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Geopolitica

Jake Sullivan, il falco antirusso della Casa Bianca che ha organizzato il team che ha distrutto i Nord Stream

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Nello scoop del giornalista investigativo americano Seymour Hersh – l’ennesimo di una carriera più lunga di mezzo secolo – emerge con forza che nel complotto per la distruzione del gasdotti russo-tedeschi vi è una figura piuttosto centrale: quella dell’advisor della Casa Bianca Jake Sullivan.

 

Nel dicembre 2021, Jake Sullivan, agendo con la benedizione di Joe Biden, ha convocato uomini e donne del Joint Chiefs of Staff, della CIA e dei dipartimenti di Stato e del Tesoro per elaborare un piano su come distruggere il Nord Stream 1 e 2 progettato per pompare gas naturale russo in Europa, secondo il recente articolo-bomba di Seymour Hersh.

 

All’inizio del 2022, la CIA disse a Sullivan che sapevano come far saltare in aria gli oleodotti. Il gruppo aveva deciso di tenere sotto silenzio il progetto, non informando il Congresso degli Stati Uniti, che in genere deve essere avvisato delle operazioni delle forze speciali, che qui, di fatto, non sarebbero state utilizzate, forse proprio per evitare fughe di notizia. Secondo Hersh, il team che preparava l’immane sabotaggio antirusso e antieuropeo era preoccupato per la legalità del complotto ed era ben consapevole che avrebbe potuto rapidamente trasformarsi in un incubo di politica estera.

 

Dopo che gli oleodotti furono distrutti, il segretario di Stato Antony Blinken e, successivamente, il sottosegretario agli affari politici Victoria Nuland lodarono apertamente lo sviluppo, con la Nuland che, come Biden, lo aveva in realtà perfino anticipato.

 

Dopo il fatto Sullivan aveva fischiettato alla grandissima. Il 27 settembre 2022 il giovane dichiarava che gli Stati Uniti stavano sostenendo gli sforzi per indagare sull’«apparente sabotaggio» e «continueranno il lavoro per salvaguardare la sicurezza energetica dell’Europa». Quello che è successo, invece, è che Sullivan e i suoi hanno distrutto la stabilità energetica e l’economia dell’Europa, dilaniata da costi dell’energia divenuti folli e suicidi: case fredde, imprese chiuse, intere Nazioni che tornano a raccogliere legna nei boschi per passare l’inverno, come nel medioevo.

 

Ma chi è davvero Jake Sullivan?

 

Jake Sullivan, 46 anni, è definito dai media mainstream statunitensi come un «golden boy», un ragazzo d’oro, un giovane talentuoso dall’ascesa inarrestabile. Dopo essersi laureato alla prestigiosa università di Yale (sede della confraternita Skull & Bones, di cui hanno fatto parte vari presidenti USA, e da cui, secondo una certa vulgata, deriverebbe la stessa CIA) nel 1998, Sullivan è diventato consigliere dell’allora candidata presidenziale Hillary Clinton nel 2008 e successivamente, dopo che Hillary si è ritirata dalla corsa, ha consigliato Barack Obama durante la sua campagna elettorale generale.

 

Sullivan aveva solo 32 anni quando ha prestato giuramento come vice capo dello staff per la politica di Hillary Clinton al Dipartimento di Stato USA. Quando la Clinton ha lasciato il Dipartimento di Stato all’inizio del 2013, Obama ha promosso Sullivan alla posizione di consigliere per la sicurezza nazionale dell’allora vicepresidente Joe Biden.

 

Nel 2015, Sullivan ha sposato Margaret Goodlander, un tempo consigliere dei noti falchi senatori Joe Lieberman e John McCain, che in precedenza lavorava per il Council on Foreign Relations – il grande, antico think tank geopolitico voluto dai Rockefellerri – e il Center for a New American Security. La Goodlander in Sullivan è attualmente consigliere del procuratore generale Merrick Garland, protagonista di tante belle cose degli ultimi mesi, come le tensioni con i genitori degli studenti – ormai divenuti «terroristi interni» – obbligati alle teorie e pratiche del gender e alle nuove dottrina della razza (la famosa CRT, Critical Race Theory). È emerso che la famiglia di Garland pubblica libri di questi argomenti acquistati dalle scuole pubbliche.

