Spirito
India, cristiani rasati pubblicamente per «ritornare» indù
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di Asianews
In un villaggio del distretto di Bijapur costretti dagli estremisti con la forza a compiere un rituale religioso per non perdere case e proprietà. La legge locale non considera come conversione il «ritorno alla religione degli antenati», anche quando indirizzata verso tribali che non sono mai stati indù.
Costretti con la forza a «ritornare» indù.
È quanto accaduto lo scorso 1 novembre ai cristiani del villaggio di Jaitaloor, nel distretto di Bijapur che si trova nello Stato indiano del Chhattisgarh. Estremisti indù hanno rasato loro il capo e messo in mano delle noci di cocco per un rituale religioso indù. Gesti accompagnati dalla minaccia di spogliarli delle loro terre, case e proprietà e di non poter più beneficiare dei diritti sui terreni forestali di proprietà pubblica se non lo avessero fatto.
«Si tratta di un atto barbaro e di una evidente conversione forzata»
«Si tratta di un atto barbaro e di una evidente conversione forzata», commenta ad AsiaNews Sajan K. George, presidente del Global Council of Indian Christians.
«Una violazione del diritto fondamentale alla libertà religiosa e al rispetto della dignità di ogni persona e anche un modo per umiliare pubblicamente, dileggiare e insultare i cristiani, la cui vita quotidiana è costantemente nel mirino dei gruppi estremisti della destra nazionalista. Non si tratta di un gesto isolato: i cristiani del Chhattisgarh vivono costantemente nella paura di queste campagne di ghar vapsi, come vengono chiamate le conversioni all’induismo».
Già nello scorso mese di luglio nel vicino distretto di Sukma il sovrintendente della polizia Sunil Sharma aveva diffuso una circolare chiedendo agli agenti di innalzare il livello di attenzione verso le attività dei missionari cristiani «che – scriveva – viaggiano continuamente nelle aree interne plagiando i tribali locali per far accettare loro il cristianesimo».
«Una violazione del diritto fondamentale alla libertà religiosa e al rispetto della dignità di ogni persona e anche un modo per umiliare pubblicamente, dileggiare e insultare i cristiani, la cui vita quotidiana è costantemente nel mirino dei gruppi estremisti della destra nazionalista»
«In Chhattisgarh – spiega ancora Sajan George – le leggi anti-conversione sono state rese più dure nel 2006. Ma un emendamento prevede espressamente che “il ritorno alla religione originaria degli antenati” non deve essere considerata una conversione».
Questo nonostante la grande maggioranza delle popolazioni tribali non abbia mai realmente professato la religione indù.
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Immagine d’archivio di Juan Antonio Segal via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic (CC BY 2.0)
Spirito
La «Dignitas infinita» promuove una dignità non ben definita
L’8 aprile 2024 il Dicastero per la Dottrina della Fede (DDF) ha pubblicato la Dichiarazione Dignitas infinita sulla dignità umana, approvata da Papa Francesco il 25 marzo.
La prima parte del documento presenta la «progressiva consapevolezza della centralità della dignità umana». La seconda parte afferma che «la Chiesa annuncia, promuove e garantisce la dignità umana». La terza parte considera la dignità come «fondamento dei diritti e dei doveri umani».
Infine, l’ultima parte denuncia «alcune gravi violazioni della dignità umana»: teoria di genere, cambiamento di sesso, maternità surrogata, aborto, eutanasia e suicidio assistito…
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Una nozione squilibrata della dignità umana
Purtroppo, come rileva il sito della Fraternità San Pio X, FSSPX.Attualità del 10 aprile: «la dichiarazione riprende, e la aggrava, la nozione disallineata o squilibrata della dignità umana che era al centro del Concilio Vaticano II, affermata nella Dichiarazione sulla libertà religiosa (Dignitatis humanae)».
