Spirito
Mons. Viganò visita la Cappella di San Filippo Neri
Con un conciso messaggio pubblicato sul social media X, l’arcivescovo Carlo Maria Viganò ha significato la sua visita presso la Cappella di San Filippo Neri a Roma.
Filippo Romolo Neri (1515 – Roma 1595), presbitero ed educatore italiano, fu beatificato nel 1615 e canonizzato da papa Gregorio XV nel 1622. Nato a Firenze, si trasferì giovanissimo a Roma, dove si dedicò alla sua missione evangelica in una città corrotta e pericolosa, guadagnandosi il titolo di «secondo apostolo di Roma».
Riunì attorno a sé un gruppo di giovani di strada, coinvolgendoli nelle celebrazioni liturgiche e facendoli divertire con canti e giochi, senza distinzioni di genere, creando così le basi di quello che sarebbe diventato l’Oratorio, riconosciuto ufficialmente come congregazione da papa Gregorio XIII nel 1575.
Per il suo carattere scherzoso, fu soprannominato il «santo della gioia» o il «giullare di Dio».
Il post mostra alcune foto di monsignore dinanzi al corpo del Santi, e la semplice frase «Sancte Philippe Neri, ora pro nobis». Il giorno che ricorda San Filippo Neri è il 26 maggio.
Sancte Philippe Neri, ora pro nobis. pic.twitter.com/sD33TsdLzK
— Arcivescovo Carlo Maria Viganò (@CarloMVigano) May 26, 2025
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La Cappella di San Filippo Neri si trova presso la chiesa Santa Maria in Vallicella, nota come Chiesa Nuova dopo la ricostruzione del XVI secolo, un edificio di culto cattolico del Cinquecento situato a Roma, nell’omonima piazza del rione Parione, al confine con il rione Ponte, dove si estende parte della struttura. La chiesa è situata in una lieve depressione naturale della pianura del Campo Marzio, ritenuta dai Romani uno degli accessi agli Inferi e dedicata al culto delle divinità infernali, conosciuta come Tarentum.
A sinistra del presbiterio, preceduta da un vestibolo ovale progettato da Luca Berrettini, la cappella di San Filippo Neri fu eretta tra il 1600 e il 1606 con il finanziamento di Neri Del Nero, parente del santo, su disegno di Onorio Longhi. È arricchita da preziosi materiali come marmi, alabastri, diaspro, madreperla, lapislazzuli, corallo, onice, agata e ametista.
La cupola con lanterna sopra l’altare è stata realizzata da Pietro da Cortona nel 1650.
Le pareti e la volta ospitano dipinti di Cristoforo Roncalli, noto come il «Pomarancio», eseguiti tra il 1596 e il 1599 (forse sostituiti da una seconda serie dello stesso artista nel 1620), che illustrano episodi della vita del santo: Filippo ode cantare gli angeli, Filippo guarisce Clemente VIII dalla chiragra, Filippo salva un figlio spirituale dall’annegamento, Filippo in estasi mentre assiste un infermo, Filippo cade nel fondamento ed è salvato da un angelo, Filippo in estasi in abiti sacerdotali, Morte di Filippo, Elemosina di Filippo all’angelo, Filippo resuscita Paolo Massimo, San Giovanni Battista appare a Filippo.
Per l’altare fu creata la pala San Filippo Neri e la Madonna della Vallicella di Guido Reni, successivamente trasferita nelle stanze del convento e sostituita in loco da un mosaico dello stesso soggetto realizzato da Vincenzo Castellani tra il 1765 e il 1774.
L’altare, che conserva il corpo del santo in un’urna di cristallo con maschera d’argento, è stato oggetto di vari interventi decorativi e rinnovamenti fino al XIX secolo.
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Spirito
«Siamo stati creati per la gloria»: omelia nella festa di Ognissanti di mons. Viganò
Vos, purpurati martyres, Vos candidati præmio Confessionis, exsules Vocate nos in patriam.
Rabano Mauro Inno Placare, Christe
Dopo la solenne celebrazione della Regalità di Nostro Signore Gesù Cristo, nell’ultima Domenica di Ottobre, il primo Novembre è dedicato a coloro che con Cristo hanno combattuto il bonum certamen, meritando di trionfare con Lui nella vittoria sfolgorante sul demonio. Il giorno seguente, 2 Novembre, viene ricordato un altro sterminato esercito di anime sante: quelle di coloro che il fuoco del Purgatorio purifica, come l’oro nel crogiuolo, per renderle degne di essere ammesse alla gloria della contemplazione della Maestà divina.Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
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Spirito
Lo stile di Leone XIV: conservare il vero senza rigettare il falso?
In una Nota sullo stile di Papa Leone XIV del 1° giugno 2025, pubblicata sul suo blog e riproposta da Sandro Magister su Settimo Cielo il 2 giugno, Leonardo Lugaresi, esperto di Padri della Chiesa, si sforza di «cogliere un aspetto dello stile di pensiero e di governo di Papa Leone XIV, che mi sembra emergere chiaramente nei suoi primi discorsi; un tratto che merita la massima attenzione per il suo valore paradigmatico, non solo nei contenuti ma anche, e direi soprattutto, nel metodo».
