A torto, la stampa ha presentato l’incidente di protocollo di Ankara come un’umiliazione inflitta dal presidente Recep Tayyip Erdoğan alla presidente della Commissione europea, Ursula von der Layen. In realtà il presidente turco, in accordo con il presidente del Consiglio dell’Unione, Charles Michel, ha cercato di elevare quest’ultimo all’inesistente rango di presidente dell’Unione.
Geopolitica
La verità sul «sofagate» di Ankara

Renovatio 21 pubblica questo articolo di Réseau Voltaire. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Alcuni vi hanno visto una riprova del suo maschilismo. Interpretazione errata di un fatto che, in realtà, maschera un grave problema interno all’Unione Europea
Gli organi di stampa hanno ampiamente diffuso immagini del vertice fra Unione Europea e Turchia, svoltosi ad Ankara il 6 aprile scorso. Vi si vede il presidente Erdoğan accogliere il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, e la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Layen: ci sono due poltrone per tre persone. La signora von der Layen, dopo un attimo di esitazione, siede su un sofà.
I media europei hanno interpretato le immagini come un’offesa dell’autocrate turco all’Unione Europea. Alcuni vi hanno visto una riprova del suo maschilismo. Interpretazione errata di un fatto che, in realtà, maschera un grave problema interno all’Unione Europea.
L’incontro avrebbe dovuto svolgersi a Bruxelles, ma il presidente Erdoğan ha voluto a ogni costo che si tenesse ad Ankara; è stato telefonicamente preparato dai servizi di protocollo delle due parti. La sala dell’udienza è stata quindi allestita in modo conforme alle richieste dell’Unione Europea. Dunque Ursula von der Layen non è stata umiliata dal presidente Erdoğan.
Tutti i dirigenti europei trovano più comodo mettere la difesa dei loro Paesi sotto «l’ombrello americano» e sono disposti a pagarne il prezzo
Per comprendere l’accaduto, bisogna collocare il fatto nel contesto dell’evoluzione delle istituzioni della UE.
Il 25 marzo, ossia 13 giorni prima dell’incontro ad Ankara, si è svolto il Consiglio dei capi di Stato e di governo europei. A causa del COVID, la riunione non si è svolta in presenza, ma per videoconferenza. Vi hanno partecipato i 27 capi di Stato, sotto la presidenza di Charles Michel, nonché il loro vero capo: il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden (1). Costui ha ribadito a chiare lettere che Washington ha bisogno di un’Unione Europea forte e ligia ai suoi ordini.
Biden ha impartito diverse istruzioni; in particolare ha raccomandato di mantenere buoni rapporti con la Turchia, nonostante i numerosi contenziosi aperti (delimitazione delle frontiere nel Mediterraneo orientale; occupazione militare di Cipro, Iraq e Siria; violazione dell’embargo dell’ONU in Libia; ingerenza religiosa in Europa).
Il presidente Donald Trump aveva sicuramente inteso sostituire i rapporti imperiali con rapporti commerciali. Aveva messo in discussione sia la NATO sia l’Unione Europea, nonché posto gli europei di fronte alle loro responsabilità. Ma la volontà degli Stati Uniti di tornare all’organizzazione del mondo ereditata dalla seconda guerra mondiale non ha incontrato ostacoli: tutti i dirigenti europei trovano più comodo mettere la difesa dei loro Paesi sotto «l’ombrello americano» e sono disposti a pagarne il prezzo.
Con l’elezione di Joe Biden, il ritorno del padrino statunitense consente d’intravvedere una nuova via d’uscita istituzionale: la Commissione continuerebbe a tradurre in diritto europeo i sempre più numerosi dettami della NATO e il Consiglio a metterli in atto, ma, dato il numero degli Stati membri, al suo presidente (attualmente Charles Michel) dovrebbe essere riconosciuta una funzione esecutiva
La costruzione dell’Unione Europea è avvenuta in diverse tappe.