 

Sullivan era noto per essere un membro tranquillo ma di spicco della squadra Clinton-Obama. Secondo la stampa, faceva parte del team «esclusivo» che lavorava per riprendere le relazioni con Cuba e firmare il Piano d’azione globale congiunto (JCPOA) del 2015, comunemente noto come accordo sul nucleare iraniano. Si dice anche che sia lo stretto confidente di Hillary nel piano Libia, che è stato sviluppato mesi prima della catastrofe 2011 e della brutale uccisione del suo leader Muammar Gheddafi. Ricordiamo, in quell’ambito, che fine fece l’ambasciatore Chris Stevens mandato in Libia dalla Clinton. Secondo fonti arabe, fu trovato impalato.

 

Sullivan e il suo boss Hillary Clinton aderivano al concetto di «smart power», che comprende l’uso della minaccia militare, della forza e delle sanzioni e le leve del soft power favorite dalle colombe della politica estera, che includono aiuti umanitari e negoziati.

 

Secondo quanto riferito, il fido aiutante fu definito come una «figura di fascino» e un «potenziale futuro presidente» dalla Hillary. Il Biden lo lodava come un «intelletto unico nella generazione».

 

Nel 2015, Il Sullivano si univa a Hillary nel suo ciclo elettorale 2015-2016 come consigliere per la politica estera e alla fine tornava nell’amministrazione statunitense come consigliere per la sicurezza nazionale di Joe Biden nel 2021.

 

Tuttavia, come riporta il sito governativo russo Sputnik, non tutti concordano all’idea di una carriera rosa e fiori.

 

«Sullivan è chiaramente ubriaco di potere e privo di un vero senso del bene contro il male», secondo il giornalista investigativo ed esperto analista di Wall Street Charles Ortel. «Sullivan è un globalista ferocemente partigiano che ha ottenuto numerosi alti onori nella vita accademica, quindi è estremamente sicuro di sé e, purtroppo, spesso gravemente in torto», ha detto Ortel a Sputnik.

 

«Un modo per avere un’idea del modo in cui opera è esaminare i file WikiLeaks del Dipartimento di Stato e Podesta e i file Vault dell’FBI su Hillary Clinton, dove Sullivan è spesso coinvolto. Come i Clinton, Sullivan si è messo in contatto con potenti dem e ha operato ben al di sopra del suo livello di esperienza all’inizio. Ma a differenza di Clinton, Obama e Biden, Sullivan deve ancora ricoprire una carica elettiva».

 

Perché Sullivan sia salito alla ribalta così in fretta anche se aveva relativamente poca esperienza negli affari di governo? La stessa Hillary nel suo libro Hard Choices ammette che Jake non era il diplomatico più esperto quando si trattava di politica estera.

 

Sputnik scrive che «secondo gli osservatori dei media statunitensi, il segreto principale di Sullivan è che ha imparato a soddisfare i desideri e le esigenze del suo capo anche quando andava contro le regole e l’etica. La stampa americana ha citato un anziano assistente di Obama dicendo che Sullivan era pronto a fare “tutto” per l’allora segretario Clinton».

«Sotto Obama e Biden, Sullivan è collegato a disastri dopo disastri, dalla “primavera” araba a Bengasi, ISIS, l'”accordo” con l’Iran e altro ancora. Sembra essere un grande fan dei negoziati segreti che non sono mai soggetto a supervisione», dichiara ancora Ortel.

 

Sullivan è rimasto impantanato nello scandalo di Bengasi di Hillary Clinton, che ruota attorno al fallimento dell’ex segretario di stato nell’impedire un brutale massacro dell’ambasciatore statunitense Christopher Stevens e di altri tre cittadini statunitensi in Libia l’11 settembre 2012. Durante le indagini sulla questione, il comitato della Camera è inciampato sulla lettera di Sullivan in cui il giovane funzionario diplomatico sottolineava che «dobbiamo vivere in un mondo di rischi», mentre propagandava la decisione di Washington di estromettere Gheddafi che ha aperto la porta al caos in Libia.

 

Sullivan, tuttavia, giuoca un ruolo di primo piano anche nelle memorabili elezioni presidenziali 2016. Quelle, per intenderci, del Russiagate.

