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Geopolitica

La Germania deporta 7 soldati ucraini perché esponevano simboli nazisti

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Il governo tedesco ha rivelato di aver espulso sette soldati ucraini che esibivano simboli nazisti mentre erano nel paese per l’addestramento.

 

La rivelazione di mercoledì è stata motivata da un’inchiesta del partito Alternativa per la Germania (AfD), che è diventato sempre più popolare grazie a una piattaforma che si oppone all’immigrazione di massa, all’agenda verde e alla guerra per procura occidentale contro la Russia in Ucraina.

 

Tra le altre numerose domande che sollevano preoccupazione sull’estremismo ucraino, l’AfD ha chiesto se i soldati ucraini addestrati in Germania fossero stati trovati con simboli estremisti e, in caso affermativo, «che cosa ha fatto il governo federale al riguardo».

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In una risposta di quattro pagine pubblicata sul sito web del Bundestag, il governo tedesco ha affermato che «sette casi di questo tipo sono stati identificati durante l’addestramento condotto dalla Bundeswehr per le forze armate ucraine». Gli ucraini trasgressori sarebbero stati «rimpatriati» in Ucraina.

 

Il governo ha aggiunto che i soldati tedeschi incaricati di addestrare gli ucraini sono addestrati a riconoscere i simboli dell’estremismo di destra e ad affrontarli. Inoltre, al loro arrivo in Germania, i soldati ucraini ricevono «istruzioni sul simbolismo nazista».

 

Nella sua inchiesta, l’AfD ha sottolineato il Reggimento Azov, «che è classificato da molti esperti come estremista di destra e utilizza il Wolfsangel (runa tipica di diverse unità delle SS, bandito nella Repubblica Federale Tedesca) come simbolo».

 

Il partito di opposizione ha chiesto se il governo fosse a conoscenza del fatto che i social media mostrano simboli nazisti sulle armi ucraine e ha chiesto se il governo tedesco avesse contattato le controparti ucraine a riguardo, e in particolare riguardo alla loro potenziale apparizione sulle armi fornite dalla Germania. Il governo ha affermato che le immagini finite sui social media non includono armi tedesche.

 

Il governo ha osservato che circa 10.000 soldati sono stati addestrati «sul suolo tedesco nel 2023». La quantità di essi che ha ricevuto istruzioni da parte dei tedeschi per coprire tatuaggi e gettare vie toppe non è nota.

 

L’AfD ha chiesto se l’estremismo ucraino rappresenti una minaccia per un potenziale processo di pace in Ucraina. Il governo ha risposto che «no, è l’imperialismo russo che è alla base della guerra illegale di aggressione russa contro l’Ucraina e che minaccia la sicurezza in Europa».

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Quando la Russia ha invaso l’Ucraina nel febbraio 2022, il presidente Vladimir Putin affermò che uno degli obiettivi dell’«operazione speciale» era la «denazificazione» dell’Ucraina. L’Unione Sovietica ha subito l’incredibile cifra di 24 milioni di morti tra civili e militari durante la Seconda Guerra Mondiale, che in Russia chiamano «Grande Guerra Patriottica», e che basicamente per i russi è stata la lotta contro la Germania nazista che li stava invadendo.

 

La situazione è questa: il partito tedesco che viene abitualmente demonizzato come «estrema destra» ed «estremista» – e per questo perseguito perfino dai servizi di sicurezza interni – è quello che mostrando le prove delle tendenze naziste dei soldati ucraini addestrati ed armati dai tedeschi – dopo che lo erano stati, senza troppi problemi, da canadesi, americani, etc.

 

Durante gli scorsi giorni si è introdotto tuttavia un ulteriore elemento grottesco nella scena internazionale.

 

Nel periodo in cui si diffondeva la notizia della deportazione da parte della Germania dei soldati ucraini con la svastica, il segretario di Stato americano Antony Blinken stava cenando a Kiev in un ristorante a tema veterano di guerra, dove sarebbero visti immagini e simboli dell’estremismo ucronazista.

 

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Come insistono i media russi, l’Ucraina è l’unico paese al mondo che ha integrato apertamente le milizie neonaziste nelle sue forze armate nazionali. Queste unità una volta venivano descritte dai media occidentali come «neo-naziste», ma tale definizione dopo lo scoppio del conflitto con la Russia è venuta meno, pure quando le agenzie di stampa si trovano ad intervistare un soldato ucraino che ha scelto come nome di battaglia «Adolf».

 

Quattro mesi fa, un po’ a sorpresa, il presidente ucraino Zelens’kyj si è fatto vedere in video dal fronte, con Andrej Biletsky, il fondatore dell’Azov. Il battaglione, hanno sostenuto recentemente i russi, sarebbe stato addestrato da istruttori NATO nel 2021.

 

Le origini ideologiche naziste (o meglio, ucronaziste) di Azov sono state apertamente e ripetutamente insabbiate sia dagli algoritmi dei social che dall’operato indefinibile dei giornalisti d’Italia e di tutto il mondo, arrivando persino a togliere dal web vecchi articoli che raccontavano la pura verità su svastiche e violenze.