«Il Concilio ha parlato della dignità posseduta da “tutti gli uomini, perché sono persone, cioè dotati di ragione e di libera volontà”, dignità chiamata “ontologica”. Su questa dignità ontologica il Concilio ha fondato la libertà religiosa, che porta a una relativizzazione della fede cattolica riconoscendo un “diritto all’errore” in materia religiosa. Diritto “negativo”, ma pur sempre legge».
FSSPX.Attualità rileva «l’aggravamento di questa dottrina con l’uso del termine “infinito” associato alla dignità ontologica, che non è più nemmeno una deviazione, ma un’aberrazione. Solo Dio è infinito».
E ricorda: «l’anima umana, creata direttamente da Dio, è da Lui unita ad un corpo: esercita quindi un duplice ruolo. Essa conferisce innanzitutto la natura umana all’individuo creato, che è quindi persona, secondo la celebre definizione di Boezio, citata nella nota 17 del documento. L’anima è così la fonte della dignità ontologica, che è dunque la stessa per tutti gli esseri umani».
«In secondo luogo, l’anima è il principio dell’azione umana attraverso le sue facoltà: intelligenza e volontà. Questa azione costituisce l’ambito morale. Quando gli atti umani ci permettono di far fiorire la nostra umanità, indirizzandoci verso il nostro fine che è Dio, si caratterizzano come “buoni”. Quando, al contrario, ce ne allontanano, questi sono atti “cattivi”».
«La dignità morale della persona dipende quindi dal suo agire: l’uomo che fa il bene per raggiungere il suo fine ultimo ha una dignità tanto maggiore quanto più ricerca questo fine. Ma chi si allontana dal suo fine e fa il male cade da questa dignità: se ne spoglia».
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Una visione naturalista dell’uomo
In uno studio pubblicato in due parti su Réinformation.tv, l’8 e il 9 aprile, Jeanne Smits denuncia «una visione naturalista dell’uomo», contenuta nel documento romano.
Così, scrive, «la Dignitas infinita, ignorando deliberatamente la natura ferita dell’uomo, basando tutto sul valore della persona, eliminando il bisogno della grazia, nonostante alcune affermazioni contrarie, si colloca generalmente nella sfera dell’utopia orizzontale. Ma questa dichiarazione piacerà senza dubbio a coloro che vi troveranno la condanna di certi eccessi dei tempi».
Più avanti, il giornalista francese cita padre Victor Berto, lui stesso citato da padre Bertrand Labouche nel bollettino del convento di Nantes, L’Hermine (n°46, giugno-luglio 2015). Il teologo privato di mons. Marcel Lefebvre al Concilio Vaticano II scrisse sulla Dignitatis humanæ, all’epoca ancora sotto forma di schema:
«La dignità umana adeguatamente considerata richiede che si tenga conto dei suoi atti. L’ignorante e l’uomo colto non hanno la stessa dignità; e soprattutto, la dignità non è uguale in chi aderisce alla verità e in chi aderisce all’errore, in chi vuole il bene e in chi vuole il male».
«I redattori, che hanno costruito tutto il loro schema su una nozione inadeguata della dignità della persona umana, hanno già presentato con questo un’opera deformata e di straordinaria irrealtà; infatti, che ci piaccia o no, esistono, tra le persone umane adeguatamente considerate, immense differenze di dignità».
«E questo è tanto più vero per quanto riguarda lo schema sulla libertà religiosa; perché evidentemente la libertà religiosa si adatta alla persona non secondo la sua dignità radicale, ma secondo la sua dignità operativa, e quindi la libertà non può essere la stessa nel bambino e nell’adulto, nello stolto e nella mente penetrante, nell’ignorante e nell’uomo colto, in uno posseduto del demonio e in quelli ispirati dallo Spirito Santo, etc.»
«Ora questa dignità, che chiamiamo operativa, non appartiene all’essere fisico, ma riguarda, è ovvio, l’ordine intenzionale. La negligenza di questo elemento intenzionale, cioè la scienza e la virtù, è nello schema un errore molto grave».
