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Epidemie

Londra annuncia un’esercitazione pandemica simile all’Evento 201 che ha preceduto il COVID

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Renovatio 21 traduce questo articolo per gentile concessione di Children’s Health Defense. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

L’esercitazione Pegasus, la più grande esercitazione di risposta alla pandemia nella storia del Regno Unito, mira a «contribuire a salvaguardare i nostri cittadini», ma i critici temono che il piano sia solo un modo per esercitare il controllo attraverso una maggiore sorveglianza.

 

Questo mese il Regno Unito ha diffuso nuovi dettagli per un’ampia esercitazione di risposta alla pandemia, la più grande della sua storia, che si svolgerà nell’arco di diversi giorni tra settembre e novembre 2025.

 

L’esercitazione Pegasus, la prima del suo genere in quasi un decennio, mira a coinvolgere tutte le regioni e i dipartimenti governativi del Regno Unito e prevede l’apertura di un’«accademia di resilienza» per formare ogni anno oltre 4.000 persone provenienti dal settore pubblico e privato in ruoli di emergenza, ha dichiarato al Parlamento l’8 luglio il ministro per le relazioni intergovernative Pat McFadden.

 

Il piano di risposta include anche lo sviluppo di una «mappa della vulnerabilità» nazionale per evidenziare le popolazioni più a rischio in caso di crisi. Lo strumento, che utilizza dati su età, disabilità, etnia e se la persona riceve assistenza, può condividere tali dati istantaneamente tra i dipartimenti governativi.

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Il comico e commentatore politico Russell Brand, citando Jon Fleetwood su Substack, ha sottolineato che la notizia sullo strumento di tracciamento del governo del Regno Unito arriva mentre negli Stati Uniti il Dipartimento della Difesa «prepara simulazioni basate sull’Intelligenza Artificiale per pandemie causate da “agenti infettivi naturali o artificiali”», finanziando al contempo ricercatori che vogliono «infettare gli esseri umani con l’influenza aerosolizzata con il pretesto di migliorare i modelli di malattia».

 

L’esercitazione britannica Pegasus è stata sviluppata in risposta alle raccomandazioni del luglio 2024 formulate dall’indagine britannica sul COVID-19, un’indagine pubblica in corso sulla gestione della pandemia.

 

Anche il Regno Unito sta testando la sua capacità di raggiungere istantaneamente i cittadini inviando un avviso a 87 milioni di cellulari contemporaneamente. McFadden ha affermato che sarà la seconda volta che il test verrà utilizzato a livello nazionale dal suo lancio nel 2023.

 

«Questi cambiamenti miglioreranno la nostra resilienza e preparazione e contribuiranno a salvaguardare i nostri cittadini», ha affermato McFadden in un comunicato stampa del gennaio 2025 in cui annunciava le proposte di massima del Regno Unito.

 

Altri, invece, sostengono che i piani siano meno volti a salvaguardare i cittadini e più a controllarli.

 

«La tempistica ha suscitato preoccupazioni sul fatto che governi e agenzie internazionali possano coordinare futuri scenari di lockdown con il pretesto della preparazione, sollevando lo spettro di un altro evento pandemico orchestrato», ha scritto Fleetwood su Substack.

 

A maggio, il primo ministro britannico Keir Starmer ha firmato un trattato internazionale sulla pandemia, concepito per aiutare l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) a «coordinare la risposta internazionale a eventuali pandemie future», secondo quanto riportato dal Telegraph.

 

Il Regno Unito è inoltre legalmente obbligato a «sviluppare, rafforzare e mantenere le capacità fondamentali» legate all’OMS perché «non è riuscito a respingere gli emendamenti del 2024 al Regolamento sanitario internazionale», ha affermato il giornalista indipendente James Roguski.

 

Queste capacità fondamentali includono la «sorveglianza», la «definizione rapida delle misure di controllo necessarie per prevenire la diffusione nazionale e internazionale» e la «gestione della disinformazione e della cattiva informazione».