 

«Nella campagna del 2016, aveva tutti i motivi per nascondere i misfatti dei Clinton, inclusa la corruzione e la frode fiscale che coinvolgeva la Clinton Foundation e molti altri enti di beneficenza», dice Ortel, che ha condotto un’indagine privata sulla presunta frode della Clinton Foundation per parecchi anni. «Qui si rivelerà interessante vedere cosa [il consigliere speciale] John Durham ha da dire su Sullivan, incluso il suo probabile ruolo nel promuovere la bufala russa, per l’impeachment di Trump e per l’elezione di Joe Biden».

 

Sullivan sembrava non avere scrupoli nel diffondere attivamente la narrativa della collusione Trump-Russia e nel mantenere vivo il mito anche dopo che le accuse su Trump erano state dimostrate nulle. Successivamente, l’indagine di Durham ha fatto luce sul ruolo degli agenti della campagna di Clinton nel diffondere una falsa storia Trump-Alfa Bank e il dossier-bufala dell’ex agente dell’MI6 Christopher Steele.

 

Tuttavia, quando ha testimoniato sotto giuramento davanti al Comitato ristretto permanente per l’intelligence della Camera degli Stati Uniti nel dicembre 2017, il confidente di Clinton ha negato qualsiasi conoscenza del complotto o delle persone coinvolte.

 

«Sullivan è stato anche colui che ha promosso personalmente la storia della collusione Trump-Russia prima delle elezioni del 2016. Così, durante la Convenzione Nazionale Democratica (DNC) del luglio 2016 a Filadelfia, Sullivan ha incontrato un certo numero di produttori e conduttori di media mainstream per raccontare una storia “che Trump stava cospirando con Putin per rubare le elezioni”» ricorda il sito russo.

 

In quel periodo, la CIA aveva intercettato le «chiacchiere» dell’intelligence russa su un «consigliere per la politica estera” di Clinton che avrebbe proposto un piano per diffamare Donald Trump collegandolo al Cremlino per distrarre l’opinione pubblica dallo scandalo emailgate di Hillary: le diecine di migliaia di email pubbliche mantenute sul server privato della Clinton e poi cancellate misteriosamente. «Alcuni osservatori statunitensi ritengono che il consigliere per la politica estera in questione fosse Jake Sullivan» accusa Sputnik.

 

Secondo Ortel, Sullivan potrebbe benissimo essere a conoscenza di molti altri segreti «sporchi» dell’establishment democratico statunitense, inclusi i presunti schemi di corruzione dei Clinton, il traffico di influenze di Joe e Hunter Biden e gli sforzi del Team Obama per minare l’allora presidente in carica Donald Trump attraverso una serie di indagini losche e fughe di notizie.

 

«In poche parole, Sullivan non ha altra scelta che coprire i disastri collegati a Biden, Obama e Clinton e probabilmente non può accettare i gravi errori (e gli alti crimini) che sembrano essere stati commessi. In questo sforzo, crederà di essere al sicuro perché sua moglie è una stretta consigliera e amica del procuratore generale Merrick Garland», osserva ancora Orcel che continua dicendo che, riguardo alla catastrofe dei gasdotti bombardati sotto il Baltico, «in un processo giusto, Sullivan e i suoi cospiratori verrebbero rapidamente accusati, condannati e incarcerati se fosse dimostrato che ha orchestrato una guerra non dichiarata contro la Russia».

 

Secondo Ortel, alimentando le fiamme della guerra per procura contro la Russia, il Team Biden persegue interessi acquisiti e cerca di coprire e oscurare misfatti politici che coinvolgono Biden, Clinton e Obama in Ucraina e in altri Paesi dal 2009 ad oggi – tutte situazioni che portano le ditate del giovane Sullivano.

 

Il quale non deve dormire benissimo: Hersh ha dichiarato che altri articoli sono in arrivo. Che l’intoccabile ragazzino possa finalmente essere messo sotto accusa?

 

Se venisse dimostrato che ha orchestrato segretamente un «atto di guerra» – come sembra il gruppo stesso fosse cosciente di star portando avanti – quale sarebbe l’imputazione possibile? Alto tradimento?

 

E quale sarebbe la pena, negli USA, per aver complottato al fine di trascinare il Paese in guerra con un’altra superpotenza atomica?

 

 

 

 

 

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Geopolitica

La giunta militare birmana vieta agli uomini di andare a lavorare all’estero

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

Si tratta di un provvedimento che si accompagna all’obbligo di leva obbligatoria imposto a febbraio agli uomini fino a 35 anni (e alle donne fino a 27). Negli ultimi tre mesi 100mila uomini hanno fatto domanda di espatrio e molti altri, per sfuggire al reclutamento, sono fuggiti in Thailandia.

