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Cristo riconoscerebbe la sua Chiesa nella «setta» che sta eclissando la Sede di Pietro? Lettera di una monaca di clausura a Mons. Viganò

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Renovatio 21 pubblica lo scambio epistolare tra monsignor Carlo Maria Viganò e una monaca di clausura, inviatoci dall’arcivescovo. 

 

 

 

 

19 ottobre 2022  

“Pacificus * vocabitur,  et thronus eius erit firmissimus in perpetuum”

(I Ant., II Vespri, Solennità di Cristo Re).

 

Eccellenza Reverendissima,

Le scrivo in occasione dell’approssimarsi della festa di Cristo Re e mi permetto di condividere con Lei qualche interrogativo fondamentale: ha ancora senso celebrare e invocare la grazia che questa festa liturgica tanto aspirava quando venne istituita? 

 

Se il Re dei re e Signore dei dominanti (cfr. 1 Tim 6,15; Apoc. 19,16) tornasse oggi nella Sua gloria, riconoscerebbe ancora la Sua sposa, la Chiesa? 

 

Con queste domande le sembrerò irriverente e poco fiduciosa in quella promessa «le porte dell’inferno non prevarranno» (Matteo 16,19), in quella promessa che risuona come speranza a cui aggrapparsi da quei pochi sopravvissuti al vento di apostasia mortale che ha invaso la Chiesa.

 

Ebbene, il tono di provocazione di tali interrogativi riassume il sentimento di confusione dei pochi fedeli rimasti, fedeli in cerca di qualche riferimento di Magistero, Sacramento valido e coerenza di vita dei pastori.

 

Mi rivolgo a Lei, come alla «Voce nel deserto», che tante volte ha illuminato tanti smarriti e sfiduciati.

 

Volevo raccontarle questo piccolo episodio che mi è successo: pochi giorni fa una signora che ha portato un po’ di provvidenza al monastero mi ha detto: «ma sa, io non seguo molto queste cose, però mi sembra che la direzione che ultimamente ha preso la Chiesa non è tanto buona…»!

 

Dalla ruota, nel tono di voce, percepivo l’imbarazzo di colei che si esprimeva a qualcuno che riteneva rappresentasse proprio quella «Chiesa» appena messa in dubbio.

 

Non potevo fare grandi discorsi: la mia risposta fu un semplice appellarmi alla necessità di intensificare la preghiera personale, lasciando la signora nella sua ignoranza e lasciandomi «identificare» con quella «chiesa» che non sento proprio di rappresentare… La sensazione fu di una grande impotenza, nell’impossibilità di poter dare risposte esaurienti e di verità.

 

Pochi minuti prima avevo letto l’esortazione del Pontefice Pio XI, quando, cent’anni fa, nell’Enciclica Ubi arcano Dei esortava i cattolici al dovere di affrettare il ritorno alla regalità sociale del Cristo.

 

Una sorta di «dovere morale», di impegno personale e collettivo. 

 

È ancora valido questo impegno? 

 

E come metterlo in pratica se la «Chiesa» non è più «Chiesa»?

 

La Ubi arcano Dei fu l’incipit per l’istituzione della festa della Regalità di Cristo avvenuta poi nel 1925 proprio per evitare lo scatafascio che verifichiamo in questi anni.

 

In quell’Enciclica, la Regalità di Cristo veniva intesa come il rimedio al laicismo e a tutti quegli errori che – a distanza di cento anni – sono stati accolti generosamente da molti prelati, vescovi, cardinali e perfino da colui che si presenta come rappresentante di Cristo e che sotto tale insegna ha promosso l’accelerazione rovinosa del gregge «ingannevolmente» a lui affidato.

 

Francesco è considerato papa, se pur apostata, ma è papa? Lo è mai stato? 

 

Quando Pilato domandò a Gesù che cos’era la verità, pur avendoLa davanti, lo sguardo del Cristo giudice del mondo penetrò la mediocrità di quell’uomo debole che aveva difronte. Pilato tremò per un momento ma prevalse l’annebbiamento del proprio orgoglio personale.

 

Il Cristo Re torna oggi nelle stesse sembianze e guarda negli occhi vescovi e cardinali che non riconoscono quella Corona di spine che Lui ha indossato al posto loro, assumendo il prezzo del loro tradimento, della loro superbia, del loro indegno accecamento. 

 

Ricordo di aver letto nel diario di santa Faustina Kowalska – la santa della Misericordia – che un giorno Gesù le apparve tutto flagellato, insanguinato e coronato di spine: la guardò negli occhi e le disse: «la sposa deve essere simile al Suo Sposo». La santa comprese bene cosa voleva dire quel richiamo di «sponsalità*, di condivisione. Probabilmente è questa la forma di riconoscimento della Regalità di Cristo che il nostro momento storico sta richiedendo personalmente ad ogni vero cattolico. 

 

Sì, mi pare che questa sia la vocazione della «vera Chiesa» nel nostro tempo: di quel piccolo resto che, incrociando lo sguardo di Cristo Re maltrattato e sfigurato dalla blasfemia e dalla perversione, ha ancora il coraggio di una risposta di amore, fedeltà e coerenza di coscienza che non può rinnegare, perché altrimenti rinnegherebbe Cristo Re come fece Pilato, Erode e tutti i capi del popolo.

 

Non le nascondo che con queste righe volevo sollecitare uno dei suoi interventi, pieno di speranza cristiana per quel piccolo resto che è smarrito perché senza Pastore, senza quel rappresentante di Cristo che dovrebbe custodire e difendere la Chiesa a lui affidata. 

 

Le ho posto delle domande che molti si fanno con tanto dolore nel cuore e sono sicura che lo Spirito Santo saprà darle quelle risposte che riaccendono l’attesa al ritorno del trionfo del Regno di Cristo sulla società, in ogni cuore, su tutta la faccia della terra!

 

«Pacificus * vocabitur, et thronus eius erit firmissimus in perpetuum!»

 

 

Una monaca di clausura.

