Geopolitica
Gerusalemme, francescano di Terra Santa: «sull’orlo della guerra civile»

Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di Asianews
Padre Ibrahim Faltas lancia l’allarme per la «violenza» e la «rabbia» dei giovani. Il fallimento delle risoluzioni del 1967 e l’indifferenza della comunità internazionale. La gente «ha paura ad uscire di casa» perché «rischi di morire». Un appello ai capi di Stato: «La violenza genera violenza,tutti dobbiamo fermarla!».
«Siamo sull’orlo di una guerra civile» mentre si assiste «inermi ad una violenza uomo contro uomo inaudita» che esplode «con tutta la rabbia da entrambe le parti, giovani israeliani e giovani arabi».
È quanto afferma padre Ibrahim Faltas, discreto della Custodia francescana e direttore delle scuole cristiane di Terra Santa, in un appello intitolato «La Terra Santa brucia! Fermate questo inferno» sull’escalation di violenze fra Israele e Hamas, estesa a tutta la popolazione.
Nel documento, inviato ad AsiaNews, egli sottolinea che alla base vi è il «grande fallimento delle risoluzioni applicate nel 1967» e «l’indifferenza della comunità internazionale» nel trovare «una soluzione al conflitto fra Israele e Palestina» oggi a un «tragico bivio».
Alla base vi è il «grande fallimento delle risoluzioni applicate nel 1967» e «l’indifferenza della comunità internazionale» nel trovare «una soluzione al conflitto fra Israele e Palestina» oggi a un «tragico bivio»
(…)
Secondo padre Ibrahim quella odierna «non è solo una guerra fra Israele e Hamas» come avvenuto in occasione di precedenti Intifada fra Israele e Cisgiordania in cui le parti «possono decidere di cessare il fuoco e trovare un accordo. Qui siamo di fronte – avverte il religioso francescano – a una popolazione inferocita, da entrambi le parti, che sta cercando di farsi giustizia da sola, e dove non vi è nessun interlocutore».
Sull’escalation che dalla Spianata delle moschee e da Sheikh Jarrah a Gerusalemme si è estesa a Gaza dove ieri si è registrato il numero più alto di morti giornaliero il religioso evidenzia il dramma«“di una popolazione che vive nello stesso territorio, ma non ha gli stessi diritti».
«La protesta –spiega – si è scatenata fra la popolazione, sino ad avere più di 200 focolai» di violenze.
«Qui siamo di fronte a una popolazione inferocita, da entrambi le parti, che sta cercando di farsi giustizia da sola, e dove non vi è nessun interlocutore»
Haifa, Nazareth, Ramle, Lod, Cana, Askelon Tel Aviv, Nablus, Bethlemme, Jenin, Betania, Hebron sono solo alcune fra le molte città israeliane e palestinesi in cui è scoppiato «un inferno» con «auto bruciate, linciaggi, incendi alle abitazioni, alle sinagoghe, ai luoghi di culto e lancio di sassi».
«Una vera guerra – aggiunge – tra coloni ebrei e arabi israeliani, nelle città israeliane, e lo stesso avviene nelle zone occupate della Cisgiordania».
«Per capire il Medio Oriente e cosa sta accadendo – avverte padre Ibrahim – occorre avere una conoscenza della storia locale. In Israele, insieme ai cittadini israeliani e ai coloni, che possono essere ebrei o laici, vivono gli arabi israeliani del ‘48, che possono essere cristiani o musulmani, ma tutti sono cittadini israeliani con passaporto israeliano. In Cisgiordania vivono i palestinesi, possono essere cristiani o musulmani, e hanno un passaporto palestinese. A Gerusalemme, oltre ai cittadini israeliani, vivono i palestinesi, che non hanno nessun passaporto».
«Una vera guerra tra coloni ebrei e arabi israeliani, nelle città israeliane, e lo stesso avviene nelle zone occupate della Cisgiordania»
Tensioni e pulsioni contrapposte sono sfociate una guerra di «strada» a colpi «di bastoni e sassi».
