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Vescovo vieta la messa antica, la comunione in ginocchio e pure le balaustre

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Il vescovo di Charlotte è pronto a emanare ulteriori restrizioni sulla liturgia nei prossimi giorni, criticando duramente l’uso del latino, i paramenti tradizionali, le balaustre dell’altare e molti aspetti delle normali cerimonie liturgiche.

 

Un lungo documento pubblicato sul blog americano Rorate Caeli, descritto come il testo di una prossima lettera del vescovo Michael T. Martin di Charlotte, contiene ancora più restrizioni alla liturgia della Chiesa, a meno di una settimana dall’annuncio di divieti totali sulla messa tradizionale.

 

Rorate Caeli, descrivendo il testo come proveniente da fonti interne alla diocesi, scrive che la lettera dovrebbe essere pubblicata dal vescovo «nei prossimi giorni». Anche il sito statunitense di notizie cattoliche The Pillar aveva anticipato la comparsa di un simile documento in un articolo pubblicato giovedì.

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Nominata diocesi da papa Francesco poco più di un anno fa, le successive regole liturgiche di Martin sembrano destinate a distruggere la storia di successo dell’armonia liturgica che la diocesi di Charlotte ha raggiunto negli ultimi anni.

 

Le restrizioni di Martino non si limitano a colpire gli aspetti liturgici della Messa latina, ma ora sembra aver trovato difetti in molti elementi della liturgia del Novus Ordo. Tra le altre cose, monsignor Martin condanna:

 

  • L’uso del latino,
  • I  sacerdoti che pregano prima e dopo la Messa,
  • La riverenza dei fedeli nell’inginocchiarsi per la Santa Comunione
  • I paramenti ornati, affermando che il ricorso a qualsiasi atto tradizionale di riverenza da parte dei sacerdoti durante la purificazione degli oggetti sacri «manca di una comprensione autentica degli accidenti e della sostanza dell’Eucaristia».
  • Il latino: riguardo all’uso del latino nella Messa: «la partecipazione piena, consapevole e attiva dei fedeli è ostacolata ovunque si utilizzi il latino», scrive Martin. «Non riesco a comprendere perché una minoranza di fedeli, che ammette di non capire il latino, sostenga una rinascita della lingua latina nella nostra diocesi, rendendo la liturgia incomprensibile per tutti tranne che per pochi fedeli».

 

 

Dopo aver espresso la sua opinione personale sulla «minoranza rumorosa», monsignor Martin ha condannato gli individui che fanno appello ai documenti della Chiesa a favore della lingua latina, sostenendo che lo fanno «per giustificare le loro scelte e preferenze personali».

 

In effetti, il latino nella liturgia «fomenta due tendenze inaccettabili», ha affermato. Queste sono state identificate come «un rifiuto del Novus Ordo Missae» e la divisione della comunità tra «chi ha e chi non ha: chi capisce e chi non capisce».

 

«Il latino sminuisce il ruolo dei laici nella Messa», ha affermato Martin. «Sono privati ​​della partecipazione piena, consapevole e attiva a cui hanno un legittimo diritto».

 

Pertanto, ha stabilito che «nelle Messe con i fedeli, la lingua volgare deve essere mantenuta per tutte le parti della Messa. Le parti della Messa in latino devono essere scelte giudiziosamente solo per quelle particolari celebrazioni in cui la maggior parte dei partecipanti capisce la lingua».

 

Pur evitando di vietare formalmente ai cattolici di ricevere la Santa Comunione sulla lingua – una pratica che, come monsignor Martin sa, è esplicitamente difesa dal Vaticano – il vescovo ha cercato di denigrarla in ogni altro modo possibile.

 

«Dire ai fedeli che inginocchiarsi è più riverente che stare in piedi è semplicemente assurdo», ha scritto.

 

Martin ha anche difeso l’uso di ministri laici dell’Eucaristia, affermando: «nessun ministro potrà mai insegnare che è meglio ricevere la Santa Comunione da un sacerdote piuttosto che da un ministro straordinario della Santa Comunione».

 

Egli ha infatti condannato quei sacerdoti che hanno rimosso ministri laici e chierichetti e istituito balaustre per la comunione nelle loro chiese, sostenendo che tali azioni «frustrano la capacità dei fedeli di ricevere la Santa Comunione sotto entrambe le specie, segno più completo del banchetto eucaristico».

 

Di conseguenza, il Martin ha vietato le balaustre e gli inginocchiatoi nella sua diocesi, in una mossa che ricordava molto le conseguenze immediate del Concilio Vaticano II.

 

 

Il vescovo avrebbe inoltre proibito anche la pratica di fare il segno della croce con l’ostia sacra – come avviene nella liturgia del 1962 – prima di distribuire la Comunione.

 

Inoltre, il vescovo ha preso di mira «le donne che hanno scelto di indossare il velo come espressione di pietà personale», intimando loro di «non farlo quando assistono in qualsiasi veste ufficiale (lettore, cantore, chierichetto, usciere, ecc.) alla messa».

