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Mons. Strickland: apostasia «al vertice» della Chiesa

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Renovatio 21 ripubblica una recente lettera del vescovo Joseph Strickland, già vescovo della diocesi texana di Tyler rimosso da Bergoglio, sul «male che attanaglia il nostro mondo e la Chiesa», contro il quale i fedeli devono «essere spiritualmente preparati per qualsiasi cosa possa accadere», in particolare attraverso una fervente devozione alla Madonna e all’Eucaristia. Come riportato da Renovatio 21, monsignor Strickland, fustigatore della deriva del vaticano bergogliano, si è distinto in questi anni per essersi scagliato contro il divieto della messa in rito antico e per la sua ferma opposizione ai vaccini ottenuti dagli aborti, affermando che preferisce «morire piuttosto che beneficiare di qualsiasi prodotto che utilizzi un bambino abortito».

 

Miei cari fratelli e sorelle in Cristo,

 

Ancora una volta mi sento costretto a scrivervi e ad incoraggiarvi a cercare una vita più profondamente radicata nel Sacro Cuore di Gesù Cristo.

 

Quando questa lettera verrà pubblicata, sarà trascorso un anno da quando è stata scritta la mia prima lettera, pubblicata il 22 agosto 2023, «The Queenship of Mary» («La regalità di Maria»). Credo davvero che quella lettera sia stata guidata dalla divina provvidenza e il punto centrale di questa lettera, un anno dopo, è esortare, persino implorare, che tutti noi iniziamo a vedere la mano di Dio in tutto ciò che si sta svolgendo nella Chiesa e nel mondo.

 

La lettera di un anno fa riguardava il Sinodo in corso sulla sinodalità che si stava avvicinando nell’ottobre 2023. Era seguita da sette lettere che amplificavano le preoccupazioni che avevo sollevato in quella lettera originale. Come molti di voi sanno, ho continuato a scrivere queste lettere come spinto dallo Spirito Santo.

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Voglio essere chiaro: non sto affermando di aver ricevuto alcuna rivelazione speciale. Sono stato semplicemente spinto dalla fede profonda e dal mio amore per Gesù Cristo ad aprire i miei occhi su ciò che sta accadendo intorno a noi.

 

Questa chiamata ad «aprire gli occhi» è al centro della lettera che state leggendo. Ho fatto del mio meglio per esortare tutti coloro che hanno letto queste lettere a vedere la corruzione e le potenti forze del male che ci stanno lentamente ma inesorabilmente spingendo verso una calamità devastante.

 

Non ho alcun desiderio di essere un «profeta di sventura», ma credo di dover parlare e indicare il male che attanaglia il nostro mondo e la Chiesa. A questo punto, devo dire: DOBBIAMO aprire gli occhi prima che sia troppo tardi!

 

Il nostro sistema politico nazionale, il Vaticano e troppe organizzazioni influenti in tutto il mondo sono impegnati in un programma che non è niente di meno di un tradimento del XXI secolo di Gesù Cristo e della sua Chiesa.

 

Come il tradimento di Giuda Iscariota quasi duemila anni fa, questo tradimento odierno sta emanando persino da coloro che si trovano nel cuore stesso della Chiesa e dello Stato.

 

Dobbiamo aprire gli occhi su questi attacchi al corpo mistico di Cristo per rimanere in Cristo che è la Verità incarnata e abbracciare la salvezza che ha vinto per noi sulla croce.

 

Dobbiamo anche sforzarci di condurre quante più anime possibili alla pienezza della verità che si trova solo in Nostro Signore Gesù Cristo e salvaguardata dalla Sua Sposa, la Chiesa cattolica.

 

I tentativi di spiegare questo tradimento moderno di Cristo hanno perso ogni parvenza di credibilità. Dobbiamo riconoscere che una mano malvagia sta muovendo tutte queste forze disparate, e che non è nientemeno che la mano di Satana, il principe delle tenebre.

