Spirito
Il fallimento post-conciliare è sempre più evidente e ammesso
Due testimonianze provenienti da fonti molto diverse mettono in luce il disordine sempre più evidente, avviato dal Concilio Vaticano II, proseguito dalle riforme postconciliari, aggravato in particolare dal pontificato appena concluso e che può trovare soluzione solo attraverso un deciso ritorno alla Tradizione della Chiesa.
I numeri parlano da soli
Innanzitutto, un sacerdote che non è più impressionato dal Concilio Vaticano II non esita a elencare le cifre del fallimento postconciliare. Sul sito web in lingua spagnola Infocatolica, il 15 marzo, il sacerdote madrileno Jorge Guadalix ha scritto: «l’attesa per il Concilio Vaticano II era grande. Tutte le speranze vi erano riposte. Ma, diciamo la verità, qualcosa è andato storto».
«Abbiamo lavorato nella vigna del Signore con tutto l’entusiasmo del mondo, abbiamo assorbito la più furiosa teologia postconciliare, abbiamo dato la vita per la causa del Vangelo. È arrivata la primavera? Non ne sono convinto. Per niente convinto. Quest’anno ricorre il sessantesimo anniversario della sua chiusura».
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Sessant’anni dopo, qual è il risultato? Padre Guadalix risponde senza mezzi termini: «Finora ci siamo arrangiati… Ma i numeri parlano da soli. La massiccia secolarizzazione [riduzione allo stato laicale] di religiosi e sacerdoti, soprattutto negli anni ’70, ci ha spaventato. Il disastro del calo delle vocazioni al ministero sacerdotale e alla vita religiosa è stato camuffato da un’età media che, tuttavia, ha continuato ad aumentare, anno dopo anno e a un ritmo sempre più rapido».
«Le morti degli ultimi anni ci hanno portato a chiudere continuamente monasteri e a nascondere la carenza di sacerdoti distribuendo il numero di parrocchie, rimasto pressoché invariato, tra un numero molto esiguo di sacerdoti. Ci sono regioni in Spagna in cui un sacerdote è il parroco, responsabile di otto, dieci, venti, trenta parrocchie… o più».
«Forse domani saranno quaranta, se il collega più vicino muore. Ovviamente la vita sacramentale è impossibile ed è diventata un sostituto inadeguato nelle mani dei laici che fanno quello che possono con il poco che rimane ogni domenica».
Riguardo alle giovani generazioni, che rappresentano il futuro, l’osservazione è altrettanto schiacciante: «oltre il 50% dei giovani in Spagna si dichiara agnostico o ateo. Molti di loro, inoltre, sono studenti di scuole religiose, battezzati e hanno ricevuto la prima comunione. Meno della metà dei bambini nati è battezzata e i matrimoni religiosi raggiungono a malapena il 20%. Un altro dato che si può osservare in quasi tutte le parrocchie: le confessioni sono praticamente inesistenti».
«Mi diranno che il numero non conta, che è la qualità che conta. Ebbene, il numero è importante, e persino i conciliaristi più ferventi non credono nella qualità. Ma sono contenti perché la Chiesa è molto impegnata per la causa dei poveri. Il problema è che se si tratta solo di “solidarietà”, non ho bisogno della fede o della Chiesa per questo. Non ho bisogno di diventare prete o suora».
E conclude sul cosiddetto spirito conciliare «che nessuno è riuscito minimamente a spiegare, a cui si è aggiunto un evidente abbandono della disciplina ecclesiastica che ha permesso a ognuno, in nome della modernità e delle “buone vibrazioni”, di dire ciò che vuole, di celebrare come meglio crede e di vivere secondo la propria personale infallibilità. […] Qualcosa ci è sfuggito di mano».
Una cultura della cancellazione nella Chiesa
La seconda testimonianza è quella del celebre vaticanista – ora emerito – Sandro Magister, pubblicata sul suo blog Settimo Cielo il 27 marzo. In essa, egli denuncia l’allineamento delle autorità romane con l’ideologia dominante, in particolare con la «cultura della cancellazione» [cancel culture].
Ritiene che, come negli Stati Uniti con l’elezione di Donald Trump, questo compromesso rischia di provocare una «ribellione di massa», secondo il titolo del saggio del filosofo spagnolo José Ortega y Gasset, pubblicato nel 1930.
Così il giornalista italiano ha presentato la situazione della Chiesa alla fine del precedente pontificato: «non mancano allineamenti subalterni all’ideologia delle élite progressiste, sia pur contraddetti a parole o contrastati da estese ribellioni».
«Il via libera dato dalla Santa Sede alla fine del 2023 alla benedizione delle coppie omosessuali ha sollevato la protesta di tutte le conferenze episcopali dell’Africa nera, oltre che di porzioni significative delle Chiese di altri continenti». Il che, senza essere una «ribellione delle masse», resterà nella storia della Chiesa come una rivolta di portata del tutto inedita.