 

La giunta militare al potere in Myanmar ha vietato agli uomini che hanno i requisiti per essere arruolati di andare a lavorare all’estero. La misura, annunciata dal ministero del Lavoro, è entrata in vigore due giorni fa, dopo che a febbraio era stata imposta la leva obbligatoria per gli uomini tra i 18 e i 35 anni e le donne tra i 18 e i 27 a causa delle continue perdite e sconfitte riportate dall’esercito birmano nel conflitto civile. Nei mesi successivi almeno 100mila uomini avevano fatto richiesta di espatrio.

 

Nyunt Win, segretario permanente del ministero del Lavoro, ha dichiarato che il provvedimento non si applica a coloro che hanno già ottenuto il permesso di partire. «Coloro che hanno già ottenuto l’autorizzazione sono esenti da questo divieto. Quando lo aboliremo dipende dalle circostanze. Questo è tutto ciò che posso dire per ora», ha spiegato.

 

Una fonte anonima ha rivelato a Myanmar Now che durante un incontro precedente all’annuncio i vertici militari si erano lamentati «del fatto che troppi giovani lasciano il Paese per sfuggire alla legge sulla leva obbligatoria».

 

Secondo lo United States Institute of Peace. l’esercito birmano è composto da appena 130mila soldati, di cui solo la metà pronti a essere dispiegati. Gli esperti concordano nel ritenere l’obbligo di leva un tentativo disperato per aumentare il numero di truppe, che si è progressivamente ridotto negli oltre tre anni di conflitto.

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Con l’inizio della guerra civile dopo il colpo di Stato del febbraio 2021, quando l’esercito ha spodestato il precedente governo guidato da Aung San Suu Kyi, migliaia di cittadini birmani sono fuggiti all’estero, cercando lavoro soprattutto in Thailandia, Malaysia, Singapore, Corea del Sud e anche Emirati Arabi Uniti.

 

Prima dell’introduzione della leva obbligatoria, il regime militare birmano, a corto di liquidità oltre che di uomini, aveva già introdotto due misure economiche che hanno penalizzato i lavoratori migranti: questi sono stati obbligati a utilizzare canali ufficiali per l’invio delle rimesse, versando (a tassi meno vantaggiosi) un quarto del loro stipendio, pena un divieto di espatrio per i tre anni successivi, e sono stati poi costretti a pagare le imposte sul reddito estero (su cui già pagano le tasse).

 

Ma ora, con l’imposizione del divieto di espatrio, «tutti hanno perso la speranza nel futuro», ha detto alla BBC un uomo che si stava preparando a lasciare il Myanmar per il Giappone. «Non ci sono opportunità di lavoro nel Paese e ora ci hanno anche proibito di lasciarlo. Non ci è permesso fare nulla?», ha aggiunto.

 

Molti giovani in età per essere arruolati nelle ultime settimane sono fuggiti in Thailandia grazie alle conquiste delle forze della resistenza, che sembrava avessero preso il controllo della città commerciale di Myawaddy. Un controllo, da parte delle milizie etniche locali e altri gruppi armati, durato però solo due settimane.

 

Circa 15mila persone sono fuggite durante gli scontri, rifugiandosi in monasteri e campi improvvisati lungo il fiume Moei, che separa il Myanmar dalla Thailandia. Secondo le Nazioni unite il numero totale di sfollati a causa del conflitto è di almeno 2,6 milioni.

 

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Geopolitica

Borrell lamenta che alcuni Stati UE ancora considereno la Russia «un buon amico»