- Al principio, nel 1949, Stati Uniti e Regno Unito inserirono l’Europa in un’alleanza diseguale, la NATO, al fine di gestire la zona d’influenza negoziata con l’Unione Sovietica. In seguito, nel 1957, incoraggiarono sei Stati membri della NATO – di cui uno militarmente occupato da loro – a concludere il Trattato di Roma, che istituì la Comunità Economica Europea (CEE), antenata dell’Unione Europea. La CEE doveva strutturare un mercato comune, imponendo le regole commerciali volute dalla NATO. Per questo motivo la CEE fu organizzata attorno a due centri di potere: uno burocratico, la Commissione, incaricata di tradurre nel diritto locale le norme anglosassoni della NATO, l’altro esecutivo, il Consiglio dei capi di Stato e di governo, incaricato di attuare i provvedimenti della Commissione nei vari Paesi. Il tutto sotto il controllo di un’Assemblea composta da delegati dei parlamenti nazionali.
- Questo sistema da guerra fredda, essendo stato concepito contro l’URSS, fu rimesso in questione con il crollo di quest’ultima, nel 1991. Dopo molte peripezie, Washington impose una nuova architettura: prima dello svolgimento del Consiglio dei capi di Stato e di governo dell’Europa occidentale, il segretario di Stato James Baker annunciò che NATO e CEE – ribattezzata Unione Europea – avrebbero aperto le porte a tutti gli Stati dell’ex Patto di Varsavia, Russia esclusa. Le istituzioni, pensate per sei Stati membri, dovettero essere riformate per funzionare con 28 Paesi, se non più.
Fino a oggi i presidenti della Commissione e del Consiglio sono stati posti su un piano di parità. Se il presidente della Commissione è a capo di un’imponente burocrazia, quello del Consiglio è personaggio di bassa levatura, responsabile unicamente di fissare l’ordine del giorno e registrare le decisioni. Entrambi, non essendo [direttamente] eletti, sono semplici funzionari. Il protocollo attribuisce loro identico rango
- Quando il presidente Trump decise di liberare gli Stati Uniti dal carico di obblighi imperiali, alcuni dirigenti europei immaginarono di trasformare l’Unione Europea in superpotenza indipendente e sovrana – sul modello degli Stati Uniti – a scapito dei Paesi membri. Emendarono il bilancio dell’Italia e fecero il processo a Ungheria e Polonia. Incontrarono però troppe resistenze e non riuscirono a trasformare la Commissione in un sovra-Stato. Con l’elezione di Joe Biden, il ritorno del padrino statunitense consente d’intravvedere una nuova via d’uscita istituzionale: la Commissione continuerebbe a tradurre in diritto europeo i sempre più numerosi dettami della NATO e il Consiglio a metterli in atto, ma, dato il numero degli Stati membri, al suo presidente (attualmente Charles Michel) dovrebbe essere riconosciuta una funzione esecutiva.
Fino a oggi i presidenti della Commissione e del Consiglio sono stati posti su un piano di parità. Se il presidente della Commissione è a capo di un’imponente burocrazia, quello del Consiglio è personaggio di bassa levatura, responsabile unicamente di fissare l’ordine del giorno e registrare le decisioni. Entrambi, non essendo [direttamente] eletti, sono semplici funzionari. Il protocollo attribuisce loro identico rango.
Così Charles Michel ha comunicato a Erdoğan, sua comparsa di scena, l’ambizione di diventare il super-capo di Stato dell’Unione, relegando la presidente della Commissione Ursula von der Layen alla funzione di super-primo ministro.
È stato solo e soltanto Charles Michel a provocare l’«incidente protocollare» di Ankara. Il presidente Erdoğan è stato ben lieto di assecondarlo, cogliendo l’occasione di dividere gli unionisti europei.
Così Charles Michel ha comunicato a Erdoğan, sua comparsa di scena, l’ambizione di diventare il super-capo di Stato dell’Unione, relegando la presidente della Commissione Ursula von der Layen alla funzione di super-primo ministro
Se guardate attentamente i video, vedrete che Charles Michel sale i gradini del palazzo bianco senza aspettare Ursula von der Layen, poi si precipita sulla poltrona libera e vi si aggrappa, guardandosi bene dal cedere il posto alla signora von der Layen o dal lasciare con lei la sala se non si fosse provveduto a portare una terza poltrona.
