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Spirito

Fiducia Supplicans e la «benedizione pastorale»

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«La Chiesa deve rifuggire dall’appoggiare la sua prassi pastorale alla fissità di alcuni schemi dottrinali o disciplinari».

 

1. Questo passaggio del numero 25 della recentissima Dichiarazione Fiducia supplicans non è che una ripetizione del principio fondamentale già affermato da Papa Francesco nell’Esortazione postsinodale Amoris laetitia. Questo stesso principio trova la sua giustificazione nel numero 8 della suddetta Dichiarazione, che a sua volta si riferisce al numero 12 del Nuovo Rituale, promulgato da Giovanni Paolo II nel 1985.

 

«Le benedizioni possono essere considerate tra i sacramentali più diffusi e in continua evoluzione. Esse, infatti, conducono a cogliere la presenza di Dio in tutte le vicende della vita e ricordano che, anche nell’utilizzo delle cose create, l’essere umano è invitato a cercare Dio, ad amarlo e a servirlo fedelmente».

 

Le benedizioni sono «in continua evoluzione». Perché? Perché il loro scopo è «cogliere» e «ricordare»… Cogliere e ricordare: le benedizioni non sarebbero quindi altro che un linguaggio, puri segni, operanti né più né meno che una consapevolezza? Se è davvero così, è logico che si adattino, come ogni linguaggio, alla mentalità di coloro ai quali si rivolgono. Perché l’essenziale, in ogni pastorale, è farsi capire. Da lì segue tutto il resto.

 

2. E innanzitutto, per benedire basta ascoltare le diverse persone «che vengono spontaneamente a chiedere una benedizione» (n. 21). Questa stessa richiesta esprime l’esigenza «della presenza salvifica di Dio nella sua storia» (n. 20).

 

Chiedere la benedizione è riconoscere la Chiesa «come sacramento di salvezza» (ibidem), «ammettere che la vita ecclesiale sgorga dal grembo della misericordia di Dio e ci aiuta ad andare avanti, a vivere meglio, a rispondere alla volontà del Signore» (ibidem). La richiesta, insomma, riflette delle convinzioni, ma cos’altro? Riflette un desiderio di guarigione, una risoluzione efficace?

 

Esprime il desiderio di conversione? Il numero 21 evoca semplicemente, da parte di coloro che chiedono la benedizione, «la loro sincera apertura alla trascendenza, la fiducia del loro cuore che non confida solo nelle proprie forze, il loro bisogno di Dio e il desiderio di uscire dalle anguste misure di questo mondo chiuso nei suoi limiti».

 

E uscire dal peccato? A quanto pare, questo non è questo il caso. Il che non sorprende, poiché la benedizione è un ascolto, perché, come ogni ascolto, non deve preoccuparsi di risoluzioni efficaci. Avviene in un momento di speranza e aspettativa.

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3. Benedire non è solo ascoltare; deve esprimere anche l’amore di Dio e per questo è tutto a tutti. Certamente non può «offrire una forma di legittimazione morale a una prassi sessuale extra-matrimoniale» (n. 11). Ma «si deve altresì evitare il rischio di ridurre il senso delle benedizioni soltanto a questo punto di vista, perché ci porterebbe a pretendere, per una semplice benedizione, le stesse condizioni morali che si chiedono per la ricezione dei sacramenti».

 

«Tale rischio esige che si ampli ulteriormente questa prospettiva. Infatti, vi è il pericolo che un gesto pastorale, così amato e diffuso, sia sottoposto a troppi prerequisiti di carattere morale, i quali, con la pretesa di un controllo, potrebbero porre in ombra la forza incondizionata dell’amore di Dio su cui si fonda il gesto della benedizione». (N. 12)

 

La benedizione deve quindi esprimere l’amore di Dio in modi differenziati. L’essenziale è non «perdere la carità pastorale, che deve attraversare tutte le nostre decisioni e atteggiamenti» ed evitare di «essere giudici che solo negano, respingono, escludono» (n. 13).