 

Mentre scrivo questo, poco dopo il 15 agosto, solennità dell’Assunzione della Beata Vergine Maria, stiamo leggendo i resoconti della morte di suor Agnes Sasagawa, la veggente dei messaggi della Beata Vergine Maria approvati dalla Chiesa ad Akita, in Giappone, nel 1973.

 

Sottolineo che non sto affermando di avere una conoscenza speciale dei suoi messaggi, ma non credo che sia necessaria alcuna rivelazione speciale per comprendere il contenuto di questi messaggi. Se guardiamo semplicemente ai messaggi di Akita con gli occhi della fede, dobbiamo concludere che ciò che vediamo nel mondo oggi corrisponde a ciò che è stato predetto in questi messaggi.

 

I messaggi di Akita ci danno un terribile avvertimento di ciò che vediamo svolgersi davanti ai nostri occhi. Non solo vediamo cardinali contro cardinali e vescovi contro vescovi, ma vediamo vescovi contro preti e papa contro cardinali. Vediamo bestemmie contro Nostro Signore e la Beata Madre e attacchi alla dottrina provenienti dagli uffici vaticani con papa Francesco che o rimane in silenzio o, per inazione, dà tacita approvazione.

 

I messaggi di Akita ci ricordano anche i messaggi della Madonna a Fatima nel 1917. In questi messaggi, la Madonna avvertì che gli errori della Russia, che includevano la Massoneria da cui il comunismo ebbe origine, si sarebbero diffusi in tutto il mondo a meno che e finché la Russia non fosse stata consacrata nel modo da lei descritto, ovvero in una cerimonia pubblica dal Papa, in unione con tutti i vescovi del mondo, al Suo Cuore Immacolato. Ciò non fu mai fatto in completa conformità con le istruzioni della Madonna.

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Inoltre, la Madonna richiese specificamente che il Terzo Segreto di Fatima venisse rivelato nel 1960, ma fu invece soppresso, e ci sono molte ragioni per dubitare che il Terzo Segreto completo sia mai stato rilasciato.

 

Il futuro Papa Pio XII, 31 anni prima dell’inizio del Concilio Vaticano II, pronunciò queste parole:

 

«Sono preoccupato per i messaggi della Beata Vergine alla piccola Lucia di Fatima. Questa insistenza di Maria sui pericoli che minacciano la Chiesa è un avvertimento divino contro il suicidio di alterare la fede, nella sua liturgia, nella sua teologia e nella sua anima … Sento tutto intorno a me innovatori che desiderano smantellare la Sacra Cappella, distruggere la fiamma universale della Chiesa, rifiutare i suoi ornamenti e farle provare rimorso per il suo passato storico … Verrà un giorno in cui il mondo civile negherà il suo Dio, quando la Chiesa dubiterà come dubitò Pietro. Sarà tentata di credere che l’uomo è diventato Dio. Nelle nostre chiese, i cristiani cercheranno invano la lampada rossa dove Dio li attende. Come Maria Maddalena, piangendo davanti alla tomba vuota, chiederanno: “Dove l’hanno portato?”»

 

In effetti, queste erano parole profetiche poiché, dal Vaticano II, abbiamo assistito a un tentativo di «aggiornare la fede» allontanando la Chiesa dal Deposito della fede, che non può essere cambiato o emendato. È facile capire perché la rivelazione del Terzo Segreto di Fatima dovesse avvenire nel 1960 e perché fu soppresso da coloro che avevano l’intento di cambiare ciò che non poteva essere cambiato.

 

Il cardinale Ratzinger, prima di diventare papa Benedetto XVI, affermò che il Terzo Segreto si riferiva a «pericoli che minacciano la fede» e tracciò un parallelo tra il messaggio di Fatima e il messaggio di Akita. Il cardinale Mario Luigi Ciappi, che aveva letto il Terzo Segreto, affermò che la Vergine aveva detto che l’apostasia sarebbe iniziata dall’alto. Padre Pio parlò di una «falsa chiesa» e di una «grande apostasia» verificatesi dopo il 1960 in relazione al Terzo Segreto. Tuttavia, quando il presunto Terzo Segreto fu rilasciato nel 2000, non disse nulla di queste cose.