In Lo hanno detronizzato, Mons. Lefebvre afferma della dichiarazione conciliare Dignitatis humanæ: «la dignità umana radicale è sì quella di una natura intelligente, capace quindi di scelta personale, ma la sua dignità terminale consiste nell’aderire “in atto” alla verità e al bene».
«È questa dignità terminale che merita a ogni persona la libertà morale (la capacità di agire) e la libertà (la capacità di non essere impedito di agire). Ma nella misura in cui l’uomo aderisce all’errore o si lega al male, perde la sua dignità terminale o non la raggiunge, e su di essa non si può fondare nulla! […]»
«Parlando delle false libertà moderne, Leone XIII scrive nell’Immortale Dei: “se l’intelligenza aderisce a false idee, se la volontà sceglie il male e ad esso si lega, nessuna delle due raggiunge la perfezione, entrambe cadono dalla loro originaria dignità e si corrompono”».
Jeanne Smits conclude il suo studio in questi termini: «basando tutto sulla “dignità infinita dell’uomo”, essendo creato e quindi dipendente da Dio, che solo possiede dignità infinita, la dichiarazione (romana) ipertrofizza il creato in relazione al Creatore; il culto e il servizio a Lui dovuti passano in secondo piano, impantanati da qualche parte nella palude della “libertà religiosa”».
«[Dignitas infinita] Esalta l’uomo al punto da facilitarne il culto, in attesa che il giusto stupore di fronte alla creazione conduca questo pensiero all’oblio di Dio e al panteismo, una spiritualità globale che già si delinea in modo sempre più preciso. In ogni caso essa non li contraddice, omettendo di ricordare che senza la grazia, l’uomo nella sua condizione decaduta è in uno stato di sottomissione al male».
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Dignitas infinita e la Dichiarazione dei diritti dell’uomo delle Nazioni Unite
In modo meno teologico e più politico, il blog argentino The Wanderer dell’11 aprile rileva un’altra incongruenza nella Dignitas infinita, vale a dire «l’insistenza nel collegare la dignità dell’uomo alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948. Infatti, questo documento delle Nazioni Unite è menzionato 26 volte».
«La tesi del cardinale Fernández è che se la questione della dignità umana è sempre stata difesa dalla Chiesa, è proprio con la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo che essa raggiunge il suo splendore […]»
«Si scopre quindi che una dichiarazione costituzionalmente atea, come la Dichiarazione dei diritti dell’uomo, che non menziona mai Dio, e alla quale la Chiesa ha ufficialmente resistito, diventa con il nuovo pontificato di Francesco la pietra angolare di una parte importante del suo magistero […]»
«Dice il documento romano: “in tal orizzonte, la sua enciclica Fratelli tutti costituisce già una sorta di Magna Charta dei compiti odierni volti a salvaguardare e promuovere la dignità umana’ (n. 6). Dimenticato il De opificio hominis di san Gregorio di Nissa, e l’Agnosce, o christiane, dignitatem tuam della predica della Natività di san Leone Magno».
«La Magna Charta sulla dignità dell’uomo non è data dai Padri e dalla Tradizione della Chiesa, ma da… Fratelli tutti di Papa Bergoglio! Sembra uno scherzo». Scherzo sinistro.
Articolo previamente apparso su FSSPX.news.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
Spirito
In corso la beatificazione del missionario che fondò i cistercensi in Vietnam
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Spirito
La storia epica della cristianità in Giappone: una mostra
Dal 15 marzo al 13 luglio 2024, le Missioni Estere di Parigi (MEP) organizzano una mostra dal titolo: «Da Samurai a Manga: l’epica cristiana in Giappone». Un’occasione per scoprire questo capitolo delle missioni cattoliche e per conoscere meglio le Missioni Estere di Parigi. Questo articolo riassume la presentazione fatta sul suo sito web.
La storia dell’evangelizzazione del Giappone presenta inizialmente due aspetti: a volte una rapida espansione, a volte una serie di battute d’arresto e disastri sfociati in tragedie.
