Connettiti con Renovato 21

Geopolitica

Alto-Karabakh: la vittoria di Londra e Ankara, la disfatta di Soros e degli armeni

Pubblicato

il

 

 

Renovatio 21 pubblica questo articolo di Réseau Voltaire. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

 

 

 

Nella guerra dell’Alto-Karabakh gli alleati britannici hanno superato il Pentagono, il pianificatore del conflitto. Nessuna delle grandi potenze s’è preoccupata delle morti che ne sarebbero seguite. Alla fine, Londra e Ankara hanno riannodato la loro storica alleanza, Washington e Mosca non hanno ottenuto nulla, mentre Soros e gli armeni hanno perso molto.

 

 

Il piano iniziale degli Stati Uniti – formulato come ipotesi – prevedeva di spingere la Turchia all’errore e consentirle di massacrare parte della popolazione armena, poi d’intervenire, rovesciare il presidente Erdoğan e ristabilire la pace

Dopo 44 giorni di guerra, l’Armenia è stata costretta a firmare un cessate-il-fuoco con l’Azerbaigian, rinunciando a parte del proprio territorio. Ma il piano iniziale degli Stati Uniti – che Réseau Voltaire aveva formulato come ipotesi – prevedeva di spingere la Turchia all’errore e consentirle di massacrare parte della popolazione armena, poi d’intervenire, rovesciare il presidente Erdoğan e ristabilire la pace (1).

 

Il piano però non ha funzionato. Mascherava infatti uno stratagemma britannico: Londra, approfittando della confusione delle elezioni presidenziali USA, ha manovrato di nascosto, scavalcando Washington. Ha sfruttato la situazione per tentare di privare la Russia della carta dell’Alto-Karabakh e ricominciare il Grande Gioco del XIX secolo (2), quando il Regno Unito era alleato dell’impero ottomano contro l’impero zarista.

 

Mosca se n’è accorta e ha imposto un cessate-il-fuoco per fermare il gioco al massacro.

 

 

1 – Il Grande Gioco

Per tutto il XIX secolo l’impero britannico e quello russo si contesero accanitamente il controllo del Caucaso e di tutta l’Asia centrale. In Inghilterra questo periodo storico viene chiamato Grande Gioco, in Russia Torneo delle Ombre.

Il piano però non ha funzionato. Mascherava infatti uno stratagemma britannico: Londra, approfittando della confusione delle elezioni presidenziali USA, ha manovrato di nascosto, scavalcando Washington

 

La Russia iniziò a vincere la partita quando s’impadronì dell’Alto-Karabakh; con un effetto domino il suo imperio si estese poi al Caucaso.

 

Memore del precedente storico, Londra crede che il recupero dell’Alto-Karabakh le permetterebbe di scalzare l’influenza di Mosca prima nel Caucaso, poi in tutta l’Asia centrale.

 

L’attuale primo ministro britannico, Boris Johnson, si reputa prosecutore della politica imperiale di Winston Churchill, di cui è uno dei biografi. Ha recentemente reso pubblico un costoso piano di ammodernamento delle forze armate (3).

 

Ha sfruttato la situazione per tentare di privare la Russia della carta dell’Alto-Karabakh e ricominciare il Grande Gioco del XIX secolo, quando il Regno Unito era alleato dell’impero ottomano contro l’impero zarista

Per rilanciare il Grande Gioco, il 29 luglio scorso Johnson ha nominato direttore dell’MI6 (l’intelligence per l’estero) il direttore generale del Foreign Office, Richard Moore, già ambasciatore di Sua Maestà ad Ankara, che parla correntemente il turco ed è in amicizia con il presidente Recep Tayyip Erdoğan.

 

Moore è entrato in servizio all’MI6 solo il 1° ottobre, ossia quattro giorni dopo l’attacco azero nell’Alto-Karabakh.

 

 

2 – Il ruolo primario di Richard Moore

Richard Moore è amico personale del principe Carlo, a sua volta sponsor del Centro di Oxford di Studi Islamici (Oxford Centre for Islamic Studies), dove da 25 anni vengono formati gli intellettuali della Confraternita dei Fratelli Mussulmani. L’ex presidente turco, Abdullah Gül, è amministratore del Centro.

 

Il 29 luglio scorso Johnson ha nominato direttore dell’MI6  il direttore generale del Foreign Office, Richard Moore, già ambasciatore di Sua Maestà ad Ankara, che parla correntemente il turco ed è in amicizia con il presidente Recep Tayyip Erdoğan

Come ambasciatore ad Ankara (2014-17), Moore accompagnò Erdoğan nel percorso che lo portò a diventare il protettore della Confraternita.