 

Nel 2019, Papa Francesco, quando gli è stato chiesto perché Dio «permette» così tante religioni nel mondo, ha risposto che «… ci sono molte religioni. Alcune nascono dalla cultura, ma guardano sempre al cielo, guardano a Dio». Ha detto che «ciò che Dio vuole è la fratellanza tra noi», e ha detto «non dobbiamo essere spaventati dalla differenza. Dio ha permesso questo».

 

Tuttavia, se non ci fosse davvero alcuna differenza nelle religioni del mondo, e se ciò che Dio voleva fosse solo «la fratellanza tra noi», allora si potrebbe concludere che la Chiesa cattolica non è più l’unica vera religione, e che non è davvero l’arca della nostra salvezza. Tuttavia, sappiamo che questa non è la verità. Pertanto, dobbiamo essere preoccupati per le parole riferite della Vergine su un’apostasia che inizierebbe dall’alto.

 

In conclusione, devo gridare che ignorare le richieste e gli ammonimenti della nostra Beata Madre a Fatima e Akita ha messo la Chiesa e il mondo in una condizione estremamente pericolosa. Non scrivo queste forti parole su Fatima e Akita per scuotere la vostra fede, ma piuttosto con la fervente speranza che vi sveglierete alla necessità di pentirci, confessare i nostri peccati e aggrapparci con forza ai due pilastri della fede che San Giovanni Bosco vide così chiaramente e profeticamente in un sogno nel 1862: i pilastri del nostro Signore Eucaristico e di Sua Madre, la Beata Vergine Maria.

 

Prego che la nostra risposta a tutto il tumulto e al male di oggi possa essere quella di trovare una fede e una speranza più profonde in Nostro Signore. Non dobbiamo mai lasciare la Sposa di Cristo, ma non possiamo nemmeno rimanere in silenzio mentre altri tentano di cambiarla o di renderla una caricatura del vaso di salvezza che dovrebbe essere.

 

Nessuno di noi ha il potere di evitare una catastrofe, ma possiamo e dobbiamo essere spiritualmente preparati per qualsiasi cosa possa accadere. È imperativo che ci assicuriamo di rimanere sempre in uno stato di grazia e che abbracciamo ogni atto di riparazione possibile prima che sia troppo tardi.

 

Prendiamo come ispirazione Giosuè 24, 15: «quanto a me ed alla mia casa noi serviremo il Signore».

 

Che Dio Onnipotente vi benedica e che la nostra Regina e Madre la Beata Vergine Maria interceda per voi e vi conduca sempre a suo Figlio.

 

Joseph E. Strickland

Vescovo emerito, diocesi di Tyler

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Spirito

«Siamo stati creati per la gloria»: omelia nella festa di Ognissanti di mons. Viganò

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Renovatio 21 pubblica l’omelia nella festa di Ognissanti dell’arcivescovo Carlo Maria Viganò

Vos, purpurati martyres, Vos candidati præmio Confessionis, exsules Vocate nos in patriam.

Rabano Mauro Inno Placare, Christe

  Dopo la solenne celebrazione della Regalità di Nostro Signore Gesù Cristo, nell’ultima Domenica di Ottobre, il primo Novembre è dedicato a coloro che con Cristo hanno combattuto il bonum certamen, meritando di trionfare con Lui nella vittoria sfolgorante sul demonio.   Il giorno seguente, 2 Novembre, viene ricordato un altro sterminato esercito di anime sante: quelle di coloro che il fuoco del Purgatorio purifica, come l’oro nel crogiuolo, per renderle degne di essere ammesse alla gloria della contemplazione della Maestà divina.