 

Nel frattempo, è severamente vietata qualsiasi restrizione ai soli uomini dei ruoli laici durante la Messa. Martin scrive che «a nessuno può essere negato un ruolo liturgico proprio dei fedeli in base al loro genere».

 

«La Messa deve essere celebrata rivolta verso il popolo», ha detto Martin, citando erroneamente l’Ordinamento generale del Messale Romano (OGMR). L’OGMR stesso consente la celebrazione della Messa ad orientem, e l’ufficio liturgico del Vaticano ha rilasciato diverse dichiarazioni a difesa di questa possibilità.

 

In una lettera del 2000, la Congregazione per il Culto Divino ha spiegato le rubriche del Messale Romano, confermando che il culto ad orientem non è proibito e ricordando inoltre ai vescovi che «sarebbe un grave errore immaginare che l’orientamento principale dell’azione sacrificale sia verso la comunità».

 

A solo un anno dal suo incarico di vescovo della diocesi, Martin sembra nutrire un particolare risentimento nei confronti del fatto che il suo clero preghi prima e dopo la celebrazione della Messa. Il suo nuovo dettato affronta questo aspetto:

 

Nei libri liturgici attuali non è prevista alcuna opzione che prescriva preghiere specifiche per la vestizione o la deposizione delle vesti sacre. La preparazione orante prima della Messa e il ringraziamento dopo la Messa devono svolgersi in altro modo e, se possibile, in comune con gli altri ministri assistenti.

 

Inoltre, apparentemente desideroso di stroncare rapidamente qualsiasi tendenza alla tradizione liturgica, Martin ha proibitol’uso di berrette, stole incrociate, manipoli, camici ornati o pianete romane. «Questi paramenti», ha detto, «sono visti e compresi dai fedeli come un chiaro segno di un sacerdote celebrante che predilige la vita liturgica (e forse teologica) della Chiesa prima del Concilio Vaticano II, dato che questi paramenti non si vedono più nella maggior parte delle chiese del mondo dagli anni ’60. La veste sacerdotale non è intesa come luogo per fare tali affermazioni, intenzionali o meno».

 

Le direttive molto dettagliate del Martin rivelavano opinioni personali riguardo alla liturgia e anche la sua comprensione della teologia alla base del sacrificio della Messa. A questo proposito, le più notevoli furono le istruzioni che diede al suo clero su come l’altare fosse principalmente qualcosa da rendere visibile alla congregazione, piuttosto che un luogo in cui offrire il sacrificio.

 

Con ciò in mente, il vescovo «ha chiesto quello che potrebbe essere descritto solo come il sogno ad occhi aperti dei modernisti liturgici» nota LifeSite:

 

«Si raccomanda di non utilizzare il messale in favore della sua collocazione sulla tavola dell’altare».

 

«Disporre le candele “intorno all’altare, poiché collocarle sull’altare ostruirebbe sempre la vista dei fedeli”».

 

«Disporre la croce orizzontalmente sull’altare “affinché la vista dei fedeli non sia ostruita”».

 

Si raccomanda inoltre l’uso di proiettori digitali in chiesa per

  • testi musicali (ed eventuale notazione musicale);
  • traduzione delle letture durante la liturgia della Parola nelle comunità bilingue;
  • risposte comuni alla Messa nelle congregazioni bilingue o in altre celebrazioni liturgiche in cui normalmente si usa un programma stampato;
  • trasmettere un’omelia preregistrata del vescovo o brevi video creati per la congregazione che possono essere presentati dopo la preghiera conclusiva e prima della benedizione finale
  • Vietare l’uso delle campane per annunciare l’ingresso del clero per la messa.

 

E ancora: rendere obbligatorio lo scambio della pace durante la liturgia.

 

Le azioni di Martin vanno oltre il semplice tentativo di limitare la Messa tradizionale, come ha fatto la scorsa settimana, e ora impongono rigide restrizioni alla Messa, sviluppate dopo il Concilio Vaticano II. Pietà e riverenza sono condannate dal vescovo, in quanto mostrano scrupolosità e ostacolano la «partecipazione» dei fedeli.

 

Al loro posto viene data priorità alla comprensione protestante della Messa principalmente come pasto: «il simbolismo del pasto rituale deve essere reso il più chiaro e manifesto».

 

 

«In effetti, le nuove restrizioni di Martin – come riportato da Rorate – sembrano suggerire una massima accettazione del pensiero antiliturgico presente nella Chiesa da decenni, in cui la liturgia è posta come incentrata sull’uomo piuttosto che su Dio» scrive LifeSite..

 

Nelle ultime ore, tuttavia, è arrivata una sorta di smentita da parte della diocesi, che sostiene che il documento fatto circolare in realtà era solo «una bozza iniziale».

