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Geopolitica

Al-Jolani ha incontrato i massimi funzionari israeliani in un «silenzioso» sforzo di normalizzazione stile accordi di Abramo

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Il presidente siriano Ahmed al-Sharaa, precedentemente conosciuto come Abu Mohammad al-Jolani, già fondatore dell’al-Qaeda siriana, ha incontrato il consigliere per la sicurezza nazionale israeliano Tzachi Hanegbi ad Abu Dhabi, negli Emirati Arabi Uniti. Lo riportano un quotidiano siriano e diverse fonti dei media israeliani.

 

Il Jerusalem Post, citando una fonte siriana, scrive questo non è stato «il primo incontro del genere» ad aver luogo. Tuttavia lo Stato di Israele ha rapidamente smentito le notizie: «Israele ha rilasciato una dichiarazione in cui nega l’accusa, sottolineando che Hanegbi si trova a Washington come parte della delegazione del primo ministro Benjamin Netanyahu in visita negli Stati Uniti». Anche il nuovo regime islamista di Damasco non ha dato conferme.

 

Le fonti giornalistiche definiscono il presunto incontro «un passo significativo nei negoziati tra Siria e Israele» nell’ambito di un possibile avvicinamento alla normalizzazione basata sugli Accordi di Abramo.

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Questo potrebbe anche rientrare negli sforzi pubblicamente noti per promuovere un dialogo «silenzio» con Israele al fine di raggiungere uno status quo in materia di sicurezza. Al momento, l’esercito israeliano occupa ancora una vasta porzione della Siria meridionale, ben oltre le alture del Golan.

 

Il quotidiano israeliano YNet scrive che «l’accordo previsto potrebbe includere garanzie di sicurezza, un impegno a contrastare le attività terroristiche, misure per limitare l’influenza iraniana e una restrizione degli agenti terroristici nei pressi del confine».

 

«Secondo fonti straniere, Israele avrebbe già utilizzato lo spazio aereo siriano per colpire obiettivi iraniani, il che suggerisce un coordinamento informale tra le due nazioni, anche se non ufficiale», aggiunge l’agenzia di stampa.

 

Il regime islamista di Damasco ha continuato ad affermare di aver smantellato cellule terroristiche iraniane in varie parti del Paese. Non si prevede che dia priorità alle operazioni anti-ISIS, dato che molti membri del governo di al-JolaniS sono membri o ex membri dell’ISIS.

 

Il precedente governo di Assad era stato il nemico regionale più temibile di Israele, dato che possedeva sistemi antiaerei russi e ospitava forze armate iraniane. Israele, da parte sua, era parte della guerra segreta dell’Occidente per rovesciare Assad.

 

La tempistica di questi incontri di Jolani con alti funzionari israeliani è interessante, dato che solo lunedì gli Stati Uniti hanno formalmente revocato la designazione di organizzazione terroristica da tempo riconosciuta al suo gruppo jihadista, Hayat Tahrir al-Sham (HTS).

 

Il fatto che il Jolani fosse formalmente designato come terrorista non ha impedito al presidente Trump di incontrarlo durante la sua visita in Arabia Saudita poche settimane fa, dove il presidente americano ha elogiato il terrorista ricercato persino definendolo un «ragazzo giovane e attraente» che ha «delle concrete possibilità di fare un buon lavoro». In passato Trump aveva dichiarato di preferire Assad nel dubbio che qualcuno di molto peggiore, magari con disposizione jihadista, lo sostituisse al potere.

 

L’amministrazione Trump quasi nulla ha detto sui massacri perpetrati contro le antiche popolazioni cristiane, alawite e druse della Siria, attualmente in corso, con attentati persino nelle chiese durante la Messa.

 

Nonostante episodi di attacchi da parte dell’esercito dello Stato Ebraico (che è arrivato a colpire persino vicino al palazzo presidenziale siriano), la normalizzazione tra il regime islamista ed Israele è partita da molto tempo.

 

Come riportato da Renovatio 21, a gennaio era stato annesso ad Israele il villaggio della Siria meridionale di Hader, dove gli abitanti drusi avrebbero chiesto di essere incorporati nel Golan occupato dagli israeliani. L’attacco forse solo in apparenza poteva segnare un cambio di registro da parte dello Stato Ebraico nei riguardi del nuovo governo islamista di Damasco, in passato definito da Israele come fatto di «jihadisti educati».

