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Geopolitica

Il Ciad nega di aver accettato il ritorno delle truppe statunitensi

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Il Ciad non ha autorizzato il dispiegamento delle truppe americane sul suo territorio, ha affermato venerdì il ministero degli Esteri della nazione centrafricana, smentendo le indiscrezioni secondo cui Washington e N’Djamena avrebbero raggiunto un nuovo accordo, citando un alto funzionario del Pentagono.

 

Il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti ha ritirato circa 70 militari da una base aerea nei pressi della capitale del Ciad, N’Djamena, l’unica base militare americana nel paese, dopo che le autorità locali avevano chiesto la sospensione delle loro attività ad aprile.

 

Il maggiore generale Kenneth Ekman, direttore dell’US Africa Command (AFRICOM), ha annunciato in un’intervista all’emittente statale statunitense VOA, pubblicata giovedì, che un numero limitato di soldati sarebbe tornato nello Stato senza sbocco sul mare in seguito alla richiesta del presidente ciadiano Mahamat Idriss Deby Itno.

 

«Avevamo un quartier generale lì prima, ma abbiamo raggiunto un accordo sul ritorno di un numero limitato di personale delle forze speciali. È una decisione presidenziale», ha affermato il generale Ekman. «Stiamo lavorando sui dettagli di come fare ritorno. Il Ciad è davvero importante perché… è una strategia esterna. E la direzione di approccio dal Ciad è immensamente importante. Hanno anche contribuito in modo significativo alla sicurezza del Sahel», ha aggiunto.

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Tuttavia, in risposta, il ministro degli esteri e portavoce del governo ciadiano Abdraman Koulamallah ha dichiarato che non è stata presa alcuna decisione in merito al ritorno delle truppe specializzate statunitensi.

 

«Il governo della Repubblica del Ciad desidera smentire formalmente le informazioni diffuse da alcuni media riguardanti un presunto accordo che autorizza il ritorno delle truppe delle forze speciali americane in territorio ciadiano», ha affermato il Koulamallah in una dichiarazione pubblicata dai media locali.

 

Secondo il diplomatico, il Ciad è uno Stato sovrano che mantiene il controllo sulle sue «decisioni in materia di sicurezza nazionale e cooperazione militare con i suoi partner internazionali».

 

Il presunto accordo di ridispiegamento con il governo del Ciad giunge solo pochi giorni dopo che Washington ha completato il ritiro delle sue forze e risorse dal Niger, mesi dopo che i vertici militari del paese dell’Africa occidentale avevano chiesto loro di andarsene.

 

Il sentimento anti-occidentale è cresciuto in tutta l’Africa, in particolare nella regione del Sahel, dove i militanti islamici hanno guidato un’insurrezione per decenni.

 

Burkina Faso, Mali e Niger hanno rescisso gli accordi di difesa con la loro ex potenza coloniale, la Francia, accusando le forze francesi di non essere riuscite a combattere il terrorismo nonostante una missione di controinsurrezione durata un decennio. Tutti e tre i governi militari hanno cercato di sviluppare una cooperazione di difesa con la Russia come parte dell’Alleanza degli Stati del Sahel nonostante le preoccupazioni dei governi occidentali contro la crescente influenza di Mosca sul continente.

 

Anche il Ciad, che è considerato l’ultimo alleato rimasto della Francia nel Sahel, ha iniziato di recente a volgersi nella direzione della Russia. All’inizio di quest’anno, il presidente Deby ha incontrato il suo omologo russo Vladimir Putin a Mosca, ed entrambi i leader hanno concordato di espandere la cooperazione bilaterale.

 

Come riportato da Renovatio 21, la partenza delle truppe americane dal Ciad era stata annunciata 5 mesi fa.

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Il Paese aveva ospitato esercitazioni militari condotte dagli Stati Uniti. Funzionari dell’Africa Command del Pentagono hanno affermato che il Ciad è stato un partner importante nello sforzo che ha coinvolto diversi paesi nel bacino del Lago Ciad per combattere Boko Haram.

 

Come riportato da Renovatio 21, l’anno passato il governo del Ciad aveva ordinato all’ambasciatore tedesco Gordon Kricke di lasciare il Paese entro 48 ore. «Questa decisione del governo è motivata dall’atteggiamento scortese e dal mancato rispetto delle consuetudini diplomatiche», aveva dichiarato il ministero delle comunicazioni del Ciad tramite Twitter.

 

Come riportato da Renovatio 21, a poca distanza dal confine con il Ciad si è consumato l’anno scorso fa l’enigma delle 2,5 tonnellate di uranio sparito dal magazzino libico che lo conteneva, per poi, a quanto riportato, essere recuperate dagli uomini del generale Haftar.