 

L’attivista per la messa tradizionale Peter Kwaniewski ha fatto dunque circolare sui social una nota interna trapelata della diocesi di Charlotte delinea il modo in cui i funzionari diocesani dovranno gestire le obiezioni alla soppressione e al trasferimento delle Messe latine tradizionali all’interno della diocesi.

 

Intitolato «Implementazione della Traditionis Custodes nella diocesi di Charlotte 2025: risposte alle preoccupazioni», fornisce ai sacerdoti risposte preconfezionate alle obiezioni in seguito alla decisione di trasferire tutti i tradizionalisti diocesani in un’ex chiesa protestante a Mooresville.

 

Il  documento sostiene che «un’ondata crescente di aderenti al Messa tradizionale nega la validità e la legittimità della riforma liturgica» e giustifica su questa base le azioni contro tutti coloro che preferiscono il vetus ordo.

 

Come riportato da Renovatio 21, un caso non dissimile, sia pur estemporaneo ed improvvisato, di postconciliarismo liturgico lo abbiamo veduto anche in Italia pochi giorni fa, quando l’arcivescovo di Chieti-Vasto Bruno Forte ha strigliato in chiesa tre parrocchiani che volevano ricevere la Santa Eucarestia sulla lingua, affermando che qualsiasi cattolico che scelga di ricevere la Comunione sulla lingua non solo è «disobbediente» alla gerarchia ecclesiastica, ma commette anche il peccato di orgoglio.

 

«Chi non lo fa, fa un atto di orgoglio, si crede più saggio e più esperto del papa e dei vescovi che hanno deciso che la Comunione si prende in mano».

 

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Non è chiaro da dove il monsignore esperto tragga l’ordine secondo cui «la Comunione si prende in mano» secondo la volontà di Chiesa, papa e vescovi. La Santa Comunione sulla lingua è stata la norma nella Chiesa per oltre 1.300 anni, mentre la Comunione sulla mano si è diffusa a livello mondiale solo con le riforme degli anni Settanta.

 

Nell’istruzione Memoriale Domini papa Paolo VI scrive della Comunione sulla lingua: «Questo modo di distribuire al Comunione, tenuta presente nel suo complesso la situazione attuale della Chiesa, si deve senz’altro conservare, non solo perché poggia su di una tradizione plurisecolare, ma specialmente perché esprime e significa il riverente rispetto dei fedeli verso la Santa Eucaristia. Non ne è per nulla sminuita la dignità della persona dei comunicandi; tutto anzi rientra in quel doveroso clima di preparazione, necessario perché sia più fruttuosa la Comunione al Corpo del Signore».

 

L’arcivescovo è ritenuto da alcuni osservatori come teologo pro-LGBT che ha introdotto il tema dell’omosessualità al Sinodo per la famiglia.

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Danimarca, l’esecutivo nota una secolarizzazione sfinita

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In Danimarca è emerso un fenomeno unico, passato inosservato ai media mainstream. All’inizio di giugno, il primo ministro danese Mette Frederiksen, parlando pubblicamente in un’università, ha dichiarato: «abbiamo bisogno di una forma di riarmo che sia altrettanto essenziale [del riarmo militare]. È un riarmo spirituale». Questa consapevolezza senza precedenti, che si spera si diffonda.   Il Partito Socialdemocratico Danese, a cui appartiene il primo ministro, non gode di una reputazione di bigottismo: ha ampiamente contribuito a ridurre l’influenza della Chiesa protestante danese nella sfera pubblica. Tuttavia, la Frederiksen aveva già sorpreso tutti all’inizio di quest’anno annunciando un importante riarmo militare: un’estensione della coscrizione obbligatoria, un aumento significativo della spesa per la difesa e un addestramento intensificato a tutti i livelli.   Tuttavia, incombe un problema profondo, che il capo dell’esecutivo danese, cosa insolita per un leader occidentale, ha osato nominare. Molti giovani danesi sono riluttanti a combattere. Alcuni ammettono apertamente che non sacrificherebbero la propria vita per la Danimarca, né per la democrazia, né per la bandiera, tanto meno per un moderno stato sociale che promette tutto ma non ispira nulla.