 

Reverenda e carissima Sorella, 

 

ho letto con vivo interesse e con edificazione, la lettera che Ella mi ha fatto recapitare. Mi permetta di risponderLe in quel che posso.

 

La Sua prima domanda è tanto diretta quanto disarmante: «Se il Re dei re e Signore dei dominanti tornasse oggi nella Sua gloria, riconoscerebbe ancora la Sua sposa, la Chiesa?» Certo che la riconoscerebbe! Ma non nella setta che eclissa la Sede di Pietro, bensì nelle tante anime buone, specialmente nei sacerdoti, nei religiosi e nelle religiose, in tanti semplici fedeli, che, pur senza portare in fronte le corna di luce come Mosé (Es 34, 29), sono comunque riconoscibili come membra vive della Chiesa di Cristo.

 

Non la troverebbe a San Pietro, dove è stato reso culto a un idolo immondo; non a Santa Marta, dove la povertà artefatta e l’umiltà tronfia dell’Inquilino sono un monumento al suo ego smisurato; non al Sinodo sulla Sinodalità, dove la finzione della democrazia serve a completare lo smantellamento dell’edificio divino della Chiesa Cattolica e per imporre condotte di vita scandalose; non nelle Diocesi e nelle Parrocchie in cui l’ideologia conciliare ha sostituito la Fede cattolica e cancellato la Tradizione.

 

Il Signore, come Capo della Chiesa, riconosce le membra pulsanti e vive del suo Corpo Mistico e quelle morte e putrescenti strappate a Cristo dall’eresia, dalla lussuria, dall’orgoglio, ormai soggiogate a Satana.

 

Quindi sì: il Re dei re riconoscerebbe il pusillus grex, dovesse pure cercarlo intorno all’altare in una soffitta, in una cantina, in mezzo ai boschi. 

 

Ella accenna al fatto che la promessa del Non prævalebunt possa suonare «come speranza a cui aggrapparsi», e che «il tono di provocazione di tali interrogativi riassume il sentimento di confusione dei pochi fedeli rimasti, fedeli in cerca di qualche riferimento di Magistero, Sacramento valido e coerenza di vita dei pastori».

 

La promessa di Nostro Signore a San Pietro è provocatoria, in un certo senso, perché parte da due presupposti: il primo è che le Porte degli Inferi non prevarranno, il che nulla ci dice sul livello di persecuzione che la Chiesa dovrà sopportare.

 

Il secondo, logicamente conseguente dal primo, è che la Chiesa sarà perseguitata ma non vinta. Per entrambi, ci è chiesto un atto di Fede nella parola del Salvatore e nella Sua onnipotenza, assieme a un atto di umile realismo nella nostra debolezza e nel fatto che saremmo meritevoli dei peggiori castighi, tanto tra i «modernisti» quanto tra i «tradizionalisti». 

 

Ella mi chiede come mettere in pratica l’appello di Pio XI per la restaurazione della Regalità sociale di Cristo, «se la “Chiesa” non è più “Chiesa”».

 

Certamente la chiesa visibile, a cui il mondo riconosce il nome di Chiesa Cattolica e della quale considera Bergoglio come Papa, non è più Chiesa, quantomeno limitatamente ai Cardinali, ai Vescovi e ai sacerdoti che convintamente professano un’altra dottrina e si dichiarano appartenenti alla «chiesa conciliare», in antitesi alla «chiesa preconciliare».

 

Ma siamo Lei e io, e i tanti sacerdoti, religiosi e fedeli, parte di quella chiesa o della Chiesa di Cristo? fino a che punto possiamo sovrapporre la chiesa bergogliana e la Chiesa Cattolica, ammesso che siano sovrapponibili in qualcosa?

 

Il problema è che la rivoluzione conciliare ha strappato il vincolo di identità tra Chiesa di Cristo e Gerarchia cattolica. Prima del Vaticano II era impensabile che un Papa potesse contraddire sfrontatamente i suoi Predecessori in questioni dottrinali o morali, perché la Gerarchia aveva ben chiaro il proprio ruolo e la propria responsabilità morale nell’amministrare il potere delle Sante Chiavi e l’autorità del Vicario di Cristo e dei Pastori.

 

Il Concilio, ad iniziare proprio dalla definizione anomala che ha dato di sé e dalla rottura col passato rappresentata dall’eliminazione dei Canoni e degli anatèmi, ha mostrato come sia possibile, a chi non ha senso morale, ricoprire un ruolo sacro nella Chiesa pur essendo indegno nei tre aspetti che Ella ha puntualmente enumerato: «Magistero, Sacramento valido e coerenza di vita dei pastori».

 

Costoro, deviati nella dottrina, nella morale e nella liturgia, non si sentono vincolati al fatto di essere vicari di Cristo, e di poter quindi governare la Chiesa solo se la loro autorità è esercitata coerentemente con i fini che la legittimano. Per questo abusano del proprio potere, usurpano un’autorità di cui negano l’origine divina, umiliano l’istituzione sacra che in qualche modo si fa garante dell’autorevolezza di quei Pastori. 

 

Questa rottura, questo strappo violento, si sono consumati a livello spirituale nel momento in cui è stata secolarizzata l’autorità dei Prelati, al pari di quanto accaduto nella sfera civile.

 

Dove l’autorità cessa di essere sacra, sancita dall’alto, esercitata in vece di Colui che assomma in Sé l’autorità spirituale di Sommo Pontefice e l’autorità temporale di Re e Signore, lì essa si corrompe in tirannide, si vende con la corruzione, si suicida nell’anarchia.

 

Ella scrive: «Cristo Re torna oggi nelle stesse sembianze e guarda negli occhi vescovi e cardinali che non riconoscono quella Corona di spine che Lui ha indossato al posto loro, assumendo il prezzo del loro tradimento, della loro superbia, del loro indegno accecamento».

