russia non solo ha neutralizzato la capacità dell’Ucraina di difendere obiettivi strategici ben oltre le linee del fronte, ma anche di proiettare qualsiasi significativa capacità di difesa aerea nell’effettiva zona del conflitto. Questo, combinato con la mancanza di qualsiasi forza aerea vitale, lascia le forze di terra ucraine attaccanti esposte a tutto il peso della potenza aerea russa».

 

Gli alleati della NATO, dice Ritter, «alla vigilia del loro vertice annuale, sono alla disperata ricerca di qualsiasi segno che l’investimento multimiliardario che hanno fatto collettivamente nell’esercito ucraino possa pagare anche i dividendi più rudimentali. Per questo motivo, la NATO continuerà a fare pressione sull’Ucraina per raddoppiare la sconfitta, pressando i russi in modo offensivo anche se qualsiasi guadagno… sarebbe di natura pirrica e insostenibile nel lungo periodo».

 

Come riportato da Renovatio 21, sei mesi fa Milley appariva scettico su una vittoria Ucraina e parlava di negoziati. A inizio conflitto Milley – grande lettore di filosofia woke ed esperto del concetto di white rage (l’idea che i bianchi sono ingiustamente arrabbiati e aggressivi perché stanno per essere soppiantati) – a inizio anno aveva dichiarato che la guerra Russia Ucraina potrebbe durare anni.

 

Parimenti, l’anno passato aveva detto che Pechino non avrebbe ora le capacità e nemmeno l’intenzione di invadere Taiwan.

 

Come riportato da Renovatio 21, il Milley ha buoni rapporti con gli omologhi nell’Esercito di Liberazione del Popolo della Repubblica Popolare Cinese, che aveva contattato per dire, nelle drammatiche ore del cambio alla presidenza, che non avrebbe obbedito ad un ordine di attacco contro la Cina qualora Trump lo avesse formulato in quelle ore.

 

Fu scritto anche il Milley aveva confabulato in quel momento con la speaker della Camera Nancy Pelosi. Praticamente un golpe implicito, pure con venature militari, di cui ovviamente non ha importato a nessuno, perché si trattava pur sempre di mandar via Trump dalla Casa Bianca.

 

Il quale Trump non ha moltissima simpatia per il Milley. In un evento a Mar-a-Lago in Florida, l’ex presidente Trump ha affermato che Milley gli aveva detto che lasciare gli aerei in Afghanistan era più economico che spostarli in un altro Paese.

 

«Fu allora che mi resi conto che era un fottuto idiota», ha detto Trump, suscitando un’ondata di risate dalla folla.

 

 

Tre mesi fa il generale Milley ha visitato le truppe americane che occupano parte della Siria. La base americana in territorio siriano, che il presidente Trump aveva detto di chiudere venendo però disatteso dal Pentagono, è al centro di dibattito politico anche a Washington: mentre Milley la va a visitare, il deputato floridiano Matt Gaetz aveva tentato di lanciare un disegno di legge per chiuderla – l’operazione politica è stata subito bocciata dai colleghi legislatori del Gaetz.

 

Poco dopo la visita di Milley alla base americana, il presidente siriano Assad, in visita a Mosca, ha rivelato che nella base di siriana Al Tanf gli USA addestrerebbero terroristi.

 

L’anno passato l’Intelligence russa aveva accusato gli Stati Uniti di addestrare in Siria militanti ISIS da spedire sul fronte ucraino. Alcune foto di combattenti ucraini con le mostrine dello Stato Islamico potrebbero esserne testimonianza.

 

 

 

 

Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr.

 

 

 

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Geopolitica

Trump anticipa nuovi colloqui con Putin

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Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha dichiarato che con ogni probabilità parlerà a breve con l’omologo russo Vladimir Putin per affrontare il conflitto in Ucraina. Le sue parole arrivano in concomitanza con l’incontro previsto per questo fine settimana con il presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj.

 

In un’intervista concessa venerdì a Politico, Trump ha lasciato intendere che «andrà tutto bene con Putin», aggiungendo di aspettarsi un contatto con lui «presto, quanto vorrà». Non ha precisato i tempi dei colloqui, né se questi precederanno o seguiranno i negoziati con lo Zelens’kyj.