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Il Re, i Suoi più valorosi compagni d’arme, i Suoi soldati, e un’infinità di Santi sconosciuti. Profeti, Apostoli, Martiri, Confessori, Vergini e Vedove; Papi, Vescovi e Abati; Re e Sovrane. E la Regina di tutti costoro, la Condottiera delle Milizie, la Beatissima Semprevergine Maria. E le schiere angeliche: Serafini, Cherubini, Troni; Dominazioni, Virtù, Potestà; Principati, Arcangeli e Angeli. Miriadi di anime illuminate come un mistico firmamento dalla luce sfolgorante del Sol Justitiæ, Nostro Signore Gesù Cristo, Re e Pontefice.    Tibi omnes angeli, tibi cœli et universae potestates: tibi cherubim et seraphim, incessabili voce proclamant: Sanctus, Sanctus, Sanctus, Dominus Deus Sabaoth. Pleni sunt cœli et terra majestatis gloriæ tuæ. Te gloriosus Apostolorum chorus, te Prophetarum laudabilis numerus, te Martyrum candidatus laudat exercitus.   A questo sterminato consesso di Santi manchiamo solo noi, che in questa valle di lacrime peregriniamo verso la Patria celeste che troppo spesso crediamo lontana.   Una Patria da cui siamo exsules, esuli cacciati dalla Giustizia divina in quanto figli di Adamo ed Eva, riammessi per Grazia alla presenza beatifica della Santissima Trinità grazie alla Redenzione del Nuovo Adamo e alla Corredenzione della Nuova Eva. Con noi abbiamo molti compagni di viaggio, altri ci hanno preceduti, altri li incontreremo per via.   I nostri genitori, una volta lasciata questa vita passeggera, continueranno a pregare per noi nell’eternità e li ritroveremo ad attenderci quando suonerà la nostra ora. I nostri figli, i nostri nipoti perderanno anche noi, un giorno, e benediremo la volta che abbiamo loro insegnato a recitare un De profundis, perché la loro preghiera allevierà le nostre sofferenze purificatrici e ci avvicinerà a quel locus refrigerii, lucis et pacis cui tanto aneliamo.   Anche noi pregheremo per loro, dal Purgatorio e dal Paradiso, affinché con l’aiuto della Grazia riescano ad espiare le loro colpe su questa terra, con la penitenza, il digiuno, la preghiera; con la Carità, che copre una moltitudine di peccati (1 Pt 4, 8). La Carità: l’unica Virtù che non verrà mai meno, perché consustanziale al Dio Uno e Trino. La Virtù il cui fuoco arde di un tale amore per Dio, da consumare le nostre infedeltà.

