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Politica

Giorgetti e Draghi, presidenti?

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In molti constatano che la Lega si sia svenduta, supportando il Governo Draghi-Speranza su decreti come il green pass. Ma non è altrettanto chiaro in che cosa consista il tornaconto.

 

Qui di seguito vedremo come sia da tempo la stessa stampa italiana  a spiegarci che cosa potrebbe incassare il partito degli ex- sovranisti in salsa celtica.

 

Cominceremo dalla fine: il presunto piano è  eleggere Draghi come Presidente della Repubblica e nominare Giorgetti Presidente del Consiglio. Senza passare per le elezioni, ça va sans dire.

 

Il tornaconto, insomma, è il governo dei prossimi 7 anni. Mica male.

 

Il presunto piano è  eleggere Draghi come Presidente della Repubblica e nominare Giorgetti Presidente del Consiglio. Senza passare per le elezioni, ça va sans dire

La voce che vuole Draghi come ipotetico successore di Mattarella gira nei palazzi di Roma fin dalle prime ore dall’insediamento dell’ex Banchiere a febbraio. Qua e là sui giornali, en passant, l’ipotesi è ciclicamente apparsa.

 

Tuttavia è con l’uscita di Giancarlo Giorgetti (28 agosto) e Giorgia Meloni ( 5 settembre) che le parti in gioco sono state costrette a mostrare le carte: 

 

Giorgetti: «”Se Draghi va al Colle si voti”. Mario Draghi al Quirinale? “È un argomento molto dibattuto. Chiaramente, Draghi è una delle persone più adeguate a ricoprire quella carica. Prima o poi, potrebbe essere la sua destinazione. Ma se Draghi andasse al Colle, onestamente penso che si dovrebbe andare a votare. Piuttosto che soluzioni pasticciate, meglio le elezioni”. Così il ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, il più draghiano dei leghisti, alla festa di Affaritaliani.it a Ceglie Messapica. (La Stampa, 28 agosto )


Meloni: «”Se Draghi va al Quirinale si vota. Ma non vedo tanti lavorare per questo”. Soltanto una battuta, ma velenosa. E che racconta di come le tensioni, dalle parti del centrodestra, siano tutt’altro che spente. Il tema è lo scenario disegnato qualche giorno fa da Giancarlo Giorgetti, secondo cui se Mario Draghi andasse al Quirinale poi l’unica strada sarebbe quella delle urne. Giorgia Meloni risponde appunto con una battuta: “L’ipotesi che si possa andare subito al voto è una delle cose che potrebbe convincermi a sostenerlo”, sorride la leader di Fratelli d’Italia che subito dopo aggiunge: “Nel caso, l’ipotesi delle urne sarebbe realistica. E infatti non mi pare che siano in molti a lavorare per portare Draghi al Quirinal”e» (Corriere della Sera, 5 settembre)

 

Il tornaconto per la Lega, insomma, è il governo dei prossimi 7 anni. Mica male

«La pietra che il ministro Giancarlo Giorgetti ha lanciato nello stagno del Parlamento ha scatenato nella Lega, nel centrodestra e tra i partiti di maggioranza un moto ondoso denso di dietrologie e sospetti. “Punta a spaccare la Lega”, temono i fedelissimi di Salvini. “Vuole avvelenare i pozzi”, è la lettura di un dirigente del PD. Al quotidiano La Stampa il ministro dello Sviluppo ha confidato che Draghi dovrebbe restare a Palazzo Chigi “per tutta la vita”. Ma non si può, perché alla prima scelta politicamente sensibile la coalizione si spaccherebbe e “Draghi non può sopportare un anno di campagna elettorale permanente”. E poiché Giorgetti ritiene “complicato” un bis di Mattarella, non resta altra via che accompagnare Draghi sulla strada del Colle più alto. Le tesi del ministro hanno fatto scattare l’allarme nei partiti, dove c’è chi ha visto nelle dichiarazioni del numero due della Lega il preciso intento di ribaltare il tavolo di quanti lavorano dietro le quinte a una legge elettorale proporzionale, che consenta a Draghi di restare premier fino al 2028». (Corriere della Sera, 28 settembre)

 

Ugo Magri, il quirinalista de La Stampa, ci informa che  gira «la voce insistente per cui Mario resterebbe a guidare il governo, ma soltanto ed esclusivamente se Sergio gli coprisse le spalle accettando a sua volta di rimanere dov’è; magari non per tutti e sette gli anni, al massimo per un paio, giusto il tempo di tenere calda la poltrona del Quirinal”. In altre parole, Draghi non può continuare a fare il Presidente del Consiglio se non c’è un Presidente della Repubblica che gli dia supporto. E questo potrebbe essere solo Mattarella. Ma Mattarella ha già ripetuto –per motivi che non indagheremo qui – che non intende accettare un secondo mandato al Quirinale» (28 settembre).