 

4. Il nuovo «magistero» pastorale inaugurato da Giovanni XXIII non mira più a convertire. Tanto varrebbe dire che non cerca più di condurre le anime fuori dal peccato. Ascolta e dialoga. E così facendo, dà al mondo i mezzi per realizzarsi come tale, fuggendo dal materialismo, in un’apertura alla trascendenza.

 

«In fondo, la benedizione offre alle persone un mezzo per accrescere la loro fiducia in Dio. La richiesta di una benedizione esprime ed alimenta l’apertura alla trascendenza, la pietà, la vicinanza a Dio in mille circostanze concrete della vita, e questo non è cosa da poco nel mondo in cui viviamo. È un seme dello Spirito Santo che va curato, non ostacolato» (n. 33).

 

E il peccato? E la conversione? E la salvezza eterna? Non una parola. Vi è stato detto: la benedizione è lì per aiutarvi a cogliere «la presenza di Dio in tutte le vicende della vita».

 

5. Ecco perché «la Chiesa, inoltre, deve rifuggire dall’appoggiare la sua prassi pastorale alla fissità di alcuni schemi dottrinali o disciplinari». Ciò è comprensibile, poiché la benedizione è un aspetto della pastorale e la pastorale consiste nell’ascolto e nel dialogo, nel «cogliere» e nel «ricordare».

 

In questo ambito gli schemi non sono adeguati, danno «luogo ad un elitarismo narcisista e autoritario, dove invece di evangelizzare si analizzano e si classificano gli altri, e invece di facilitare l’accesso alla grazia si consumano le energie nel controllare» (citazione di Papa Francesco al n. 25).

 

Pertanto, «quando le persone invocano una benedizione non dovrebbe essere posta un’esaustiva analisi morale come precondizione per poterla conferire. Non si deve richiedere loro una previa perfezione morale» (n. 25). Perché non si tratta di conversione. Si tratta di dialogo e ascolto.

 

Il principio base di questo ascolto, che è anche il principio base della Nuova Evangelizzazione, è che «noi per Dio siamo più importanti di tutti i peccati che noi possiamo fare, perché Lui è padre, è madre, è amore puro, Lui ci ha benedetto per sempre. E non smetterà mai di benedirci» (n. 27). Se ci atteniamo a questo principio, esiste l’Inferno? E se esistesse, non sarebbe piuttosto vuoto? …

 

Questo principio è quello di «far sentire a quelle persone che rimangono benedette nonostante i loro gravi errori, che il Padre celeste continua a volere il loro bene e a sperare che si aprano finalmente al bene» (ibidem). «Aprirsi al bene»: in che senso?

 

Si tratta solo del «desiderio di uscire dalle anguste misure di questo mondo chiuso nei suoi limiti»? Logicamente sì. Ed è per questo che la conclusione tanto attesa appare inevitabile. Anche le coppie dello stesso sesso hanno il diritto di ricevere la benedizione della Chiesa.

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6. Questa conclusione arriva nero su bianco, non a caso, al numero 31 della Dichiarazione. «Nell’orizzonte qui delineato si colloca la possibilità di benedizioni di coppie in situazioni irregolari e di coppie dello stesso sesso».

 

Viene naturalmente specificato che tale benedizione avrà una «forma [che] non deve trovare alcuna fissazione rituale da parte delle autorità ecclesiali, allo scopo di non produrre una confusione con la benedizione propria del sacramento del matrimonio». E il numero 39 si aggiunge a questa precauzione che vuole essere rassicurante – ci chiediamo anche a chi si rivolge:

 

«Ad ogni modo, proprio per evitare qualsiasi forma di confusione o di scandalo, quando la preghiera di benedizione, benché espressa al di fuori dei riti previsti dai libri liturgici, sia chiesta da una coppia in una situazione irregolare, questa benedizione mai verrà svolta contestualmente ai riti civili di unione e nemmeno in relazione a essi. Neanche con degli abiti, gesti o parole propri di un matrimonio. Lo stesso vale quando la benedizione è richiesta da una coppia dello stesso sesso».