 

L’ultima conversazione telefonica tra Putin e Trump risale al 16 ottobre, quando il leader russo si è complimentato con il presidente statunitense per il ruolo svolto nella mediazione dell’accordo di pace a Gaza. Parallelamente, Mosca e Washington hanno mantenuto contatti intensi sull’Ucraina, con l’inviato speciale di Trump, Steve Witkoff, e il genero Jared Kushner, che all’inizio di dicembre hanno avuto un colloquio di cinque ore con Putin al Cremlino sul conflitto ucraino.

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L’incontro Trump-Zelens’kyjdi domenica in Florida si concentrerà sulle questioni territoriali, in particolare sul Donbass controllato dalla Russia, che rappresenta il principale ostacolo per porre fine alla guerra, secondo il leader ucraino. Lo Zelens’kyj ha inoltre annunciato che proporrà l’idea di un referendum sulle concessioni territoriali alla Russia, a condizione che Mosca accetti un cessate il fuoco di almeno 60 giorni.

 

Mosca, però, ha rigettato la proposta del referendum, considerandola un tentativo di guadagnare tempo per riarmarsi e riorganizzarsi, ribadendo che le regioni di Donetsk e Lugansk sono parti integranti e inalienabili della Russia.

 

All’inizio di questa settimana, lo Zelens’kyj ha presentato un piano che prevede il congelamento del conflitto lungo le attuali linee del fronte nelle regioni di Donetsk, Lugansk, Zaporozhye e Kherson, con il ritiro delle truppe russe da diverse aree ucraine.

 

Lo Zelens’kyj ha inoltre richiesto garanzie di sicurezza «simili all’Articolo 5» NATO da parte di Stati Uniti, Alleanza Atlantica ed Europa.

 

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Il ministro israeliano: agli ebrei non può essere impedito di stabilirsi in Cisgiordania

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Il Ministero degli Esteri israeliano ha respinto le critiche provenienti dall’Occidente riguardo alla recente decisione di legalizzare formalmente 19 insediamenti in Cisgiordania occupata, alcuni dei quali erano stati smantellati in occasione del ritiro unilaterale da Gaza nel 2005.   Un gruppo di 14 Paesi, in gran parte europei, ha condannato all’inizio del mese la scelta del gabinetto di sicurezza israeliano, definendola illegale secondo il diritto internazionale e capace di aggravare il conflitto con i palestinesi. La questione degli insediamenti rappresenta da decenni una delle principali cause di tensione e un elemento centrale in quello che i critici descrivono come un sistema discriminatorio israeliano nei confronti della popolazione araba.   «I governi stranieri non limiteranno il diritto degli ebrei a vivere nella Terra di Israele, e qualsiasi richiesta del genere è moralmente sbagliata e discriminatoria nei confronti degli ebrei», si legge nella nota diffusa giovedì da Gerusalemme Ovest.   Il ministero ha richiamato la Dichiarazione Balfour del 1917 come fondamento della propria politica insediativa, affermando che essa è in linea con il diritto internazionale. Il documento britannico prevedeva l’istituzione di una «patria nazionale per il popolo ebraico» in Palestina, territorio che il Regno Unito ottenne in mandato dopo la sconfitta dell’Impero Ottomano nella Prima Guerra Mondiale.   In una dichiarazione congiunta pubblicata mercoledì, Canada, Giappone, Regno Unito e vari Stati membri dell’Unione Europea – tra cui Francia e Germania – hanno espresso «chiara opposizione a qualsiasi forma di annessione e all’espansione delle politiche di insediamento», avvertendo che le azioni di Israele rischiano di compromettere la tregua a Gaza mediata dagli Stati Uniti.   All’inizio dell’anno, diversi Paesi occidentali hanno riconosciuto lo Stato di Palestina nell’ambito di un coordinato mutamento di approccio diplomatico, mirato a esercitare pressione su Israele per le sue operazioni militari a Gaza e per il rifiuto di una soluzione a due Stati nel conflitto mediorientale.