 

Mettiamo insieme i pezzi sulla scacchiera.  Assunto che Mattarella non voglia accettare un secondo mandato, Draghi non avrebbe la forza per restare altri 2 anni alla Presidenza del Consiglio in attesa delle elezioni del 2023.

 

La Lega scommette sul fatto che Mattarella non sarà ricandidato, anche se potrebbe trattarsi di un bluff.

La Lega scommette sul fatto che Mattarella non sarà ricandidato, anche se potrebbe trattarsi di un bluff.

 

Come spiegava Il Giornale del 29 agosto, infatti, «la Lega sospetta un piano PD per prendere il Colle e punta sulla candidatura del premier Draghi. Con settembre si riapre la battaglia per le amministrative ma la sfida a cui pensano i partiti è quella che si giocherà tra pochi mesi, per la successione di Mattarella al Quirinale. Il premier Draghi, in modo più o meno esplicito, è il vero protagonista della partita. Il sospetto della Lega è che il PD voglia piazzare un suo uomo al Quirinale, e che dietro gli appelli del segretario Letta perché Draghi resti a Palazzo Chigi “almeno fino al 2023” ci sia appunto una manovra Dem per prendersi (di nuovo) il Colle».

 

Dunque, che Mattarella sia o meno disponibile ad un secondo mandato, è un dilemma che la Lega pensa di risolvere  mandando Draghi al Quirinale, tagliando possibili agguati del Pd. Il punto vitale per la Lega è evitare di avere un altro Presidente della Repubblica europeista per altri 7 anni, senza almeno averne in cambio qualcosa.

 

Ebbene, se Draghi andasse al Quirinale, rimarrebbe l’incognita del suo successore alla Presidenza del Consiglio. Anzi, rimarrebbe l’incognita della stessa sopravvivenza di un esecutivo.

 

«Insieme al partito di Draghi al Colle, cresce in queste ore nel Palazzo, l’ipotesi di un governo elettorale. Guidato da Daniele Franco o Marta Cartabia, che traghetti il Paese fino alle urne da tenere in autunno 2022: dopo cioè che la legislatura abbia compiuto i quattro anni, sei mesi e un giorno utili a far percepire a tutti un futuro assegno pensionistico». (La Stampa,  29 settembre)

 

Ora abbiamo tutti gli elementi per avvicinarci alla conclusione: a meno che non fosse lo stesso Draghi a sciogliere le Camere una volta salito al Quirinale, a nessun partito –fatta eccezione per la Lega e Fratelli d’Italia –converrebbe chiedere elezioni anticipate dopo l’elezione di Draghi al Quirinale.

 

Non converrebbe genericamente ai parlamentari per motivi pensionistici fino all’autunno del 2022.

 

Non converrebbe a renziani e grillini, che perderebbero i seggi del 2018 con percentuali ormai polverizzate.

 

Non converrebbe a nessuno, fatta eccezione per la Lega e FdI, i quali sommati superano ad oggi il 40 % dei voti.

 

Pertanto, con Draghi al Quirinale – in caso di elezioni  anticipate – la Lega sarebbe incaricata di formare un governo, presumibilmente con Giorgia Meloni. La quale potrebbe avere anche più voti  dei leghisti e trovarsi ad essere premier della coalizione. Per questo motivo, da ultimo, andare a votare non conviene nemmeno alla Lega. Converrebbe soltanto  a Fratelli d’Italia.

 

Quando Giorgia Meloni afferma che se Draghi salisse al Quirinale, si dovrebbe andare a votare, possiamo dedurre che sia sincera. Ma, domandiamoci, quale può essere invece il piano di Giorgetti?

 

Ci sono tutti gli elementi per immaginarlo. Quando Giorgetti afferma di voler andare alle elezioni una volta eletto Draghi al Quirinale, si tratta verosimilmente di un rilancio strategico perché la Lega può contare molto di più come ago della bilancia per un governo provvisorio fino al 2023 che non rischiando di giocarsi la formazione di un governo con Fratelli d’Italia a seguito di elezioni anticipate.

 

Specialmente, ricordiamo che la Lega attualmente non avrebbe i numeri per imporre elezioni anticipate: si troverebbe infatti nella stessa situazione di stallo in cui so trovò prima della formazione del Governo Conte 2. Complessivamente il Parlamento si troverebbe nella stessa situazione di precarietà in cui si trovò nei giorni della caduta del Governo Conte 2, che portarono alla nomina del Governo Draghi a gennaio-febbraio 2021.