Il religioso avverte del pericolo:
«Mentre veniamo informati nel dettagli delle Strategie di guerra tra Hamas e Israele, che hanno già fatto molte vittime, non ci si sta rendendo conto del pericolo che il Paese sta correndo. La gente ha paura a uscire di casa, per timore di subire violenze, perché se sei arabo, o se sei ebreo, rischi anche di morire!».
«La gente ha paura a uscire di casa, per timore di subire violenze, perché se sei arabo, o se sei ebreo, rischi anche di morire!»
Padre Faltas lancia infine un appello a tutti i capi di Stato e di governo, perché possa cessare il fuoco fra Hamas e Israele e si intervenga «con rapidità a riportare l’ordine nelle strade e nella popolazione ormai sfiduciata da lunghi anni di conflitto. La violenza – conclude – genera violenza,tutti dobbiamo fermarla!».
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Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.
Immagine screenshot da YouTube
Geopolitica
L’incontro Trump-Zelensky è stato «pessimo». Accenni al tunnel eurasiatico-americano

L’incontro di venerdì alla Casa Bianca tra il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj è stato descritto come «teso», con Zelensky che non è riuscito a ottenere la consegna dei missili a lungo raggio Tomahawk. Lo riprota la testata Axios, citando fonti informate.
Trump ha comunicato allo Zelens’kyj che non intende fornire i Tomahawk «almeno per il momento», hanno rivelato due fonti a conoscenza dell’incontro. I colloqui, durati circa due ore e mezza, sono stati definiti da una fonte come «non facili» e da un’altra come «difficili». A momenti, la discussione è diventata «un po’ emotiva», secondo il rapporto.
«Nessuno ha alzato la voce, ma Trump è stato fermo», ha dichiarato una fonte ad Axios. L’incontro si è concluso bruscamente quando Trump avrebbe detto: «Penso che abbiamo finito. Vediamo cosa succede la prossima settimana», probabilmente riferendosi ai colloqui imminenti tra Russia e Stati Uniti.
Parlando successivamente con i giornalisti, lo Zelens’kyj ha evitato di rispondere a domande sulle forniture di Tomahawk, limitandosi a dire che gli Stati Uniti «non desiderano un’escalation».
Trump ha sottolineato che per Washington «non è semplice» fornire i missili, poiché gli Stati Uniti devono preservare le proprie scorte per la difesa nazionale. Ha anche riconosciuto che autorizzare Kiev a condurre attacchi in profondità in Russia potrebbe portare a un’escalation del conflitto.
Mosca ha avvertito che fornire missili all’Ucraina «non cambierebbe la situazione sul campo di battaglia», ma «comprometterebbe gravemente le prospettive di una soluzione pacifica» e danneggerebbe le relazioni tra Russia e Stati Uniti.
Lo Zelens’kyj ha cercato per settimane di ottenere i missili Tomahawk, con una gittata massima di 2.500 km, insistendo che l’Ucraina li avrebbe utilizzati solo contro obiettivi militari per aumentare la pressione sulla Russia e favorire un accordo di pace. Tuttavia, il leader ucraino ha minacciato blackout nelle regioni di confine russe e a Mosca. Funzionari russi hanno anche suggerito che Kiev intenda usare i missili per «attacchi terroristici».
Durante i momenti con la stampa, il presidente ha prodotto una scena imprevedibile quando ha parlato della discussione avuta con Putin di un tunnel tra l’Alaska e la Siberia, chiedendo quindi allo Zelens’kyj cosa ne pensasse. L’ex attore ha risposto con tempi comici «non sono felice di questa cosa», sorridendo. «Non credo che gli piaccia» ha detto Trump ridendo.
Reporter: Are you interested in a Putin-Trump tunnel to connect Russia and Alaska?
Trump: Just heard about that one. Interesting idea — we’ll think about it. What do you think, Mr. President?
Zelensky: I’m not happy about this
— Alice Williams (@afreegirlll) October 18, 2025
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Il progetto di tunnello sotto lo stretto di Bering, che tocca le isole Diomede, esiste da molto tempo.