Il «secolo cristiano»
San Francesco Saverio sbarcò in Giappone a Kagoshima (Satsuma) nel 1549, durante i primi tentativi di unificazione del Paese. L’espansione del cattolicesimo fu notevole e portò alla conversione di numerosi governatori (daimyo). Grazie al permesso di evangelizzare, i missionari gesuiti aumentarono gradualmente il numero dei battezzati.
Il gesuita Alessandro Valignano arrivò nel 1579 come visitatore delle missioni. Nel 1582 organizza la prima ambasciata in Europa, che incontra papa Gregorio XIII nel 1585. Ma una prima messa al bando del cristianesimo fu imposta dallo shogun Toyotomi Hideyoshi nel 1587 con l’esilio dei missionari. Il 5 febbraio 1597 furono crocifissi a Nagasaki 26 martiri.
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Segretezza
A partire dal 1614 gli shogun cercarono di eliminare il cattolicesimo: a partire da questa data ogni famiglia doveva essere registrata presso un tempio buddista. Poi, a partire dal 1619, nelle città e nei villaggi di tutto il Paese furono affissi cartelli che ricordavano la messa al bando del cristianesimo, offrendo cospicue ricompense per la denuncia dei cristiani.
Scene di martirio furono testimoniate a Kyoto nel 1619, a Nagasaki nel 1622 e a Edo (Tokyo) nel 1623. La tortura sistematica apparve intorno al 1630 per promuovere l’apostasia. Fu in questo contesto che nel 1613 il daimyo di Sendai inviò un’ambasciata presso il viceré del Messico per ottenere l’apertura di una via commerciale transpacifica. In cambio, la religione cristiana sarebbe tollerata.
L’ambasciata fu affidata al samurai Hasekura Tsunenaga, accompagnato dal francescano spagnolo Luis Sotelo. Il viceré inviò messaggeri al re di Spagna, Filippo III. Il re inviò infine gli ambasciatori a papa Paolo V, che li ricevette nel novembre 1615. Ma Paolo V restituì la decisione finale al monarca spagnolo, che rifiutò di rivedere gli inviati del daimyo di Sendai.
Il fallimento dell’ambasciata provocò la messa al bando del cristianesimo e la caccia ai cristiani. Riuscito a tornare segretamente in Giappone, Luis Sotelo fu bruciato vivo a Tokyo nel 1623. Iniziava il periodo delle grandi persecuzioni. La popolazione cristiana, stimata in 650.000 persone, fu decimata. Furono inflitte terribili torture.
La ribellione di Shimabara (1637-1638), organizzata dai contadini cristiani sotto lo shogunato Tokugawa, fu repressa ferocemente, con l’appoggio della marina olandese, che sparò con i suoi cannoni sul castello di Hara, dove si erano rifugiati i ribelli, per sostenere la rivolta. truppe lealiste. Il massacro di 30.000 cristiani durò tre giorni.
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Il cristianesimo emerge dall’ombra
Nel XIX secolo la Francia voleva recuperare il tempo perduto nella corsa per l’Asia. La Santa Sede non aveva rinunciato a rifondare una missione in Giappone. Infine, le Missioni Estere di Parigi aspiravano a riconquistare il prestigioso campo missionario del Giappone. Il primo trattato franco-giapponese fu firmato nel 1858, ma la presenza dei ministri religiosi era consentita solo agli occidentali; il cristianesimo rimase proibito ai giapponesi. I missionari si stabilirono in concessioni riservate agli stranieri a Hakodate, Kanagawa e Nagasaki.
Il 17 marzo 1865 un gruppo di giapponesi si presentò come cristiano a padre Bernard Petitjean (1829-1884) delle Missioni Estere di Parigi, che si erano stabilite a Nagasaki e vi avevano costruito una chiesa, consacrata nel 1865. I missionari scoprirono organizzazione, riti ed elementi dottrinali trasmessi segretamente per 250 anni, senza sacerdoti e con pochissimi scritti. Ma la persecuzione, con arresti ed esecuzioni, era ancora in corso, soprattutto nel 1856 a Urakami, vicino a Nagasaki.