 

In quelle stesse sembianze, cara Sorella, dobbiamo riconoscere la Santa Chiesa. E come eravamo scandalizzati nel vedere umiliato e sbeffeggiato il suo Capo, flagellato e sanguinante, con la veste dei pazzi, la canna e la corona di spine; così siamo scandalizzati ora, nel vedere prostrata in modo analogo l’intera Chiesa militante, ferita, coperta di sputi, insultata, derisa.

 

Ma se il Capo volle affrontare il Sacrificio umiliandoSi sino alla morte, e alla morte di Croce; per quale motivo dovremmo noi presumere di meritare fine migliore, essendo Sue membra, e se davvero vogliamo regnare con Lui? su quale trono è assiso l’Agnello, se non sul trono regale della Croce?

 

Regnavit a ligno Deus: questo fu il trionfo di Cristo, questo sarà il trionfo della Chiesa, Suo Corpo Mistico. Giustamente Ella glossa: «La Sposa deve essere simile al suo Sposo». E prosegue: «Sì, mi pare che questa sia la vocazione della “vera Chiesa” nel nostro tempo: di quel piccolo resto che, incrociando lo sguardo di Cristo Re maltrattato e sfigurato dalla blasfemia e dalla perversione, ha ancora il coraggio di una risposta di amore, fedeltà e coerenza di coscienza che non può rinnegare, perché altrimenti rinnegherebbe Cristo Re come fece Pilato, Erode e tutti i capi del popolo».

 

La Sua lettera, carissima Sorella, è per tutti noi un’opportunità di riflessione sul mistero della passio Ecclesiæ, così vicino a quanto accade in questi tempi terribili.

 

E concludo richiamando la «provocazione» del Non prævalebunt: come il Salvatore ha conosciuto l’ombra del sepolcro, così dobbiamo sapere avverrà alla Chiesa, e forse sta già avvenendo. Ma Egli non lascerà che il suo Santo conosca la corruzione (Sal 15), e la farà risorgere come risorse Egli stesso da morte. In questo senso, le parole «La Sposa deve essere simile al suo Sposo» acquistano il loro pieno significato, mostrandoci come solo seguendo lo Sposo divino sull’erta del Golgota potremmo meritare di seguirLo nella gloria alla destra del Padre.

 

La esorto a trarre profitto spirituale da questi pensieri, mentre imparto a Lei e alle Sue care Consorelle la mia più larga e paterna Benedizione.

 

+ Carlo Maria Viganò

Arcivescovo

 

4 Novembre 2022

Sancti Caroli Borromæi, Pont. Conf.

 

 

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Pensiero

Mons. Viganò: dissonanza cognitiva e rivelazione del metodo, il colpo da maestro di Satana

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Renovatio 21 pubblica questo scritto dell’arcivescovo Carlo Maria Viganò. Le opinioni degli scritti pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

 

 

 

Ex fructibus igitur eorum cognoscetis eos.

Mt 7, 20

 

Premessa

La crisi nella Chiesa è di natura teologica, non canonica. Non solo: questa non è una crisi tra le tante, ma la crisi dell’Autorità, perché è appunto l’Autorità ad essere oggetto di un sovvertimento che fino a sessant’anni fa non era nemmeno immaginabile in seno alla Chiesa Cattolica. Se infatti l’Autorità, quando è esercitata per il bene, è certamente lo strumento più idoneo ad assicurare il buon governo dell’istituzione che presiede, così essa si può mutare in uno strumento altrettanto efficace per distruggerla, nel momento in cui chi la ricopre rescinde il proprio vincolo di obbedienza verso Dio, che dell’Autorità è supremo garante (1).

 

Questo hanno fatto i Giacobini nel 1789, questo hanno ripetuto i fautori della rivoluzione conciliare nel 1965: appropriarsi illegittimamente dell’Autorità per costringere i sudditi ad accettare di obbedire a ordini iniqui, finalizzati ad un piano eversivo. E tanto i Giacobini quanto i Modernisti si sono avvalsi non solo della collaborazione attiva dei propri complici e dell’inazione dei codardi, ma anche del consenso di coloro che obbedivano in buona fede e da una massa progressivamente indotta ad accettare in nome dell’obbedienza qualsiasi cambiamento (2).

 

L’idealizzazione dell’autorità

Nelle scorse settimane «conservatori» come Riccardo Cascioli, Luisella Scrosati, Daniele Trabucco e Giovanni Zanone hanno sostenuto che laici e chierici, dinanzi alla crisi della Gerarchia cattolica, non dovrebbero adottare forme di resistenza nei confronti di cattivi Superiori; né dovrebbero mettere in discussione la loro Autorità, dal momento che essa promana direttamente da Nostro Signore.

 

Costoro affermano che l’indegnità di un vescovo o del papa non inficia la legittimità della loro autorità, ma questo può essere vero nel caso di un’indegnità personale che non coinvolge l’esercizio dell’autorità stessa. L’autorità, tuttavia non può essere esercitata legittimamente al di fuori dei confini che le sono dati né tantomeno contro i propri fini o contro la volontà del divino Legislatore. Un vescovo che coopera consapevolmente ad uno scopo iniquo con atti di governo, inficia la legittimità di quegli atti e la sua stessa autorità, proprio perché sono posti in fraudem legis.(3)

 

La visione idealista e sconnessa dalla realtà degli Autori citati, secondo la quale l’Autorità non perderebbe la propria legittimità nemmeno quando i suoi ordini sono volti al male, rende evidente il cortocircuito logico tra la realtà di papi e vescovi eretici – formali o materiali, poco importa: è comunque una cosa inaudita – e la teoria di un’Autorità immune dall’eresia e dalle cattive intenzioni di chi ricopre quell’Autorità.

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Una crisi sistemica

Chi si ostina a giudicare i singoli fatti prescindendo dall’evidente coerenza che li lega tra loro e dal quadro complessivo che se ne evince, falsifica la realtà dandone una rappresentazione ingannevole. Questa è una crisi che dura da sessant’anni, sempre nella medesima direzione, sempre con la connivenza dell’Autorità, sempre contraddicendo gli stessi articoli di Fede e sostenendo i medesimi errori già condannati.