Se leggete la dichiarazione di Michel al termine dell’incontro, non vi troverete nemmeno un cenno all’incidente (2).
Se guardate i video turchi, constaterete che il sofà sul quale siede la presidente della Commissione è di fronte a quello su cui prende posto il ministro degli Esteri turco, Mevlüt Çavuşoglu. Un assetto conforme alle disposizioni del protocollo europeo. Infatti in Turchia, ora regime presidenziale, non c’è più un primo ministro. Çavuşoglu siede quindi correttamente di fronte alla «prima ministra» europea.
È stato solo e soltanto Charles Michel a provocare l’«incidente protocollare» di Ankara. Il presidente Erdoğan è stato ben lieto di assecondarlo, cogliendo l’occasione di dividere gli unionisti europei
Non si tratta perciò di un incidente diplomatico, ma di un tentativo di Charles Michel di arrogarsi un potere in seno all’Unione a danno dell’Unione stessa. La battaglia è appena iniziata.
NOTE
1) « Le président Biden participe au Sommet du Conseil européen», Maison-Blanche, Réseau Voltaire, 25 marzo 2021.
2) « Intervention de Charles Michel à l’issue de sa rencontre avec Recep Tayyip Erdoğan», par Charles Michel, Réseau Voltaire, 6 aprile2021.
Non si tratta perciò di un incidente diplomatico, ma di un tentativo di Charles Michel di arrogarsi un potere in seno all’Unione a danno dell’Unione stessa. La battaglia è appena iniziata.
Articolo ripubblicato su licenza Creative Commons CC BY-NC-ND
Fonte: «La verità sul “sofagate” di Ankara», di Thierry Meyssan, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 11 aprile 2021.
Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.
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Geopolitica
La Von der Leyen lancia un ultimatum alla Serbia

La Serbia non potrà entrare nell’UE senza un pieno allineamento alla politica estera del blocco, incluse tutte le sanzioni contro la Russia, ha dichiarato la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen.
La Serbia, che ha richiesto l’adesione all’UE nel 2009 e ha ottenuto lo status di paese candidato nel 2012, è tra i pochi stati europei a non aver imposto restrizioni a Mosca. Belgrado ha sottolineato i suoi storici legami con la Russia e la dipendenza dalle sue forniture energetiche.
Mercoledì, durante una conferenza stampa a Belgrado accanto al presidente serbo Aleksandar Vucic, von der Leyen ha ribadito che la Serbia deve compiere «passi concreti» verso l’adesione e mostrare un «maggiore allineamento» con le posizioni dell’UE, incluse le sanzioni, evidenziando che l’attuale livello di conformità della Serbia alla politica estera dell’UE è del 61%, ma ha insistito che «serve fare di più», sottolineando il desiderio di Bruxelles di vedere Belgrado come un «partner affidabile».
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Vucic ha più volte dichiarato che la Serbia non imporrà sanzioni alla Russia, definendo la sua posizione «indipendente e sovrana». Tuttavia, il rifiuto di Belgrado ha attirato crescenti pressioni da parte di Bruxelles e Washington.
La settimana scorsa, gli Stati Uniti hanno imposto sanzioni alla Petroleum Industry of Serbia (NIS), parzialmente controllata dalla russa Gazprom Neft, spingendo la Croazia a interrompere le forniture di greggio. Vucic ha avvertito che tali misure potrebbero portare alla chiusura dell’unica raffineria petrolifera serba entro novembre, mettendo a rischio l’approvvigionamento di benzina e carburante per aerei.
Come riportato da Renovatio 21, proteste sempre più violente si susseguono nel Paese, che Belgrado attribuisce a influenze occidentali volte a destabilizzare il governo.
Le proteste hanno già portato alle dimissioni del primo ministro Milos Vucevic e all’arresto di diversi funzionari, tra cui un ex ministro del Commercio, con l’accusa di corruzione.