 

Moore ebbe altresì un ruolo nel ritiro nel 2014 dei britannici dalla guerra contro la Siria. Londra non voleva continuare un conflitto in cui s’era impegnata per mire coloniali, ma che si stava trasformando in operazione imperiale USA (strategia Rumsfeld/Cebrowski).

 

Richard Moore ha da poco concluso una missione in Egitto e in Turchia. Il 9 novembre (giorno dell’imposizione russa del cessate-il-fuoco in Alto-Karabakh) si trovava al Cairo, dove ha incontrato il presidente al-Sissi.

 

L’11 novembre era ad Ankara, dove al Palazzo Bianco non avrebbe incontrato ufficialmente il suo vecchio amico, il presidente Erdoğan, bensì il portavoce.

 

 

Come ambasciatore ad Ankara (2014-17), Moore accompagnò Erdoğan nel percorso che lo portò a diventare il protettore della Confraternita.

3 – Di fronte agli Stati, Soros non conta

Nella guerra azero-turca dell’Alto-Karabakh, Washington pensava di poter usare come esca il presidente dell’Armenia, Armen Sarkissian, e il suo primo ministro, Nikol Pashinyan, uomo di George Soros (4).

 

Soros è uno speculatore statunitense che ha una propria agenda politica, ma lavora di concerto con la CIA (5).

 

Per sua sfortuna, Soros non è in rapporti altrettanto buoni con i britannici: deve infatti la sua fortuna alla vasta operazione speculativa contro la sterlina del 16 settembre 1992 – data ricordata come «mercoledì nero» – che gli è valsa l’appellativo di «uomo che ha gettato sul lastrico la Banca d’Inghilterra».

 

 

Soros è uno speculatore statunitense che ha una propria agenda politica, ma lavora di concerto con la CIA. Per sua sfortuna, Soros non è in rapporti altrettanto buoni con i britannici: deve infatti la sua fortuna alla vasta operazione speculativa contro la sterlina del 16 settembre 1992

4 – Il doppio gioco della Perfida Albione

All’inizio Londra lascia fare a Washington. Gli Stati Uniti perciò incoraggiano la «Nazione a due Stati» (Turchia e Azerbaijan) a mettere fine con la forza alla Repubblica d’Artsakh.

 

L’MI6 aiuta il partner turco a trasferire jihadisti in Azerbaijan (6), per uccidere non già gli armeni, ma i russi. In Karabakh i russi però ancora non ci sono.

 

Soros reagisce inviando mercenari kurdi a sostegno degli armeni (7).

 

Asserendo di assecondare il gioco USA, Londra sostiene Bakou e Ankara. Nei primi giorni di conflitto, le potenze del Gruppo di Minsk (che dalla caduta dell’URSS si occupano del conflitto nell’Alto-Karabakh) – ossia Stati Uniti, Francia e Russia – tentano di ottenere un cessate-il-fuoco e la ripresa dei negoziati (8).

Nei primi giorni gli armeni si difendono come possono. Tuttavia, il capo di Stato, Armen Sarkissian, modifica i piani dello stato-maggiore militare e manda al fronte volontari privi d’esperienza. Sarkissian ha doppia cittadinanza, armena e britannica. Sarà un’ecatombe per l’esercito armeno.

 

Dopo che ciascuna delle potenze ha toccato con mano la malafede azera, il Gruppo di Minsk presenta una proposta di risoluzione al Consiglio di Sicurezza. Si tratta per Washington di ottenere un rovesciamento collettivo di posizione: passare dalla neutralità alla condanna della «Nazione a due Stati».

 

Nei primi giorni gli armeni si difendono come possono. Tuttavia, il capo di Stato, Armen Sarkissian, modifica i piani dello stato-maggiore militare e manda al fronte volontari privi d’esperienza (9). Sarkissian ha doppia cittadinanza, armena e britannica. Sarà un’ecatombe per l’esercito armeno.

 

Il Regno Unito annuncia improvvisamente che opporrà il veto se il testo sarà messo in votazione al Consiglio di Sicurezza. Sconcertati, il 25 ottobre gli Stati Uniti accusano pubblicamente l’Azerbaigian di malafede.

 

Ci vorranno però altre due settimane perché la Russia capisca che Washington, ingolfata nella campagna elettorale per le presidenziali, non gestisce più la situazione.