Il concetto di un collegamento tra i due continenti (un ponte o tunnel chiamato «Kennedy-Khrushchev World Peace Bridge») è emerso durante la Guerra Fredda, con proposte già nel 1905 dall’Impero Russo e nel 1904 da magnati ferroviari americani. Nel 2007, la Russia ha pianificato un tunnel da $65 miliardi come parte di una rete ferroviaria trans-siberiana. Nel 2011, funzionari russi hanno sostenuto un tunnel da 100 km per collegare Yakutsk a Komsomolsk-on-Amur, estendendolo all’Alaska. Nel 2015, si è parlato di una collaborazione Russia-Cina per un ponte stradale con oleodotti.
Il 16 ottobre 2025, Kirill Dmitriev, inviato per gli investimenti del presidente russo Vladimir Putin e CEO del Fondo Russo per gli Investimenti Diretti (RDIF), ha proposto il «Putin-Trump Tunnel» su X (ex Twitter), rivolgendosi direttamente a Elon Musk e alla sua Boring Company, l’azienda che crea tunnelli stradali. Il Dmitriev lo ha descritto come un «simbolo di unità» per collegare le Americhe all’Eurasia.
Dmitriev ha rivelato che uno studio di fattibilità è iniziato sei mesi fa (aprile 2025), con RDIF che ha già esperienza in ponti come quello Russia-Cina.
Con i suoi 112 chilometri di lunghezza, si tratterebbe del tunnel più lungo del mondo. Un costo stimato sarebbe di 65 miliardi, ma riducibile, per una durata di lavore di meno di otto anni.
Come riportato da Renovatio 21, l’incontro Trump-Zelens’kyj è seguito a una telefonata tra Trump e Putin, dopo la quale entrambe le parti hanno espresso l’intenzione di organizzare un vertice a Budapest, in Ungheria, nel prossimo futuro.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr
Geopolitica
Trump e Putin si telefonano: «può portare alla pace»

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Geopolitica
Budapest si prepara ad ospitare il vertice Putin-Trump

L’Ungheria e la Russia hanno avviato discussioni sui preparativi per il vertice tra il presidente russo Vladimir Putin e il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, previsto a Budapest, ha annunciato il ministro degli Esteri ungherese Peter Szijjarto.
In un post su Facebook pubblicato venerdì, Szijjarto ha riferito di aver avuto una conversazione telefonica con Yury Ushakov, principale consigliere di Putin per la politica estera, confermando che «i preparativi sono in pieno svolgimento».
Il primo ministro ungherese Viktor Orban ha dichiarato di aver parlato al telefono con Putin venerdì. Szijjártó ha aggiunto che il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov e il Segretario di Stato americano Marco Rubio si incontreranno più tardi nella stessa giornata.
Szijjarto ha sottolineato che l’Ungheria è pronta a garantire la sicurezza dei colloqui tra Russia e Stati Uniti, che si concentreranno sul conflitto ucraino, e che Budapest accoglierà Putin con rispetto, assicurandogli libertà di movimento da e per il Paese.
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Giovedì Orban aveva annunciato che Budapest è pronta a ospitare l’incontro tra i due presidenti, definendolo «una grande notizia per i popoli amanti della pace nel mondo» e descrivendo l’Ungheria come «un’isola di pace».
L’incontro tra Trump e Putin è stato annunciato per la prima volta dal presidente statunitense giovedì, dopo una telefonata tra i due leader, la prima in quasi due mesi, durata oltre due ore secondo il Cremlino e la Casa Bianca. Trump ha definito la conversazione «molto produttiva», sottolineando che «sono stati compiuti grandi progressi».
Anche il Cremlino ha confermato il vertice programmato, con Ushakov che ha dichiarato che i preparativi sarebbero iniziati «senza indugio». Ha precisato che Budapest era stata proposta come sede dell’incontro da Trump e che Putin aveva subito appoggiato l’idea.
L’ultimo incontro tra Putin e Trump si era tenuto a metà agosto in Alaska, incentrato sul conflitto in Ucraina e sul rilancio delle relazioni tra Russia e Stati Uniti. È stato il loro primo faccia a faccia dal 2019. Entrambi i leader avevano definito il vertice produttivo, pur senza registrare progressi significativi.
Sebbene i contatti tra Mosca e Washington siano successivamente diminuiti, Lavrov ha dichiarato all’inizio di questa settimana che il processo avviato in Alaska «non è concluso» e che le due nazioni hanno ancora «molto da fare».
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
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