 

I responsabili di questa crisi sono tutti accomunati dalla volontà eversiva di appropriarsi e mantenere il potere per raggiungere gli scopi che si prefiggono. E a riprova che deep state deep church agiscono di concerto, basti vedere come gli artefici di questa sovversione in campo ecclesiastico agiscono specularmente ai loro omologhi nella sfera civile, giungendo a mutuarne il lessico e le tecniche di manipolazione di massa. L’evidenza dei risultati disastrosi ottenuti dai papi e dai vescovi conciliari non li ha indotti a tornare sui propri passi e a riparare al danno compiuto, ma al contrario li vediamo proseguire ostinatamente sulla medesima linea, confermando dolo e premeditazione, ossia la mens rea. (4)

 

Ci troviamo in una situazione di gravissimo conflitto istituzionale, dal quale emerge che la maggior parte dei vescovi costituiti in Autorità – senza alcuna ombra di dubbio – agisce con l’intenzione determinata e volontaria di commettere atti illeciti contro il bene della Chiesa e delle anime, nella consapevolezza delle loro conseguenze.

 

Se in costoro non vi fosse intenzione di compiere il male – se, cioè, essi fossero in buona fede – non si ostinerebbero a ripetere i medesimi errori, nel perseguimento dei medesimi risultati. Né cercherebbero con ogni mezzo di indurre fedeli e sacerdoti a rinnegare ciò che la Santa Chiesa ha insegnato per secoli, facendo loro abbracciare quanto essa condannava e puniva con le pene più severe.

L’accettazione della frode

Abbiamo dunque una Gerarchia composta da vescovi e papi traditori che pretende dai propri fedeli non solo il silenzio inerte dinanzi ai peggiori scandali dei suoi membri, ma anche l’entusiastica accettazione e condivisione di questo tradimento, secondo quel principio esoterico che il satanista Aleister Crowley aveva così riassunto agli inizi del Novecento: «Il male deve nascondersi alla luce del sole, poiché le regole dell’universo impongono che chi viene ingannato acconsenta al proprio inganno».

 

Questo è il modus operandi del demonio e dei suoi servi, che troviamo confermato dalla narrazione delle tentazioni cui Satana sottopone Nostro Signore nel deserto: «Tutto questo io ti darò – dice il Maligno a Cristo – se prostrato mi adorerai» (Mt 4, 9). Nel pretendere di essere adorato come Dio, Satana chiede anzitutto l’accettazione della frode, ossia della premessa – Tutto questo io ti darò – che è assolutamente falsa, in quanto Satana non può cedere ciò che non gli appartiene. Se per assurdo Nostro Signore si fosse prostrato a Satana adorandolo, Egli non avrebbe avuto da lui nemmeno un granello di polvere del deserto e questo baratto si sarebbe rivelato una frode.

 

er questo il Signore gli risponde «Vattene, Satana! Sta scritto infatti: Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto» (ibid., 10). Con queste parole Nostro Signore svela l’identità del tentatore e i suoi inganni. Anche nell’Eden, tentando Eva, il Serpente aveva prospettato ai Progenitori di diventare sicut dii (Gen 3, 5).

 

Essi sapevano benissimo che Satana non sarebbe stato in grado di renderli come dèi e che avrebbero dovuto rispondere a Dio della loro orgogliosa disobbedienza, ma nonostante questo hanno consentito alla menzogna del Maligno come se fosse vera, rendendosi responsabili del sovvertimento di Bene e Male e agendo come se Dio non fosse onnipotente e in grado di punirli. È questa, in definitiva, la ὕβρις, la superbia che spinge l’uomo a sfidare Dio scegliendo di compiere il peccato, che ha come conseguenza la νέμεσις, ossia la punizione inevitabile che colpisce chi ha violato l’ordine divino oltrepassando i limiti imposti da Dio.

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La «Rivelazione del Metodo»

Lo storico ed esperto di ingegneria sociale Michael A. Hoffman ha affrontato il medesimo tema da una prospettiva differente, identificando un’élite nascosta che usa tecniche di manipolazione per controllare le masse. Essa non vuole solo conquistare il potere, ma intende condurre una guerra psicologica che trasforma la realtà in un rituale magico, alchemico (e in questo coincide con le parole di Crowley).

 

Questa élite non nasconde più tutto, ma rivela deliberatamente parti del suo piano (da qui la Rivelazione del Metodo), come atto di umiliazione dei sudditi e di affermazione della propria supremazia. Gli studi di psicologia sociale confermano che questo gioco crudele per soggiogare e dominare le vittime serve a provocare la dissonanza cognitivaossia quello stato di disagio psicologico che si verifica quando ci troviamo dinanzi a due affermazioni o fatti in conflitto tra loro, come ad esempio è avvenuto quando le autorità sanitarie sostenevano, mentendo, che il siero genico sperimentale fosse «sicuro ed efficace» ma allo stesso tempo chiedevano lo scudo penale per i medici inoculatori; o quando abbiamo sentito affermare da Jorge Bergoglio che «Dio non è cattolico».

 

Questa dissonanza cognitiva, questa percezione di una contradictio in terminis è voluta, perché ci demoralizza (siamo consapevoli della nostra impotenza), perché ci induce ad un consenso implicito (un consenso passivo, come dire: «Ti mostro cosa faccio, e tu non fai nulla, quindi acconsenti») e infine perché ci porta all’accettazione di un potere dispotico (anche se esso sbeffeggia le masse, rafforzando su di noi il proprio controllo psicologico).(5)

 

La «dissonanza cognitiva» e il «gaslighting» dei conservatori

Non ci deve dunque stupire se queste tecniche di manipolazione di massa sono usate anche nella sfera ecclesiastica, allo scopo di provocare la stessa dissonanza cognitiva nei fedeli, la stessa demoralizzazione, lo stesso consenso estorto, la medesima accettazione dell’autorità che ostenta la contraddizione ma pretende obbedienza. Pensiamo al paradosso di Leone che dichiara la libertà religiosa un diritto umano sulla base del Vaticano II e allo stesso tempo canonizza il Beato Bartolo Longo, che nei suoi scritti condanna l’indifferentismo religioso e il concetto di libertà religiosa (6); o che presiede incontri ecumenici con gli islamici, ma canonizza il Beato Ignazio Choukrallah Maloyan, vescovo armeno martirizzato dai maomettani per essersi rifiutato di apostatare la vera Fede.