Questo stile, secondo lo studioso italiano, equivale a fare «giusto uso» della tradizione: «raccogliere ciò che c’è di buono in ogni persona, in ogni discorso, in ogni evento, e filtrare ciò che è cattivo».
Spiega: «Ma oggi sarebbe altrettanto sbagliato pretendere che spetti al papa compiere una sorta di “controriforma”. Se posso azzardare una previsione, credo che questo comunque non accadrà. Penso invece che da Leone XIV possiamo attenderci non tanto delle correzioni esplicite o delle formali ritrattazioni di certi aspetti ambigui, confusi e in qualche caso problematici del precedente pontificato, quanto un loro “giusto uso” che, se così posso esprimermi, li “rimetta al loro posto”».
E illustra il suo punto con un esempio: «ad alcuni è dispiaciuto che nel discorso del 19 maggio ai rappresentanti delle altre chiese e di altre religioni papa Leone abbia citato la controversa Dichiarazione di Abu Dhabi».
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«È vero che quel documento contiene il passaggio forse più “problematico” del pontificato di Francesco, perché vi si trova un’affermazione circa la volontà divina che gli uomini aderiscano a religioni diverse dalla fede cristiana che è pressoché impossibile interpretare in modo compatibile con la dottrina cattolica».
«Tuttavia, da parte di chi è ben saldo nella certezza (scritturistica e tradizionale!) che tutti gli uomini sono chiamati a convertirsi a Cristo, perché ‘in nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati’ (At 4, 12), si può benissimo citare un altro passo, del tutto innocuo, di quello stesso documento, proprio nella logica che ho cercato di descrivere;»
«È anche in questo modo, io spero, che si realizzerà una sorta di ‘riassorbimento dell’eccezione bergogliana’ nel corpo vivo della tradizione»
«Ah! Con quanta galanteria vengono espresse queste cose!» [Molière, Il Misantropo, Atto I, Scena 2] Le affermazioni eretiche diventano “eccezioni” che devono essere «riassorbite”, diluite in affermazioni “innocenti” per renderle accettabili al «corpo vivo della tradizione»! Con un simile regime, c’è da temere che questo corpo non rimanga vivo a lungo! Ci si può accontentare di «filtrare» l’errore senza rifiutarlo esplicitamente?
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Leone XIV può accontentarsi di aggirare gli errori senza condannarli?
Nelle Res Novæ del 4 agosto, padre Claude Barthe scrive: «Leone XIV, è un fatto, è responsabile dell’eredità di Francesco. Questa eredità, fondamentalmente conciliare, se si escludono la sinodalità, che resiste a qualsiasi tentativo di definizione precisa, e l’impegno ecologico, può essere riassunta in tre testi: Amoris Laetitia e Fiducia Supplicans, sulla morale del matrimonio, e Traditionis Custodes sulla liturgia tradizionale».
Sulla moralità del matrimonio, prosegue, «tutta la difficoltà di Amoris Laetitia si concentra nel paragrafo 301, da cui si potrebbe ricavare la seguente proposizione: “Alcuni di coloro che vivono in adulterio, anche se conoscono la norma che stanno trasgredendo, potrebbero non essere in stato di peccato mortale”».
«Leone XIV dovrebbe abbracciare questo insegnamento bergogliano, che mina gravemente la santità del matrimonio. Aggirarlo abilmente, indirettamente, non sarà sufficiente per invalidarlo. Dovrà necessariamente approvarlo o annullarlo. La Chiesa, infatti, è custode del contenuto della Rivelazione e della dottrina di fede e morale a cui bisogna aderire per essere salvati. […]»
«Non ci si può accontentare, a difesa della fede, di dichiarazioni che mitighino tale eterodossia o la controbilancino con insegnamenti contrari che tuttavia lascino intatta la dottrina difettosa. È necessario, per la salvezza delle anime, sradicare la falsa dottrina».
Riguardo alla Messa tradizionale, padre Barthe osserva che «a causa di papa Bergoglio, la questione è diventata molto semplice: tutto l’approccio repressivo di Traditionis Custodes si basa, infatti, sul suo articolo 1: ‘I libri liturgici promulgati dai santi pontefici Paolo VI e Giovanni Paolo II, in conformità con i decreti del Concilio Vaticano II, sono l’unica espressione della lex orandi del Rito Romano (…)»
«Secondo Traditionis Custodes, a seguito della riforma conciliare, la liturgia romana precedente a questa riforma ha quindi perso il suo status di lex orandi. […] (Certamente) è estremamente auspicabile che il nuovo papa conceda a questa liturgia, direttamente o indirettamente, maggiore libertà. Ma, nonostante ciò, resta da insegnare nella Chiesa la seguente proposizione: “I libri liturgici in vigore prima della riforma di Paolo VI non esprimono la lex orandi del Rito Romano”»
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«La questione che il Magistero della Chiesa è ora chiamato a risolvere è questa: questa proposizione è vera o falsa? Se è falsa, deve essere condannata, con tutte le conseguenze che ne conseguono».
Pertanto, un uso sapiente della «tradizione vivente» per assorbire le «eccezioni bergogliane» sembra non solo insufficiente, ma soprattutto pericoloso. Anche in questo caso, solo il futuro potrà dirlo. E il futuro appartiene a Dio.
Articolo previamente apparso su FSSPX.News
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Immagine di Lula Oficial via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International; immagine tagliata
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