Geopolitica
Jake Sullivan, il falco antirusso della Casa Bianca che ha organizzato il team che ha distrutto i Nord Stream
Nello scoop del giornalista investigativo americano Seymour Hersh – l’ennesimo di una carriera più lunga di mezzo secolo – emerge con forza che nel complotto per la distruzione del gasdotti russo-tedeschi vi è una figura piuttosto centrale: quella dell’advisor della Casa Bianca Jake Sullivan.
Nel dicembre 2021, Jake Sullivan, agendo con la benedizione di Joe Biden, ha convocato uomini e donne del Joint Chiefs of Staff, della CIA e dei dipartimenti di Stato e del Tesoro per elaborare un piano su come distruggere il Nord Stream 1 e 2 progettato per pompare gas naturale russo in Europa, secondo il recente articolo-bomba di Seymour Hersh.
All’inizio del 2022, la CIA disse a Sullivan che sapevano come far saltare in aria gli oleodotti. Il gruppo aveva deciso di tenere sotto silenzio il progetto, non informando il Congresso degli Stati Uniti, che in genere deve essere avvisato delle operazioni delle forze speciali, che qui, di fatto, non sarebbero state utilizzate, forse proprio per evitare fughe di notizia. Secondo Hersh, il team che preparava l’immane sabotaggio antirusso e antieuropeo era preoccupato per la legalità del complotto ed era ben consapevole che avrebbe potuto rapidamente trasformarsi in un incubo di politica estera.
Dopo che gli oleodotti furono distrutti, il segretario di Stato Antony Blinken e, successivamente, il sottosegretario agli affari politici Victoria Nuland lodarono apertamente lo sviluppo, con la Nuland che, come Biden, lo aveva in realtà perfino anticipato.
Dopo il fatto Sullivan aveva fischiettato alla grandissima. Il 27 settembre 2022 il giovane dichiarava che gli Stati Uniti stavano sostenendo gli sforzi per indagare sull’«apparente sabotaggio» e «continueranno il lavoro per salvaguardare la sicurezza energetica dell’Europa». Quello che è successo, invece, è che Sullivan e i suoi hanno distrutto la stabilità energetica e l’economia dell’Europa, dilaniata da costi dell’energia divenuti folli e suicidi: case fredde, imprese chiuse, intere Nazioni che tornano a raccogliere legna nei boschi per passare l’inverno, come nel medioevo.
Ma chi è davvero Jake Sullivan?
Jake Sullivan, 46 anni, è definito dai media mainstream statunitensi come un «golden boy», un ragazzo d’oro, un giovane talentuoso dall’ascesa inarrestabile. Dopo essersi laureato alla prestigiosa università di Yale (sede della confraternita Skull & Bones, di cui hanno fatto parte vari presidenti USA, e da cui, secondo una certa vulgata, deriverebbe la stessa CIA) nel 1998, Sullivan è diventato consigliere dell’allora candidata presidenziale Hillary Clinton nel 2008 e successivamente, dopo che Hillary si è ritirata dalla corsa, ha consigliato Barack Obama durante la sua campagna elettorale generale.
Sullivan aveva solo 32 anni quando ha prestato giuramento come vice capo dello staff per la politica di Hillary Clinton al Dipartimento di Stato USA. Quando la Clinton ha lasciato il Dipartimento di Stato all’inizio del 2013, Obama ha promosso Sullivan alla posizione di consigliere per la sicurezza nazionale dell’allora vicepresidente Joe Biden.
Nel 2015, Sullivan ha sposato Margaret Goodlander, un tempo consigliere dei noti falchi senatori Joe Lieberman e John McCain, che in precedenza lavorava per il Council on Foreign Relations – il grande, antico think tank geopolitico voluto dai Rockefellerri – e il Center for a New American Security. La Goodlander in Sullivan è attualmente consigliere del procuratore generale Merrick Garland, protagonista di tante belle cose degli ultimi mesi, come le tensioni con i genitori degli studenti – ormai divenuti «terroristi interni» – obbligati alle teorie e pratiche del gender e alle nuove dottrina della razza (la famosa CRT, Critical Race Theory). È emerso che la famiglia di Garland pubblica libri di questi argomenti acquistati dalle scuole pubbliche.