 

Ma il numero 40 si affretta a riaprire le porte chiuse dal numero precedente: «Tale benedizione può invece trovare la sua collocazione in altri contesti, quali la visita a un santuario (Lisieux?), l’incontro con un sacerdote (alla fine della messa?), una preghiera recitata in gruppo (durante la recita dei vespri o del rosario?) o durante un pellegrinaggio (Lourdes, Fatima?)».

 

«Infatti, attraverso queste benedizioni che vengono impartite non attraverso le forme rituali proprie della liturgia, bensì come espressione del cuore materno della Chiesa, analoghe a quelle che promanano in fondo dalle viscere della pietà popolare, non si intende legittimare nulla ma soltanto aprire la propria vita a Dio, chiedere il suo aiuto per vivere meglio, ed anche invocare lo Spirito Santo perché i valori del Vangelo possano essere vissuti con maggiore fedeltà».

 

Le forme rituali proprie della liturgia non sarebbero dunque l’espressione del cuore materno della Chiesa? Sembra di no, poiché il numero 36 specifica che voler fare di queste benedizioni un atto liturgico «costituirebbe un grave impoverimento, perché sottoporrebbe un gesto di grande valore nella pietà popolare ad un controllo eccessivo, che priverebbe i ministri della libertà e della spontaneità nell’accompagnamento pastorale della vita delle persone».

 

Sempre questa dialettica infantile e dannosa tra autorità e libertà, tra legge e carità, tra giustizia e amore. Ricordiamo per il momento che questo tipo di «benedizione» può avvenire all’interno delle chiese e, perché no, alla balaustra, davanti all’altare maggiore.

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7. Queste benedizioni scenderanno «su coloro che, riconoscendosi indigenti e bisognosi del suo aiuto, non rivendicano la legittimazione di un proprio status, ma mendicano che tutto ciò che di vero di buono e di umanamente valido è presente nella loro vita e relazioni, sia investito, sanato ed elevato dalla presenza dello Spirito Santo» (n. 31).

 

Si tratta quindi di un miglioramento, basato su ciò che già è buono, non di una cura. Non si dice assolutamente nulla di ciò che è falso e cattivo, anche umanamente parlando, tanto meno del peccato stesso. Niente di niente, né qui né altrove nel resto del documento. Ma almeno esiste?

 

Ciò che conta è che «le umane relazioni possano maturare e crescere nella fedeltà al messaggio del Vangelo, liberarsi dalle loro imperfezioni e fragilità ed esprimersi nella dimensione sempre più grande dell’amore divino» (ibidem). Imperfezioni e fragilità… Non è dire troppo poco quando si parla di adulterio o di omosessualità?

 

È vero che «la grazia di Dio, infatti, opera nella vita di coloro che non si pretendono giusti ma si riconoscono umilmente peccatori come tutti. Essa è in grado di orientare ogni cosa secondo i misteriosi ed imprevedibili disegni di Dio». Disegni misteriosi e imprevedibili, sì, alcuni corrispondono a ciò che i teologi designano come volontà divina «di beneplacito».

 

Ma c’è anche una volontà divina «significata» e che si esprime in modo niente affatto misterioso ma perfettamente chiaro, e che corrisponde a disegni perfettamente prevedibili: la volontà di Dio così come si esprime attraverso i dieci comandamenti e la legge della Chiesa. Prima di benedire in ogni direzione, non sarebbe opportuno ricordare queste esigenze e sollecitarle con tutta la persuasione possibile?

 

Al numero 40 vengono descritte le ambizioni di questo nuovo ministero pastorale di «aprire la propria vita a Dio, chiedere il suo aiuto per vivere meglio, ed anche invocare lo Spirito Santo perché i valori del Vangelo possano essere vissuti con maggiore fedeltà». L’incoerenza di tali espressioni è troppo vaga per non diventare dilatoria.