 

Correre il rischio di trovarsi all’opposizione proprio quando arrivano miliardi di euro non è certamente qualcosa di motivante per alzare le barricate

Se a questo aggiungiamo che l’ala governista della Lega (quella giorgettiana) rappresenta tutti i governatori delle Regioni leghiste, possiamo anche intuire come in gioco ci sia anche la gestione dei miliardi del Recovery Fund: le Regioni sono tra i principali destinatari dei fondi e si occuperanno dell’allocazione delle risorse. Correre il rischio di trovarsi all’opposizione proprio quando arrivano miliardi di euro non è certamente qualcosa di motivante per alzare le barricate.

 

Perché sospettiamo che Giorgetti stia bluffando quando evoca elezioni dopo che Draghi salisse al Quirinale?

 

Perché, senza la Lega al governo, Draghi si troverebbe ad essere il Presidente della Repubblica con un governo – nella migliore delle ipotesi –sgangherato come il Governo Conte 2. Un governo, in cui –  per trovare la maggioranza – ex deputati di Forza Italia dovrebbero creare gruppi misti con ex grillini addotti dagli alieni.

 

«I veleni verso il ministro dello Sviluppo economico sono molto diffusi: “Vuole mandare Draghi al Quirinale per diventare premier”, dice un deputato»

Pertanto, in questo scenario è Draghi stesso ad avere tutto l’interesse affinché la Lega permanga nel prossimo governo provvisorio. Già, ma in cambio di cosa Giorgetti sarebbe disposto a rimanere nel prossimo governo provvisorio senza passare all’opposizione e aspettare le elezioni  trionfali del 2023?



Ce lo dicono i giornali: in cambio della Presidenza del Consiglio.

 

«Giorgetti e la Lega Nord delle origini nella partita nuova che si giocherà con l’elezione del Presidente della Repubblica e potrebbe dar vita a un nuovo centrodestra repubblicano». ( Marcello Sorgi, La Stampa, 29 Settembre)

 

«Lega in subbuglio. Giorgetti vuole il posto di Draghi. La partita interna però ha ancora i tratti feroci. Nei corridoi di Montecitorio, ma anche nelle piazze della campagna elettorale, i veleni verso il ministro dello Sviluppo economico sono molto diffusi: “Vuole mandare Draghi al Quirinale per diventare premier”, dice un deputato». (La Stampa, 30 settembre)

 

E sarà il governo di Confindustria in Draghi-Giorgetti per i prossimi 7 anni

Anche sul Messaggero si considera concretamente questa ipotesi: «Se è vero che “l’interesse del Paese è mandare Draghi al Quirinale”, come dice Giorgetti, per avere un personaggio di spicco in grado di rassicurare l’Europa e gli investitori, elezioni anticipate e il rischio di un nuovo caos post voto, potrebbe però essere percepite in maniera opposta. Per evitare una transizione soft servirebbe quindi avere un governo pronto, magari guidato dallo stesso Giorgetti. Un modo per tranquillizzare anche quel 90% di parlamentari che sono pronti a tutto – anche a non votare tra cinque mesi Draghi – pur di evitare l’interruzione della legislatura». (30 settembre)

 

Il piano sembra diventare di giorno in giorno più verosimile anche nelle fila del PD e del M5s: «Il loro sospetto è che l’esecutivo di Draghi si stia schiacciando su Confindustria con la sponda del leghista Giancarlo Giorgetti». (La Stampa, 24 settembre)



E sarà il governo di Confindustria in Draghi-Giorgetti per i prossimi 7 anni.

 

Mandare un leghista alla Presidenza del Consiglio richiede che sia effettuata una ridefinizione d’identità del partito salviniano

La conferma che si stia preparando un’ascesa dei Giorgetti (cioè della Lega governista) di contro alla vecchia Lega salviniana, si ha anche guardando alla continua operazione di demolizione e frazionamento della  Lega operata dai media, da ormai molti mesi.

 

La spaccatura è stata sigillata sul tema del green pass e in questi giorni si sta frantumando lo staff salviniano, attraverso la costruzione del caso Morisi.

 

Il motivo è già stato accennato sopra: mandare un leghista alla Presidenza del Consiglio richiede che sia effettuata una ridefinizione d’identità del partito salviniano; se da una parte il piano di potere per i prossimi anni non può prescindere dal riconoscimento della Lega, si rende necessario rendere  digeribile l’operazione agli elettori delle sinistre europeiste.

