Pensiero

Schillaci contro i «no-vax». E la gente si sorprende pure

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Il Paese è sconvolto: Orazio Schillaci, il ministro della Sanità del governo Meloni, ha estromesso due dottori non vaccinisti integralisti dal NITAG, il gruppo tecnico consultivo nazionale sulle vaccinazioni. Vi è stata la reazione contrariata, per lo più pacata, dei principali partiti della maggioranza. La Verità, il quotidiano vicino al governo ma che conserva una sua indipendenza, ha pubblicato oggi, oltre ad un accorato editoriale del direttore una paginata di lettori indignati: dimissioni, dimissioni.

 

Il lettore di Renovatio 21 può invece essere preso di sorpresa: ma cosa si aspettavano dal ministro? Più in generale, cosa si aspettano da questo governo? I segni, i discorsi, le opere non sono stati abbastanza chiari in questi ultimi tre anni?

 

Andiamo con ordine: lo scandalo nasce perché dal NITAG – sigla vaccinale di cui giustamente il senatore Borghi chiede la chiusura – sono stati espulsi i dottori Eugenio Serravalle e Paolo Bellavite. Diciamo pure che non sono nomi che scaldano il cuore di tutto l’antivaccinismo militante nazionale, al punto che definirli «no-vax» non sappiamo se sia tanto giusto, ma per i giornaloni va così, che ci volete fare.

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Di Serravalle ancora nel decennio scorso sentivamo critiche provenire da attivisti vari, con taluni che ad un certo punto lo accusarono persino di non essere, a differenza di altri colleghi, stato radiato dall’ordine – la scena no-vaxa, lo sappiamo, non manca di ferocia interna, né di demenza. A Serravalle va riconosciuta una storia di divulgazione importante, tra libri e vaccini, sulla pericolosità dei sieri, ben prima del COVID – periodo durante il quale a dire il vero non lo abbiamo veduto tantissimo.

 

Il Bellavite è un caso più complesso: abbiamo ancora negli occhi le sue devastanti apparizioni TV con caminetto e maglioncino della nonna durante la pandemia. Ci hanno segnalato affermazioni non chiarissime su vaccini e aborti fatte in interviste. Di suo, Renovatio 21 ricorda una email non gentilissima del 2018 in cui il dottore ci chiedeva di togliere un articolo sul Meeting di Comunione e Liberazione (immenso tempio del siero del potere, che gettava ampie basi per la giustificazione cattolica dei pezzi di feto in siringa), perché conteneva una notizia dell’anno prima.

 

Insomma, non è che abbiamo Jay Bhattacharya e Robert Malone. Di fatto Schillaci non è Kennedy.

 

Renovatio 21 ha, negli anni, mostrato il volto del ministro dal nome letterario-calcistico. L’Orazio tre anni fa aveva esordito, fresco di stretta di mano all’incarico assegnato dal Mattarella, dicendo: «stiamo lavorando al lancio, a breve, di una campagna di comunicazione congiunta sull’importanza dei vaccini contro il COVID-19 e l’influenza stagionale con una particolare attenzione al target degli anziani e dei fragili».

 

Per noi era lampante: il ministro del governo sovranista (quello sotto il cui controllo gli sbarchi degli immigrati afro-islamici aumenta…) continuava come prima, meglio di prima con la siringa assassina: forse ora possiamo pure scriverlo, visto quanto detto dal giudice sul caso di Camilla Canepa, e viste, in passato, le ondate di morti di pensionati vittime dei lotti di antinfluenzale negli anni scorsi.

 

Due anni fa registrammo un altro goal-capolavoro di Schillaci: ecco l’annuncio con gaudio magno che la procreazione medicalmente assistita cioè la produzione di esseri umani creati in laboratorio – «da gennaio 2024» sarà su pagamento di ticket sanitario per ogni donna «in qualsiasi regione risieda». Chi ci segue sa di cosa stiamo parlando: 150 mila, forse 200 mila embrioni (o forse molti di più, ad ogni modo molti più di quelli uccisi con l’aborto) creati in provetta vengono poi scartati eugeneticamente o ibernati le limbo dell’azoto liquido in attesa del da farsi: la parola genocidio mica dobbiamo usarla solo per Gaza.