Il presidente Aleksandar Vucic ha affermato che i disordini sono stati fomentati dall’estero e ha denunciato quella che ha definito «violenza mascherata da attivismo»: «mancano pochi giorni prima che inizino a uccidere per le strade» aveva detto lo scorso agosto davanti all’ennesima ondata di proteste violente.
Come riportato da Renovatio 21, le grandi manifestazioni contro Vucic di marzo erano seguite la visita pubblica del figlio del presidente USA Don Trump jr. al premier di Belgrado.
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Come riportato da Renovatio 21, lo scorso mese il servizio di Intelligence estero russo (SVR) ha sostenuto che l’UE starebbe cercando di orchestrare un «Maidan serbo» per insediare un governo filo-Bruxelles. Belgrado nel dicembre 2023 produsse evidenti segni di «maidanizzazione» in corso. Già allora presidente serbo accusò le potenze occidentali di tentare di «ricattare» la Serbia affinché sostenga le sanzioni e di tentare di orchestrare una «rivoluzione colorata» – una sorta di Maidan belgradese –contro il suo governo a dicembre.
Vucic giorni fa ha accusato le potenze occidentali di aver cercato di orchestrare il suo rovesciamento. In un’intervista su Pink TV trasmessa lunedì, il presidente serbo aveva affermato che le «potenze straniere» hanno speso circa 3 miliardi di euro nell’ultimo decennio nel tentativo di estrometterlo dal potere.
Come riportato da Renovatio 21, il ministro degli Esteri Pietro Szijjarto ha dichiarato che l’Unione Europea sta tentando di rovesciare i governi di Ungheria, Slovacchia e Serbia perché danno priorità agli interessi nazionali rispetto all’allineamento con Bruxelles.
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Immagine di © European Union, 2025 via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International
Geopolitica
Pakistan e Afghanistan concordano il cessate il fuoco

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Geopolitica
Israele accusa Hamas di aver restituito il corpo sbagliato

Uno dei corpi restituiti martedì da Hamas non appartiene a nessuno degli ostaggi tenuti prigionieri dal gruppo armato palestinese a Gaza, hanno affermato le Forze di difesa israeliane (IDF).
Lunedì Hamas ha liberato gli ultimi 20 ostaggi israeliani ancora in vita in cambio del rilascio di quasi 2.000 prigionieri palestinesi, nell’ambito di un accordo mediato da Stati Uniti, Qatar, Egitto e Turchia. Martedì, il gruppo ha iniziato a consegnare i cadaveri dei prigionieri deceduti a Israele, restituendone sette in due lotti tramite la Croce Rossa.
Tuttavia, le IDF hanno dichiarato mercoledì in una dichiarazione su X che un esame presso l’istituto forense Abu Kabir ha rivelato che uno dei quattro corpi del secondo lotto «non appartiene a nessuno degli ostaggi». Si ritiene che i resti appartengano a un palestinese, hanno aggiunto.
🟡Following the completion of examinations at the National Institute of Forensic Medicine, the fourth body handed over to Israel by Hamas does not match any of the hostages.
Hamas is required to make all necessary efforts to return the deceased hostages.
— Israel Defense Forces (@IDF) October 15, 2025
Gli altri tre corpi sono stati confermati come appartenenti ai prigionieri. Sono stati identificati come il sergente maggiore Tamir Nimrodi, 18 anni, Uriel Baruch, 35 anni, ed Eitan Levy, 53 anni, si legge nel comunicato.
Il capo di stato maggiore delle IDF, tenente generale Eyal Zamir, ha dichiarato in precedenza che Israele «non avrà pace finché non restituiremo tutti [gli ostaggi]. Questo è il nostro dovere morale, nazionale ed ebraico». Hamas detiene ancora i corpi di 21 prigionieri deceduti.
Questa settimana, rifugiati palestinesi e combattenti di Hamas sono tornati a Gaza City e in altre aree dell’enclave, dopo il ritiro parziale delle forze dell’IDF, in linea con l’accordo. A Gaza sono stati segnalati scontri sporadici tra Hamas e fazioni rivali.
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Immagine di Chenspec via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
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