La persecuzione più lunga e più dura ebbe luogo tra il 1867 e il 1873, anni che videro il crollo del regime Tokugawa e la restaurazione del regime imperiale. Il regime instauratosi con il periodo Meiji (1868) portò avanti un’opera trasformativa: la modernizzazione delle strutture politiche ed economiche. Ma nei confronti dei cristiani è stata adottata una linea dura.
Fu promossa una teocrazia imperiale fondata sullo shintoismo. I leader erano a disagio riguardo alle vere intenzioni degli occidentali e il sentimento anticristiano era al suo culmine. La nomina di padre Petitjean come vescovo nel 1866 scatenò la persecuzione: nel 1868 si decise di deportare i cristiani di Urakami in 60 diversi feudi in tutto il Giappone.
Nel 1872 iniziò una distensione: la politica anticristiana fu finalmente sepolta. I cartelli che vietavano il cristianesimo, in vigore dal XVII secolo, furono rimossi nel febbraio 1873. I cristiani di Urakami poterono tornare a casa e fu loro concessa la libertà religiosa.
Libertà sotto sorveglianza
Le missioni itineranti venivano organizzate grazie ad una certa libertà di movimento. Il passaporto interno, limitando la permanenza nello stesso luogo a tre giorni, spingeva i missionari a percorrere vaste regioni. Dal punto di vista politico, emerse uno Stato shintoista, nazionalista e guidato dall’imperatore: prese le distanze dal buddismo e rimase diffidente nei confronti del cristianesimo o addirittura ostile ad esso.
La prima Costituzione del Giappone, nel 1889, concedeva la libertà religiosa, anche se molto limitata. Alla fine era solo ciò che il governo aveva effettivamente consentito dal 1873. Ciò consentiva la creazione di diocesi e l’istituzione della Chiesa al di fuori delle enclavi in cui era stata relegata. Le Missioni Estere di Parigi chiesero quindi alle suore di prendersi cura di orfanotrofi, scuole e dispensari.
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Altre congregazioni si ristabilirono sul suolo giapponese: domenicani, francescani e gesuiti, che erano stati espulsi due secoli e mezzo prima. Ma con il Rescritto Imperiale del 30 ottobre 1890 la fedeltà all’Imperatore divenne fondamentale. Si riteneva che ciò presentasse l’urgente necessità di formare un clero autoctono nel caso in cui i missionari fossero stati nuovamente scacciati.
L’aumento della potenza militare dell’arcipelago – le vittorie contro Cina, Taiwan e Russia, l’annessione della Corea, l’invasione della Manciuria – spinsero il regime verso l’esercito. La Chiesa si adattò al Giappone e si raggiunse un accordo sulla questione dei riti dovuti all’Imperatore. Con la seconda guerra mondiale la situazione degli stranieri all’interno della Chiesa in Giappone divenne sempre più difficile.
Dopo la sconfitta, la Costituzione del 1946, ancora in vigore, consentiva la totale libertà del cattolicesimo.
La Chiesa in Giappone dal 1945 ad oggi
Secondo le statistiche del 2023, i cattolici sono 431.100, tra cui 6.200 seminaristi, sacerdoti e religiosi, che costituiscono lo 0,34% della popolazione giapponese. Ma questo numero tiene conto solo dei cattolici «registrati», un sistema ereditato dal tempo della persecuzione. Tra i migranti – soprattutto persone provenienti dall’America Latina, dalle Filippine e dal Vietnam – la popolazione cattolica è stimata all’1%.
Tuttavia, la Chiesa ha molte istituzioni – ospedali, scuole, centri assistenziali e persino università – che danno al cattolicesimo una presenza significativa nella società giapponese.
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