 

Non ci deve stupire nemmeno che la Nuova Bussola si comporti esattamente come previsto in questi casi dai manuali di psicologia sociale, negando ostinatamente la contraddizione ancorché evidente, in un’operazione di vero e proprio gaslighting (7): «Ciò che hai visto non è mai successo».

 

Anche il ricorso a video o immagini generate dall’AI diventa strumento di destabilizzazione, perché queste contribuiscono a erodere la base sensibile della conoscenza della realtà, rendendo impossibile distinguere il vero dal falso e di fatto cancellando la nozione stessa di «reale» mediante la sua sostituzione con il «verosimile».

 

L’apparenza prende così il posto della sostanza, solo perché essendo veicolata dall’immagine che appare sul cellulare o sul computer noi non sappiamo se ciò che ci sembra vero lo è davvero o lo sembra soltanto. Come non vedere in questo nuovo fenomeno un attacco con cui Satana sfida con i suoi artifici teatrali e con i suoi effetti speciali la verità di Dio che è simplex, senza pieghe?

 

Questi sono test di massa per mettere alla prova la devozione alla religione sinodale, esattamente come in ambito civile avviene con la religiones anitaria o la religione green. E non è diverso chiedere al fedele di accettare la messa protestantizzata di Paolo VI se vuole avere il permesso di assistere alla Messa tridentina, che del Novus Ordo è l’antitesi.

 

Anche la «scomunica» che Jorge Bergoglio mi ha inflitto palesa una enorme contraddizione: da un lato io sono stato dichiarato scismatico per aver denunciato gli stessi errori che tutti i Papi fino a Pio XII incluso hanno condannato; dall’altro i veri eretici e scismatici sono ammessi alla communicatio in sacris con chi mi condanna, senza alcuna conseguenza canonica. Il messaggio è chiaro: «Possiamo mostrarti la contraddizione tra le nostre parole e le nostre azioni, e tu non farai nulla. Accetterai sia la menzogna che la prova di essa».

 

Ogni assurdità accettata indebolisce la capacità di discernimento dei fedeli e del Clero, per poter responsabilmente obbedire ai propri Pastori. Se la nostra Fede non è forte e convinta, questo ci porta ad una forma di apatia verso ogni nuova provocazione. È una forma di umiliazione rituale che funziona non più attraverso la segretezza, ma attraverso una sfacciata ostentazione, specialmente quando l’obbedienza all’Autorità che imparte ordini abusivi e addirittura criminali è richiesta come un sacrificio della propria razionalità, come un’immolazione della volontà mediante un concetto pervertito di autorità e di obbedienza.

 

Se l’Autorità della Gerarchia, fino ai suoi massimi vertici, si rende responsabile di questa manipolazione psicologica dei fedeli finalizzata a perpetuare il proprio potere per demolire la Chiesa, a chi dovrebbero rivolgersi, sacerdoti e laici, per veder condannati i colpevoli di tanto tradimento? A quegli stessi eretici manipolatori, incistati a Roma e in tutti gli organi e le istituzioni della Chiesa Cattolica?

 

Non stupisce che troppe vocazioni sacerdotali si perdano e che molti fedeli si rassegnino o abbandonino la pratica religiosa. È il risultato voluto e pianificato di questo crudele stillicidio.

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Il «colpo da maestro» di Satana

Il demonio vuole ottenere la nostra adesione al male non per inganno, ma portandoci ad accettare la menzogna con la quale egli definisce bene il male, e ad accettare la finzione mediante la quale ci presenta il bene come un male. Il colpo da maestro di Satana consiste in questo: nell’ottenere da noi un assenso irrazionale, pur dinanzi all’evidenza della frode e del sovvertimento che riconosciamo per tali ma che, in un atto di folle annientamento suicida, accettiamo come se fossero verità divinamente rivelate. Per il Cattolico la Fede non è mai irrazionale: rationabile sit obsequium vestrum, dice San Paolo (Rom 12, 1), perché Dio è autore della Fede e della ragione, e non vi può essere contraddizione nella Verità.

 

Satana, al contrario, essendo menzognero e padre della menzogna (Gv 8, 44) non può non dissimulare i propri inganni con la frode, per i quali pretende da noi non un’adesione razionale, ma un consenso superstizioso, un atto di fede al contrario, nel quale l’assenso dell’intelletto a errori e eresie evidenti è motivato non dall’autorità di un Dio verace, ma dall’usurpazione di quell’autorità da parte di una creatura ribelle, bugiarda e che sappiamo che ci vuole ingannare e perdere.

 

Satana vuole che abdichiamo alla ragione e allo stesso sensus fidei, trasformando l’atto di fede in una folle apostasia.

 

L’assolutizzazione dell’obbedienza

Assolutizzare l’obbedienza, scardinandola dalla necessaria coerenza che essa presuppone tra tutti i soggetti del corpo gerarchico in cui essa viene esercitata,[8] significa consegnare nelle mani dell’autorità vicaria della Gerarchia un potere che il supremo Legislatore non le ha mai concesso, ossia la facoltà di poter legittimamente legiferare contro la volontà del Legislatore stesso e in danno dei fedeli.

 

Qui non stiamo parlando di ordini incidentalmente sbagliati, o di singoli vescovi che abusano della propria autorità in un contesto ecclesiale in cui la Virtù è incoraggiata e il peccato condannato e punito. Qui stiamo parlando di un intero sistema gerarchico che è riuscito – nella Chiesa Cattolica come nella cosa pubblica – ad impossessarsi del potere, ottenendo riconoscimento e obbedienza dai sottoposti mediante l’uso di mezzi coercitivi.