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Questa crisi non riguarda solo la Danimarca; riguarda tutte le società post-cristiane. Pone una domanda, sotto forma di sfida, che le nazioni europee farebbero bene ad affrontare: cosa unisce un popolo quando i sistemi puramente umani in cui credeva iniziano a vacillare? Come diceva Péguy, bisogna sempre dire ciò che si vede, ma la parte più difficile è vedere ciò che si vede.   La Danimarca è una delle nazioni più secolarizzate al mondo. Il protestantesimo è ancora la religione di Stato, ma svolge solo un ruolo marginale nella vita della maggior parte dei cittadini. La religione è stata a lungo relegata alla sfera privata. Lo Stato ha gradualmente assorbito le funzioni assegnate alla religione: assistenza ai poveri, educazione civica, funerali, matrimoni civili, etc.   Il primo ministro del governo danese invita quindi la Chiesa protestante danese a rivendicare il suo giusto posto. In un’intervista al quotidiano cristiano Kristeligt Dagblad, Mette Frederiksen si è spinta oltre, esortando il protestantesimo di Stato a non accontentarsi di essere un’istituzione culturale, ma a tornare a essere un pilastro della vita nazionale.   «Credo che le persone si rivolgeranno sempre più alla Chiesa», ha affermato, «perché offre un naturale senso di comunità e un’ancora nazionale. (…) Lo spazio religioso ha sostenuto le persone in molte crisi. Penso che la Chiesa scoprirà che i tempi attuali richiedono una riscoperta di uno spazio religioso».   Infine, in una riflessione che sarebbe stata inconcepibile per una leader socialdemocratica danese solo dieci anni fa, conclude: «se fossi la Chiesa, mi chiederei ora: come possiamo essere un quadro sia spirituale che fisico per ciò che i danesi stanno attraversando?»   Questo non vuol dire, tuttavia, che il primo ministro danese abbia percorso la via di Damasco: si tratta piuttosto di una dichiarazione di realismo politico. La Frederiksen riconosce che diritti, servizi pubblici e tutele sociali non sono sufficienti a sostenere una società. I ​​cittadini non rischieranno la vita per una democrazia burocratica. Ma combatteranno per ciò che ritengono sacro.   La Danimarca sta scoprendo ciò che molte nazioni occidentali stanno – si spera – iniziando a comprendere: un sistema costruito su comfort, diritti e libertà individuale non lascia nulla da difendere quando le avversità colpiscono. Eppure le avversità – sotto forma di guerra, minacce o sacrifici – stanno tornando sul continente europeo.   Ciò che sta diventando evidente in Danimarca sono i limiti di una governance secolarizzata, l’esaurimento di un secolarismo meno aggressivo e totalitario che in Francia. Diritti e libertà, per quanto nobili, non esistono nel vuoto. Sono il frutto di una visione etica più profonda, radicata nella trascendenza, nella religione e nella comprensione della verità, del bene e della bellezza. Separata da queste radici, la società si sgretola. E quando il sacrificio diventa necessario, la volontà di compierlo svanisce.   Ironicamente, persino coloro che hanno sostituito la Chiesa con lo stato sociale stanno iniziando a sentire il terreno tremare sotto i piedi e invocano i giorni delle cattedrali. Speriamo che questa epidemia di lucidità si diffonda oltre i fiordi della Scandinavia.   Articolo previamente apparso su FSSPX.News

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Mons. Eleganti: le riforme del Vaticano II sono state un esperimento «sconsiderato» e «fallito»

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Renovatio 21 pubblica il testo del già vescovo ausiliare della diocesi di Coira Marian Eleganti, OSB apparso su LifeSiteNews.

 

Sono nato nel 1955 e da bambino ero un chierichetto entusiasta. All’inizio ho servito con il vecchio rito, sempre un po’ nervoso per non sbagliare le risposte in latino, poi sono stato riqualificato nel bel mezzo dell’azione per la cosiddetta Nuova Messa.

 

Da bambino, ho assistito all’iconoclastia nella venerabile Chiesa di Santa Croce nella mia città natale. Gli altari gotici scolpiti furono abbattuti davanti ai miei occhi di bambino. Ciò che rimase fu un altare popolare, una sala del coro vuota, la croce nell’arco del coro, Maria e San Giovanni a sinistra e a destra su pareti bianche e spoglie. Nuove vetrate inondate dal sole nascente a Est. Nient’altro: fu un disboscamento senza precedenti. Noi bambini trovammo tutto normale e appropriato, e risparmiammo diligentemente per il nuovo pavimento in pietra, per dare il nostro contributo alla riforma o al restauro della chiesa.

 

L’euforia del concilio era portata ovunque dai sacerdoti, venivano convocati sinodi, ai quali io stesso partecipai da adolescente. Non avevo assolutamente idea di cosa stesse succedendo.

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Da novizio ventenne, ho sperimentato in prima persona – e dolorosamente – le tensioni liturgiche tra i tradizionalisti e i progressisti tra i riformatori. Furono introdotte nuove professioni ecclesiastiche, come quella dell’assistente pastorale (per lo più sposato). Ricordo i miei commenti critici a riguardo, perché le tensioni e i problemi che lentamente si stavano delineando tra ordinati e non ordinati erano prevedibili fin dall’inizio. Il calo del numero di candidati al sacerdozio era prevedibile e divenne presto evidente.

 

Da giovane, ho sostenuto senza riserve il Concilio e in seguito ne ho studiato i documenti con assoluta fiducia. Tuttavia, dall’età di 20 anni, ho notato diverse cose: la desacralizzazione della sala del coro, del sacerdozio e della Santa Eucaristia, così come la ricezione della Comunione, e l’ambiguità di alcuni passaggi nei documenti conciliari. Da giovane laico ancora privo di formazione teologica, ho notato tutto questo molto presto.