 

«Mi sembra un controllo», ha detto Brand. «Controllo dell’osservazione e controllo per implementare l’uso dei farmaci. Ti ricordi l’ultima volta? Come hanno umiliato, come hanno incolpato, come hanno represso le proteste, come hanno condannato le persone contrarie ai vaccini?»

 

Gli emendamenti appena promulgati consentono all’OMS «di ordinare lockdown globali, restrizioni di viaggio o qualsiasi altra misura che ritenga opportuna per rispondere a nebulosi “potenziali rischi per la salute pubblica”», ha affermato il Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani degli Stati Uniti (HHS) in un comunicato stampa del 18 luglio, annunciando il suo rifiuto delle normative.

 

In un video diffuso il 18 luglio, il Segretario alla Salute degli Stati Uniti Robert F. Kennedy Jr. ha affermato:

 

«Le nuove normative utilizzano un linguaggio estremamente ampio che conferisce all’OMS un potere senza precedenti. Impone ai Paesi di istituire sistemi di comunicazione del rischio in modo che l’OMS possa implementare un messaggio pubblico unificato a livello globale. Questo apre la porta al tipo di gestione narrativa, propaganda e censura che abbiamo visto durante la pandemia di COVID».

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All’inizio del 2021, prima che Kennedy guidasse l’HHS, era stato rimosso da numerosi siti di social media per aver criticato la corruzione normativa e le politiche autoritarie in materia di salute pubblica.

 

Kennedy ha descritto gli sforzi del fondatore di Microsoft Bill Gates, che nel 2019 ha contribuito a organizzare un’esercitazione di quattro simulazioni di una pandemia mondiale di coronavirus. Sotto la direzione di Gates, ha affermato Kennedy, i partecipanti si sono concentrati principalmente sulla pianificazione di strategie da stato di polizia, incentrate sul settore e basate sulla paura, per gestire un immaginario contagio globale di coronavirus, culminato nella censura di massa dei social media.

 

L’esercitazione, denominata Evento 201, ha coinvolto rappresentanti della Banca Mondiale, del Forum Economico Mondiale, del Johns Hopkins Center for Health Security, dei Centers for Disease Control and Prevention, di vari colossi dei media, del governo cinese, di un ex direttore della CIA/Agenzia per la Sicurezza Nazionale, del produttore di vaccini Johnson & Johnson, dei settori della finanza e della biosicurezza e di Edelman, la principale società di pubbliche relazioni aziendali al mondo.

 

Tuttavia, quando è scoppiata la pandemia di COVID-19, Gates ha affermato che la simulazione non si è verificata. Nonostante i video dell’evento, ha dichiarato alla BBC il 12 aprile 2020: «eccoci qui. Non abbiamo simulato, non abbiamo fatto pratica, quindi sia per quanto riguarda le politiche sanitarie che quelle economiche, ci troviamo in un territorio inesplorato».

 

Una parte del copione dell’Event 201 di Gates si concentrava sulla manipolazione e il controllo dell’opinione pubblica. I partecipanti presumevano che una crisi del genere avrebbe offerto l’opportunità di promuovere nuovi vaccini e di rafforzare i controlli attraverso uno stato di sorveglianza e censura.

 

«Non c’è nulla di intrinsecamente sbagliato nella preparazione o nelle prove generali», ha affermato il dottor David Bell, medico di sanità pubblica e consulente biotecnologico. Il problema è che, per raggiungere questo obiettivo, i governi «devono minare i principi fondamentali della democrazia, come la libertà di parola e di movimento».

 

Lo staff di The Defender

 

© 25 luglio 2025, Children’s Health Defense, Inc. Questo articolo è riprodotto e distribuito con il permesso di Children’s Health Defense, Inc. Vuoi saperne di più dalla Difesa della salute dei bambini? Iscriviti per ricevere gratuitamente notizie e aggiornamenti da Robert F. Kennedy, Jr. e la Difesa della salute dei bambini. La tua donazione ci aiuterà a supportare gli sforzi di CHD.

Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

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Epidemie

Morti in casa anche per 8 giorni: emergenza ‘kodokushi’ tra gli anziani soli giapponesi

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.   Secondo l’Agenzia nazionale di polizia, nel primo semestre del 2025 sono stati oltre 40mila in Giappone i casi di morte isolata in casa. Il 28% viene scoperto dopo più di una settimana. Tra le cause: invecchiamento della popolazione, indebolimento dei legami, riluttanza a chiedere aiuto. Padre Marco Villa, responsabile di un centro d’ascolto a Koshigaya: «Una persona mi ha appena detto: mi è rimasto un solo amico, ci sentiamo due volte all’anno… La solitudine il dramma più grande di questo Paese».   Kodokushi (孤独死): la morte in casa di persone circondate da una profonda aridità relazionale, che non viene scoperta anche per un lungo periodo di tempo dopo il decesso. È uno dei drammatici volti della solitudine in Giappone. Secondo i nuovi dati dell’Agenzia nazionale di polizia diffusi oggi, in Giappone solo nel primo semestre del 2025 sono stati 40.913 i decessi avvenuti in isolamento nelle abitazioni.   Una cifra che segna un aumento di 3.686 casi rispetto allo stesso periodo del 2024. Ma il dettaglio forse più inquietante è che almeno il 28% di essi (11.669 persone) è stato scoperto dopo almeno 8 giorni.

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Una delle principali cause è anzitutto l’invecchiamento della popolazione del Giappone: 1 persona su 4 ha più di 65 anni. «Inoltre, si tende sempre più a non avere legami significativi né con il territorio, né con la famiglia. La maggioranza della gente non vive nei luoghi dove è cresciuta, ma si trova a vivere dove c’è lavoro», spiega ad AsiaNews dal Giappone padre Marco Villa, missionario del PIME che opera a Koshigaya, cittadina nella periferia nord di Tokyo, nella diocesi di Saitama. «Quindi, si fa più fatica a intrecciare relazioni significative con gente che non si conosce. Ciò accade anche perché avere relazioni a volte è davvero una cosa faticosa, allora si decide di non impegnarsi».   Padre Marco Villa nel 2012 ha favorito la nascita a Koshigaya del Centro d’Ascolto Mizu Ippai («un bicchiere d’acqua») – di cui è responsabile – proprio con l’obiettivo di sostenere le persone affette dalla solitudine, comprese le persone hikikomori, che soffrono di isolamento patologico ed estraniamento. Nel suo servizio non è raro che venga a conoscenza di casi di kodokushi, l’ultimo solo pochi mesi fa. «Una signora che frequenta il centro è rientrata a casa la sera, dopo un incontro. Dopo circa due settimane, il figlio mi ha chiamato dicendo che non aveva contatti con la mamma, chiedendo se l’avessi sentita. È andato a vedere se si trovava a casa, e l’ha trovata morta», racconta p. Marco Villa. Questo caso dimostra che anche le persone che riescono a curare dei legami, a uscire di casa, possono andare incontro a una morte isolata. «Vivendo da sola si è imbattuta in questi rischi», dice Villa. Rischi che aumentano in quelle persone che, invece, vivono una solitudine più estrema, perché non hanno dei familiari vicini, o perché non hanno degli amici.   Padre Marco Villa racconta anche di una telefonata avuta poco prima di essere contattato oggi da AsiaNews. «Una persona mi ha detto che è morto un suo amico; ora gli rimane un amico solo, che sente due volte all’anno: una per gli auguri di compleanno e una per gli auguri di buon anno. È l’unico amico che ha: mi ha chiesto di passare del tempo insieme. Queste sono situazioni che incontro regolarmente», aggiunge.   Oltre alla significativa quota di persone anziane in Giappone, favorisce il preoccupante fenomeno kodokushi anche «la ritrosia della persona giapponese a chiedere aiuto». Villa spiega che, culturalmente, nel domandare è insita «la preoccupazione di dare fastidio agli altri, di non voler dare preoccupazioni a causa delle proprie difficoltà».   La tendenza rilevata è la gestione in totale autonomia dei problemi personali. Ciò affievolisce inevitabilmente i legami con le persone della famiglia, così come con coloro che vivono nello stesso luogo. Un elemento che il missionario definisce «costante», basandosi sulla sua esperienza in Giappone. «La solitudine è il dramma principale del Paese», dice.