Sullivan era noto per essere un membro tranquillo ma di spicco della squadra Clinton-Obama. Secondo la stampa, faceva parte del team «esclusivo» che lavorava per riprendere le relazioni con Cuba e firmare il Piano d’azione globale congiunto (JCPOA) del 2015, comunemente noto come accordo sul nucleare iraniano. Si dice anche che sia lo stretto confidente di Hillary nel piano Libia, che è stato sviluppato mesi prima della catastrofe 2011 e della brutale uccisione del suo leader Muammar Gheddafi. Ricordiamo, in quell’ambito, che fine fece l’ambasciatore Chris Stevens mandato in Libia dalla Clinton. Secondo fonti arabe, fu trovato impalato.
Sullivan e il suo boss Hillary Clinton aderivano al concetto di «smart power», che comprende l’uso della minaccia militare, della forza e delle sanzioni e le leve del soft power favorite dalle colombe della politica estera, che includono aiuti umanitari e negoziati.
Secondo quanto riferito, il fido aiutante fu definito come una «figura di fascino» e un «potenziale futuro presidente» dalla Hillary. Il Biden lo lodava come un «intelletto unico nella generazione».
Nel 2015, Il Sullivano si univa a Hillary nel suo ciclo elettorale 2015-2016 come consigliere per la politica estera e alla fine tornava nell’amministrazione statunitense come consigliere per la sicurezza nazionale di Joe Biden nel 2021.
Tuttavia, come riporta il sito governativo russo Sputnik, non tutti concordano all’idea di una carriera rosa e fiori.
«Sullivan è chiaramente ubriaco di potere e privo di un vero senso del bene contro il male», secondo il giornalista investigativo ed esperto analista di Wall Street Charles Ortel. «Sullivan è un globalista ferocemente partigiano che ha ottenuto numerosi alti onori nella vita accademica, quindi è estremamente sicuro di sé e, purtroppo, spesso gravemente in torto», ha detto Ortel a Sputnik.
«Un modo per avere un’idea del modo in cui opera è esaminare i file WikiLeaks del Dipartimento di Stato e Podesta e i file Vault dell’FBI su Hillary Clinton, dove Sullivan è spesso coinvolto. Come i Clinton, Sullivan si è messo in contatto con potenti dem e ha operato ben al di sopra del suo livello di esperienza all’inizio. Ma a differenza di Clinton, Obama e Biden, Sullivan deve ancora ricoprire una carica elettiva».
Perché Sullivan sia salito alla ribalta così in fretta anche se aveva relativamente poca esperienza negli affari di governo? La stessa Hillary nel suo libro Hard Choices ammette che Jake non era il diplomatico più esperto quando si trattava di politica estera.
Sputnik scrive che «secondo gli osservatori dei media statunitensi, il segreto principale di Sullivan è che ha imparato a soddisfare i desideri e le esigenze del suo capo anche quando andava contro le regole e l’etica. La stampa americana ha citato un anziano assistente di Obama dicendo che Sullivan era pronto a fare “tutto” per l’allora segretario Clinton».
«Sotto Obama e Biden, Sullivan è collegato a disastri dopo disastri, dalla “primavera” araba a Bengasi, ISIS, l'”accordo” con l’Iran e altro ancora. Sembra essere un grande fan dei negoziati segreti che non sono mai soggetto a supervisione», dichiara ancora Ortel.
Sullivan è rimasto impantanato nello scandalo di Bengasi di Hillary Clinton, che ruota attorno al fallimento dell’ex segretario di stato nell’impedire un brutale massacro dell’ambasciatore statunitense Christopher Stevens e di altri tre cittadini statunitensi in Libia l’11 settembre 2012. Durante le indagini sulla questione, il comitato della Camera è inciampato sulla lettera di Sullivan in cui il giovane funzionario diplomatico sottolineava che «dobbiamo vivere in un mondo di rischi», mentre propagandava la decisione di Washington di estromettere Gheddafi che ha aperto la porta al caos in Libia.
Sullivan, tuttavia, giuoca un ruolo di primo piano anche nelle memorabili elezioni presidenziali 2016. Quelle, per intenderci, del Russiagate.
«Nella campagna del 2016, aveva tutti i motivi per nascondere i misfatti dei Clinton, inclusa la corruzione e la frode fiscale che coinvolgeva la Clinton Foundation e molti altri enti di beneficenza», dice Ortel, che ha condotto un’indagine privata sulla presunta frode della Clinton Foundation per parecchi anni. «Qui si rivelerà interessante vedere cosa [il consigliere speciale] John Durham ha da dire su Sullivan, incluso il suo probabile ruolo nel promuovere la bufala russa, per l’impeachment di Trump e per l’elezione di Joe Biden».