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La decisione israeliana, annunciata formalmente domenica dal ministro delle Finanze Bezalel Smotrich – colono e esponente della linea dura – istituisce 11 nuovi insediamenti e conferisce status ufficiale a otto avamposti già esistenti in Cisgiordania.   Secondo i media israeliani, circa la metà di questi nuclei si trova nel cuore della Cisgiordania. Quattro erano stati evacuati durante il ritiro unilaterale da Gaza del 2005, mentre due sono stati ricostituiti a maggio. Israele ha revocato le norme che avevano imposto quegli sgomberi nel marzo 2023.   L’annessione della Cisgiordania, considerata come il vero premio per Israele dell’attuale crisi, è nei progetti dello Stato Ebraico da tempo. Incursioni militari si sono viste a inizio anno a seguito dell’esplosione di alcuni autobus, e poco prima erano stati effettuati raid aerei con relativa strage a Tulkarem. Due anni fa si ebbe l’episodio dei commando israeliani che entrarono in un ospedale cisgiordano travestiti da donna.   A febbraio 2024 ministri del gabinetto Netanyahu si trovarono ad un convegno che celebrava la colonizzazione celebrato con balli sfrenati su musica tunza-tunza.   In una strana umiliazione inflitta agli USA, due mesi fa il Parlamento israeliano (la Knesset) aveva votato per la «sovranità» sionista sulla Cisgiordania proprio mentre era in visita il vicepresidente americano JD Vance, che disse di sentirsi «insultato» dalla «stupida trovata». Trump ha dichiarato quindi che toglierà i fondi ad Israele qualora annettesse la Cisgiordania. Il presidente americano, contrariamente a quanto auspicato da ministri sionisti all’epoca della sua elezione, non sembra voler concedere allo Stato Giudaico l’anschluss di quella che gli israeliano chiamano «Giudea e Samaria».   Come riportato da Renovatio 21, continui attacchi dei coloni giudei terrorizzano le cittadine cristiane della Cisgiordania come Taybeh, i cui sacerdoti chiesero aiuto durante l’assedio di sei mesi fa.    

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Orban: «l’UE è in uno stato di disintegrazione»

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L’Unione Europea sta progressivamente disintegrandosi perché le decisioni adottate a Bruxelles vengono sempre più disattese dagli Stati membri, ormai divisi tra fautori della guerra e sostenitori della pace, ha dichiarato il primo ministro ungherese Vittorio Orban.

 

In un’intervista pubblicata mercoledì sul quotidiano Magyar Nemzet, Orban ha sostenuto che questo processo è in atto nonostante Bruxelles, con la sua «burocrazia dalle ambizioni imperiali», continui a spingere per ampliare il proprio potere sui governi nazionali.

 

«L’Unione europea oggi è in uno stato di disintegrazione… È così che l’unione si sgretola: le decisioni vengono prese a Bruxelles, ma non vengono attuate», ha affermato Orbán, rilevando che la non conformità tende a diffondersi da un Paese all’altro.

 

Interrogato sulla possibilità che l’Europa si stia trasformando in un’economia di guerra, ha risposto di sì. Orbán ha spiegato che il declino politico, economico e sociale dell’Europa occidentale – iniziato a metà degli anni 2000 e accelerato da risposte inadeguate alla crisi finanziaria – ha reso la regione incapace di competere con le aree del mondo in più rapida crescita. Di conseguenza, ha argomentato, la crescita viene ricercata attraverso il consolidato modello storico dell’economia di guerra, che spiegherebbe l’impegno europeo nel conflitto ucraino.

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Budapest si è opposta con coerenza alle politiche bellicose di Bruxelles verso l’Ucraina fin dall’escalation del febbraio 2022, incluse le sanzioni contro la Russia. Secondo Orbán, queste misure hanno fatto esplodere i prezzi dell’energia, rendendo la concorrenza «impossibile» e di fatto «uccidendo» l’industria europea.

 

Il premier magiaro ha inoltre sottolineato che l’Europa si è spaccata in due schieramenti – «il campo della guerra e quello della pace» – e che al momento prevalgono le forze favorevoli alla guerra. «Bruxelles vuole la guerra; l’Ungheria vuole la pace», ha dichiarato l’Orban.

 

Alti funzionari UE hanno sfruttato le presunte minacce provenienti da Mosca per giustificare l’accelerazione della militarizzazione. Il presidente russo Vladimir Putin ha accusato l’Unione di aggrapparsi alla «fantasia» di infliggere una sconfitta strategica alla Russia, sostenendo che l’UE «non ha un’agenda pacifica» e si schiera invece «dalla parte della guerra». Putin ha messo in guardia che, pur non avendo la Russia alcuna intenzione di combattere contro l’UE o la NATO, la situazione potrebbe degenerare rapidamente se le nazioni occidentali provocassero un conflitto con Mosca.

 

 

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