Geopolitica
Il piano libanese per disarmare Hezbollah è in realtà un piano americano
Il governo libanese si è riunito per ricevere il piano dell’esercito libanese per il disarmo di Hezbollah. L’esercito inizierà ad attuare i termini dell’accordo, ma potrebbe avere capacità limitate, secondo il ministro dell’Informazione libanese Paul Morcos. Lo riporta la CNN.
Il governo non ha fornito una tempistica per l’entrata in vigore del piano, ma il primo ministro Nawaf Salam ha affermato che la leadership dell’esercito presenterà al governo un rapporto mensile sui progressi compiuti. Funzionari statunitensi e libanesi hanno offerto pochi dettagli su come intendono convincere Hezbollah a disarmarsi volontariamente.
Un alto funzionario libanese ha avvertito che i continui attacchi israeliani in Libano stanno ostacolando gli sforzi del governo per disarmare il gruppo. «Finché Israele manterrà posizioni militari all’interno del territorio libanese e bombarderà l’intera area di confine fino a distruggere tutte le case, i campi, i raccolti e qualsiasi forma di vita, Hezbollah continuerà a dire che le sue armi servono a difendere se stesso e il Paese», ha affermato il funzionario. «È importante che loro [Israele] se ne vadano da qui».
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Cinque ministri, due di Hezbollah e due di Amal, e un indipendente, hanno abbandonato la riunione e in seguito hanno abbandonato il Palazzo Presidenziale di Baabda per protestare contro la presentazione del piano per l’esercito. Il sito di giornalismo odi inchiesta The Intercept ha attribuito la crisi politica relativa al disarmo di Hezbollah all’amministrazione Trump, riferendo che, sebbene il governo libanese abbia annunciato il piano di disarmo, si tratta di un’iniziativa americana sfacciata, con la stampa araba che lo descrive apertamente come «il giornale americano».
Hezbollah ha finora rifiutato categoricamente il disarmo, proclamando che il gruppo avrebbe combattuto qualsiasi tentativo del genere senza un piano completo per l’esercito nazionale per contrastare l’aggressione israeliana.
L’ambasciatore statunitense Tom Barrack, finanziere di origine libanese già padrone della Costa Smeralda ora ufficialmente ambasciatore degli Stati Uniti in Turchia e di fatto l’uomo di punta dell’amministrazione Trump per la politica nella regione, ha chiesto che l’esercito libanese diventi una «forza di mantenimento della pace, non una forza militare offensiva».
Il Barrack vuole che il Libano tenga colloqui diretti con Israele, definendo la loro mancanza di contatti «una follia».
L’atteggiamento di Barrack ha scioccato molti, ad esempio, definendo i giornalisti libanesi «animalistici» e dicendo che essi sono «ciò che non va nella regione», dopo che essi lo avevano tempestato di domande durante una conferenza stampa.
Il Barracko e il suo assistente, il vice inviato speciale del presidente degli Stati Uniti per il Medio Oriente, Morgan Ortagus, hanno chiarito che il piano per disarmare Hezbollah è un’iniziativa americana. Durante un viaggio a Beirut ad agosto, Ortagus ha dichiarato: «siamo noi che disarmeremo Hezbollah. Siamo noi che restituiremo il Libano allo status di Stato sovrano e indipendente».
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Immagine di Tasnim News Agency via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International
Geopolitica
Turchia, effigie di Netanyahu appesa a una gru: «pena di morte»
Turkish academic creates model of hanged 🇮🇱PM Netanyahu, with a “Death Penalty” sign. Proudly aided by a state company.
Turkish authorities have not disavowed this disgraceful behavior. In Erdoğan’s Turkey, hatred & antisemitism isn’t condemned. It’s celebrated. pic.twitter.com/19MALpzEEW — Israel Foreign Ministry (@IsraelMFA) October 26, 2025
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Droga
Trump punta ad attaccare le «strutture della cocaina» in Venezuela
Il presidente statunitense Donald Trump sta esaminando proposte per operazioni militari americane contro presunte «strutture per la produzione di cocaina» e altri bersagli legati al narcotraffico all’interno del Venezuela. Lo riporta la CNN, che cita fonti anonime.
Due funzionari non identificati hanno dichiarato alla rete che Trump non ha scartato l’ipotesi di un negoziato diplomatico con Nicolás Maduro, nonostante recenti indicazioni secondo cui gli Stati Uniti avrebbero interrotto del tutto i colloqui con Caracas, mentre valutano una possibile campagna per destituire il leader venezuelano.