 

Interrogato sulle origini naziste e la atrocità attribuite ad Azov in una bonaria intervista di Fox News l’anno scorso, Zelens’kyj aveva risposto in modo seccato: quei miliziani «sono quello che sono».

 

Come riportato da Renovatio 21, i legami del nazionalismo integralista ucraino con la CIA e con i servizi segreti inglesi sono noti da decenni.

 

Alla fine dello scorso anno, la portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova ha dichiarato che Mosca non permetterà all’Ucraina di continuare ad essere uno «Stato nazista» che rappresenta una minaccia sia per la Russia che per le altre nazioni.

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Immagine di NATO North Atlantic Threaty via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 2.0 Generic

 

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Geopolitica

Orban: il piano dell’UE per rubare i beni russi costituisce una «dichiarazione di guerra»

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Qualsiasi tentativo da parte dell’Unione Europea di confiscare i fondi russi congelati senza l’approvazione di Budapest e in contrasto con il diritto europeo rappresenterebbe una «dichiarazione di guerra», ha dichiarato il primo ministro ungherese Viktor Orban.   La settimana scorsa, l’UE ha approvato il mantenimento a tempo indeterminato del congelamento dei beni della banca centrale russa, ricorrendo a poteri di emergenza per bypassare il requisito di unanimità, nonostante le opposizioni di alcuni Stati membri.   La Commissione Europea, guidata dalla presidente Ursula von der Leyen, intende impiegare i circa 210 miliardi di euro per finanziare un «prestito per riparazioni» destinato a Kiev, un’iniziativa contrastata da vari Paesi, inclusi Ungheria e Slovacchia. La Russia ha definito illegale il congelamento e ha qualificato come «furto» qualsiasi impiego dei fondi, minacciando ripercussioni economiche e legali.   In un post sui social media, Orban ha affermato sabato che i responsabili UE stanno tentando di appropriarsi dei beni russi congelati «aggirando l’Ungheria» e «violando il diritto europeo alla luce del sole», un’azione che, secondo lui, equivarrebbe a una «dichiarazione di guerra», accusando Bruxelles di protrarre il conflitto, precisando che l’Ungheria «non parteciperà» a quello che ha descritto come uno schema «contorto».

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«Non ho mai visto un sequestro di 200-300 miliardi di euro da parte di un Paese che non abbia provocato qualche tipo di reazione», ha aggiunto lo Orban.   Secondo il premier ungherese, «sono tre i tedeschi a comandare». Ha puntato il dito contro il cancelliere tedesco Friedrich Merz, il capogruppo del Partito Popolare Europeo Manfred Weber e von der Leyen, rei di aver guidato l’UE «in un vicolo cieco» o «dritta contro un muro».   La proposta di voto avanzata da von der Leyen ha riqualificato la gestione dei beni russi congelati come emergenza economica anziché politica sanzionatoria, permettendo alla Commissione di applicare l’articolo 122 dei trattati UE per decidere a maggioranza qualificata invece che all’unanimità, eludendo così possibili veti.   Anche il Belgio, dove è custodita la maggior parte dei fondi, ha espresso riserve per i potenziali rischi legali e finanziari. Il congelamento indefinito è concepito in parte per esercitare pressione su Bruxelles e ottenere il suo appoggio al piano UE di utilizzo dei fondi russi.    

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Immagine di Elekes Andor via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International
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Trump annuncia attacchi terrestri in Venezuela «presto»

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Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha dichiarato che gli USA potrebbero avviare «molto presto» operazioni terrestri contro presunte reti di narcotraffico collegate al Venezuela, dopo aver quasi completamente interrotto i flussi di stupefacenti via mare. Caracas ha respinto con forza ogni accusa di legami con i cartelli della droga.

 

Parlando venerdì con i giornalisti alla Casa Bianca, Trump ha annunciato che il traffico di droga marittimo legato al Venezuela è calato del 92%, sostenendo che le forze americane stanno «eliminando la droga a livelli mai visti prima». «Abbiamo bloccato il 96% degli stupefacenti che arrivavano via mare», ha precisato, per poi aggiungere: «Presto le operazioni inizieranno anche sulla terraferma».

 

Il presidente statunitense non ha tuttavia fornito indicazioni su eventuali obiettivi o sull’estensione di tali azioni.

 

Da settembre le forze USA hanno intensificato sensibilmente la presenza militare nei Caraibi e nel Pacifico orientale, conducendo oltre 20 interventi contro imbarcazioni sospette di traffico di droga e causando la morte di decine di persone. Trump ha affermato che queste operazioni hanno salvato decine di migliaia di vite americane, impedendo l’ingresso di narcotici nel Paese.

 

Il presidente venezuelano Nicolas Maduro ha sempre rigettato le accuse di Trump su presunti rapporti tra Caracas e i narcocartelli, sostenendo che Washington utilizzi la campagna antidroga come pretesto per destabilizzare e rovesciare il suo governo.