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Chi tra voi è ancora giovane, e pensa di aver dinanzi a sé ancora molto tempo prima del Giudizio particolare, forse non riesce a comprendere perché nelle persone più mature si renda via via più percepibile quella sorta di «nostalgia» per la gloria del Cielo che ci fa quasi desiderare la morte per prima raggiungere il Padre Celeste e i santi del Paradiso. Noi anziani sentiamo questo desiderium patriæ che ce la fa anelare più della luce del sole [Patria me major quam lucis sidera deerat, cfr. Ovidio, Tristia, I, 3].   Un desiderio che non ci viene dal ricordo di qualcosa che abbiamo lasciato – non essendo mai stati ammessi al Paradiso – quanto da quell’impronta che portiamo impressa nella nostra natura e che ci ricorda di essere opera della mano sapiente del Creatore, fatti a immagine e somiglianza della Santissima Trinità, trinitari anche noi nelle nostre facoltà – memoria, intelletto, volontà. La memoria del Padre, l’intelletto del Figlio, la volontà del Paraclito.    Potremmo dire che il ricordo ancestrale del Paradiso perduto si sia trasmesso, insieme alle conseguenze del peccato originale – la morte, la malattia, il dolore… – proprio come il figliuol prodigo prova nostalgia della casa del Padre, del quale ha dilapidato l’eredità. Quel richiamo struggente ci ricorda da dove veniamo, ma soprattutto ci indica la Patria a cui siamo destinati.   Il pellegrinaggio del popolo eletto nel deserto verso la Terra Promessa è figura del pellegrinaggio della Chiesa verso il ritorno nella gloria del proprio Capo, ma anche immagine del pellegrinaggio di ciascuno di noi verso la Nuova Gerusalemme.   Siamo stati creati per la gloria. Siamo stati voluti e quindi amati per essere partecipi della gloria del Dio Creatore, Redentore e Santificatore. Siamo stirpe di Re, figli ed eredi di Dio, coeredi di Cristo. E la nostra eredità inizia qui, cari fratelli. Inizia con la scala crucis che vediamo raffigurata in un’immagine medievale, in cui il Salvatore sale i pioli di una scala che conduce alla Croce. La nostra eredità eterna inizia con la volontaria accettazione della croce che la Provvidenza ci ha destinato, e che è l’unica che siamo in grado di portare, l’unica su cui possiamo serenamente salire, su cui possiamo con fiducia aprire le braccia.   La scala crucis è anche scala paradisi, perché nella sequela del Redentore questa via regia conduce dritto al cospetto della Maestà divina. Una suggestiva immagine di San Giovanni Climaco ci mostra le anime salire verso il Cielo, con gli Angeli che le accompagnano nella salita e i diavoli che cercano di trascinarle giù.   I Santi – quelli che veneriamo sui nostri altari, dei quali incensiamo le Reliquie, sulle spoglie dei quali celebriamo il Santo Sacrificio della Messa e che per noi intercedono in Cielo – non sono l’eccezione in una norma di mediocrità. Non è normale non essere santi. Vi furono epoche in cui la santità era tutt’uno con l’essere Cristiani, perché nella furia della persecuzione uomini e donne, giovani e anziani erano quotidianamente chiamati ad affrontare il Martirio. Molti lo subirono come catecumeni, ancor prima di essere ammessi al Battesimo. Portiamo i loro nomi proprio perché il loro esempio ci sproni ad imitarli sulla stessa via di santità. Professiamo la stessa Fede apostolica, celebriamo gli stessi Misteri, e continuiamo ad avere gli stessi nemici: il mondo, la carne, il diavolo.   Un Cattolico che non vuole essere santo, che non desidera il Paradiso, che non anela a Dio – sicut cervus ad fontes aquarum – e che non sente questa «nostalgia» del Vero e del Bene, non ha capito nulla della nostra santa Religione, né tantomeno del miracolo di infinita Carità che ha spinto la Seconda Persona della Santissima Trinità ad incarnarSi e a patire per noi, senz’altra motivazione se non l’amore divino nei nostri riguardi e la gloria della Trinità stessa. Perché essere santi è un dovere di ciascuno di noi, in obbedienza al precetto: Siate santi come Dio è santo (Lv 19,2; 1Pt 1,16); ma se solo ci lasciamo conquistare da Nostro Signore la santità non è più un obbligo, ma la necessaria, spontanea e riconoscente risposta alla chiamata del Re, sotto i vessilli del Quale è un onore militare. 