 

8. L’impatto di questa Dichiarazione, sinistra e vergognosa al tempo stesso, si farà sentire soprattutto tra i cattolici, che ancora una volta saranno scossi nella loro morale e veramente scandalizzati, cioè spinti – esortati addirittura – a non più semplicemente tollerare, ma ammettere l’inaccettabile.

 

Il risultato più tangibile, nell’immediato futuro, si sente sulle prime pagine di tutti i giornali, dove titolano che il Vaticano autorizza finalmente (è la prima volta) la benedizione delle coppie omosessuali.

 

9. Questa Dichiarazione è dunque davvero scandalosa e lo scandalo che suscita è grande. Dov’è allora la «mola asinaria» del Vangelo (1)?… Ma poiché la bontà di Dio resta grande, sarà senza dubbio necessario creare più spazio nelle chiese della Tradizione, per accogliere – come nella stalla di Betlemme – tutti i poveri cattolici sempre più delusi nella loro fiducia…

 

Don Jean-Michel Gleize

FSSPX

 

NOTE

1) «Chi invece scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare» (Mt, 18, 6).

 

 

Don Jean-Michel Gleize è professore di Apologetica, Ecclesiologia e Dogma al Seminario San Pio X di Econe. È il principale collaboratore del Courrier de Rome. Ha partecipato alle discussioni dottrinali tra Roma e la FSSPX tra il 2009 e il 2011.

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.news.

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Immagine: Tiziano Vecellio, Salvator Mundi, circa 1570, Museo dell’Ermitage San Pietroburgo

Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia.

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Intelligenza Artificiale

Sacerdozio virtuale, errore reale

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«Father Justin» è stato «ridotto allo stato laicale» pochi giorni dopo l’inizio del suo ministero. Non per una storia di abusi, perché «Father Justin» è l’avatar digitale dato a un algoritmo. La vicenda d’oltreoceano potrebbe sembrare aneddotica se non mostrasse, implicitamente, i limiti dell’uso dell’intelligenza artificiale (IA) negli ambiti della fede e della pastorale cristiana.   Catholic Answers è un’associazione dedicata alla difesa della fede cattolica, con sede a El Cajon, California. Gli apologeti che la gestiscono hanno subito capito il vantaggio di investire nell’universo digitale, utilizzando le inesauribili risorse dell’intelligenza artificiale.   È così che è stato sviluppato un algoritmo chiamato Father Justin, ornato da un’immagine generata al computer, che lo rappresenta come un prete barbuto che indossa una talare, in altre parole una sequenza matematica adatta a rispondere alle domande degli internauti sulla fede e sull’insegnamento della Chiesa.   Ma il prete virtuale – o meglio i suoi ideatori, l’IA non produce, in termini di qualità dell’informazione, nulla che non sia in linea con il suo database – non ha seguito un percorso teologico tradizionale: così, Father Justin non vede nessun problema nel battezzare con «Gatorade», una bevanda energetica, quando solo l’acqua costituisce la materia valida per questo sacramento.   Quando un utente chiede la forma del sacramento della penitenza, il robot propone online una formula per l’assoluzione dei peccati, che sarebbe totalmente invalida, poiché l’assoluzione richiede la presenza fisica di un sacerdote validamente ordinato e con giurisdizione per compiere questo atto.   Tuttavia, a una richiesta diretta di essere ascoltato in confessione e assolto, Father Justin spiega: «anche se vorrei aiutarti, non sono in grado di amministrare il sacramento della riconciliazione con questo mezzo. È un sacramento che richiede un incontro personale. Ti incoraggio a trovare una chiesa cattolica e a parlare con un prete».   Di fronte allo scalpore suscitato da questa vicenda, Catholic Answers ha fatto marcia indietro rivestendo il buon Father Justin da laico e promettendo di correggere il suo «chatbot» – il programma informatico che simula ed elabora una conversazione umana, permettendo di interagire con gli utenti – in un senso più coerente con la fede e la moralità cattolica.   Catholic Answers avrà presto un bot affidabile? Possiamo dubitarne, perché un progetto del genere pone un problema: immaginare che un «chatbot» possa svolgere a pieno titolo il ruolo di catechista o di missionario non rivela forse una profonda incomprensione del modo in cui si trasmette la fede?   Se l’Intelligenza Artificiale può rendere accessibile una quantità impressionante di informazioni in tempi record, la nozione di «chatbot» nasconde un’ambiguità: quella di far credere alle persone in una reale interazione personale.   Quando un fedele, o una persona che cerca la verità, si avvicina alla Chiesa, ha diritto di ascoltare delle risposte trasmesse in un vero spirito di fede teologale e di prudenza soprannaturale che supera le capacità numeriche di un algoritmo, anche il più elaborato.   Di fronte alle critiche, Catholic Answers si è difesa in modo poco convincente: «Comprendiamo che alcuni non si sentano a proprio agio con l’intelligenza artificiale. Ma dato che esiste, ci sforziamo di metterlo al servizio del Regno di Dio». Un modo per evitare la radice del problema.   Perché gli strumenti fabbricati dall’uomo hanno uno scopo solo nella misura in cui facilitano la vita veramente umana, permettendo così di risparmiare tempo, non per essere pigri, ma per esercitare le nostre facoltà di conoscenza e le nostre virtù, ed elevare la nostra umanità.   In questo contesto, vogliamo affidare le capacità umane, come la comprensione, il giudizio, le relazioni umane e l’autonomia d’azione, ai software di Intelligenza Artificiale senza conoscere il valore reale di questi sistemi che pretendono di essere intelligenti e cognitivi?   Questa è la sfida etica dei prossimi anni riguardo all’Intelligenza Artificiale, e di cui Father Justin, questa volta, ha pagato il prezzo.   Articolo previamente apparso su FSSPX.news.