 

Due mesi fa Israele lanciava attacchi aerei per «smilitarizzare» la Siria. Tuttavia un ex capo della Direzione dell’Intelligence israeliana aveva ammesso che «il caos in Siria è benefico per Israele».

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Come riportato da Renovatio 21, mesi fa Israele aveva annunciato una presenza militare indefinita in Siria.

 

Netanyahu a inizio anno aveva visitato il territorio israeliano occupato dalle forze dello Stato Ebraico. Il ministro della Difesa israeliano Israel Katz aveva annunciato che le Forze di Difesa Israeliane (IDF) dovevano istituire una «zona di difesa sterile» temporanea nella Siria meridionale per prevenire qualsiasi «minaccia terroristica» dopo la caduta del governo Assad.

 

Come riportato da Renovatio 21, la scorsa settimana al-Jolani aveva lasciato intendere che la Siria potrebbe rinunciare alla rivendicazione di sovranità sulle alture del Golan occupate da Israele in cambio della normalizzazione dei rapporti con lo Stato Ebraico. Curioso notare che al-Jolani significa, appunto, «l’uomo del Golan», e quindi il Jolani starebbe rinunziando alla terra natìa, non diversamente dal massone Garibaldi, che vide in tranquillità il re massone di Torino regalare Nizza alla Francia.

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia

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Geopolitica

Maduro ha offerto ampie concessioni economiche agli Stati Uniti

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Il Venezuela ha proposto agli Stati Uniti significative concessioni economiche, inclusa la possibilità per le aziende americane di acquisire una quota rilevante nel settore petrolifero, durante negoziati segreti durati mesi. Lo riporta il New York Times, citando fonti anonime.   Tuttavia, Washington avrebbe rifiutato l’offerta, con il futuro politico del presidente Nicolas Maduro come principale ostacolo.   Nelle ultime settimane, gli Stati Uniti hanno condotto attacchi al largo delle coste venezuelane contro quelle che hanno definito «imbarcazioni della droga», causando oltre venti morti e rafforzando la propria presenza militare nella regione. Funzionari americani hanno accusato Maduro di legami con reti di narcotraffico, accusa che il presidente venezuelano ha respinto.   Caracas ha accusato Washington di perseguire un cambio di regime, un’intenzione smentita dai funzionari statunitensi.

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Secondo fonti anonime di funzionari americani e venezuelani riportate dal NYT, dietro le tensioni pubbliche, Caracas avrebbe presentato un’ampia proposta diplomatica. Questa includeva l’apertura di tutti i progetti petroliferi e auriferi, attuali e futuri, alle aziende americane, l’offerta di contratti preferenziali per le imprese statunitensi, il reindirizzamento delle esportazioni di petrolio dalla Cina agli Stati Uniti e la riduzione degli accordi energetici e minerari con aziende cinesi, iraniane e russe.   I colloqui, condotti per mesi tra i principali collaboratori di Maduro e l’inviato statunitense Richard Grenell, miravano a ridurre le tensioni, secondo l’articolo. Sebbene siano stati fatti progressi in ambito economico, le due parti non sono riuscite a trovare un accordo sul futuro politico di Maduro, si legge nel rapporto.   Secondo il NYT, il Segretario di Stato americano Marco Rubio sarebbe stato il principale sostenitore della linea dura dell’amministrazione Trump per rimuovere Maduro. Si dice che Rubio sia scettico sull’approccio diplomatico di Grenell e abbia spinto per una posizione più rigida contro Caracas.   Un precedente articolo del quotidiano neoeboraceno riportava che Trump avesse ordinato l’interruzione dei colloqui con il Venezuela, «frustrato» dal rifiuto di Maduro di cedere volontariamente il potere. Il giornale suggeriva anche che gli Stati Uniti stessero pianificando una possibile escalation militare.   Nel frattempo, Maduro ha avvertito che il Venezuela entrerebbe in uno stato di «lotta armata» in caso di attacco, aumentando la prontezza militare in tutto il Paese.