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I Santi sono coloro che hanno acclamato e continuano ad acclamare: Regnare Christum volumus! contro il grido blasfemo della scelesta turba. Sono coloro che fanno regnare il loro Signore anzitutto nella propria anima, rendendola degna dimora della Santissima Trinità mediante la vita della Grazia e l’unione con Dio. Sono coloro che nell’umiltà si lasciano guidare dalla mano sapiente del Signore, docili come una penna tra le Sue dita, perché sia chiaro che l’opera che ne esce è interamente divina. Quoniam tu solus Sanctus.   A noi esuli è però concesso uno spiraglio di Paradiso, su questa terra. Uno spiraglio della gloria della Maestà divina che anticipa ciò che ci attende e che rende disponibili le Grazie soprannaturali per affrontare il viaggio fino alla meta finale. Questo angolo di Paradiso lo troviamo nelle nostre chiese, nei nostri Tabernacoli, attorno a ciascuno dei quali si raccolgono adoranti tutti gli Angeli.   Lo troviamo nella Santa Messa, quando il sacerdote fa scendere dal Cielo il Re dei Re, ripetendo in forma incruenta il Sacrificio della Croce. E in questo Paradiso in terra, delimitato dalle colonne e dalle volte di una chiesa come dalle travi di un granaio, noi possiamo comunicarci al Corpo e Sangue di Cristo, presente in Corpo, Sangue, Anima e Divinità esattamente come Egli siede sul Trono dell’Agnello nella gloria del Cielo.    Te per orbem terrarum sancta confitetur Ecclesia, Patrem immensæ maiestatis; venerandum tuum verum et unicum Filium; Sanctum quoque Paraclitum Spiritum.    Forse è proprio dalla sacralità della Messa, dalla solennità dei gesti arcani, dalla profondità dei testi liturgici, dal torrente impetuoso di Grazie che il Santo Sacrificio riversa su di noi, che ci viene quella «nostalgia» per il Cielo, per la presenza dei nostri cari, per la luce della Verità somma, per il calore della perfetta Carità, per la gloria di Dio e dei Suoi Santi. Tu rex gloriæ, Christe. Cum sanctis tuis in æternum, quia pius es.   E così sia.    + Carlo Maria Viganò Arcivescovo   1 Novembre MMXXV In festo Omnium Sanctorum

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Immagine: Fra Angelico (circa 1395–1455), Giudizio finale (circa 1450), Gemäldegalerie, Berlino Immagine di Dosseman via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
   
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Spirito

Lo stile di Leone XIV: conservare il vero senza rigettare il falso?

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In una Nota sullo stile di Papa Leone XIV del 1° giugno 2025, pubblicata sul suo blog e riproposta da Sandro Magister su Settimo Cielo il 2 giugno, Leonardo Lugaresi, esperto di Padri della Chiesa, si sforza di «cogliere un aspetto dello stile di pensiero e di governo di Papa Leone XIV, che mi sembra emergere chiaramente nei suoi primi discorsi; un tratto che merita la massima attenzione per il suo valore paradigmatico, non solo nei contenuti ma anche, e direi soprattutto, nel metodo».

 

Questo stile, secondo lo studioso italiano, equivale a fare «giusto uso» della tradizione: «raccogliere ciò che c’è di buono in ogni persona, in ogni discorso, in ogni evento, e filtrare ciò che è cattivo».

 

Spiega: «Ma oggi sarebbe altrettanto sbagliato pretendere che spetti al papa compiere una sorta di “controriforma”. Se posso azzardare una previsione, credo che questo comunque non accadrà. Penso invece che da Leone XIV possiamo attenderci non tanto delle correzioni esplicite o delle formali ritrattazioni di certi aspetti ambigui, confusi e in qualche caso problematici del precedente pontificato, quanto un loro “giusto uso” che, se così posso esprimermi, li “rimetta al loro posto”».

 

E illustra il suo punto con un esempio: «ad alcuni è dispiaciuto che nel discorso del 19 maggio ai rappresentanti delle altre chiese e di altre religioni papa Leone abbia citato la controversa Dichiarazione di Abu Dhabi».

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«È vero che quel documento contiene il passaggio forse più “problematico” del pontificato di Francesco, perché vi si trova un’affermazione circa la volontà divina che gli uomini aderiscano a religioni diverse dalla fede cristiana che è pressoché impossibile interpretare in modo compatibile con la dottrina cattolica».