 

E, onde evitare che Salvini possa avere voce in capitolo sulla decisione di creare un governo europeista per Draghi, è necessario che Salvini sia il più isolato possibile; ad esempio, tagliandogli le comunicazioni

E, onde evitare che Salvini possa avere voce in capitolo sulla decisione di creare un governo europeista per Draghi, è necessario che Salvini sia il più isolato possibile; ad esempio, tagliandogli le comunicazioni.

 

Dopotutto proprio uno dei garanti dell’operazione, Silvio Berlusconi, ha già riassunto il piano con una battuta: «Salvini o Meloni premier? Non scherziamo».

 

Ed ecco spiegata l’impressione di Giorgia Meloni: «se Draghi va al Quirinale si vota. Ma non vedo tanti lavorare per questo».

 

 

Gian Battista Airaghi

 

 

 

Immagine del Quirinale di Egiglia via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 3.0 Unported (CC BY-SA 3.0); immagine modificata.

Immagine di Mario Draghi di World Economic Forum via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 2.0 Generic (CC BY-SA 2.0); immagine modificata.

Immagine di Giancarlo Giorgetti di Presidenza della Repubblica via Wikimedia; immagine modificata.

Politica

L’editore ritira il libro in cui si sostiene che Epstein abbia presentato Melania a Trump

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HarperCollins UK si è scusata con Melania Trump e ha ritirato un libro che affermava che Jeffrey Epstein, condannato per reati sessuali, l’avesse presentata al marito, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump.

 

Mercoledì, la casa editrice ha dichiarato in una nota di aver «deciso di rimuovere diverse pagine» da una biografia non autorizzata del principe Andrea, scritta dallo storico Andrew Lowine. I passaggi in questione riportavano accuse non verificate secondo cui Epstein avrebbe favorito l’incontro tra la coppia presidenziale statunitense.

 

«Le copie del libro che includono tali riferimenti saranno rimosse definitivamente dalla distribuzione. HarperCollins UK si scusa con la First Lady», si legge nella dichiarazione. Melania Trump ha successivamente condiviso il messaggio sul suo account X.

 


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La biografia, pubblicata a metà agosto, analizzava il rapporto tra il principe Andrea e Epstein, il finanziere americano morto in carcere nel 2019 in attesa di processo per accuse di traffico sessuale. NBC News aveva precedentemente riferito che il libro sosteneva che Epstein avesse «facilitato» l’incontro tra Melania e Donald Trump, in un articolo che descriveva in dettaglio i suoi tentativi di prendere le distanze dall’uomo d’affari caduto in disgrazia.

 

Un portavoce della first lady statunitense (FLOTUS) ha riferito ad Axios che il suo team legale è «attivamente impegnato a garantire immediate ritrattazioni e scuse da parte di coloro che diffondono falsità maligne e diffamatorie», sottolineando che nelle sue memorie Melania afferma di aver conosciuto Donald Trump nel 1998 a una festa a New York tramite un’altra conoscenza.

 

Durante la campagna presidenziale del 2024, Donald Trump aveva promesso di rendere pubblici i «file Epstein», che si presume dettagliassero i legami del finanziere con figure influenti. Tuttavia, dopo il suo insediamento, Trump ha definito l’esistenza di tali documenti una «bufala democratica», una svolta che, secondo i critici, servirebbe a distogliere l’attenzione dai suoi precedenti rapporti con Epstein.

 

Melania Trump ha già ottenuto una ritrattazione dal Daily Beast e da un podcast condotto dallo stratega democratico James Carville per affermazioni simili.

 

Come riportato da Renovatio 21, al contrario, per le sue affermazione sulla FLOTUS, suo marito ed Epstein Hunter Biden ha rifiutato di scusarsi. Melania Trump ha minacciato di fargli causa per un miliardo di dollari, ma il figlio già tossicodipendente di Biden ha risposto a maleparole.

 

Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr

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Politica

Trump non vince il Nobel. Premiato pure lo scrittore nemico di Orban

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Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump è stato escluso dalla lista dei candidati al Premio Nobel per la Pace 2025, assegnato venerdì alla politica dell’opposizione venezuelana Maria Corina Machado.   Trump ha più volte dichiarato di meritare il premio per aver, a suo dire, risolto numerosi conflitti internazionali da quando è entrato in carica a gennaio, incluso il più recente a Gaza.   Il direttore delle comunicazioni della Casa Bianca, Steven Cheung, ha commentato la notizia affermando che il comitato «ha dimostrato di anteporre la politica alla pace» e ha aggiunto che Trump «continuerà a stipulare accordi di pace, a porre fine alle guerre e a salvare vite umane».   Il Comitato norvegese per il Nobel ha lodato la Machado, nota critica del presidente venezuelano Nicolas Maduro, «per la sua instancabile difesa delle libertà democratiche in Venezuela e il suo impegno nel realizzare una transizione pacifica dalla dittatura alla democrazia». Maduro ha accusato Machado di aver convogliato fondi americani verso gruppi antigovernativi «fascisti», definendola una pedina per l’ingerenza di Washington negli affari venezuelani.