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Immagine di .S. Army Southern European Task Force, Africa via Flickr pubblicata su licenza CC BY 2.0

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Geopolitica

Gli USA hanno tentato di reclutare il pilota di Maduro per un rapimento

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Un agente federale statunitense ha cercato di reclutare in segreto il pilota personale del presidente venezuelano Nicolás Maduro per un piano volto a catturare il leader e consegnarlo alle autorità americane con l’accusa di narcotraffico. Lo riporta l’agenzia Associated Press.   Citanto tre funzionari statunitensi in servizio ed ex, oltre a un oppositore di Maduro, l’agenzia ha indicato che l’agente della Sicurezza Nazionale Edwin Lopez ha incontrato il pilota di Maduro, il generale Bitner Villegas, nella Repubblica Dominicana nel 2024. Lopez avrebbe proposto al pilota denaro e protezione in cambio del dirottamento dell’aereo presidenziale verso un luogo dove le autorità USA potessero arrestarlo. Il pilota non ha dato una risposta immediata, ma ha proseguito a messaggiare con l’agente per oltre un anno, anche dopo il pensionamento di Lopez nel luglio 2025.   L’agente avrebbe menzionato l’annuncio del Dipartimento di Giustizia che portava a 50 milioni di dollari la taglia per la cattura di Maduro, incitando Villegas a «diventare l’eroe del Venezuela». Il pilota ha infine declinato, definendo Lopez un «codardo» e interrompendo i contatti.   Le rivelazioni emergono mentre gli Stati Uniti intensificano la pressione militare e di intelligence su Caracas. Il presidente Donald Trump ha autorizzato la CIA a condurre operazioni clandestine in Venezuela e ha schierato navi da guerra, aerei e migliaia di truppe nei Caraibi per quella che Washington presenta come una campagna antidroga. Negli ultimi mesi, raid statunitensi contro imbarcazioni al largo di Venezuela e Colombia avrebbero causato decine di morti.   Trump sostiene che le azioni mirano ai narcotrafficanti, mentre funzionari USA accusano il governo Maduro di gestire uno «narcostato».

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Il presidente venezuelano ha respinto le accuse come pretesto per un cambio di regime. Ha definito l’ammissione di Trump su attività segrete della CIA in Venezuela come senza precedenti e «disperata». Maduro ha posto l’esercito in massima allerta e ha ricordato che il Paese dispone di un ampio arsenale di sistemi antiaerei Igla-S di epoca sovietica.   Mosca, alleata di Caracas, ha condannato la campagna USA. All’inizio del mese, l’ambasciatore russo all’ONU, Vassily Nebenzia, ha accusato Washington di orchestrare un colpo di Stato in Venezuela sotto la copertura di un’operazione antidroga, definendola «una palese violazione del diritto internazionale e dei diritti umani».   La Casa Bianca accusa da tempo Maduro di guidare una rete di narcotrafficanti nota come «Cartel de los Soles», sebbene non vi siano prove schiaccianti o prove concrete che lo dimostrino, tuttavia lo scorso anno gli USA sono arrivati a sequestrare un aereo presumibilmente utilizzato dal presidente di Carcas. È stato anche accusato di aver trasformato l’immigrazione in un’arma, sebbene Maduro si sia mostrato pronto a dialogare con le delegazioni diplomatiche americane sulla questione.   Come riportato da Renovatio 21, a inizio anno Maduro aveva dichiarato che Washington ha aperto il suo libretto degli assegni a una schiera di truffatori e bugiardi per destabilizzare il Venezuela, quando gli Stati Uniti si sono rifiutati di riconoscere le elezioni del 2024 in Venezuela.   Secondo Maduro, almeno 125 militanti provenienti da 25 Paesi sono stati arrestati dalle autorità venezuelane. Aveva poi accusato Elone Musk di aver speso un miliardo di dollari per un golpe in Venezuela. Negli stessi mesi si parlò di un piano di assassinio CIA di Maduro sventato.   Nelle scorse settimane perfino l’account YouTube di Maduro è stato rimosso da YouTube.   Secondo notizie emerse nelle ultime ore Trump punterebbe ad attaccare le «strutture della cocaina» in Venezuela.  

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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0) 
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Economia

USA e Giappone firmano un accordo sui minerali essenziali

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Martedì, Stati Uniti e Giappone hanno siglato un accordo di cooperazione per la produzione e la fornitura di minerali essenziali e terre rare. La mossa arriva dopo la decisione della Cina di rafforzare i controlli sulle esportazioni di terre rare e attrezzature per la produzione di chip, in risposta ai dazi imposti dal presidente statunitense Donald Trump.

 

L’intesa è stata conclusa durante la visita di Trump a Tokyo, dove ha incontrato per la prima volta il nuovo primo ministro giapponese, Sanae Takaichi.

 

Secondo la Casa Bianca, le due nazioni hanno convenuto di promuovere iniziative congiunte «necessarie a sostenere le industrie nazionali, incluse le tecnologie avanzate e le rispettive basi industriali», e di impiegare «strumenti di politica economica e investimenti coordinati per accelerare lo sviluppo di mercati diversificati, liquidi ed equi per minerali essenziali e terre rare».