 

«Tuttavia, da parte di chi è ben saldo nella certezza (scritturistica e tradizionale!) che tutti gli uomini sono chiamati a convertirsi a Cristo, perché ‘in nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati’ (At 4, 12), si può benissimo citare un altro passo, del tutto innocuo, di quello stesso documento, proprio nella logica che ho cercato di descrivere;»

 

«È anche in questo modo, io spero, che si realizzerà una sorta di ‘riassorbimento dell’eccezione bergogliana’ nel corpo vivo della tradizione»

 

«Ah! Con quanta galanteria vengono espresse queste cose!» [Molière, Il Misantropo, Atto I, Scena 2] Le affermazioni eretiche diventano “eccezioni” che devono essere «riassorbite”, diluite in affermazioni “innocenti” per renderle accettabili al «corpo vivo della tradizione»! Con un simile regime, c’è da temere che questo corpo non rimanga vivo a lungo! Ci si può accontentare di «filtrare» l’errore senza rifiutarlo esplicitamente?

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Leone XIV può accontentarsi di aggirare gli errori senza condannarli?

Nelle Res Novæ del 4 agosto, padre Claude Barthe scrive: «Leone XIV, è un fatto, è responsabile dell’eredità di Francesco. Questa eredità, fondamentalmente conciliare, se si escludono la sinodalità, che resiste a qualsiasi tentativo di definizione precisa, e l’impegno ecologico, può essere riassunta in tre testi: Amoris Laetitia e Fiducia Supplicans, sulla morale del matrimonio, e Traditionis Custodes sulla liturgia tradizionale».

 

Sulla moralità del matrimonio, prosegue, «tutta la difficoltà di Amoris Laetitia si concentra nel paragrafo 301, da cui si potrebbe ricavare la seguente proposizione: “Alcuni di coloro che vivono in adulterio, anche se conoscono la norma che stanno trasgredendo, potrebbero non essere in stato di peccato mortale”».

 

«Leone XIV dovrebbe abbracciare questo insegnamento bergogliano, che mina gravemente la santità del matrimonio. Aggirarlo abilmente, indirettamente, non sarà sufficiente per invalidarlo. Dovrà necessariamente approvarlo o annullarlo. La Chiesa, infatti, è custode del contenuto della Rivelazione e della dottrina di fede e morale a cui bisogna aderire per essere salvati. […]»

 

«Non ci si può accontentare, a difesa della fede, di dichiarazioni che mitighino tale eterodossia o la controbilancino con insegnamenti contrari che tuttavia lascino intatta la dottrina difettosa. È necessario, per la salvezza delle anime, sradicare la falsa dottrina».

 

Riguardo alla Messa tradizionale, padre Barthe osserva che «a causa di papa Bergoglio, la questione è diventata molto semplice: tutto l’approccio repressivo di Traditionis Custodes si basa, infatti, sul suo articolo 1: ‘I libri liturgici promulgati dai santi pontefici Paolo VI e Giovanni Paolo II, in conformità con i decreti del Concilio Vaticano II, sono l’unica espressione della lex orandi del Rito Romano (…)»

 

«Secondo Traditionis Custodes, a seguito della riforma conciliare, la liturgia romana precedente a questa riforma ha quindi perso il suo status di lex orandi. […] (Certamente) è estremamente auspicabile che il nuovo papa conceda a questa liturgia, direttamente o indirettamente, maggiore libertà. Ma, nonostante ciò, resta da insegnare nella Chiesa la seguente proposizione: “I libri liturgici in vigore prima della riforma di Paolo VI non esprimono la lex orandi del Rito Romano”»

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«La questione che il Magistero della Chiesa è ora chiamato a risolvere è questa: questa proposizione è vera o falsa? Se è falsa, deve essere condannata, con tutte le conseguenze che ne conseguono».

 

Pertanto, un uso sapiente della «tradizione vivente» per assorbire le «eccezioni bergogliane» sembra non solo insufficiente, ma soprattutto pericoloso. Anche in questo caso, solo il futuro potrà dirlo. E il futuro appartiene a Dio.