Sullivan sembrava non avere scrupoli nel diffondere attivamente la narrativa della collusione Trump-Russia e nel mantenere vivo il mito anche dopo che le accuse su Trump erano state dimostrate nulle. Successivamente, l’indagine di Durham ha fatto luce sul ruolo degli agenti della campagna di Clinton nel diffondere una falsa storia Trump-Alfa Bank e il dossier-bufala dell’ex agente dell’MI6 Christopher Steele.
Tuttavia, quando ha testimoniato sotto giuramento davanti al Comitato ristretto permanente per l’intelligence della Camera degli Stati Uniti nel dicembre 2017, il confidente di Clinton ha negato qualsiasi conoscenza del complotto o delle persone coinvolte.
«Sullivan è stato anche colui che ha promosso personalmente la storia della collusione Trump-Russia prima delle elezioni del 2016. Così, durante la Convenzione Nazionale Democratica (DNC) del luglio 2016 a Filadelfia, Sullivan ha incontrato un certo numero di produttori e conduttori di media mainstream per raccontare una storia “che Trump stava cospirando con Putin per rubare le elezioni”» ricorda il sito russo.
In quel periodo, la CIA aveva intercettato le «chiacchiere» dell’intelligence russa su un «consigliere per la politica estera” di Clinton che avrebbe proposto un piano per diffamare Donald Trump collegandolo al Cremlino per distrarre l’opinione pubblica dallo scandalo emailgate di Hillary: le diecine di migliaia di email pubbliche mantenute sul server privato della Clinton e poi cancellate misteriosamente. «Alcuni osservatori statunitensi ritengono che il consigliere per la politica estera in questione fosse Jake Sullivan» accusa Sputnik.
Secondo Ortel, Sullivan potrebbe benissimo essere a conoscenza di molti altri segreti «sporchi» dell’establishment democratico statunitense, inclusi i presunti schemi di corruzione dei Clinton, il traffico di influenze di Joe e Hunter Biden e gli sforzi del Team Obama per minare l’allora presidente in carica Donald Trump attraverso una serie di indagini losche e fughe di notizie.
«In poche parole, Sullivan non ha altra scelta che coprire i disastri collegati a Biden, Obama e Clinton e probabilmente non può accettare i gravi errori (e gli alti crimini) che sembrano essere stati commessi. In questo sforzo, crederà di essere al sicuro perché sua moglie è una stretta consigliera e amica del procuratore generale Merrick Garland», osserva ancora Orcel che continua dicendo che, riguardo alla catastrofe dei gasdotti bombardati sotto il Baltico, «in un processo giusto, Sullivan e i suoi cospiratori verrebbero rapidamente accusati, condannati e incarcerati se fosse dimostrato che ha orchestrato una guerra non dichiarata contro la Russia».
Secondo Ortel, alimentando le fiamme della guerra per procura contro la Russia, il Team Biden persegue interessi acquisiti e cerca di coprire e oscurare misfatti politici che coinvolgono Biden, Clinton e Obama in Ucraina e in altri Paesi dal 2009 ad oggi – tutte situazioni che portano le ditate del giovane Sullivano.
Il quale non deve dormire benissimo: Hersh ha dichiarato che altri articoli sono in arrivo. Che l’intoccabile ragazzino possa finalmente essere messo sotto accusa?
Se venisse dimostrato che ha orchestrato segretamente un «atto di guerra» – come sembra il gruppo stesso fosse cosciente di star portando avanti – quale sarebbe l’imputazione possibile? Alto tradimento?
E quale sarebbe la pena, negli USA, per aver complottato al fine di trascinare il Paese in guerra con un’altra superpotenza atomica?
Geopolitica
Putin: la Russia raggiungerà tutti i suoi obiettivi nel conflitto ucraino
La Russia porterà a compimento tutti gli obiettivi dell’operazione militare speciale in Ucraina, ha dichiarato il presidente Vladimir Putin.
Tra gli scopi principali enunciati da Putin nel 2022 vi sono la protezione degli abitanti delle Repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk dall’aggressione delle forze di Kiev, nonché la smilitarizzazione e la denazificazione dell’Ucraina.