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Pensiero

Sterminio e «matrice satanica del piano globalista»: Mons. Viganò invita a «guardare oltre» la farsa psicopandemica

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Monsignor Carlo Maria Viganò ha inviato un suo intervento al convegno «La morte negata», svoltosi il 10 Maggio 2024 presso l’Auditorium Gavirate (Varese).

 

«Uno degli effetti più immediati dell’infernale operazione manipolatoria psicopandemica è costituito dal rifiuto delle masse di riconoscere di essere state oggetto di una colossale frode» dice l’arcivescovo nel suo messaggio.

 

Sotto pretesto di impedire la diffusione di un virus, presentato come mortale e incurabile «si sono costretti miliardi di persone a subire l’inoculazione con un farmaco sperimentale che si sapeva essere inefficace per lo scopo dichiarato. E per fare ciò, le autorità preposte non hanno esitato a screditare le cure esistenti, che di quel siero genico avrebbero reso impossibile l’autorizzazione al commercio».

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«Il motivo di questo istintivo rifiuto delle masse di riconoscersi vittima di un vero e proprio crimine contro l’umanità non toglie però l’evidenza delle intenzioni degli autori di questo crimine. Queste intenzioni, dichiarate da decenni sulla base di una grottesca falsificazione della realtà, si concretizzano in un’azione sistematica volta a favorire la depopolazione del Pianeta mediante pandemie, carestie, guerre e scontri tra diverse fasce della popolazione, impoverimento delle classi più deboli e drastica riduzione di quei servizi pubblici – tra i quali la Sanità e la Previdenza sociale – che lo Stato dovrebbe garantire ai propri cittadini».