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.News

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Filippine: le sette evangeliche riscuotono un successo clamoroso

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Sebbene il cattolicesimo rimanga la religione dominante nelle Filippine, un numero crescente di filippini si sta ora rivolgendo alle comunità protestanti, appartenenti al cosiddetto movimento «evangelico». Diverse ragioni spiegano questa crescente disaffezione nei confronti della Chiesa.   Nell’arcipelago filippino, la Chiesa cattolica permea tutti gli aspetti della vita: le arterie urbane, le feste popolari, i dibattiti politici e perfino gli scambi quotidiani spesso rimandano alle grandi devozioni cattoliche.   Il cattolicesimo, vestigia della dominazione spagnola e pilastro dell’unità nazionale, era sembrato fino ad allora incrollabile: ma questo significava dimenticare che anche il colosso a volte ha i piedi d’argilla. Mentre all’inizio degli anni 2000 circa l’82,3% della popolazione si identificava come cattolico, due decenni dopo questa percentuale era scesa al 78,6%.   Allo stesso tempo, le comunità evangeliche hanno conosciuto una crescita spettacolare, con la loro quota aumentata dal 4,1% all’8,2% in tempi record, al punto che si può parlare senza esagerare di una vera e propria ondata evangelica che continua a generare credenti «rinati», coloro che credono, come Nicodemo, di essere nati una seconda volta grazie al loro ingresso in questo nuovo tipo di protestantesimo.

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A questo declino hanno contribuito in larga parte le carenze che hanno scosso la Chiesa cattolica locale: si potrebbe citare il posizionamento politico dei vescovi filippini che, tra il 2016 e il 2022, sono entrati in guerra contro l’allora capo dello Stato, Rodrigo Duterte, in particolare a causa dei metodi rapidi di quest’ultimo contro i narcotrafficanti.   L’uomo forte dell’arcipelago non ha esitato a insultare a sua volta i prelati, contribuendo così a normalizzare gli attacchi contro la gerarchia ecclesiastica. Ma si potrebbero anche menzionare sospetti di irregolarità finanziarie e altri casi di abusi che hanno offuscato la reputazione dell’istituzione.   Il declino del cattolicesimo nella regione – come altrove nel mondo – si spiega anche con il fenomeno della «modernità psicologica», per cui la crescente domanda di autonomia, soprattutto a partire dagli anni Sessanta, si è spostata dal registro politico a quello intimo, per affermarsi anche nelle scelte spirituali e religiose.   In questo contesto, il credente ritiene che ora spetti a lui trovare le risorse personali che possano autenticare la propria fede ai propri occhi, piuttosto che affidarsi alle credenze prescritte dall’istituzione. Ciò porta a un cambiamento nell’adesione religiosa che mette in risalto la figura del convertito. Il credente tende a presentarsi come un «ritornante», un cristiano rinato che costruisce la propria appartenenza attraverso le proprie scelte.   Questa prospettiva risiede in una decisione personale. Testimoniare la propria conversione significa produrre una narrazione di sé come credente autonomo: significa introdurre l’individuo egocentrico nella mentalità cattolica. A questo si aggiunge la retorica dell’autenticità e dell’autorealizzazione, che spiega perché le sette evangeliche prediligano servizi intrisi di danze e lodi ritmiche, instillando un’atmosfera presumibilmente conviviale e immersiva.   In breve, è la conseguenza logica delle celebrazioni piatte e orizzontali delle animazioni liturgiche apparse sulla scia del Nuovo Ordo Missae.   Ma sarebbe esagerato prevedere la scomparsa del cattolicesimo o il soffocamento delle comunità locali sul suolo filippino: la fede cattolica resta viva, ma dovrà attingere più che mai in futuro alle radici della sua Tradizione per non vedersi rubare definitivamente la pretesa di vitalità e dinamismo.   Articolo previamente apparso su FSSPX.News  

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