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Il capo della politica estera dell’UE, Josep Borrell, ha ammesso che non tutti gli Stati membri vedono la Russia come «la minaccia più esistenziale» per l’Europa, sostenendo che le controversie tra i membri impediscono al blocco di assumere una posizione unitaria su Mosca e frenano gli aiuti militari all’Ucraina.   Parlando venerdì all’Università di Oxford, nel Regno Unito, Borrell ha affermato di vedere «più confronto e meno cooperazione» negli affari mondiali, e ha sollevato esempi di dissenso tra i membri dell’UE quando si tratta del presidente russo Vladimir Putin e del conflitto in Ucraina.   «Oggi Putin rappresenta una minaccia esistenziale per tutti noi. Se Putin avrà successo in Ucraina, non si fermerà qui», ha dichiarato il Borrell, aggiungendo che una vittoria russa minerebbe la sicurezza dell’Europa. Tuttavia «non tutti nell’Unione europea condividono questa valutazione», ha sottolineato.   «Alcuni membri del Consiglio europeo dicono: “Ebbene, no, la Russia non è una minaccia esistenziale. Almeno non per me. Considero la Russia un buon amico”», ha detto al pubblico oxoniano l’alto funzionario della diplomazia UE, senza nominare contee specifiche. «In un’unione governata all’unanimità, le nostre politiche nei confronti della Russia sono sempre minacciate da un unico veto: ne basta uno».   L’UE ha imposto molteplici serie di sanzioni alla Russia da quando Mosca ha lanciato la sua operazione militare in Ucraina nel febbraio 2022.

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Tuttavia, i primi ministri ungherese Viktor Orban e slovacco Robert Fico si sono rifiutati di inviare armi all’Ucraina e hanno sottolineato che il conflitto dovrebbe essere risolto attraverso i negoziati.   L’Ungheria ha bloccato per diversi mesi il pacchetto di aiuti da 50 miliardi di euro dell’Ue all’Ucraina, finché Orban non ha revocato il suo veto nel febbraio 2024.   All’inizio di questa settimana, il presidente francese Emmanuel Macron ha rifiutato ancora una volta di escludere l’invio di truppe NATO in Ucraina, sostenendo che è in gioco «la sopravvivenza del continente». Le sue osservazioni sono state pesantemente criticate dal ministro degli Esteri ungherese Peter Szijjarto, che ha affermato che l’invio di forze NATO in Ucraina potrebbe innescare una guerra globale a tutto campo.   Mosca, nel frattempo, ha accusato Macron di aver causato una pericolosa «escalation verbale» che potrebbe portare il conflitto fuori controllo.   Il catalano Borrell, nominato come cosiddetto mister PESC (come viene chiamato l’Alto rappresentante della Politica Estera e di Sicurezza Comune) dalla Commissione Von der Leyen, a novembre si era vantato pubblicamente della «donazione» di 27 miliardi di euro che l’UE avrebbe fatto a Kiev. L’irriguardosa e poco diplomatica osservazione di Borrell arrivava dopo che il capo della Chiesa cattolica aveva dichiarato in un’intervista all’emittente svizzera RSI lo scorso fine settimana che sarebbe una dimostrazione di coraggio da parte di Kiev se alzasse «bandiera bianca» e avviasse negoziati di pace con la Russia.   Due mesi fa il Borrell aveva attaccato il papa per la sua posizione su negoziati in Ucraina, dichiarando che il romano pontefice era entrato in un giardino dove nessuno lo aveva invitato».   Come riportato da Renovatio 21, bizzarre uscite del Borrello si sono accumulate anche durante la crisi ucraina, con sparate guerrafondaie e insulti alla Federazione Russa – in particolare la storia per cui la Russia sarebbe «una stazione di benzina con armi atomiche», una frusta offesa al Paese orientale che rimbomba nei circoli diplomatici dall’Ottocento, molto prima delle armi nucleari, passando perfino per la penna di Leone Tolstoj.

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Geopolitica

Macron dice che con l’Ucraina sconfitta i missili russi minacceranno la Francia. Crosetto parla di «spiralizzazione del conflitto»

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Una vittoria totale della Russia sull’Ucraina, nella quale l’intero paese venisse sconfitto, sarebbe dannosa per la sicurezza europea e della NATO, poiché potrebbe consentire a Mosca di piazzare missili alle porte dell’UE, ha affermato il presidente francese Emmanuel Macron.

 

Sabato, in un’intervista al quotidiano francese La Tribune, Macron, che notoriamente ha rifiutato di escludere l’invio di truppe occidentali in Ucraina, ha ancora una volta sostenuto una politica di «ambiguità strategica» nei confronti della Russia, sostenendo che l’idea chiave alla base di tale approccio è per proiettare forza «senza fornire troppi dettagli».

 

Descrivendo la Russia come «un avversario», il presidente francese ha sottolineato che stabilire «limiti a priori» sarebbe interpretato come debolezza. «Dobbiamo togliergli ogni visibilità, perché è ciò che crea la capacità di deterrenza», ha sostenuto.