Altri segnali di compromesso ideologico osservati Sandro Magister: «nonostante papa Francesco più volte si sia pronunciato contro l’ideologia “gender”, resta il fatto che l’opinione pubblica lo percepisce molto più come inclusivo che escludente. La sua immagine è quella di un papa che apre le porte a “todos, todos, todos” e che si astiene da qualsiasi ammonimento o condanna, in nome del “chi sono io per giudicare?”».
«Inoltre, la visione profondamente antioccidentale di Francesco – ben ricostruita nel recente libro dello storico dell’America latina Loris Zanatta: Bergoglio. Una biografia politica [Editori Laterza, 2025, 320 p.] – lo rende sensibile alle tesi di quella “cancel culture” che vuole rimuovere interi secoli di storia, colpevolizzandoli in blocco».
«Anche i suoi feroci strali contro i tradizionalisti contribuiscono ad accrescere la sua immagine di iniziatore per la Chiesa di un nuovo corso immacolato, ostile a un passato oscuro di cui va chiesto solo perdono».
«Un clamoroso cedimento del papa alla “cancel culture” è avvenuto in occasione del suo viaggio in Canada nel luglio del 2022 [riguardo alle presunte fosse comuni di bambini indigeni abusati da chierici cattolici, di cui Francesco si è pentito e di cui un’indagine durata tre anni non ha trovato traccia]».
Aggiunge Sandro Magister: «un altro grave cedimento alla “cancel culture” lo si è visto all’opera nel sinodo dell’Amazzonia, nell’ottobre del 2019, anche questa volta contro il colonialismo di cui la Chiesa sarebbe complice».
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«Per Francesco, infatti, una finalità di quel sinodo era di valorizzare le tribù dell’Amazzonia nella loro innocenza originaria, nel loro arcaico “buen vivir” in felice simbiosi tra gli uomini e la natura, prima che fosse snaturato e incattivito ad opera dei colonizzatori civili ed ecclesiali».
«Solo che questo paradisiaco “buen vivir” s’è scoperto che in alcune tribù è fatto tuttora anche di infanticidi e di morti inflitte ai vecchi, compiuti al fine dichiarato di garantire un equilibrio “nella dimensione della famiglia e nell’ampiezza dei gruppi” e di “non costringere lo spirito dei vecchi a stare incatenato al corpo, senza poter più spalmare i suoi benefici sul resto della famiglia”».
Tutti questi compromessi con lo spirito del mondo postmoderno, tutti questi allineamenti con il pensiero progressista dominante, un giorno dovranno essere ritrattati.
Articolo previamente apparso su FSSPX.News
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
Spirito
«Siamo stati creati per la gloria»: omelia nella festa di Ognissanti di mons. Viganò
Vos, purpurati martyres, Vos candidati præmio Confessionis, exsules Vocate nos in patriam.
Rabano Mauro Inno Placare, Christe
Dopo la solenne celebrazione della Regalità di Nostro Signore Gesù Cristo, nell’ultima Domenica di Ottobre, il primo Novembre è dedicato a coloro che con Cristo hanno combattuto il bonum certamen, meritando di trionfare con Lui nella vittoria sfolgorante sul demonio. Il giorno seguente, 2 Novembre, viene ricordato un altro sterminato esercito di anime sante: quelle di coloro che il fuoco del Purgatorio purifica, come l’oro nel crogiuolo, per renderle degne di essere ammesse alla gloria della contemplazione della Maestà divina.Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
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Spirito
Lo stile di Leone XIV: conservare il vero senza rigettare il falso?
In una Nota sullo stile di Papa Leone XIV del 1° giugno 2025, pubblicata sul suo blog e riproposta da Sandro Magister su Settimo Cielo il 2 giugno, Leonardo Lugaresi, esperto di Padri della Chiesa, si sforza di «cogliere un aspetto dello stile di pensiero e di governo di Papa Leone XIV, che mi sembra emergere chiaramente nei suoi primi discorsi; un tratto che merita la massima attenzione per il suo valore paradigmatico, non solo nei contenuti ma anche, e direi soprattutto, nel metodo».
Questo stile, secondo lo studioso italiano, equivale a fare «giusto uso» della tradizione: «raccogliere ciò che c’è di buono in ogni persona, in ogni discorso, in ogni evento, e filtrare ciò che è cattivo».
Spiega: «Ma oggi sarebbe altrettanto sbagliato pretendere che spetti al papa compiere una sorta di “controriforma”. Se posso azzardare una previsione, credo che questo comunque non accadrà. Penso invece che da Leone XIV possiamo attenderci non tanto delle correzioni esplicite o delle formali ritrattazioni di certi aspetti ambigui, confusi e in qualche caso problematici del precedente pontificato, quanto un loro “giusto uso” che, se così posso esprimermi, li “rimetta al loro posto”».