 

Non solo: l’assolutizzazione dell’obbedienza nei riguardi dell’autorità finisce anche con l’essere deresponsabilizzante: un comodo alibi offerto ai tanti, troppi don Abbondio in veste filettata o in clergyman, ben attenti a non dispiacere ad alcuno, ad «evitare polarizzazioni» – secondo l’auspicio di Leone – a beneficiare dei favori del potente che si conosce come iniquo ma a cui si presta ossequio per viltà o interesse.

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Conclusione

La Sacra Scrittura, i Padri, i mistici e la stessa Vergine Maria a Fatima ci hanno messi in guardia su un’apostasia che la Chiesa dovrà affrontare negli ultimi tempi. Come possiamo pensare che questa apostasia si concretizzi, se non attraverso falsi pastori al posto di buoni pastori, e di pseudocristi falsi profeti al posto di Cristo e dei Profeti? Come potrebbero gli eletti essere tratti in inganno dagli eretici e dagli scismatici (Mt 24, 24), se non nel momento in cui questi ricoprono ruoli d’autorità nella Chiesa? Ma la Chiesa è indefettibile, ripetono alcuni con petulanza.

 

E lo è davvero: nonostante la stragrande maggioranza dei suoi vescovi infierisca su di essa e agisca di concerto con nemici di Cristo. La Chiesa Cattolica è indefettibile nel senso che essa non può mai venir meno nella sua missione di custodire e trasmettere la Verità rivelata da Dio, né può cadere in errore definitivo nella sua Fede e nella sua Morale. E questo di fatto non accade nemmeno quando una Gerarchia eretica e corrotta cerca di oscurare o di sfigurare il sacro Deposito della FedeNon dimentichiamo che la Chiesa non è solo quella militante su questa terra (hic) e oggi (nunc), ma è anche quella penitente in Purgatorio e trionfante in Paradiso.

 

La sua compagine celeste è garanzia di quell’indefettibilità che il suo divino Fondatore le ha promesso e che lo Spirito Santo le assicura. E se la chiesa conciliare-sinodale che oggi si presenta come militante contraddice quella di ieri, spezzando la continuità e l’unità nella Professione dell’unica Fede che la rende una apostolica anche nel fluire del tempo e non solo nella sua diffusione nello spazio, essa non è più la stessa Chiesa.

 

Per questo il Signore non manca di suscitare una vox clamantis in deserto che rompa il muro di silenzio e di complicità dei congiurati: mi riferisco ai “dottori degli ultimi tempi” cui accenna Augustin Lémann (9) nel suo saggio L’Anticristo. Sono i nuovi Sant’Atanasio imprigionati, esiliati, perseguitati ma infine risarciti dalla Giustizia divina con la proclamazione della loro santità. Ecco come il grande Vescovo di Alessandria e Dottore della Chiesa si rivolge ai fedeli durante la grande eresia ariana (10):

 

Che Dio vi consoli! (…) Quello che rattrista (…) è il fatto che gli altri hanno occupato le chiese con violenza, mentre in questo periodo voi vi trovate fuori. È un dato di fatto che hanno la sede, ma voi avete la Fede apostolica. Possono occupare le nostre chiese, ma sono al di fuori della vera Fede. Voi rimanete al di fuori dei luoghi di culto, ma la Fede abita in voi. Vediamo: che cosa è più importante, il luogo o la Fede? La vera Fede, ovviamente. Chi ha perso e chi ha vinto in questa lotta – quella che mantiene la sede o chi osserva la Fede? È vero, gli edifici sono buoni, quando vi è predicata la Fede apostolica; essi sono santi, se tutto vi si svolge in modo santo… Voi siete quelli che sono felici, voi che rimanete dentro la Chiesa per la vostra Fede, che mantenete salda nei fondamenti come sono giunti fino a voi dalla Tradizione apostolica, e se qualche esecrabile gelosamente cerca di scuoterla in varie occasioni, non ha successo. Essi sono quelli che si sono staccati da essa nella crisi attuale. Nessuno, mai, prevarrà contro la vostra Fede, amati fratelli, e noi crediamo che Dio ci farà restituire un giorno le nostre chiese. Quanto più i violenti cercano di occupare i luoghi di culto, tanto più essi si separano dalla Chiesa. Essi sostengono che rappresentano la Chiesa, ma in realtà sono quelli che ne sono a loro volta espulsi e vanno fuori strada. Anche se i Cattolici fedeli alla Tradizione sono ridotti a una manciata, sono loro che sono la vera Chiesa di Gesù Cristo.

 

L’accusa ricorrente che tanto i Conservatori e i Sinodali rivolgono a chi rimane saldo nella Fede e denuncia i loro errori è di volersi creare una propria chiesa, separandosi con lo scisma dalla Chiesa Cattolica, visibile e gerarchica, di cui essi si sono però impossessati con un vero e proprio golpe e nella quale pretendono di esercitare una legittima Autorità per gli scopi opposti a quelli che Nostro Signore le ha affidato.

 

Ma non sono stati forse costoro, con i loro errori condannati da tutti i Papi preconciliari, a crearsi una chiesa parallela che contraddice il Magistero immutabile e sovverte il Papato? Come può un’autorità ribelle a Cristo Capo del Corpo Mistico pretendere di esercitare l’Autorità di Cristo per contraddire la Sua Parola?

 

Come può chi si è separato dalla comunione ecclesiale con la vera Chiesa Cattolica Apostolica Romana accusare di scisma chi le rimane fedele?

 

+ Carlo Maria Viganò

Arcivescovo

 

24 Ottobre MMXXV
S.cti Raphaëlis Archangeli

 

NOTE

1) Il termine auctoritas deriva da auctor, nell’accezione di autore garante riferita a Dio.

2) San Pio X ricordava che il successo dei malvagi è possibile anzitutto grazie all’ignavia dei buoni.