 

Come riportato da Renovatio 21, Maduro, che avrebbe offerto ampie concessioni economiche agli USA per restare al potere, sarebbe stato oggetto di un tentativo di rapimento tramite il suo pilota personale.

 

Il Venezuela ha stigmatizzato il rinforzo militare come violazione della sovranità e tentativo di golpe. Il governo venezuelano starebbe cercando appoggio da Russia, Cina e Iran. Mosca ha di recente riaffermato la sua alleanza con Caracas, esprimendo pieno sostegno alla leadership del Paese nella difesa della propria integrità. Mosca ha accusato il mese scorso Washington di preparare il golpe in Venezuela.

 

Questa settimana le autorità statunitensi hanno sequestrato anche la petroliera Skipper al largo delle coste venezuelane, una nave cargo che secondo gli USA trasportava petrolio dal Venezuela e dall’Iran. Le autorità di Caracas hanno condannato l’operazione definendola «furto manifesto» e «pirateria navale criminale».

 

Come riportato da Renovatio 21, nel frattempo, la Russia – da tempo alleata stretta del Venezuela – ha rinnovato pubblicamente il suo sostegno a Maduro. Secondo il Cremlino, il presidente Vladimir Putin «ha espresso solidarietà al popolo venezuelano e ha ribadito il proprio appoggio alla ferma determinazione del governo Maduro nel difendere la sovranità nazionale e gli interessi del Paese dalle ingerenze esterne». I due leader hanno inoltre confermato l’impegno a dare piena attuazione al trattato di partenariato strategico siglato a maggio.

 

Trump nelle scorse settimane ha ammesso di aver autorizzato le operazioni CIA in Venezuela. Di piani CIA per uccidere il presidente venezuelano il ministro degli Interni del Paese aveva parlato lo scorso anno.

 

Come riportato da Renovatio 21, Maduro aveva denunciato l’anno scorso la presenza di mercenari americani e ucraini in Venezuela. «Gli UA finanziano Sodoma e Gomorra» aveva detto.

 

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr

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Geopolitica

La Slovacchia «non sosterrà nulla» che contribuisca a prolungare il conflitto in Ucraina

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Il primo ministro slovacco Robert Fico ha annunciato che la Slovacchia si opporrà a qualsiasi misura che permetta di impiegare i beni russi congelati per fornire armi all’Ucraina, mettendo in guardia sul fatto che ulteriori sostegni militari non farebbero che protrarre l’«insensata uccisione quotidiana di centinaia di migliaia di russi e ucraini».   In seguito all’escalation del conflitto nel 2022, gli alleati occidentali di Kiev hanno bloccato circa 300 miliardi di dollari di asset della banca centrale russa, in gran parte depositati nell’UE. Da quel momento è divampata una disputa tra i Paesi intenzionati a usare tali fondi come collaterale per un «prestito di riparazione» a favore di Kiev e quelli che si oppongono fermamente. La decisione finale spetterà ai membri dell’UE nel voto previsto per la prossima settimana.   Fico, da sempre critico del piano, ha illustrato la propria posizione in dettaglio in una lettera inviata all’inizio della settimana al Presidente del Consiglio europeo António Costa. In un post su X pubblicato venerdì, ha riferito di aver poi avuto un colloquio telefonico con Costa, durante il quale ha ribadito il suo rifiuto all’invio di armi a Kiev. Fico ha dichiarato di aver avvertito che proseguire con i finanziamenti prolungherebbe le ostilità e accrescerebbe le vittime, mentre Costa «ha parlato solo di soldi per la guerra».   «Se per l’Europa occidentale la vita di un russo o di un ucraino non vale un cazzo, non voglio far parte di un’Europa occidentale del genere», ha affermato Fico. «Non appoggerò nulla, anche se dovessimo restare a Bruxelles fino al nuovo anno, che comporti il sostegno alle spese militari dell’Ucraina».  

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Vari Stati membri dell’UE hanno manifestato riserve sul programma di prestiti, evidenziando rischi di natura legale e finanziaria. Secondo Politico, venerdì Italia, Belgio, Bulgaria e Malta hanno sollecitato la Commissione europea a considerare opzioni alternative al sequestro degli asset, quali un meccanismo di prestito comunitario o soluzioni temporanee. Obiezioni sono arrivate anche da Ungheria, Germania e Francia.   Venerdì la Commissione Europea ha dato il via libera a una norma controversa che potrebbe prorogare indefinitamente il congelamento dei beni russi, qualificando la materia come emergenza economica e non come misura sanzionatoria. Questo passaggio è interpretato come propedeutico all’attuazione del «prestito di riparazione», in quanto permette decisioni a maggioranza qualificata invece che all’unanimità, eludendo così i veti dei Paesi dissidenti.   Mosca ha stigmatizzato come illegittimo ogni tentativo di appropriarsi dei suoi asset. La portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova ha affermato questa settimana che, con il programma di «prestiti di riparazione», l’Europa sta adottando un comportamento «suicida». Riferendosi al voto di venerdì, ha etichettato l’UE come «truffatori».

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Immagine di Gage Skidmore via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic
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