 

Sebbene il sacerdozio fosse stata l’opzione più forte nel mio cuore fin dall’infanzia, non sono stato ordinato sacerdote fino all’età di 40 anni. Sono cresciuto con il Concilio, sono diventato maggiorenne e ho potuto osservarne gli effetti fin da quando si è svolto. Oggi ho 70 anni e sono vescovo.

 

Guardando indietro, devo dire che la primavera della Chiesa non è mai arrivata; al suo posto è arrivato un declino indescrivibile nella pratica e nella conoscenza della fede, una diffusa difformità e arbitrarietà liturgica (a cui io stesso ho contribuito in parte senza rendermene conto).

 

Da una prospettiva odierna, vedo tutto con crescente critica, incluso il Concilio, i cui testi la maggior parte delle persone ha già abbandonato, invocandone sempre lo spirito. Cosa non è stato confuso con lo Spirito Santo e attribuito a Lui negli ultimi 60 anni? Cosa è stato chiamato «vita» che non ha portato vita, ma piuttosto l’ha dissolta?

 

I cosiddetti riformatori volevano ripensare il rapporto della Chiesa con il mondo, riorganizzare la liturgia e rivalutare le posizioni morali. E lo stanno ancora facendo. Il tratto distintivo della loro riforma è la fluidità nella dottrina, nella moralità e nella liturgia, l’allineamento con gli standard secolari e la spietata rottura post-conciliare con tutto ciò che era accaduto prima.

 

Per loro, la Chiesa è innanzitutto ciò che è stata dal 1969 (Editio Typica Ordo Missae, Cardinale Benno Gut). Ciò che è venuto prima può essere trascurato o è già stato rivisto. Non si torna indietro. I più rivoluzionari tra i riformatori erano sempre consapevoli dei loro atti rivoluzionari. Ma la loro riforma postconciliare, i loro processi, sono falliti – su tutta la linea. Non sono stati ispirati. L’altare del popolo non è un’invenzione dei Padri conciliari.

 

Io stesso celebro la Santa Messa nel Nuovo Rito, anche privatamente. Tuttavia, grazie alla mia attività apostolica, ho riscoperto la vecchia liturgia della mia infanzia e ne noto la differenza, soprattutto nelle preghiere e nelle posture, e naturalmente nell’orientamento.

 

Retrospettivamente, l’intervento postconciliare nella forma liturgia, vecchia di quasi duemila anni e molto coerente, mi sembra una ricostruzione piuttosto violenta e provvisoria della Santa Messa negli anni successivi alla conclusione del Concilio, che è stata associata a grandi perdite che devono essere affrontate. Ciò è stato fatto anche per ragioni ecumeniche

 

Molte forze, anche da parte protestante, sono state direttamente coinvolte in questo sforzo di allineare la liturgia tradizionale con l’Eucaristia protestante e forse anche con la liturgia ebraica del Sabato. Ciò è stato fatto in modo elitario, dirompente e sconsiderato dalla Commissione Liturgica Romana e imposto all’intera Chiesa da Paolo VI, non senza causare gravi fratture e lacerazioni nel corpo mistico di Cristo, che persistono ancora oggi.

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Una cosa è certa per me: se si riconosce un albero dai suoi frutti, è urgente una rivalutazione spietata e veritiera della riforma liturgica postconciliare: storicamente onesta e meticolosa, non ideologica e aperta, come la nuova generazione di giovani credenti che non conoscono né leggono i testi del Concilio. E non hanno problemi con la nostalgia perché conoscono la Chiesa solo nella sua forma attuale. Sono semplicemente troppo giovani per essere tradizionalisti. Tuttavia, hanno sperimentato come funzionano le parrocchie oggi, come celebrano la liturgia e ciò che resta della loro socializzazione religiosa attraverso la parrocchia: molto poco! Per questo motivo, non sono nemmeno progressisti.

 

Dal punto di vista odierno, il cattolicesimo liberale o progressismo degli anni Settanta, più recentemente sotto le spoglie del Cammino Sinodale, ha fatto il suo tempo e ha spinto la Chiesa in un vicolo cieco. La frustrazione è di conseguenza grande. La possiamo vedere ovunque. Le funzioni domenicali e feriali sono frequentate principalmente da anziani. I giovani sono assenti, tranne che in alcuni punti caldi della Chiesa, che sono rari e distanti tra loro.

 

La riforma si sta autogestendo perché nessuno ci va più o legge i risultati, una legge ferrea.

 

Come è possibile che la riforma postconciliare venga ancora considerata in modo così acritico e ristretto, misurata dai suoi frutti? Perché un esame onesto della tradizione e della nostra storia (della Chiesa) non è ancora possibile? Perché non si vuole vedere che siamo a un bivio e che dovremmo fare il punto della situazione, soprattutto liturgicamente?