 

All’epoca dicemmo che lo Schillaci poteva diventare, quindi, il ministro artefice dell’aumento dei cittadini-chimera, cioè degli italiani che, nati in laboratorio, potrebbero contrarre quel piccolo problema che è la fusione con gli embrioni fratelli, al punto da avere più DNA. Discorsi mostruosi (letteralmente) che magari interessano solo a noi…

 

Allora, guardiamo i segni ancora più patenti: quattro mesi fa, in un evento che faceva capire davvero la direzione dell’establishment riguardo ai vaccini, Mattarella premiava Burioni con una medaglia «al Merito della Sanità pubblica». Uno schiaffo ai milioni di italiani denigrati insultati negli anni pandemici, a cui si aggiunge pure qualche leader politico, ora ministro di maggioranza. A fianco del presidente che stringeva la mano al sorridente virologo, come si vede nelle foto ufficiali, c’era, ineffabile, lo Schillacio.

 

Nessuna sintonia con la realtà del Paese, sempre più conscio dell’inutilità, se non della pericolosità, del siero genico sperimentale – altrimenti, starebbero continuando a farsi dosi… E a proposito, errata corrige, abbiamo scoperto che la storia secondo cui Schillaci era nel CTS non è vera, lui aveva a suo tempo diramato una nota per negarlo.

 

Guardando in rete ci siamo resi conto che non ci sono molto informazioni di cosa l’attale ministro facesse durante il COVID, epperò ecco che salta fuori la notizia, sul sito della Croce Rossa Italiana (ente che collabora strettamente con il ministero della Difesa), del taglio del nastro nel luglio 2022 di un hub romano per la quarta dose, a cui aveva partecipato, in veste di magnifico rettore dell’Università Tor Vergata, Orazio Schillaci. «Prenotatevi e recatevi alla Vela in sicurezza e comfort, è importante non abbassare la guardia per non tornare indietro! Vaccinarsi vuol dire stare Insieme per la Salute, soprattutto a difesa dei più fragili» dice nell’articolo un altro VIP intervenuto alla cerimonia, il direttore generale della Fondazione Policinico Tor Vergata, l’ateneo retto allora dall’oggi ministro della Salute. Già: quarta dose. Tutta salute…

 

Sì, Schillaci non è Kennedy. E la Meloni non è Trump. La questione è tutta qui.

 

Non che riguardi solo il vaccino: abbiamo nelle orecchie i discorsi fatti a Washington dalla Meloni sulla Russia «Paese aggressore» e l’Italia «al fianco dell’Ucraina».

 

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Il discorso non è diverso rispetto a quello dei sieri: da una parte Trump (con il suo attacco alle Big Pharma, i dazi urbi et orbi, gli altolà ai cinesi, il progetto di disintegrazione militare dei narcocartelli messicani etc.), e dall’altro i personaggi dello Stato moderno che esistono ed operano indipendentemente dalla protezione degli interessi dei loro cittadini, che si parli di salute o di bollette.

 

È una divisione metapolitica netta: da una parte, una parvenza di governo su base umana, dall’altra, il controllo non-umano sulle masse – cioè la porta aperta alla tecnocrazia definitiva, il comando della macchina sull’umanità, una prospettiva che si avvicina ogni giorno di più, e di cui i politici occidentali (inutili, intercambiabili) sono i pupazzi al momento ancora necessari.

 

E quindi, come possono i votanti-Meloni ora lamentarsi delle grandi manovre dello Schillaci? C’è questo modo di dire americano: play stupid games, win stupid prizes. Giochi a giochi idioti, vinci premi idioti.

 

Cosa vi aspettavate, dal governo di una che il 25 settembre 2021 «fuggì» dalla piazza di Milano quando al suo comizio arrivarono i no-green pass?

 

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Come sorprendersi davanti al presidente del Consiglio che, prima di entrare in carica, ha fatto per l’aborto un multiplo inchino a Moloch?

 

E le circolari nelle scuole elementari per il femminicidio cecchettino?

 

E la storiella ad usum babbeorum dell’utero in affitto «reato universale»?

 

A chi stava davvero guardando, tutto appariva chiaro. Fino a che l’Italia sarà governata da figure del compromesso – specie riguardo alla cosa su cui proprio non può esservene: la vita umana – vi trionferanno l’ingiustizia e la morte.

 

E fino a che una massa critica non avrà compreso questo pensiero abissale, non vi sarà nessuna possibilità di resistere all’annientamento di questo Paese.

 

Roberto Dal Bosco

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