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Macron ha inoltre sottolineato che l’Ucraina è fondamentale per la sicurezza della Francia perché si trova a soli 1.500 chilometri dai suoi confini. «Se la Russia vince, un secondo dopo, non ci sarà più alcuna sicurezza in Romania, Polonia, Lituania e nemmeno nel nostro Paese. La capacità e la portata dei missili balistici russi ci espongono tutti», ha affermato.

 

I commenti del presidente arrivano dopo che, il mese scorso, aveva suggerito che le nazioni occidentali «dovrebbero legittimamente chiedersi» se dovrebbero inviare truppe in Ucraina «se i russi dovessero sfondare la linea del fronte, e se ci fosse una richiesta ucraina».

 

Il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov ha risposto definendo la dichiarazione del Macron «molto importante e molto pericolosa», aggiungendo che è un’ulteriore testimonianza del coinvolgimento diretto di Parigi nel conflitto. Anche la portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova ha avvertito che delle forze NATO «non rimarrà nulla» se verranno inviate in prima linea in Ucraina.

 

Alcune nazioni occidentali si sono espresse contro l’invio di truppe in Ucraina, compreso il Regno Unito, uno dei più convinti sostenitori di Kiev. Il ministro degli Esteri britannico David Cameron ha insistito venerdì sul fatto che, mentre Londra continuerà a sostenere l’Ucraina, i soldati della NATO nel Paese «potrebbero costituire una pericolosa escalation».

 

Il presidente russo Vladimir Putin, tuttavia, ha ripetutamente respinto l’ipotesi secondo cui Mosca potrebbe attaccare la NATO come «una sciocchezza», affermando che il suo Paese non aveva alcun interesse a farlo.

 

Nel frattempo, il ministro della Difesa italiano Guido Crosetto ha attaccato Macron per i suoi commenti continui su possibili forze occidentali in Ucraina.

 

Crosetto ha affermato al Corriere della Sera che, se personalmente non può giudicare il presidente di un «Paese amico come la Francia», allo stesso tempo non riesce a comprendere «la finalità e l’utilità di queste dichiarazioni, che oggettivamente innalzano la tensione».

 

Il ministro ha inoltre escluso la possibilità che l’Italia invii le proprie forze per intervenire direttamente nel conflitto ucraino, perché «a differenza di altri, noi abbiamo nel nostro ordinamento il divieto esplicito di interventi militari diretti, al di fuori di quanto previsto dalle leggi e dalla Costituzione». «Possiamo prevedere interventi armati solo su mandato internazionale, ad esempio in attuazione di una risoluzione dell’ONU» ha continuato il capo del Dicastero della Difesa.

 

«Quello ipotizzato in Ucraina non solo non rientrerebbe in questo caso, ma innescherebbe una ulteriore spiralizzazione del conflitto che non gioverebbe soprattutto agli stessi ucraini. Insomma, non esistono le condizioni per un nostro coinvolgimento diretto».

 

Anche il ministro degli Esteri dell’Ungheria – che è Paese NATO – Peter Szijjarto ha condannato le osservazioni del presidente francese, spiegando che se un membro della NATO «impegna truppe di terra, ci sarà uno scontro diretto NATO-Russia e sarà allora la Terza Guerra Mondiale».

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Il primo ministro della Slovacchia – pure nazione NATO – Robert Fico ha anche sottolineato che la NATO non ha alcuna giustificazione per inviare truppe in Ucraina perché il paese non è uno Stato membro e ha promesso che «nessun soldato slovacco metterà piede oltre il confine slovacco-ucraino».

 

Come riportato da Renovatio 21, le minacce francesi hanno invece trovato terreno fertile in Finlandia, Paese appena divenuto membro della NATO.

 

Il presidente francese si è spinto fino al punto di immaginare un ritorno della Crimea all’Ucraina. Putin ha sostenuto che truppe di Stati NATO già stanno operando sul fronte ucraino, e che l’Occidente sta flirtando con la guerra nucleare e la distruzione della civiltà.

 

Gli stessi francesi, secondo un sondaggio, sono contrari all’idea di soldati schierati su territorio ucraino proposta da Macron, il quale, bizzarramente, ha poi chiesto un cessate il fuoco per le Olimpiadi di Parigi della prossima estate.

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