«Naturalmente porteremo a termine questa operazione fino alla sua logica conclusione, fino al raggiungimento di tutti gli obiettivi dell’operazione militare speciale», ha affermato Putin in videocollegamento durante la riunione del Consiglio presidenziale per i diritti umani di martedì.
Il presidente russo quindi ricordato che il conflitto è scoppiato quando l’esercito ucraino è stato inviato nel Donbass, regione storicamente russa che nel 2014 aveva respinto il colpo di Stato di Maidan sostenuto dall’Occidente. Questo, secondo il presidente, ha reso inevitabile l’intervento delle forze armate russe per porre fine alle ostilità.
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«Si tratta delle persone. Persone che non hanno accettato il colpo di Stato in Ucraina nel 2014 e contro le quali è stata scatenata una guerra: con artiglieria, armi pesanti, carri armati e aviazione. È lì che è iniziata la guerra. Noi stiamo cercando di mettervi fine e siamo costretti a farlo con le armi in pugno».
Putin ha ribadito che per otto anni la Russia ha cercato di risolvere la crisi per via diplomatica e «ha firmato gli accordi di Minsk nella speranza di una soluzione pacifica». Tuttavia, ha aggiunto la settimana scorsa in un’intervista a India Today, «i leader occidentali hanno poi ammesso apertamente di non aver mai avuto intenzione di rispettarli», avendoli sottoscritti unicamente per guadagnare tempo e permettere all’Ucraina di riarmarsi.
Mosca ha accolto positivamente il nuovo slancio diplomatico impresso dal presidente statunitense Donald Trump, che ha proposto il suo piano di pace in 28 punti come base per un’intesa.
Lunedì Trump ha pubblicamente invitato Volodymyr Zelens’kyj ad accettare le proposte di pace, lasciando intendere che il leader ucraino non abbia nemmeno preso in esame l’ultima offerta americana.
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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0)
Geopolitica
Lavrov elogia la comprensione di Trump delle cause del conflitto in Ucraina
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Geopolitica
Gli europei sotto shock per la strategia di sicurezza nazionale degli Stati Uniti per il 2025
I leader europei e i media dell’establishment sono in preda al panico dopo la diffusione, sul portale ufficiale della Casa Bianca, della «Strategia per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti d’America 2025» (NSS).
A terrorizzare Bruxelles e dintorni è l’impegno esplicito del governo USA a privilegiare «Coltivare la resistenza all’attuale traiettoria dell’Europa all’interno delle nazioni europee», descritta in termini aspri ma realistici. Il report si scaglia in particolare contro l’approccio dell’UE alla Russia.
L’NSS ammonisce che il Vecchio Continente rischia la «cancellazione della civiltà» se non invertirà la rotta imposta dall’Unione Europea e da altre entità sovranazionali. La «mancanza di fiducia in se stessa» del Continente emerge con evidenza nelle interazioni con Mosca. Gli alleati europei detengono un netto primato in termini di hard power rispetto alla Russia in quasi tutti i campi, salvo l’arsenale nucleare.
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Dopo l’invasione russa in Ucraina, i rapporti europei con Mosca sono drasticamente deteriorati e numerosi europei vedono nella Federazione Russa una minaccia esistenziale. Gestire le relazioni transatlantiche con la Russia esigerà un impegno diplomatico massiccio da Washington, sia per reinstaurare un equilibrio strategico in Eurasia sia per scongiurare frizioni tra Mosca e gli Stati europei.
«È un interesse fondamentale degli Stati Uniti negoziare una rapida cessazione delle ostilità in Ucraina, al fine di stabilizzare le economie europee, prevenire un’escalation o un’espansione indesiderata della guerra e ristabilire la stabilità strategica con la Russia, nonché per consentire la ricostruzione post-ostilità dell’Ucraina, consentendole di sopravvivere come Stato vitale».
Il conflitto ucraino ha paradossalmente accresciuto la vulnerabilità esterna dell’Europa, specie della Germania. Oggi, le multinazionali chimiche tedesche stanno erigendo in Cina alcuni dei più imponenti complessi di raffinazione globale, sfruttando gas russo che non possono più procurarsi sul suolo patrio.