 

 

 

«Ma se una lobby di personaggi ricchissimi dichiara di voler ridurre la popolazione mondiale mediante vaccinazioni di massa che provochino sterilità, malattie e morte; e se queste vaccinazioni provocano effettivamente sterilità, malattie e morte in milioni di inoculati, credo dovremmo noi tutti – e rivolgo il mio appello agli illustri giuristi e intellettuali, oltre che ai medici e agli scienziati – alzare lo sguardo e non limitarci ad un’indagine che abbia come unico oggetto gli effetti avversi e mortali del siero sperimentale» dice il prelato.

 

«Se non inquadriamo la gestione della psicopandemia nel contesto più vasto del piano criminale che l’ha progettata, ci precludiamo la possibilità non solo di comprendere la premeditazione del crimine, ma anche di vedere su quali altri fronti siamo o saremo oggetto di nuovi attacchi, che però hanno in comune con questa l’obiettivo finale, ossia l’eliminazione fisica di miliardi di persone».

 

«Le falle del capillare sistema di censura che va instaurandosi in quasi tutti gli Stati occidentali – o meglio: di quelli che soggiacciono ai diktat dell’OMS e della cupola eversiva del World Economic Forum – hanno consentito a molti di noi di vedere dimostrato un dato incontestabile: questi sieri, prodotti da enti governativi usando virus geneticamente modificati con il Gain of Function e sottoposti al segreto militare, non solo non servono a curare la fantomatica malattia da COVID-19, ma inducono gravi effetti avversi e anche la morte; e questo non è dovuto soltanto alla nuova tecnologia mRNA con cui vengono prodotti, ma alla presenza di sostanze che non hanno alcuna attinenza con la dichiarata finalità di combattere il virus» dichiara Viganò.

 

Sostanze, sostiene monsignore, «che guarda caso sono oggetto di brevetti a dir poco inquietanti, depositati ben prima del lancio dell’operazione pandemica».

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«Premesso dunque che questi sieri non fanno quanto dichiarato in sede di approvazione da parte delle agenzie sanitarie, ma che al contrario si dimostrano efficacissimi nell’indurre patologie anche gravissime, nel provocare la morte e nel determinare la sterilizzazione degli inoculati, occorre compiere il passo successivo – che è quello maggiormente temuto dal Sistema che li ha imposti – e dunque denunciare il dolo e la premeditazione – la mens rea, direbbero gli esperti di diritto – di chi ha deliberatamente usato una falsa pandemia per sterminare la popolazione, coerentemente ad una visione folle e antiumana che considera l’umanità come il cancro del Pianeta».

 

«Ecco perché vi invito a compiere il passo successivo, in questa meritoria operazione di verità e di denuncia nella quale siete coraggiosamente impegnati».

 

«Non fate le domande sbagliate, perché ne avrete risposte sbagliate. Se partite dal presupposto che le Autorità sanitarie abbiano agito con scopi leciti e che gli errori commessi siano dovuti ad imperizia o alla pressione dell’emergenza; se date per scontato che i produttori del siero genico abbiano come finalità la cura delle malattie e non il più cinico profitto e la creazione di malati cronici, finite col falsificare la realtà e le conclusioni cui giungerete saranno necessariamente fuorvianti».

 

«Abbiate piuttosto un approccio forense, per così dire, in modo che appaia evidente la perfetta coerenza tra gli strumenti adottati e i risultati ottenuti, a prescindere dagli scopi dichiarati; sapendo che le vere motivazioni, proprio per la loro intrinseca volontà di nuocere, non potevano che essere dissimulate e negate. Chi mai ammetterebbe, prima di imporre fraudolentemente una terapia genica di massa, che l’obiettivo che intende raggiungere è far ammalare, uccidere o rendere sterile una vastissima fascia della popolazione mondiale?»