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Padre Marco Villa ammette di essere rimasto «sconvolto» dai casi di solitudine profonda incontrati nel Paese. Da questo sentimento nacque il Centro d’Ascolto Mizu Ippai di Koshigaya. «Chiesi al vescovo (della diocesi di Saitama, ndr) di poter iniziare un’attività a tempo pieno per cercare di alleviare la solitudine delle persone», racconta. Il Centro mette in campo le risorse del «volontariato dell’ascolto»: non professionisti all’opera, ma volontari e volontarie che offrono il proprio ascolto, nella struttura, così come alla stazione ferroviaria, luogo di aggregazione per la presenza di numerosi negozi.   Un’attività che affianca le iniziative istituzionali. «Lo Stato è consapevole di queste situazioni e cerca di essere sempre più capillare nel territorio attraverso strutture dedicate, cercando di creare delle occasioni di incontro per la gente. Questo è un tentativo, secondo me valido, che il Giappone porta avanti», spiega.   Come invertire la tendenza di questa drammatica e così diffusa esperienza umana? «La cosa fondamentale è creare delle occasioni di incontro, dei luoghi adatti per potersi trovare; fondamentalmente cercando di diventare amici delle persone che vivono in stato di solitudine», dice padre Marco Villa.   Solitudine che in alcuni casi viene «risolta» da lunghi dialoghi intrattenuti con l’intelligenza artificiale. «Ieri un ragazzo mi diceva che l’AI è l’unica persona che lo capisce, che riesce a capire i suoi problemi. Così crede di avere qualcuno, qualcosa con cui si relaziona, che però non è certamente un essere umano», aggiunge.   Per uscire da queste situazioni, ne è convinto il missionario, «basta poco: una via, una linea, un aggancio, capace di instaurare un minimo di relazione umana».   Invitiamo i lettori di Renovatio 21 a sostenere con una donazione AsiaNews e le sue campagne. Renovatio 21 offre questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

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Epidemie

Aumento delle infezioni da sifilide in Germania, soprattutto tra gli omosessuali

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I casi di sifilide in Germania hanno raggiunto un nuovo picco, con 9.519 infezioni registrate nel 2024, rispetto ai 1.697 del 2000. Lo scrive l’ultimo rapporto del Robert Koch Institute (RKI)

 

La malattia sessualmente trasmissibile, causata dal batterio Treponema pallidum, ha visto un costante aumento negli ultimi vent’anni. Dai 3.364 casi del 2004, il numero è cresciuto, soprattutto tra gli uomini omosessuali.

 

Il Bollettino Epidemiologico, pubblicato giovedì, ha riportato un incremento annuo del 3,9% rispetto al 2023. La comunità LGBT ha rappresentato la maggior parte dei contagi, con le donne che costituiscono solo il 7,6% dei casi. La trasmissione eterosessuale è leggermente aumentata rispetto all’anno precedente.

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L’età media dei pazienti è di circa 41 anni, con reinfezioni che rappresentano un rischio continuo. L’RKI ha evidenziato tassi di infezione più alti nelle grandi città, come Berlino, Amburgo, Colonia, Francoforte e Monaco.

 

Le epidemie tra gli uomini gay hanno contribuito significativamente all’aumento dei casi dalla fine degli anni ’90, con un primo picco rilevante ad Amburgo nel 1997. Nel 2003, l’incidenza tra gli uomini era dieci volte superiore rispetto alle donne.

 

Attualmente, circa tre quarti dei casi sono legati alla comunità LGBT, con dati che indicano che fino alla metà di questi pazienti è anche sieropositiva, spesso con coinfezioni da epatite C.