 

 

5 – La Russia fischia la fine della partita prima che sia troppo tardi

Solo verso il 6 ottobre la Russia acquisisce la certezza che dietro la trappola statunitense si cela una trappola inglese. Mosca ne trae la conclusione che Londra vuole rilanciare il Grande Gioco per sottrarle l’influenza nell’Alto-Karabakh.

 

Ci vorranno però altre due settimane perché la Russia capisca che Washington, ingolfata nella campagna elettorale per le presidenziali, non gestisce più la situazione

Il 7 ottobre il presidente russo Vladimir Putin telefona all’omologo turco e negozia un cessate-il-fuoco molto sfavorevole agli armeni.

 

Erdoğan, che ha capito di non potercela fare di fronte a una stabilizzazione della situazione politica negli Stati Uniti, accetta di acquisire soltanto territori, rinunciando a rilanciare il genocidio armeno.

 

Putin convoca al Cremlino il presidente dell’Azerbaijan, Ilham Aliev, e il primo ministro armeno, Nikol Pashinyan. Salva il salvabile, costringendo il 10 ottobre gl’interlocutori a firmare un cessate-il-fuoco nei termini negoziati con Erdoğan (10). Putin prioritariamente vuole affermare la presenza militare russa in Alto-Karabakh attraverso una forza di pace, e far cessare il bagno di sangue. Il presidente si rivolge infine al popolo russo per annunciargli di aver salvato gli interessi del Paese salvando l’Armenia da una disfatta ancor più tremenda.

 

Gli armeni si rendono conto troppo tardi che, allontanandoli dalla Russia per avvicinarli agli USA, Nikol Pashinyan ha scommesso sul cavallo perdente. Con il senno di poi capiscono che, per quanto corrotti, i politici che prima dirigevano l’Armenia erano patrioti, mentre gli uomini di Soros sono contrari al concetto stesso di nazione, dunque all’indipendenza del Paese.

Gli armeni si rendono conto troppo tardi che, allontanandoli dalla Russia per avvicinarli agli USA, Nikol Pashinyan ha scommesso sul cavallo perdente.

 

Con il senno di poi capiscono che, per quanto corrotti, i politici che prima dirigevano l’Armenia erano patrioti, mentre gli uomini di Soros sono contrari al concetto stesso di nazione, dunque all’indipendenza del Paese.

 

Manifestazioni e dimissioni si succedono. Si dimettono il capo di stato-maggiore, il ministro degli Esteri, il ministro della Difesa, non però il primo ministro.

 

Il presidente dell’Azerbaijan, Ilham Aliyev, invece esulta. Si fa beffe del Consiglio d’Europa e del parlamento dell’Unione Europea, proclama vittoria e annuncia la ricostruzione dei territori conquistati (11).

 

I britannici acquisiranno nuovi privilegi per la British Petroleum e solleciteranno il diritto allo sfruttamento delle miniere d’oro dell’Azerbaijan.

 
 
Thierry Meyssan

 

 

NOTE

(1) «L’Artsakh (Karabakh) potrebbe essere la tomba di Erdoğan» e «Karabakh: la NATO sostiene la Turchia cercando al tempo stesso di eliminare il presidente Erdoğan», di Thierry Meyssan, traduzione di Rachele Marmetti, Rete Votaire, 6 e 13 ottobre 2020.

(2) The Great Game. On Secret Service in High Asia, by Peter Hopkirk, John Murray (1990).

(3) “Boris Johnson Statement to the House on the Integrated Review”, by Boris Johnson, Voltaire Network, 19 November 2020.

(4) “Larisa Minasyan: OSF-Armenia has supported and supports the velvet revolution in the country”, Arm Info, March 5 2019.

(5) « George Soros, spéculateur et philanthrope », Réseau Voltaire, 15 janvier 2004.

(6) “Quattromila jihadisti in Alto Karabakh”, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 2 ottobre 2020.

(7) “George Soros invia duemila mercenari curdi in Armenia (Erdoğan)”, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 2 novembre 2020.

(8) “Violato il terzo cessate-il-fuoco in Karabakh”, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 28 ottobre 2020.

(9) Conferenza stampa del capo di stato-maggiore uscente, generale Movses Hakobyan, Erevan, 19 novembre 2020.

(10) « Déclaration des présidents d’Azerbaïdjan, d’Arménie et de Russie », Réseau Voltaire, 9 novembre 2020.

(11) “Ilham Aliyev’s Victory Speech”, Voltaire Network, 20 November 2020.