L’esecutivo Trump si scontra con i burocrati europei che coltivano illusioni irrealistiche sul prosieguo della guerra, appollaiati su coalizioni parlamentari fragili, molte delle quali calpestano i pilastri della democrazia per imbavagliare i dissidenti. Una vasta maggioranza di europei anela alla pace, ma tale aspirazione non si riflette nelle scelte politiche, in gran parte ostacolate dal sabotaggio dei meccanismi democratici perpetrato da quegli stessi governi. Per quanto allarmati siano i continentali, l’establishment britannico lo è ancor di più.
Ruth Deyermond, docente al dipartimento di Studi della Guerra del King’s College London e specialista in dinamiche USA-Russia, ha commentato su X che il testo segna «l’enorme cambiamento nella politica statunitense nei confronti della Russia, visibile nella nuova Strategia per la Sicurezza Nazionale – il più grande cambiamento dal crollo dell’URSS». Mosca appare citata appena dieci volte nel corposo documento, nota Deyermond, e prevalentemente per evidenziare le fragilità europee.
In un passaggio esemplare, il report afferma che «questa mancanza di fiducia in se stessa è più evidente nelle relazioni dell’Europa con la Russia». «L’assenza della Russia dalla Strategia di Sicurezza Nazionale 2025 appare davvero strana, sia perché la Russia è ovviamente uno degli stati che hanno l’impatto più significativo sulla stabilità globale al momento, sia perché l’amministrazione è così chiaramente interessata alla Russia (…) Non è solo la mancanza di riferimenti alla Russia a essere sorprendente, è il fatto che la Russia non venga mai menzionata come avversario o minaccia» scrive l’accademica.«La mancanza di discussione sulla Russia, nonostante la sua importanza per la sicurezza e l’ordine internazionale e la sua… importanza per l’amministrazione Trump, fa sembrare che stiano semplicemente aspettando di poter parlare in modo più positivo delle relazioni in futuro».
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La parte dedicata al dossier ucraino – che allude al fatto che «l’amministrazione Trump si trova in contrasto con i politici europei che nutrono aspettative irrealistiche per la guerra» – pare quasi redatta dal Cremlino. L’incipit della Deyermond è lapidario: «Se qualcuno in Europa si aggrappa ancora all’idea che l’amministrazione Trump non sia inamovibile filo-russa e ostile alle istituzioni e ai valori occidentali, dovrebbe leggere la Strategia per la Sicurezza Nazionale del 2025 e ripensarci».
Il NSS dedica scarsa attenzione alla NATO, se non per insistere sulla cessazione della sua espansione indefinita, ma stando ad un articolo Reuters del 5 dicembre, Washington intende che l’Europa rilevi entro il 2027 la gran parte delle competenze di difesa convenzionale dell’Alleanza, dall’intelligence ai missili. Questa scadenza «irrealistica» è stata illustrata questa settimana a diplomatici europei a Washington dal team del Pentagono incaricato della politica atlantica, secondo cinque fonti «a conoscenza della discussione».
Nel corso dell’incontro, i vertici del Dipartimento della Difesa avrebbero espresso insoddisfazione per i passi avanti europei nel potenziare le proprie dotazioni difensive dopo l’«invasione estesa» russa in Ucraina del 2022. Gli esponenti USA hanno avvisato i loro omologhi che, in caso di mancato rispetto del termine del 2027, gli Stati Uniti potrebbero sospendere la propria adesione a certi meccanismi di coordinamento difensivo NATO, hanno riferito le fonti. Le capacità convenzionali comprendono asset non nucleari, da truppe ad armamenti, e i funzionari non hanno chiarito come misurare i progressi europei nell’assunzione della quota preponderante del carico, precisa Reuters.
Non è dato sapere se il limite temporale del 2027 rifletta la linea ufficiale dell’amministrazione Trump o meri orientamenti di singoli addetti del Pentagono. Diversi rappresentanti europei hanno replicato che un tale orizzonte non è fattibile, a prescindere dai criteri di valutazione di Washington, dal momento che il Vecchio Continente necessita di risorse finanziarie aggiuntive e di una volontà politica più marcata per rimpiazzare alcune dotazioni americane nel breve periodo.
Tra le difficoltà, i partner NATO affrontano slittamenti nella fabbricazione degli equipaggiamenti che intendono acquisire. Sebbene i funzionari USA abbiano sollecitato l’Europa a procacciarsi più hardware di produzione statunitense, taluni dei sistemi difensivi e armi made in USA più cruciali imporrebbero anni per la consegna, anche se commissionati oggi.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
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