3) L’espressione in fraudem legis si riferisce a un comportamento o un atto giuridico compiuto con l’intenzione di eludere una norma, aggirandone lo scopo o l’applicazione, pur rispettandone formalmente la lettera. In altre parole, si tratta di un’azione che, pur apparendo conforme alla legge, viene posta in essere per ottenere un risultato che la legge stessa intende vietare o limitare. Le caratteristiche di questo comportamento sono la conformità formale, l’intenzione elusiva e l’effetto contrario alla mens del legislatore.

4 – La mens rea designa la componente psicologica del reato, ossia l’intenzione o la consapevolezza di violare la legge.

5) Scrive Hoffman: «Il principio alchemico della Rivelazione del Metodo ha come componente principale una beffarda derisione delle vittime, simile a quella di un clown, come dimostrazione di potere e macabra arroganza. Quando viene eseguito in modo velato, accompagnato da certi segni occulti e parole simboliche, e non suscita alcuna risposta significativa di opposizione o resistenza da parte dei bersagli, è una delle tecniche più efficaci di guerra psicologica e violenza mentale». Cfr. Michael A. Hoffman II, Secret Societies and Psychological Warfare, 2001.

6) Scriveva Bartolo Longo: Innanzi a Dio l’uomo non ha vera libertà di coscienza, libertà di culto e libertà di pensiero, come oggi s’intende, cioè facoltà di scegliersi una religione ed un culto come gli talenta; ma solo la libertà dei figliuoli di Dio, come dice S. Paolo, cioè di lasciare l’errore e le seduzioni del secolo per correre liberamente al Cielo. L’affermare, perciò, che l’uomo ha il diritto innanzi a Dio di pensare e di credere in religione come gli piace, è un errore. Cfr. Bartolo Longo, San Domenico e l’Inquisizione al Tribunale della Ragione e della Storia, Valle di Pompei, Scuola tipografica editrice Bartolo Longo, 1888.

7) Il gaslighting è una forma di manipolazione psicologica in cui una persona (o un gruppo) fa dubitare un’altra della propria percezione della realtà, della memoria o della sanità mentale, con l’obiettivo di controllare, indebolire o destabilizzare la vittima.

8) Non vi può infatti essere vera obbedienza se chi è costituito in autorità nella Gerarchia esige di essere obbedito ma allo stesso tempo disobbedisce a Dio, che è il garante e la fonte stessa dell’Autorità. Né vi può essere legittima autorità se chi la esercita in nome di Dio non si sottomette a propria volta alla Sua suprema Autorità.

9) Augustin Lémann, L’Anticristo, Marietti, 1919, pag. 53. «Il secondo campione della verità cristiana contro l’Anticristo sarà una falange di dottori suscitata da Dio in quei tempi di prova. […] Questa falange di dottori riceverà, per la difesa e consolazione dei buoni, una maggiore intelligenza delle nostre sante Scritture». Cfr. https://www.rassegnastampa-totustuus.it/cattolica/wp-content/uploads/2014/07/LANTICRISTO-A-Lemann.pdf

Il Canonico Augustin Lémann, ebreo francese, si convertì al Cattolicesimo insieme al fratello Joseph. Divenuti amici di Pio IX, furono entrambi consultori del Concilio Vaticano I.

10) Sant’Atanasio, Epistolæ festales, Lettera XXIX, in: Coll. Selecta SS. Eccl. Patrum, a cura di Caillaud e Guillon, vol. 32, pagg. 411-412.

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Renovatio 21 offre questo testo di monsignor Viganò per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

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Spirito

«Umiliazione della Chiesa dinanzi a un eretico concubinario globalista»: Mons. Viganò sulla preghiera congiunta del re britannico col papa

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Monsignor Viganò ha scritto su X un commento sulla cerimonia avvenuta in Cappella Sistina, dove papa Leone ha pregato – in lingua inglese – con il re britannico Carlo III.   «Migliaia di Martiri massacrati dalla furia anticattolica di Enrico VIII, Edoardo VI, Elisabetta I, Giacomo I, Carlo I e Carlo II si staranno chiedendo – increduli – come sia possibile che l’odierno successore di Clemente VII comunichi in sacris con il capo della chiesa d’Inghilterra (anch’egli divorziato e risposato come il sanguinario Tudor) e dei laici eretici vestiti da Prelati» scrive monsignore.   «E Carlo III, oltre ad essere eretico come Enrico VIII», dice Viganò, è pure «neomalthusiano e apertamente schierato con l’élite del Nuovo Ordine Mondiale».  

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«Se quella di Clemente VII era la Chiesa Cattolica, che chiesa è quella di Leone, che con parole e azioni sconfessa e tradisce tutto il Magistero dei Papi fino a Pio XII e calpesta la testimonianza eroica dei Cattolici inglesi durante la persecuzione anglicana?» si chiede il prelato lombardo.   «La preghiera ecumenico-ambientalista nella Cappella Sistina sancisce l’abdicazione del papato Romano e l’umiliazione della Chiesa Cattolica dinanzi a un eretico concubinario (….) globalista, che mantiene il titolo di Defensor Fidei mentre si prostra all’Islam e celebra le feste maomettane».   «Queste aberrazioni ci fanno pensare che gli ultimi tempi siano ormai prossimi e che l’apostasia nella Chiesa annunciata dalla Vergine Maria Fatima sia ormai già iniziata».  