 

 

Articolo ripubblicato su licenza Creative Commons CC BY-NC-ND

 

 

 

 

Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

Continua a leggere

Geopolitica

Gli Stati Uniti sequestrano una petroliera al largo delle coste del Venezuela

Pubblicato

il

Da

Il procuratore generale statunitense Pam Bondi ha annunciato il sequestro di una petroliera sospettata di trasportare greggio proveniente dal Venezuela e dall’Iran.

 

L’operazione, condotta al largo delle coste venezuelane, si inserisce in un’escalation delle attività militari americane nella regione, unitamente a raid contro quelle che Washington qualifica come imbarcazioni legate ai cartelli della droga.

 

«Oggi, l’FBI, la Homeland Security Investigations e la Guardia costiera degli Stati Uniti, con il supporto del Dipartimento della Difesa, hanno eseguito un mandato di sequestro per una petroliera utilizzata per trasportare petrolio greggio proveniente dal Venezuela e dall’Iran», ha scritto Bondi su X mercoledì.

 

Ha precisato che la nave era stata sanzionata «a causa del suo coinvolgimento in una rete di trasporto illecito di petrolio a sostegno di organizzazioni terroristiche straniere».

 

Nel video diffuso da Bondi si vedono agenti delle forze dell’ordine, pesantemente armati, calarsi dall’elicottero sulla tolda della nave. Secondo il portale di tracciamento MarineTraffic e vari media, l’imbarcazione è stata identificata come «The Skipper», che batteva bandiera della Guyana. Fonti come ABC News riportano che la petroliera, con una capacità fino a 2 milioni di barili di greggio, era diretta a Cuba.

 

Iscriviti al canale Telegram

Gli Stati Uniti avevano sanzionato la The Skipper già nel 2022, accusandola di aver contrabbandato petrolio a beneficio del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica iraniana e del gruppo militante libanese Hezbollah.

 

Un gruppo di parlamentari statunitensi ha di recente sollecitato un’inchiesta sugli attacchi condotti su oltre 20 imbarcazioni da settembre, ipotizzando che possano configurare crimini di guerra.

 

Il senatore democratico Chris Coons, intervistato martedì su MSNBC, ha accusato Trump di «trascinarci come sonnambuli verso una guerra con il Venezuela». Ha argomentato che l’obiettivo reale del presidente sia l’accesso alle risorse petrolifere e minerarie del paese sudamericano.

 

Il presidente venezuelano Nicolas Maduro ha rigettato le affermazioni di Trump sul presunto ruolo del suo governo nel narcotraffico, ammonendo Washington contro l’avvio di «una guerra folle».

 

Il Venezuela ha denunciato gli Stati Uniti per pirateria di Stato dopo che la Guardia costiera americana, coadiuvata da altre forze federali, ha abbordato e sequestrato una petroliera sanzionata nel Mar dei Caraibi.

 

Caracas ha reagito con durezza, definendo l’intervento «un furto manifesto e un atto di pirateria internazionale» finalizzato a sottrarre le risorse energetiche del Paese.

 

«L’obiettivo di Washington è sempre stato quello di mettere le mani sul nostro petrolio, nell’ambito di un piano deliberato di saccheggio delle nostre ricchezze», ha dichiarato il ministro degli Esteri Yvan Gil.

 

Il governo venezuelano ha condannato gli «arroganti abusi imperiali» degli Stati Uniti e ha giurato di difendere «con assoluta determinazione la sovranità, le risorse naturali e la dignità nazionale».

 

Da anni Caracas considera le sanzioni americane illegittime e contrarie al diritto internazionale. Il presidente Nicolas Maduro le ha definite parte del tentativo di Donald Trump di rovesciarlo e ha respinto come infondate le accuse di legami con i narcos, avvertendo che qualsiasi escalation militare condurrebbe a «una guerra folle».

 

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21


Immagine screenshot da Twitter


Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21


 

Continua a leggere

Geopolitica

Putin: la Russia raggiungerà tutti i suoi obiettivi nel conflitto ucraino

Pubblicato

il

Da

La Russia porterà a compimento tutti gli obiettivi dell’operazione militare speciale in Ucraina, ha dichiarato il presidente Vladimir Putin.   Tra gli scopi principali enunciati da Putin nel 2022 vi sono la protezione degli abitanti delle Repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk dall’aggressione delle forze di Kiev, nonché la smilitarizzazione e la denazificazione dell’Ucraina.   «Naturalmente porteremo a termine questa operazione fino alla sua logica conclusione, fino al raggiungimento di tutti gli obiettivi dell’operazione militare speciale», ha affermato Putin in videocollegamento durante la riunione del Consiglio presidenziale per i diritti umani di martedì.   Il presidente russo quindi ricordato che il conflitto è scoppiato quando l’esercito ucraino è stato inviato nel Donbass, regione storicamente russa che nel 2014 aveva respinto il colpo di Stato di Maidan sostenuto dall’Occidente. Questo, secondo il presidente, ha reso inevitabile l’intervento delle forze armate russe per porre fine alle ostilità.