E illustra il suo punto con un esempio: «ad alcuni è dispiaciuto che nel discorso del 19 maggio ai rappresentanti delle altre chiese e di altre religioni papa Leone abbia citato la controversa Dichiarazione di Abu Dhabi».
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«È vero che quel documento contiene il passaggio forse più “problematico” del pontificato di Francesco, perché vi si trova un’affermazione circa la volontà divina che gli uomini aderiscano a religioni diverse dalla fede cristiana che è pressoché impossibile interpretare in modo compatibile con la dottrina cattolica».
«Tuttavia, da parte di chi è ben saldo nella certezza (scritturistica e tradizionale!) che tutti gli uomini sono chiamati a convertirsi a Cristo, perché ‘in nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati’ (At 4, 12), si può benissimo citare un altro passo, del tutto innocuo, di quello stesso documento, proprio nella logica che ho cercato di descrivere;»
«È anche in questo modo, io spero, che si realizzerà una sorta di ‘riassorbimento dell’eccezione bergogliana’ nel corpo vivo della tradizione»
«Ah! Con quanta galanteria vengono espresse queste cose!» [Molière, Il Misantropo, Atto I, Scena 2] Le affermazioni eretiche diventano “eccezioni” che devono essere «riassorbite”, diluite in affermazioni “innocenti” per renderle accettabili al «corpo vivo della tradizione»! Con un simile regime, c’è da temere che questo corpo non rimanga vivo a lungo! Ci si può accontentare di «filtrare» l’errore senza rifiutarlo esplicitamente?
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Leone XIV può accontentarsi di aggirare gli errori senza condannarli?
Nelle Res Novæ del 4 agosto, padre Claude Barthe scrive: «Leone XIV, è un fatto, è responsabile dell’eredità di Francesco. Questa eredità, fondamentalmente conciliare, se si escludono la sinodalità, che resiste a qualsiasi tentativo di definizione precisa, e l’impegno ecologico, può essere riassunta in tre testi: Amoris Laetitia e Fiducia Supplicans, sulla morale del matrimonio, e Traditionis Custodes sulla liturgia tradizionale».
Sulla moralità del matrimonio, prosegue, «tutta la difficoltà di Amoris Laetitia si concentra nel paragrafo 301, da cui si potrebbe ricavare la seguente proposizione: “Alcuni di coloro che vivono in adulterio, anche se conoscono la norma che stanno trasgredendo, potrebbero non essere in stato di peccato mortale”».
«Leone XIV dovrebbe abbracciare questo insegnamento bergogliano, che mina gravemente la santità del matrimonio. Aggirarlo abilmente, indirettamente, non sarà sufficiente per invalidarlo. Dovrà necessariamente approvarlo o annullarlo. La Chiesa, infatti, è custode del contenuto della Rivelazione e della dottrina di fede e morale a cui bisogna aderire per essere salvati. […]»
«Non ci si può accontentare, a difesa della fede, di dichiarazioni che mitighino tale eterodossia o la controbilancino con insegnamenti contrari che tuttavia lascino intatta la dottrina difettosa. È necessario, per la salvezza delle anime, sradicare la falsa dottrina».
Riguardo alla Messa tradizionale, padre Barthe osserva che «a causa di papa Bergoglio, la questione è diventata molto semplice: tutto l’approccio repressivo di Traditionis Custodes si basa, infatti, sul suo articolo 1: ‘I libri liturgici promulgati dai santi pontefici Paolo VI e Giovanni Paolo II, in conformità con i decreti del Concilio Vaticano II, sono l’unica espressione della lex orandi del Rito Romano (…)»
«Secondo Traditionis Custodes, a seguito della riforma conciliare, la liturgia romana precedente a questa riforma ha quindi perso il suo status di lex orandi. […] (Certamente) è estremamente auspicabile che il nuovo papa conceda a questa liturgia, direttamente o indirettamente, maggiore libertà. Ma, nonostante ciò, resta da insegnare nella Chiesa la seguente proposizione: “I libri liturgici in vigore prima della riforma di Paolo VI non esprimono la lex orandi del Rito Romano”»
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«La questione che il Magistero della Chiesa è ora chiamato a risolvere è questa: questa proposizione è vera o falsa? Se è falsa, deve essere condannata, con tutte le conseguenze che ne conseguono».
Pertanto, un uso sapiente della «tradizione vivente» per assorbire le «eccezioni bergogliane» sembra non solo insufficiente, ma soprattutto pericoloso. Anche in questo caso, solo il futuro potrà dirlo. E il futuro appartiene a Dio.
Articolo previamente apparso su FSSPX.News
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Immagine di Lula Oficial via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International; immagine tagliata
Spirito
Filippine: le sette evangeliche riscuotono un successo clamoroso
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