 

«Ma se questo è ciò che l’ideologia neomalthusiana si prefigge; se vi sono prove che dolosamente sono stati nascosti gli effetti avversi dei sieri; se nei differenti lotti sono presenti sostanze che non hanno alcuna giustificazione profilattica ma che al contrario inducono patologie e consentono manomissioni del DNA umano, le conclusioni logiche non possono non evidenziare la volontà criminale, e quindi la complicità colpevole di Istituzioni pubbliche, enti privati, addirittura dei vertici della Gerarchia cattolica, dei media (…) della intera classe medica (…) in un’operazione di sterminio di massa» dice ancora Monsignore.

 

«La domanda che ora dobbiamo porci – e che dobbiamo porre a chi pretende di governarci e di imporci norme e comportamenti che influiscono direttamente sulla nostra vita quotidiana e sulla nostra salute – non è perché i sieri siano stati imposti ancorché dimostratamente dannosi e mortali, ma per quale motivo nessun organo dello Stato – il cui fine ultimo è il bene comune, la salute e il benessere dei cittadini – abbia posto fine a questo crimine, ed anzi se ne sia reso complice giungendo a violare i diritti fondamentali e a calpestare la Costituzione» continua il prelato.

 

«Quis custodiet ipsos custodes? chiede Giovenale (Satire, VI, 48-49). Se un sistema di governo giunge a strutturarsi in modo tale che chi è costituito in autorità possa nuocere a coloro che devono obbedirgli; se forze non legittimate da alcun mandato politico o sociale riescono a manovrare interi governi e istituzioni sovranazionali con l’intento di appropriarsi del potere e di concentrare nelle proprie mani ogni strumento di controllo e ogni risorsa – finanza, salute, giustizia, trasporti, commercio, alimentazione, istruzione, informazione; se una cupola eversiva può vantarsi pubblicamente di avere premier, ministri e funzionari al proprio servizio, dobbiamo aprire gli occhi e denunciare il venir meno di quel patto sociale che sta alla base della convivenza civile e che legittima la delega dell’autorità da parte del popolo ai propri rappresentanti».

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«Da qui, inevitabilmente, dovrà scaturire la consapevolezza che la pandemia – così come l’emergenza climatica e tutte le altre pseudocatastrofi prospettate a scopo intimidatorio dalla medesima lobby – costituisce un tassello fondamentale nel quadro di un più vasto colpo di Stato globale cui occorre opporsi, che è imprescindibile denunciare e i cui responsabili – tanto ai vertici di queste organizzazioni eversive quanto nei Governi, nelle Istituzioni pubbliche e nella Chiesa Cattolica – andranno inesorabilmente processati e condannati per alto tradimento e per crimini contro l’umanità» sostiene il religioso.

 

«Ma per fare questo – dovrete darmene atto, dopo quattro anni – è indispensabile comprendere che questa lobby criminale agisce per il Male, serve il Male, persegue la morte non solo del corpo ma anche dell’anima di ciascuno di noi; che i suoi emissari sono servi di Satana, votati alla distruzione di tutto ciò che ricorda anche lontanamente l’opera perfetta della Creazione, che rimanda all’atto generoso e gratuito con cui il Creatore infonde la vita. Satana è omicida sin dal principio (Gv 8, 44) e chi lo serve non può che volere la morte, qualsiasi sia il mezzo con cui infliggerla».

 

«Fingere di aver a che fare con dei vili mercanti interessati solo al denaro e non vedere la matrice satanica del piano globalista costituisce un imperdonabile errore che nessuno di noi può compiere, se vogliamo davvero fermare la minaccia incombente sull’umanità intera» conclude monsignor Viganò.

