Economia
Israele è diretto verso una forte recessione economica, dice Standard and Poor’s
L’economia israeliana subirà una contrazione del 5% nel quarto trimestre di quest’anno a causa dei crescenti rischi geopolitici e di sicurezza dovuti al conflitto con il gruppo militare palestinese Hamas, ha affermato in un rapporto questa settimana l’agenzia di rating del credito Standard and Poor’s (S&P).
L’agenzia di rating ha citato il calo dell’attività commerciale, il calo della domanda dei consumatori e un contesto di investimento «molto incerto».
S&P prevede un deficit fiscale israeliano del 5,3% del PIL nel 2023 e nel 2024, rispetto alla stima prebellica dell’agenzia del 2,3%.
Il governo israeliano ha aumentato significativamente le spese per finanziare l’esercito e per risarcire le imprese vicino al confine con Gaza, nonché le famiglie delle vittime e degli ostaggi presi da Hamas. Ciò ha portato a un deficit di bilancio record, che il mese scorso è arrivato a 6 miliardi di dollari, un aumento di oltre sette volte rispetto a un anno fa.
Il rapporto S&P arriva dopo che l’agenzia ha declassato l’outlook creditizio di Israele da «stabile» a «negativo» il mese scorso, appena due settimane dopo l’inizio del conflitto il 7 ottobre.
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Le agenzie di rating Moody’s e Fitch hanno entrambe sottoposto Israele a revisione per un downgrade.
S&P, tuttavia, ha indicato che potrebbe ripristinare le prospettive creditizie di Israele a «stabili» se il conflitto fosse risolto, poiché ciò significherebbe una riduzione della sicurezza regionale e dei rischi interni.
L’economia di Israele è un’economia di libero mercato con pesanti elementi di intervento pubblico. Vige in Israele un welfare state articolato, oltre che una politica militare che ha portato ad un esercito che si dice abbia capacità di armi nucleari con una triade nucleare completa. Il settore dell’alta tecnologia, in parte derivante dagli stessi investimenti militare (come per l’Unità 7200, organo militare di spionaggio elettronico i cui ex membri finiscono per creare startup innovative) competitivo alla pari con la Silicon Valley – al punto da essere chiamata Silicon Wadi.
Israele, chiamata Startup Nation da un saggio di grande successo nel mondo del business, possiede il secondo maggior numero di startup nel mondo dopo gli Stati Uniti, e il terzo maggior numero di società quotate al NASDAQ dopo Stati Uniti e Cina. Aziende americane, come Intel, Microsoft, e Apple, hanno costruito le loro prime strutture di ricerca e sviluppo all’estero in Israele. Più di 400 multinazionali high-tech, come IBM, Google, Hewlett-Packard, Cisco Systems, Facebook e Motorola hanno aperto centri di ricerca e sviluppo in tutto il Paese.
Oltre all’alta tecnologia, in Israele è potente il settore del taglio e pulitura dei diamanti, che da solo ammonta al 23,2% di tutte le esportazioni dello Stato Ebraico.
Israele ha anche firmato accordi di libero scambio con l’Unione Europea, gli Stati Uniti, l’Associazione europea di libero scambio, Turchia, Messico, Canada, Ucraina, Giordania ed Egitto.
Nel 2007, Israele è diventato il primo Paese non latinoamericano a firmare un accordo di libero scambio con il blocco commerciale del Mercosur.
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Immagine di David Shay via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
Economia
Hollywood al capolinea: Netflix vuole comprare Warner Bros
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Economia
L’ex proprietario di Pornhub vuole acquistare le attività del gigante petrolifero russo
Bernd Bergmair, l’ex proprietario di Pornhub, starebbe valutando l’acquisto delle attività internazionali del gigante petrolifero russo sanzionato Lukoil. Lo riporta l’agenzia Reuters, citando fonti riservate.
A ottobre, gli Stati Uniti hanno colpito Lukoil con sanzioni che hanno costretto la compagnia a dismettere le proprie partecipazioni estere, stimate in circa 22 miliardi di dollari. Lukoil aveva inizialmente accettato un’offerta del trader energetico Gunvor per l’intera controllata estera, ma l’operazione è saltata dopo che il Tesoro americano ha accusato Gunvor di legami con il Cremlino.
Secondo Reuters, Bergmair avrebbe già sondato il dipartimento del Tesoro statunitense per una possibile acquisizione. Interpellato tramite un legale, ha né confermato né smentito, limitandosi a dichiarare: «Lukoil International GmbH rappresenterebbe ovviamente un investimento eccellente; chiunque sarebbe fortunato a possedere asset del genere», senza precisare quali porzioni gli interessino o se abbia già contattato l’azienda. Un portavoce del Tesoro ha declinato ogni commento.
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Il finanziere austriaco è l’ex azionista di maggioranza di MindGeek, la casa madre di Pornhub, la cui identità è emersa solo nel 2021 dopo anni di strutture offshore. Il Bergmair ha ceduto la propria partecipazione nel 2023, quando la società è stata rilevata da un fondo canadese di private equity chiamato «Ethic Capital», nella cui compagine spicca un rabbino. Il patrimonio dell’uomo è stimato intorno a 1,4 miliardi di euro, investiti principalmente in immobili, terreni agricoli e altre operazioni private.
Il mese scorso, il Tesoro statunitense ha autorizzato le parti interessate a intavolare negoziati per gli asset esteri di Lukoil; l’approvazione è indispensabile poiché, senza licenza, ogni transazione resterebbe congelata. La finestra concessa scade il 13 dicembre.
Fonti giornalistiche indicano che diversi player, tra cui Exxon Mobil e Chevron, avrebbero manifestato interesse, ma Lukoil preferirebbe cedere il pacchetto in blocco, complicando le trattative per chi punta su singoli asset. L’azienda ha reso noto di essere in contatto con più potenziali acquirenti.
Mosca continua a condannare le sanzioni occidentali come «politiche e illegittime», avvertendo che finiranno per danneggiare chi le ha imposte». Il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov ha definito il caso Lukoil la prova che le «restrizioni commerciali illegali» americane sono «inaccettabili e ledono il commercio globale».
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Immagine di Marco Verch via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic (CC BY 2.0)
Economia
La BCE respinge il ladrocinio dei fondi russi congelati proposto dalla Von der Leyen
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