Tuttavia, una fonte della CNN ha precisato che «ci sono piani sul tavolo che il presidente sta esaminando» per azioni mirate all’interno del Venezuela. Un terzo funzionario ha indicato che l’amministrazione Trump sta considerando varie opzioni, ma al momento si concentra sulla «lotta alla droga in Venezuela».
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A giudizio di alcuni esponenti dell’amministrazione statunitense, una campagna antidroga nel Paese sudamericano potrebbe accrescere la pressione per un cambio di regime a Caracas. Trump ha pubblicamente smentito l’intenzione di rimuovere Maduro dal potere.
Nelle scorse settimane, le forze armate americane hanno condotto vari raid contro imbarcazioni sospettate di narcotraffico e, secondo Washington, collegate al Venezuela, causando decine di vittime.
Giovedì, Trump – che aveva già confermato l’autorizzazione di operazioni della CIA in Venezuela – ha dichiarato che gli Stati Uniti potrebbero estendere la loro campagna antidroga dal mare alla terraferma, senza entrare in dettagli. Inoltre, la portaerei USS Gerald R. Ford è stata inviata nei Caraibi per sostenere l’operazione antidroga.
Maduro ha respinto ogni legame del suo governo con il traffico di stupefacenti, insinuando che gli Stati Uniti stiano usando le accuse come copertura per un cambio di regime. Dopo le notizie sul dispiegamento della portaerei, il presidente venezuelano ha accusato Washington di perseguire «una nuova guerra eterna».
Secondo un reportaggio del New York Times, Maduro stesso avrebbe proposto agli Stati Uniti significative concessioni economiche, inclusa la possibilità per le aziende americane di acquisire una quota rilevante nel settore petrolifero, durante negoziati segreti durati mesi. Tuttavia, Washington avrebbe rifiutato l’offerta, con il futuro politico del presidente Nicolas Maduro come principale ostacolo.
Un precedente articolo del quotidiano neoeboraceno riportava che Trump avesse ordinato l’interruzione dei colloqui con il Venezuela, «frustrato» dal rifiuto di Maduro di cedere volontariamente il potere. Il giornale suggeriva anche che gli Stati Uniti stessero pianificando una possibile escalation militare.
Nel frattempo, Maduro ha avvertito che il Venezuela entrerebbe in uno stato di «lotta armata» in caso di attacco, aumentando la prontezza militare in tutto il Paese.
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Come riportato da Renovatio 21, il mese scorso, gli Stati Uniti hanno inviato almeno otto navi della Marina, un sottomarino d’attacco e circa 4.000 soldati vicino alla costa venezuelana, dichiarando che la missione mirava a contrastare i cartelli della droga. Washington ha sostenuto che l’armata ha affondato tre imbarcazioni venezuelane, senza però fornire prove che le persone a bordo fossero criminali.
La Casa Bianca accusa da tempo Maduro di guidare una rete di narcotrafficanti nota come «Cartel de los Soles», sebbene non vi siano prove schiaccianti o prove concrete che lo dimostrino, tuttavia lo scorso anno gli USA sono arrivati a sequestrare un aereo presumibilmente utilizzato dal presidente di Carcas. È stato anche accusato di aver trasformato l’immigrazione in un’arma, sebbene Maduro si sia mostrato pronto a dialogare con le delegazioni diplomatiche americane sulla questione.
Come riportato da Renovatio 21, a inizio anno Maduro aveva dichiarato che Washington ha aperto il suo libretto degli assegni a una schiera di truffatori e bugiardi per destabilizzare il Venezuela, quando gli Stati Uniti si sono rifiutati di riconoscere le elezioni del 2024 in Venezuela.
Secondo Maduro, almeno 125 militanti provenienti da 25 Paesi sono stati arrestati dalle autorità venezuelane. Aveva poi accusato Elone Musk di aver speso un miliardo di dollari per un golpe in Venezuela. Negli stessi mesi si parlò di un piano di assassinio CIA di Maduro sventato.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr
Geopolitica
Thailandia e Cambogia firmano alla Casa Bianca un accordo di cessate il fuoco
HISTORIC PEACE BETWEEN THAILAND & CAMBODIA. President Trump and Malaysia’s Prime Minister Anwar Ibrahim hosted the Prime Ministers of Thailand and Cambodia for the signing of the ‘Kuala Lumpur Peace Accords’—a historic peace declaration. pic.twitter.com/BZRJ2b2KLY
— The White House (@WhiteHouse) October 26, 2025
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