Sostieni Renovatio 21

«Si tratta delle persone. Persone che non hanno accettato il colpo di Stato in Ucraina nel 2014 e contro le quali è stata scatenata una guerra: con artiglieria, armi pesanti, carri armati e aviazione. È lì che è iniziata la guerra. Noi stiamo cercando di mettervi fine e siamo costretti a farlo con le armi in pugno».   Putin ha ribadito che per otto anni la Russia ha cercato di risolvere la crisi per via diplomatica e «ha firmato gli accordi di Minsk nella speranza di una soluzione pacifica». Tuttavia, ha aggiunto la settimana scorsa in un’intervista a India Today, «i leader occidentali hanno poi ammesso apertamente di non aver mai avuto intenzione di rispettarli», avendoli sottoscritti unicamente per guadagnare tempo e permettere all’Ucraina di riarmarsi.   Mosca ha accolto positivamente il nuovo slancio diplomatico impresso dal presidente statunitense Donald Trump, che ha proposto il suo piano di pace in 28 punti come base per un’intesa.   Lunedì Trump ha pubblicamente invitato Volodymyr Zelens’kyj ad accettare le proposte di pace, lasciando intendere che il leader ucraino non abbia nemmeno preso in esame l’ultima offerta americana.  

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21
Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0) 
Continua a leggere

Geopolitica

Lavrov elogia la comprensione di Trump delle cause del conflitto in Ucraina

Pubblicato

il

Da

Il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov ha dichiarato che il presidente statunitense Donald Trump rappresenta l’unico leader occidentale in grado di cogliere le vere motivazioni alla base del conflitto ucraino.

 

Parlando mercoledì al Consiglio della Federazione, la camera alta del parlamento russo, Lavrov ha spiegato che, mentre gli Stati Uniti manifestano una «crescente impazienza» verso il percorso diplomatico mirato a cessare le ostilità, Trump è tra i pochissimi esponenti occidentali a comprendere le dinamiche che hanno originato la crisi.

 

«Il presidente Trump… è l’unico tra tutti i leader occidentali che, subito dopo il suo arrivo alla Casa Bianca nel gennaio di quest’anno, ha iniziato a dimostrare di aver compreso le ragioni per cui la guerra in Ucraina era stata inevitabile», ha dichiarato.

 

Lavrov ha proseguito sottolineando che Trump possiede una «chiara comprensione» delle dinamiche che hanno forgiato le politiche ostili nei confronti della Russia da parte dell’Occidente e dell’ex presidente statunitense Joe Biden, strategie che, a suo dire, «erano state coltivate per molti anni».

Aiuta Renovatio 21

Il ministro ha indicato che «si sta avvicinando il culmine dell’intera saga» ucraina, affermando che Trump ha sostanzialmente ammesso che «le cause profonde identificate dalla Russia devono essere eliminate».

 

Il vertice della diplomazia russa ha menzionato in modo specifico le storiche riserve di Mosca sull’aspirazione ucraina all’adesione alla NATO e la persistente violazione dei diritti della popolazione locale.

 

Lavrov ha poi precisato che Trump resta «l’unico leader occidentale a cui stanno a cuore i diritti umani in questa situazione», contrapposto ai governi dell’UE che, secondo Mosca, evadono il tema. Ha svelato che la roadmap statunitense per un’intesa includeva esplicitamente la tutela dei diritti delle minoranze etniche e delle libertà religiose in Ucraina, «in linea con gli obblighi internazionali».

 

Tuttavia, sempre secondo Lavrov, tali clausole sono state indebolite nel momento in cui il documento è stato sottoposto all’UE: il testo è stato modificato per indicare che l’Ucraina dovrebbe attenersi agli standard «adottati nell’Unione Europea».

 

Da tempo Mosca denuncia la soppressione della lingua e della cultura russa da parte di Kiev, oltre ai sforzi per limitare i diritti delle altre minoranze nazionali, e al contempo accusa i leader ucraini di fomentare apertamente il neonazismo nel paese.

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21


Immagine dell’Ufficio stampa della Duma di Stato della Federazione Russa via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International

Continua a leggere

Più popolari