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Come possibile osservare nel video diffuso dal portale mediatico della Santa Sede, in Cappella Sistina per il pontefice e il sovrano di Albione sono stati apparecchiati «troni» identici e simmetrici, a chiara negazione del primato del papa e di Santa Romana Chiesa.   Notevole anche, al minuto 25:25, una sorta di cenno che assomiglia ad un inchino che Prevost rivolte al re britannico e alla consorte.   Delle misfatte di Carlo, da principe e da re, con la sua dinastia di signori della Necrocultura, nei giorni scorsi Renovatio 21 ha pubblicato diverso materiale.   Lo schiaffo alla tradizione cattolica, e alla sua gloriosa storia di martiri massacrati dagli orrendi predecessori del Carlo – in primis, il santo filosofo Tommaso Moro (1478-1535), torturato e giustiziato a Tower Hill dinanzi alle sue figlie –  è evidente e dolorosissimo, rivoltante.   La riprova l’avremo tra qualche giorno, quando, come ogni 5 novembre, in Inghilterra bruceranno, come da tradizioni, le effigi di Guido Fawkes (1570-1606), chiaro richiamo all’estirpazione dei cattolici.   Fawkes, attivista cattolico al centro della cosiddetta «congiura delle polveri» («gunpowder plot»), che tentò di far esplodere Westminster piazzando sotto le fondamenta del Parlamento 36 barili di polvere da sparo (definito, secondo una nota battuta della politica britannica, «l’ultimo uomo entrato lì con buone intenzioni») nella notte tra il 4 e il 5 novembre 1605 per eliminare re Giacomo I e gran parte della corrotta aristocrazia di Albione e quindi restaurare in Anglia un governo cattolico.   Tradito, Fawkes fu catturato, torturato e squartato, con le sue parti inviate ai quattro angoli del regno, nonostante avesse accettato le condizioni del re.   Non fu il solo a subire la crudeltà anticattolica della Corona di Albione: il gesuita Henry Garnet (1555-1606) impiccato nella piazza davanti alla Cattedrale di Saint Paul nella capitale, non aveva partecipato alla congiura delle polveri, ma era il confessore di alcuni cospiratori, e rispettò il sigillo del sacramento non rivelando il nome dei congiurati. La sua pelle fu usata per rilegare il libro con il verbale del suo progresso, una sorta di usanza britannica tipica dell’epoca infame.   Per il fenomeno esiste un termine specifico, «bibliopegia antropodermica», che sta a significare la rilegatura di libri con pelle umana.

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Seguirono decenni, secoli, di persecuzione furiosa, dove di fatto la corona britannica portò avanti un genocidio confessionale.   La chiesa postconciliare, con Wojtyla, ha iniziato a chiedere «scusa» per quantità di fenomeni nei quali era estranea, o era nel giusto.   Ora, ci chiediamo: la corona di Albione ha mai chiesto scusa per qualcosa? Non diciamo solo ai cattolici: agli irlandesi e agli indiani, per le infami carestie, ai cinesi, per l’orrore dell‘oppio e delle guerre per spacciarlo, agli italiani, per aver creato, con guerre sanguinarie, la catastrofe dell’Italia unita finanziando i Savoia, Garibaldi e Mazzini?   Il tradimento di Enrico VIII ha portato a ramificazioni geostoriche immani e sanguinarie. Quando un re britannico se ne renderà conto e chiederà perdono?   Quanto, prima di riavere sul trono di Bretagna un re legittimo e cattolico?   Fino a che vi saranno papi del genere, i tempi della restaurazione necessaria della Verità a Londra rimangono incalcolabili.

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Spirito

Quarant’anni fa, l’arcivescovo Lefebvre diceva la verità

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Nel 1985, l’arcivescovo Lefebvre pubblicò la sua Lettera aperta ai cattolici perplessi.

 

Quarant’anni dopo, nel 2025, il sito web americano The Remnant ha pubblicato, sotto la penna di Robert Morrison, un articolo intitolato «La sacra saggezza dell’arcivescovo Marcel Lefebvre sulla crisi della Chiesa cattolica», in cui citava ampi estratti di questa lettera aperta, riconoscendo che «le citazioni dell’arcivescovo Lefebvre suonano più vere oggi di quando le scrisse decenni fa, e illuminano il cammino da seguire per rimanere fedeli cattolici».

 

Due anni dopo, nel 1987, l’arcivescovo Lefebvre aveva pubblicato Lo hanno detronizzato: dal liberalismo all’apostasia, la tragedia conciliare. Nel 2025, sullo stesso sito, The Remnant , apparve un articolo di Andrew Pollard intitolato «Cristo Re deve essere re-incoronato per salvare il mondo».

 

Quarant’anni fa, agli occhi dei «moderati» impenitenti, l’arcivescovo Lefebvre poteva sembrare uno di quei «profeti di sventura» che Giovanni XXIII non voleva più sentire quando aprì il Concilio Vaticano II, con un ottimismo la cui ingenuità oggi fa sorridere… o piangere.

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Vediamo lo stato attuale della Chiesa: pratica religiosa al suo punto più basso, seminari deserti, conventi vuoti, chiese distrutte o trasformate in sale espositive. Oggi non siamo più «perplessi», ma convinti che la diagnosi di Monsignor Lefebvre fosse corretta.

 

I fatti gli danno ragione in modo inconfutabile e i rimedi da lui proposti sono più che mai attuali, proprio perché non sono suoi, ma quelli della Tradizione bimillenaria: «Ho trasmesso ciò che ho ricevuto».

 

Quarant’anni è il tempo impiegato dagli Ebrei ad attraversare il deserto verso la Terra Promessa. Non osiamo affermare che presto raggiungeremo la terra «dove scorre latte e miele», ma adottiamo l’atteggiamento coraggioso dei veri pellegrini.

 

Nel deserto spirituale in cui viviamo, non costruiamoci idoli a nostra immagine e somiglianza e non rimpiangiamo le “cipolle d’Egitto”: questa sazietà di beni materiali offerta dal progresso tecnico, in cambio della servitù all’ideologia consumistica promossa dai nuovi faraoni.

 

Andiamo avanti! Non seguendo idoli moderni, ma dietro l’icona della Santissima Vergine. Andiamo avanti! Non sazi delle cipolle appassite di un edonismo ampiamente biodegradato, ma ben fortificati dalla manna della Santa Eucaristia. Andiamo avanti! Con l’inossidabile certezza che alla fine di questa lunga marcia si trova il trionfo dei Cuori uniti di Gesù e Maria.

 

Smettiamo di lamentarci dell’aridità del deserto spirituale che ci circonda, con i suoi tanti accessori a buon mercato. Con la grazia di Dio, scaviamo dentro di noi un’avidità spirituale : la fame e la sete dell’Unico necessario.

 

Abate Alain Lorans

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.News

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