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Immagine di Confidencial via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 3.0 Unported  
 
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Geopolitica

Haaretz: Israele sarà indifendibile se violeremo questo piano di pace

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L’editoriale principale del quotidiano israeliano Haaretz, pubblicato il 10 e l’11 ottobre, lancia un severo monito agli israeliani attratti dai piani del primo ministro Benjamin Netanyahu e dei suoi sostenitori estremisti per ostacolare gli accordi di pace negoziati.

 

«Se Israele fosse così sprovveduto da liberare gli ostaggi e poi trovare un pretesto banale per riprendere i combattimenti, consolidando la sua nuova immagine di Stato guerrafondaio che viola ripetutamente gli accordi, le proteste che hanno scosso l’Europa per la reazione di Israele alla flottiglia per Gaza si intensificheranno con una forza doppia e saranno inarrestabili».

 

L’editoriale, scritto dall’editorialista Carolina Landsmann, ribadisce: «se Israele riprendesse i combattimenti dopo aver recuperato tutti gli ostaggi, compirebbe un autentico suicidio diplomatico. Difendere il Paese diventerebbe impossibile. Nemmeno Trump potrebbe riuscirci».

 

L’editoriale è stato innescato dalle dichiarazioni del giornalista israeliano Amit Segal, trasmesse sul Canale 12 israeliano, secondo cui «non esiste una fase due, questo è chiaro a tutti, no?». Segal ha escluso qualsiasi soluzione che richiami gli accordi di Oslo, vantandosi che, una volta liberati gli ostaggi, Israele riprenderà a combattere,.

 

La Landsmann ha replicato che questo gioco è finito: «Il mondo ha compreso la realtà meglio di Israele», e persino i sostenitori di Trump «sono stanchi» di vedere i contribuenti americani finanziare le guerre di Israele. L’editorialista ha riportato le parole di Trump a Netanyahu: «Israele non può combattere contro il mondo, Bibi; non può combattere contro il mondo».

 

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Immagine di IDF Spokesperson’s Unit via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported

 

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Geopolitica

Il Cremlino dice di essere pronto per un accordo sull’Ucraina

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Mosca rimane aperta a una risoluzione pacifica del conflitto in Ucraina, ma le ostilità proseguiranno finché Kiev continuerà a ostacolare i negoziati, ha dichiarato il portavoce del Cremlino Demetrio Peskov.   Rispondendo al presidente francese Emmanuel Macron, che di recente ha scritto in un post su X che la Russia «dovrà pagare il prezzo» se si rifiutasse di dimostrare disponibilità a negoziare, Peskov, parlando ai giornalisti lunedì, ha sottolineato che Mosca ha sempre favorito una soluzione diplomatica alla crisi. Tuttavia, ha notato che Kiev, sostenuta dai suoi alleati occidentali, continua a respingere tutte le proposte russe.   «La Russia è pronta per una soluzione pacifica», ha affermato Peskov, evidenziando che la campagna militare di Mosca continua «a causa della mancanza di alternative». Ha aggiunto che la Russia raggiungerà infine i suoi obiettivi dichiarati, salvaguardando i propri interessi di sicurezza nazionale.

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Le sue dichiarazioni arrivano in vista dell’incontro previsto per venerdì a Washington tra il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj.   Peskov ha espresso apprezzamento per gli sforzi diplomatici di Trump volti a risolvere pacificamente il conflitto, auspicando che «l’influenza degli Stati Uniti e le capacità diplomatiche degli inviati del presidente Trump contribuiscano a incoraggiare la parte ucraina a essere più proattiva e preparata al processo di pace».   La Russia ha ripetutamente ribadito la propria disponibilità a colloqui di pace con l’Ucraina. Le due parti erano vicine a un accordo a Istanbul all’inizio del 2022, ma, secondo Mosca, Kiev si è ritirata dopo che i suoi sostenitori occidentali l’hanno spinta a continuare il conflitto.   Da allora, i funzionari russi hanno sostenuto che né Kiev né i suoi alleati europei sono genuinamente interessati a porre fine alle ostilità, accusandoli di ostacolare i negoziati con condizioni mutevoli e ignorando le proposte russe.  

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  Immagine di A.Savin via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported2.5 Generic2.0 Generic1.0 Generic
 
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