 

I leader hanno inoltre sottoscritto un documento che impegna i rispettivi governi a «intraprendere ulteriori passi verso una nuova era d’oro per l’alleanza in continua crescita tra Stati Uniti e Giappone».

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Trump ha definito il Giappone un «alleato al livello più alto», elogiando Takaichi, insediatosi la settimana scorsa, come «uno dei più grandi primi ministri». Takaichi, dal canto suo, ha promesso di rafforzare i legami bilaterali, che ha descritto come «la più grande alleanza al mondo».

 

Trump ha da tempo manifestato interesse a garantire l’accesso ai minerali di terre rare in diverse regioni del mondo, perseguendo sia opportunità economiche vantaggiose sia una maggiore influenza geopolitica.

 

All’inizio di quest’anno, gli Stati Uniti hanno firmato un accordo sui minerali con l’Ucraina, considerato da diplomatici e politici americani una forma di garanzia di sicurezza per Kiev. Trump ha inoltre concluso un’intesa di investimento con l’Australia all’inizio di questo mese, mirata a contrastare il dominio cinese nel mercato delle terre rare e dei minerali essenziali.

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Economia

I mercati argentini salgono dopo la vittoria elettorale di Milei, che ringrazia il presidente Trump

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Il presidente argentino Javier Milei ha conquistato una vittoria schiacciante alle elezioni di medio termine del suo Paese, considerate un importante banco di prova per il sostegno alle sue riforme radicali di «terapia d’urto» e alla sua politica economica «a motosega».   Il partito di Milei, La Libertad Avanza, ha ottenuto il 40,8% dei voti a livello nazionale per la camera bassa del Congresso e ha prevalso in sei delle otto province che hanno eletto un terzo del Senato.   L’opposizione di sinistra, rappresentata dai peronisti, ha raccolto il 31,7% dei voti. Sebbene Milei non abbia conquistato la maggioranza assoluta in Congresso, questo risultato complicherà notevolmente gli sforzi dei suoi oppositori per ostacolare il suo programma.   Milei ha implementato un ambizioso piano libertario, caratterizzato da tagli significativi a normative, spesa pubblica, politiche statali e dipartimenti governativi, con l’obiettivo di risollevare l’Argentina da decenni di stagnazione economica.   Il suo approccio ha ricevuto il sostegno del presidente statunitense Donald Trump, che ha offerto supporto finanziario per garantire l’avanzamento delle riforme, soprattutto dopo il recente crollo drammatico del peso argentino.   Durante un incontro alla Casa Bianca con Milei la settimana scorsa, Trump ha promesso un pacchetto di aiuti da 20 miliardi di dollari, con la possibilità di raddoppiarlo in caso di successo alle elezioni di medio termine.   «Se non vince, siamo fuori», ha dichiarato Trump. «Se perde, non saremo generosi con l’Argentina».

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All’inizio di questo mese, il segretario al Tesoro statunitense Scott Bessent ha stipulato uno swap valutario da 20 miliardi di dollari con la banca centrale argentina per stabilizzare il mercato obbligazionario del Paese in vista delle elezioni. Bessent ha chiarito che il pacchetto di aiuti non va considerato un «salvataggio», ma piuttosto una «Dottrina Monroe economica», richiamando la politica del XIX secolo volta ad affermare la supremazia degli Stati Uniti nell’emisfero occidentale.   Il segretario del Tesoro USA ha sottolineato che il successo dell’Argentina è nell’interesse degli Stati Uniti, non solo per stabilizzare il Paese, ma anche per renderlo un «faro» per altre nazioni della regione. «Non vogliamo un altro Stato fallito o sotto l’influenza cinese in America Latina», ha affermato Bessent.   Le obbligazioni, la valuta e le azioni argentine hanno registrato un’impennata lunedì mattina, dopo che il partito del presidente Javier Milei ha ottenuto una decisiva vittoria alle elezioni di medio termine. Il risultato è fondamentale per preservare il radicale rilancio economico di Milei in un Paese devastato da decenni di mala gestione socialista che ha distrutto la nazione.   Le riforme del libero mercato e l’aggressivo programma di austerità di Milei hanno già iniziato a raffreddare l’inflazione e a stabilizzare le condizioni finanziarie, segnalando agli investitori che il percorso di ristrutturazione resta intatto.   Milei ha poi ringraziato Trump su X:     «Grazie, Presidente Trump, per la fiducia accordata al popolo argentino. Lei è un grande amico della Repubblica Argentina. Le nostre nazioni non avrebbero mai dovuto smettere di essere alleate. I nostri popoli vogliono vivere in libertà. Contate su di me per lottare per la civiltà occidentale, che è riuscita a far uscire dalla povertà oltre il 90% della popolazione mondiale».

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