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La Machado ha mantenuto stretti legami con il governo statunitense per decenni. Nel 2005, fu ricevuta nello Studio Ovale dall’allora presidente George W. Bush.   Durante il primo mandato di Trump, gli Stati Uniti e diverse nazioni occidentali riconobbero il rappresentante dell’opposizione venezuelana Juan Guaidó come «presidente ad interim» del Paese, sebbene i tentativi di Guaidó di prendere il potere attraverso proteste e colpi di stato siano falliti.   Da quando è tornato al potere a gennaio, Trump ha intensificato la pressione su Caracas con sanzioni e operazioni militari, descritte dalla sua amministrazione come azioni antidroga.   Critici, tra cui il senatore repubblicano Rand Paul e Juan Gonzalez, ex diplomatico di alto livello nell’amministrazione di Joe Biden, sostengono che la Casa Bianca stia perseguendo una strategia di cambio di regime già sperimentata. Il Segretario di Stato di Trump, Marco Rubio, noto oppositore di Maduro, è considerato il principale promotore di questa linea.   All’inizio di questa settimana, il Comitato per il Nobel ha assegnato il Premio per la Letteratura allo scrittore ungherese Laszlo Krasznahorkai, critico del primo ministro ungherese Viktor Orban, uno dei più fedeli alleati di Trump in Europa.  

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La Le Pen promette di bloccare qualsiasi nuovo governo francese

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La domina della destra francese Marine Le Pen ha promesso di bloccare qualsiasi nuova azione del governo, dopo che il presidente Emmanuel Macron ha annunciato la nomina di un nuovo primo ministro entro due giorni, in un contesto di crisi politica sempre più profonda.

 

Il Rassemblement National (RN) di Marine Le Pen è il partito più numeroso in parlamento. Mercoledì, la leader ha esortato Macron a sciogliere l’Assemblea Nazionale e indire nuove elezioni, oppure a dimettersi.

 

«Voto contro tutto… Questa farsa è durata abbastanza», ha dichiarato la tre volte candidata alla presidenza.

 

Il primo ministro Sébastien Lecornu si è dimesso lunedì dopo le critiche alle scelte del suo governo. Con il debito pubblico francese a livelli record e il dibattito in corso sul bilancio 2026, Macron gli ha chiesto di restare in carica come amministratore delegato fino a metà settimana.

 

Mercoledì sera, Macron ha annunciato che nominerà un nuovo primo ministro entro due giorni, una mossa volta a evitare lo scioglimento del Parlamento e a formare un governo di coalizione di compromesso in grado di approvare il bilancio.

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Sempre mercoledì i leader parlamentari hanno respinto la richiesta di impeachment di Macron, e Mathilde Panot del partito di sinistra La France Insoumise (LFI) ha accusato i deputati astensionisti del RN di aver bloccato la mozione.

 

Il RN ha ripetutamente definito le pressioni di sinistra per l’impeachment come una teatralità politica, mentre il presidente del partito Jordan Bardella ha sostenuto che l’unica «soluzione» è lo scioglimento dell’assemblea o le dimissioni di Macron.

 

La Francia è bloccata in una paralisi politica da quando la scommessa di Macron sulle elezioni anticipate dello scorso anno ha portato a un parlamento in stallo e a una maggiore rappresentanza dell’estrema destra. Il RN detiene ora quasi un quarto dei 577 seggi dell’Assemblea Nazionale.

 

Recenti sondaggi indicano il RN in testa con circa il 35% delle intenzioni di voto, davanti all’alleanza centrista di Macron.

 

Le Pen, candidata alla presidenza nel 2017 e nel 2022, ma sconfitta entrambe le volte da Macron, è stata interdetta dai pubblici uffici all’inizio di quest’anno dopo che un tribunale francese l’ha dichiarata colpevole di appropriazione indebita di fondi del Parlamento europeo, sentenza che sta impugnando.

 

Bardella è nel frattempo considerato da molti come un potenziale futuro candidato alla presidenza.

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia

 

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