 

La diffusione delle infezioni sessualmente trasmissibili è stata associata all’uso di social media e app di incontri geolocalizzate, che hanno favorito un aumento dei partner sessuali, inclusi contatti nuovi e anonimi.

 

Come riportato da Renovatio 21, due anni fa si parlò di un mutamento del comportamento sessuale post-pandemia, con un incremento di malattie veneree nella UE.

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Immagine di NIAID via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic

 

 

 

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Epidemie

L’ameba mangia-cervello uccide 19 persone in India

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Lo Stato indiano del Kerala, nel Sud del Paese, sta affrontando una crisi sanitaria in escalation a causa di un’epidemia di meningoencefalite amebica primaria (PAM), causata dall’ameba «mangia-cervello» la Naegleria fowleri.   Le autorità hanno confermato giovedì che l’infezione ha provocato 19 morti e decine di casi, colpendo persone di età compresa tra i tre mesi e i 91 anni, rendendo difficile individuare fonti di esposizione comuni o contenere la diffusione.   La PAM, generata da un’ameba presente in acque dolci calde e nel suolo, penetra nel corpo attraverso il naso, attaccando il tessuto cerebrale e causando un’infiammazione potenzialmente letale in pochi giorni.   Il ministro della Salute, Veena George, ha definito la situazione una «grave emergenza sanitaria». Intervistata da NDTV News, ha spiegato: «Non si tratta di focolai legati a un’unica fonte d’acqua, come in passato, ma di casi isolati, il che complica le indagini epidemiologiche».

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La George ha poi evidenziato l’importanza di una diagnosi precoce: «Il nostro tasso di sopravvivenza del 24% è ben superiore alla media globale, inferiore al 3%, grazie a interventi tempestivi e all’uso del farmaco miltefosina».   Un medico governativo, parlando con l’agenzia AFP, ha confermato che, nonostante il numero limitato di casi, «sono in corso test su vasta scala per identificare e trattare i contagi». Le autorità hanno intensificato le misure di controllo sull’igiene delle acque, invitando la popolazione a evitare fonti d’acqua dolce stagnanti o non trattate.   Secondo un rapporto governativo citato da News18, la PAM colpisce principalmente il sistema nervoso centrale, con un impatto sproporzionato su bambini, adolescenti e giovani adulti sani. Gli esperti chiariscono che l’infezione non avviene ingerendo acqua contaminata, ma attraverso il contatto con le vie nasali durante attività come nuoto o immersioni in acque non sicure.   Il lettore di Renovatio 21 conosce la minaccia dell’ameba mangia-cervello con dovizia.   Come riportato da Renovatio 21, l’anno passato un cittadino dello Stato americano della Georgia era morto per infezione dell’ameba mangia-cervello. Ancora più recente il caso di un giovane che è morto di encefalite in Israele pochi giorni dopo aver contratto l’ameba Naegleria fowleri.   Si trattava all’epoca della terza persona a morire negli Stati Uniti in un solo anno a causa della mostruosa creatura microscopica, che pare diffondersi sempre più a Nord.   Uno studio del CDC pubblicato nel 2020, ha rilevato che cinque dei sei casi di meningoencefalite amebica primaria (PAM), come viene chiamata l’infezione cerebrale causata da Naegleria fowleri, si sono verificati durante o dopo il 2010.   Come riportato da Renovatio 21, nel 2022 un cittadino del Missouri e un bambino del Nebraska sono stati ammazzati dall’ameba mangia-cervello.

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Come riportato da Renovatio 21, due anni fa è emersa la rilevazione di vibrio vulnificus, cioè di un tipo di batteri «carnivori», nelle spiagge della Florida.   Negli ultimi 15 anni, una malattia neurodegenerativa estremamente rara che mangia il cervello umano lasciando buchi è diventata sempre più comune in Giappone, ma il caso PAM statunitense sembra molto diverso.   Prioni sarebbero stati invece alla base di un’epidemia di cervi-zombie nel 2019.

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia; rielaborata  
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