 

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Geopolitica

La polifonia vaticana sulla guerra in Ucraina

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Mentre il conflitto tra Ucraina e Russia entra nel suo terzo anno, nelle dichiarazioni ufficiali della Santa Sede sono emersi diversi punti di vista, sia da parte del Santo Padre che dei servizi diplomatici della Segreteria di Stato.   Sinfonia? Cacofonia? Dissonanza intenzionale? Che si sia entusiasti o meno dell’attuale pontificato, varia notevolmente l’apprezzamento delle differenze di tono che si osservano al di là del Tevere nella trattazione del conflitto russo-ucraino.   Da parte del Papa, Papa Francesco ripete da mesi costantemente i suoi appelli alla pace per la ragione che «la guerra è sempre una sconfitta» e che coloro che vincono sono i “fabbricanti di armi”. È una posizione che ha il merito di restare immutata.   In un’intervista alla televisione svizzera RTS del 2 febbraio 2024, andata in onda a marzo, il Papa ha invitato l’Ucraina ad avere «il coraggio di negoziare»: «credo che il più forte sia chi vede la situazione, chi pensa del popolo, che ha il coraggio della bandiera bianca, di negoziare», ha dichiarato, chiedendo che la mediazione venga effettuata da un paese che lo ha offerto, come la Turchia.   Sarà un negoziato necessario per evitare il «suicidio» del Paese. Il Papa ha poi risposto a una domanda sul tema del «bianco», parlando delle virtù del bianco ma anche della «bandiera bianca». Le sue dichiarazioni hanno innescato una crisi diplomatica tra Santa Sede e Ucraina, ma che avrebbero lo scopo di sottolineare la posizione pacifista di un Papa che mette la sacralità della vita al di sopra di ogni altra cosa.   Per il capo della diplomazia ucraina, a cui si uniscono le voci più critiche all’interno della Chiesa nei confronti dell’attuale Romano Pontefice, si tratterebbe di un atteggiamento che evoca la «neutralità osservata da Pio XII durante la Seconda Guerra Mondiale».

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Il Vaticano ha tentato di chiudere la polemica: «il Papa usa il termine bandiera bianca, e risponde riprendendo l’immagine proposta dall’intervistatore, per indicare una cessazione delle ostilità, una tregua raggiunta con il coraggio del negoziato», ha spiegato il direttore della Lo ha affermato la Sala Stampa della Santa Sede.   Il 24 aprile Francesco insisteva e affermava in una nuova intervista concessa al canale americano CBS: «cercate di negoziare. Cerca la pace. Una pace negoziata è meglio di una guerra senza fine», sottolinea il Sommo Pontefice, alludendo sia alla guerra in Ucraina che alla situazione a Gaza.   Da parte della Segreteria di Stato i toni non sono esattamente gli stessi. Dall’inizio del conflitto, la diplomazia vaticana non ha mai difeso una capitolazione dell’Ucraina. In più occasioni, i suoi due più alti funzionari, il cardinale Pietro Parolin e l’arcivescovo Paul Gallagher, hanno ammesso pubblicamente la legittimità di una guerra difensiva, inviando anche armi per realizzarla.   In una recente intervista con la rivista America del 25 marzo 2024, l’arcivescovo Gallagher ha affermato di ritenere che «la Russia non stabilisce le condizioni necessarie [per negoziare]. Le condizioni necessarie, che sono nelle mani della Russia, sono fermare gli attacchi, fermare i missili». Afferma anche della Santa Sede che «non sosteniamo che i confini dei paesi debbano essere modificati con la forza».   I gesuiti della Civiltà Cattolica – rivista influente in Italia, e teoricamente vidimata dalla Santa Sede prima della pubblicazione – hanno difeso una posizione diversa da quella di Papa Francesco e della Segreteria di Stato, sostenendo una futura controffensiva ucraina e un sostegno più forte dall’Europa e dalla NATO per l’Ucraina. Cosa si può dire di questo concerto a più voci?   Un funzionario vaticano, citato in condizione di anonimato da La Croix, riassume la situazione dipingendo un quadro sfumato della più antica diplomazia del mondo: «Siamo neutrali ma senza indifferenza etica. La storia è più complessa di un mondo in bianco e nero. Per noi Ucraina e Russia non sono due realtà sociopolitiche completamente separate…»   Articolo previamente apparso su FSSPX.news.

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Immagine di Catholic Church England and Wales via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 2.0 Generic    
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