 

Essere o non essere, in termini di fede e di vita ecclesiale, si decide sulla base della liturgia. È qui che la Chiesa vive o muore. Tradizionalisti e progressisti hanno correttamente valutato questo aspetto fin dal 1965.

 

Allora perché la tradizione è in aumento tra i giovani? Cosa la rende così attraente per i giovani? Pensateci! I piedi votano, non i concili. Forse dovremmo semplicemente cambiare direzione! Capito?

 

+ Marian Eleganti, OSB

Già vescovo ausiliare della diocesi di Coira, Svizzera

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Immagine: Santa Messa tradizionale nella Chiesa dell’Assunzione e di San Carlo Magno, Praga

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Mons. Viganò: il sacerdozio conciliare e la sua mediocrità fanno gioire Satana

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Renovatio 21 pubblica quest’omelia dell’arcivescovo Carlo Maria Viganò.   

Fulget Crucis mysterium

Omelia nell’Esaltazione della Santa Croce in occasione del conferimento della Sacra Tonsura e dell’Ostiariato

Indue me, Domine, novum hominem, qui secundum Deum creatus est, in justitia, et sanctitate veritatis.

Ef 4, 24

    Tre sono le ragioni di festa e di gioia di questo giorno benedetto.   La prima è certamente la ricorrenza liturgica dell’Esaltazione della Santa Croce, che quest’anno cade provvidenzialmente nel giorno di domenica, a celebrare il trono sul quale è assiso l’Agnello Redentore. Oggi la Croce campeggia nel vessillo del Signore Risorto.   La seconda è che dopo anni di prove ed incertezze, ci ritroviamo riuniti come una famiglia nel senso antico del termine: un microcosmo organizzato sul modello di una comunità canonicale di vita in comune. Ci ritroviamo a vedere incoraggiata da un Vescovo, Successore degli Apostoli, la piccola Fraternità Sacerdotale della Familia Christi che dopo anni di tribolazioni riprende vita nella speranza di una rinnovata fecondità.   La terza ragione della nostra gioia in questo giorno è che durante questa Messa Pontificale conferisco la Sacra Tonsura a Mauro e Antonio e l’Ostiariato a Claudio. Ringraziamo dunque il Signore per la grazia che ci concede di veder crescere la nostra Comunità e nascervi nuove Vocazioni.

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La Sacra Tonsura è, nella vita di un chierico, uno dei momenti più importanti e altamente simbolici. Con il taglio dei capelli, cari Mauro e Antonio, rinunciate al mondo, per portare anche esteriormente il segno della vostra totale appartenenza a Dio. L’abito clericale e la tonsura vi identificano e vi rendono riconoscibili a tutti: chi vi incontrerà per strada, vedrà prima il vostro abito e poi voi che lo indossate.

 

Esso ricopre con i meriti di Nostro Signore le vostre umane debolezze, e mentre scompare l’uomo, appare il consacrato e il Ministro di Dio. Non dimenticate che questa vostra visibilità, se da un lato vi designa come discepoli di Nostro Signore, dall’altro vi impone di testimoniare con le opere e con una vita esemplare la vostra appartenenza alla Santa Chiesa.

 

Indossate l’uomo nuovo, creato a immagine di Dio nella giustizia e nella santità della verità, vi esorta l’Apostolo Paolo (Ef 4, 24). Nella giustizia e nella santità della verità: perché la verità è giusta e santa, in quanto promana da Dio, che è Verità somma, somma Giustizia e somma Santità.

 

Con l’Ostiariato, caro Claudio, sei reso degno di aprire e chiudere le porte del tempio e di suonare le campane per chiamarvi i fedeli. Quest’Ordine Minore ti conferisce le grazie di stato anche per allontanare dalla Casa di Dio chi ne è indegno, spronandoti ad essere tu stesso degno di dimorarvi cum timore et tremore (Fil 2, 12). O quam terribilis est locus iste (Gen 28, 17), esclama Giacobbe dopo il sogno in cui vede la scala che collega la terra al cielo, con angeli che salgono e scendono, e Dio che gli parla. Vere non est hic aliud nisi domus Dei et porta cœli. Luogo terribile, maestoso e solenne, in cui il Sacrificio perfetto offerto dalla Santa Chiesa sale al Padre, mentre dal Cielo discendono copiosi i frutti di quel medesimo Sacrificio.

 

Cari fratelli, da lunghi anni ormai, vediamo con immenso dolore una Gerarchia modernista in preda ad una mentalità totalmente secolarizzata che segue con tetragona ostinazione un preciso piano di dissoluzione della Chiesa, della Messa, del Sacerdozio e della vita religiosa. Questa Gerarchia ha imposto un modello ben preciso di chiesa, di messa, di sacerdozio e di vita consacrata che non ha più Nostro Signore Gesù Cristo al centro: è l’uomo che ha preso il suo posto, e con esso l’idea che gli Ordini Sacri possano essere superati da forme di ministero umanitario, di assistenza sociale, di mutevole dottrina.

