Economia
L’Iran avrebbe pianificato la disseminazione di mine navali nello Stretto di Ormuzzo
Il 22 giugno, gli Stati Uniti hanno lanciato l’«Operazione Midnight Hammer» («Operazione Martello di Mezzanotte»), schierando bombardieri stealth per colpire gli impianti nucleari iraniani di Fordow, Natanz e Isfahan con bombe Massive Ordnance Penetrator («Ordigno di Penetrazioen massiva», o MOP).
Il presidente Trump aveva dichiarato che i siti erano stati «completamente distrutti». Per rappresaglia, il Parlamento iraniano ha votato per autorizzare la chiusura dello Stretto di Hormuz, un punto critico marittimo attraverso il quale scorre il 20% del petrolio mondiale, suscitando nuova preoccupazione tra i trader energetici globali per la minaccia alle vitali rotte delle petroliere.
Qualsiasi decisione dell’Iran di chiudere la via d’acqua critica interromperebbe all’istante quasi un quinto delle spedizioni mondiali di petrolio e innescherebbe un danno economico sostanziale – e potenzialmente a cascata – (inflazione energetica) in tutto il mondo – Cina compresa. Tuttavia, queste minacce si sono rivelate inefficaci nei giorni successivi, e i future sul greggio Brent sono da allora tornati a 67 dollari al barile, di fatto ripercorrendo l’intera manovra.
L’Iran ha a disposizione diversi strumenti militari e asimmetrici per interrompere o chiudere lo Stretto di Hormuz, tra cui mine navali, barche d’attacco veloci e tattiche a sciame, missili antinave. Teheran può procedere con operazioni sottomarine, sequestri o abbordaggi di petroliere, attacchi di artiglieria o razzi da terra o attacchi con droni, GPS Scrambling, attacchi informatici alle infrastrutture portuali, attacchi proxy coordinati
Nel periodo precedente e durante l’Operazione Midnight Hammer erano state segnalate diffuse interferenze GPS nello Stretto di Ormuzzo. Diverse fonti da noi evidenziate hanno segnalato un notevole rallentamento del traffico petrolifero, a causa del degrado dei sistemi di navigazione e dell’impennata dei premi assicurativi per le navi.
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Secondo un reportage dell’agenzia Reuters, che cita funzionari statunitensi anonimi, rivela che l’intelligence aveva indicato che Teheran si stava preparando a bloccare lo Stretto di Hormuz utilizzando una delle sue tattiche più efficaci ed economiche: cospargere lo stretto corridoio di navigazione con mine navali.
«I preparativi, mai segnalati in precedenza e individuati dall’intelligence statunitense, sono avvenuti qualche tempo dopo che Israele aveva lanciato il suo primo attacco missilistico contro l’Iran il 13 giugno, hanno affermato i funzionari, che hanno chiesto l’anonimato per discutere di questioni delicate di intelligence» scrive la Reuters.
«Il caricamento delle mine, che non sono state dispiegate nello stretto, suggerisce che Teheran potrebbe aver seriamente preso in considerazione la chiusura di una delle rotte di navigazione più trafficate al mondo, una mossa che avrebbe aggravato un conflitto già in piena espansione e ostacolato gravemente il commercio globale».
La Reuters scrive di non essere stata «in grado di stabilire con precisione quando, durante il conflitto aereo tra Israele e Iran, Teheran abbia caricato le mine, le quali, se schierate, avrebbero di fatto impedito alle navi di attraversare quella via di comunicazione fondamentale. Non è chiaro inoltre se le mine siano state nel frattempo scaricate. Le fonti non hanno rivelato come gli Stati Uniti abbiano scoperto che le mine erano state piazzate sulle navi iraniane, ma tali informazioni vengono solitamente raccolte tramite immagini satellitari, fonti umane clandestine o una combinazione di entrambi i metodi».
«I due funzionari hanno affermato che il governo statunitense non ha escluso la possibilità che il caricamento delle mine fosse uno stratagemma. Gli iraniani avrebbero potuto preparare le mine per convincere Washington che Teheran intendeva seriamente chiudere lo stretto, ma senza volerlo fare, hanno aggiunto i funzionari».
La «guerra di 12 giorni» (come la ha perentoriamente, augurativamente chiamata Donald Trump) tra Israele e l’Iran e la minaccia, finora infondata, di Teheran di chiudere lo Stretto di Ormuzzo sembrano aver avuto un impatto duraturo e limitato sui mercati petroliferi globali, come si evince dal fatto che il greggio Brent è stato scambiato intorno ai 68 dollari in settimana.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
Economia
Hollywood al capolinea: Netflix vuole comprare Warner Bros
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Economia
L’ex proprietario di Pornhub vuole acquistare le attività del gigante petrolifero russo
Bernd Bergmair, l’ex proprietario di Pornhub, starebbe valutando l’acquisto delle attività internazionali del gigante petrolifero russo sanzionato Lukoil. Lo riporta l’agenzia Reuters, citando fonti riservate.
A ottobre, gli Stati Uniti hanno colpito Lukoil con sanzioni che hanno costretto la compagnia a dismettere le proprie partecipazioni estere, stimate in circa 22 miliardi di dollari. Lukoil aveva inizialmente accettato un’offerta del trader energetico Gunvor per l’intera controllata estera, ma l’operazione è saltata dopo che il Tesoro americano ha accusato Gunvor di legami con il Cremlino.
Secondo Reuters, Bergmair avrebbe già sondato il dipartimento del Tesoro statunitense per una possibile acquisizione. Interpellato tramite un legale, ha né confermato né smentito, limitandosi a dichiarare: «Lukoil International GmbH rappresenterebbe ovviamente un investimento eccellente; chiunque sarebbe fortunato a possedere asset del genere», senza precisare quali porzioni gli interessino o se abbia già contattato l’azienda. Un portavoce del Tesoro ha declinato ogni commento.
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Il finanziere austriaco è l’ex azionista di maggioranza di MindGeek, la casa madre di Pornhub, la cui identità è emersa solo nel 2021 dopo anni di strutture offshore. Il Bergmair ha ceduto la propria partecipazione nel 2023, quando la società è stata rilevata da un fondo canadese di private equity chiamato «Ethic Capital», nella cui compagine spicca un rabbino. Il patrimonio dell’uomo è stimato intorno a 1,4 miliardi di euro, investiti principalmente in immobili, terreni agricoli e altre operazioni private.
Il mese scorso, il Tesoro statunitense ha autorizzato le parti interessate a intavolare negoziati per gli asset esteri di Lukoil; l’approvazione è indispensabile poiché, senza licenza, ogni transazione resterebbe congelata. La finestra concessa scade il 13 dicembre.
Fonti giornalistiche indicano che diversi player, tra cui Exxon Mobil e Chevron, avrebbero manifestato interesse, ma Lukoil preferirebbe cedere il pacchetto in blocco, complicando le trattative per chi punta su singoli asset. L’azienda ha reso noto di essere in contatto con più potenziali acquirenti.
Mosca continua a condannare le sanzioni occidentali come «politiche e illegittime», avvertendo che finiranno per danneggiare chi le ha imposte». Il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov ha definito il caso Lukoil la prova che le «restrizioni commerciali illegali» americane sono «inaccettabili e ledono il commercio globale».
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Immagine di Marco Verch via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic (CC BY 2.0)
Economia
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