 

Dopo sessant’anni il fallimento è incontestabile. Per questo vescovi, cardinali e superiori non possono permettere che il proprio potere sia messo in discussione dal silenzioso monito di un’esistenza come la vostra. I falsi pastori e i mercenari vedono nelle vocazioni sacerdotali e canonicali tradizionali una minaccia, perché costituiscono una pietra di paragone che manifesta e dimostra che quanto è stato colpevolmente abbandonato e distrutto in nome del Concilio Vaticano II costituisce non solo un valore sublime ed eterno ma la miglior difesa contro quelle scellerate «innovazioni» che la riforma conciliare ha imposto.

 

La Chiesa fiorisce di vocazioni sacerdotali proprio quando le tiene separate dal contagio del mondo non solo nei segni esteriori dell’abito e della Tonsura, ma anche e soprattutto nel formarle ad avere Cristo Re e Maria Regina al centro della propria vita e del proprio Ministero. Essere ministri di Dio significa prestare un servizio militare nell’esercito del Signore, nella militia christiana. Significa avere un alto ideale, un modello divino, una meta soprannaturale che rende ogni prova e ogni tribolazione degna di essere affrontata nel fiducioso abbandono alla divina Volontà.

 

La chiesa conciliare e sinodale, invece, agonizza nella crisi delle Vocazioni proprio perché non rappresenta una scelta eroica e non mostra alcuna meta ambiziosa da conquistare nel bonum certamen. Non vi è anzi alcun certamen da combattere, perché nella chiesa odierna non vi sono nemici, se non i Cattolici fedeli alla Tradizione e quanti hanno l’ardire di non inchinarsi all’idolo del Vaticano II.

 

Il sacerdozio conciliare è una scelta di forzata mediocrità, voluta e incoraggiata dall’alto, che demoralizza e anestetizza spiritualmente anche le Vocazioni più generose e oneste. E con il progressivo aggravarsi della situazione, le diaconesse sono già pronte a sostituire i parroci con cerimonie senza Ministro, per la gioia dei Modernisti e di colui che, più di tutti, odia i Sacerdoti e la Messa Cattolica: Satana.

 

Ogni anima consacrata che sia fedele alla spiritualità e al carisma dei propri Fondatori e all’immutabile Magistero Cattolico è un temibile soldato di Cristo, armato della Grazia di Dio e della preghiera. A maggior ragione lo è una Comunità di sacerdoti secolari che ha deciso di vivere insieme per Cristo, con Cristo e in Cristo, in quello scambievole esempio e reciproco sprone richiesto da un carisma esigente, come lo è quello che vi ha lasciato in eredità il Servo di Dio mons. Giuseppe Canovai fatto di continua offerta di sé stessi a Dio Padre per la salvezza degli uomini: «compiere ciò che manca alla Passione di Cristo e, per la salvezza del mondo, offrire, riparare, compensare, sostituire».

 

E come «vivere insieme» con profitto se non tramite una Fede infiammata dalla Carità e dallo zelo apostolico? Zelo che si alimenta con la celebrazione quotidiana della Messa Apostolica e la fedeltà assidua all’Ufficio Divino, pilastri imprescindibile – insieme al Santo Rosario – su cui si deve edificare la vostra vita sacerdotale e il vostro apostolato. Oportet semper orare, et non deficere (Lc 18, 1): pregate, pregate sempre senza stancarvi – vi esorta Nostro Signore. Sia la preghiera vostro scudo e vostra consolazione.

 

La vostra Comunità ha attraversato immani prove e persecuzioni da parte di falsi pastori e di mercenari, tanto a Ferrara quanto a Roma. Ma queste prove, che hanno causato tante sofferenze e richiesto tanta sopportazione, vi hanno dato modo di purificarvi, di abbandonare ogni compromesso con le forme liturgiche del Novus Ordo, di scegliere risolutamente la Tradizione, emendando tutti quegli aspetti che necessitavano di avanzamenti, così da far tesoro degli errori passati per non compierne in futuro.

 

Ma queste prove, che hanno causato tante sofferenze e richiesto tanta sopportazione, vi hanno dato modo di purificarvi, di emendare tutti quegli aspetti che necessitavano di miglioramenti, così da far tesoro degli errori passati per non compierne in futuro. E se il Signore si è degnato di vagliare la sincerità e l’autenticità dei vostri intenti e la vostra perseveranza nella verità e nel bene, benedite queste prove e ringraziateLo per l’aiuto che vi ha accordato, rendendovi degni della Sua grazia.

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Mi rivolgo in modo particolare a Voi, cari Claudio, Mauro e Antonio: fate che ogni vostro pensiero, ogni vostro respiro, ogni battito del vostro cuore ripeta silenziosamente – ma efficacemente – la preghiera dell’inno Crux fidelis:

 

Flecte ramos, arbor alta, tensa laxa viscera, et rigor lentescat ille quem dedit nativitas, ut superni membra Regis mite tendas stipite.

 

Sono parole che non possono quasi essere pronunciate senza commuoversi, tanto esse grondano di carità soprannaturale: Piega i rami, alto albero, rilascia le [tue] fibre distese e si pieghi quella rigidità che avesti dalla nascita, per concedere alle membra del Re celeste un tronco tenero. Quando aprirete le braccia in croce, il giorno benedetto della vostra Ordinazione sacerdotale, fate che al legno del vostro Sacerdozio possa appoggiarSi il Salvatore, trovando in voi un tronco tenero che si adatti alle Sue membra.

 

Ricordate le parole dell’inno: Crux fidelis, croce fedele. La Croce è fedele perché non ci inganna, nella crudezza delle sofferenze e dei patimenti che evoca, ma anche nel trionfo della vittoria definitiva di cui è strumento. È fedele perché ha «servito» il suo scopo divino senza tradire la missione di essere l’altare su cui il Salvatore Si è immolato in obbedienza al Padre. È il segno tangibile della fedeltà di Dio al suo popolo e del sacrificio di Nostro Signore Gesù Cristo che ha portato a compimento il piano di salvezza. È fedele nel senso che rimane un simbolo eterno di amore, di redenzione e di vittoria, mai venuta meno al suo scopo divino.

 

Siate anche voi fedeli alla Croce, come lo fu Mons. Giuseppe Canovai, di cui leggiamo nel suo diario queste parole infuocate: «Vivere per la Croce soltanto, averla con se sempre e portare nell’anima la Croce invisibile della carità dolorante del Maestro, unica vera occupazione della vita, unica ragione di esistere». Questa fedeltà alla Croce si traduce nella vera obbedienza, che è obbedienza a Dio prima che agli uomini, specialmente quando, a causa dell’apostasia presente, vi sono uomini che usurpano l’Autorità di Dio contro la Sua santa Volontà, abusando del loro potere imponendo ordini iniqui.

 

La santa obbedienza, l’obbedienza virtuosa e meritoria, non è servile e pavida, ma coraggiosa e responsabile. E come il vostro Maestro è stato obbediente al Padre fino alla morte e alla morte di croce (Fil 2, 8) disobbedendo doverosamente a Sommi Sacerdoti traditori e corrotti, così anche voi, sul Suo esempio, abbiate la costanza di rimanere fedeli a Colui che vi giudica e vi mette alla prova per vedervi partecipi della Sua vittoria, sapendo affrontare con fermezza la dolorosa croce di essere trattati come nemici da coloro che dovrebbero esservi padri.

 

Mancheremmo infatti di Carità verso i nostri Superiori, se per timore o per rispetto umano anteponessimo l’ossequio al potente alla doverosa proclamazione della Verità Cattolica e alla fedeltà a ciò che la Santa Chiesa ha sempre insegnato. Come potrebbero infatti rinsavire e convertirsi coloro che trovano in noi dei complici, anziché una voce ammonitrice che li richiami al loro dovere di Pastori?

 

Mancheremmo parimenti di Carità verso i nostri confratelli e verso i fedeli, perché il nostro esempio di obbedienza servile li indurrebbe a tollerare ciò che ogni battezzato ha il dovere di respingere e condannare non per orgoglio o per presunzione, ma per amore di Dio che è somma Verità.

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Non dimenticate che, ai piedi della Croce, vi aspetta la vostra santissima Madre, la Regina Crucis. Fate che Ella veda in voi un alter Christus, e Cristo crocifisso. Ella vi aspetta per consolarvi, e per patire con voi che patite insieme a Suo Figlio. Nei dolori della co-Passione che L’hanno resa Corredentrice, sono comprese anche le prove e le sofferenze di ogni anima sacerdotale che si immola insieme al suo Signore, Sommo ed Eterno Sacerdote.

 

A Lei, Madre della Chiesa e Madre nostra, noi tutti siamo stati affidati dal Salvatore morente quali Suoi figli. È Lei che Nostro Signore ha voluto quale nostra Madre, perché in questa lacrimarum valle potessimo avere l’Avvocata che intercede presso di Lui sino al Suo ritorno glorioso. Se dunque siete Familia Christi, siate anche Familia Mariæ, suoi famigli e suoi servi.

 

E non vi è onore più grande, né privilegio più insigne dell’essere al servizio di Cristo Re e di Maria Regina: oggi, nella battaglia che infuria; domani, nella gloria beata dei Santi.

 

E così sia.

 

+ Carlo Maria Viganò

Arcivescovo

 

Viterbo, 14 Settembre MMXXV In Exaltatione S.ctæ Crucis Dominica XIV Post Pentecostem

   

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  Immagine da Exsurge Domine  
 
Renovatio 21 offre questo testo di monsignor Viganò per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.
 
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