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Spirito

«Questa chiesa è una contraffazione»: omelia di mons. Viganò

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Renovatio 21 pubblica l’omelia di monsignor Carlo Maria Viganò tenuta durante la solennità del Preziosissimo sangue di Nostro Signore Gesù Cristo (7 luglio 2024).

 

 

IN SANGUINE TUO

Omelia nella Solennità esterna del Preziosissimo Sangue di N.S.G.C.

 

Redemisti nos, Domine, in sanguine tuo, 

ex omni tribu, et lingua, et populo, et natione: 

et fecisti nos Deo nostro regnum.

Ap 5, 9-10

 

Fratelli e sorelle carissimi,

 

Permettetemi innanzitutto di manifestarvi la mia serenità d’animo nell’affrontare questa prova. Ho sperimentato la stessa pace interiore quando, qualche anno fa, ho riscoperto la Messa tradizionale, che da allora non ho mai smesso di celebrare esclusivamente e che mi ha riportato al cuore palpitante della nostra santa Religione, a comprendere che essere unito a Cristo Sacerdote nell’offerta all’eterno Padre deve necessariamente tradursi nella mistica immolazione di sé sul modello di Cristo Vittima, nel ripristinare l’ordine divino in cui la Carità ci consuma di amore per Dio e per il prossimo, e ci mostra quanto sia incomprensibile – oltre che inaccettabile – modificare alcunché di quest’ordine perfetto che la Santa Chiesa anticipa sulla terra proprio mettendo la Croce al centro di tutto. Stat Crux dum volvitur orbis.

 

Da sessant’anni, tuttavia, assieme al mondo, volvitur et ecclesia. Anche il corpo ecclesiale ha perso il proprio punto di stabilità: ieri, nel folle tentativo di adeguarsi al mondo ammorbidendo la propria dottrina; oggi, nella deliberata volontà di cancellare la Croce, segno di contraddizione, per compiacere il Principe di questo mondo.

 

E in un mondo ostile alla Croce di Cristo, non è possibile predicare Cristo, e Cristo crocifisso, perché ciò risulta «divisivo» di una «umana fratellanza» dalla quale è esclusa la paternità di Dio. Non stupisce quindi che coloro che annunciano il Vangelo senza adattamenti siano considerati nemici.

 

I Cristiani di tutte le epoche, e tra loro i Pastori in primo luogo, sono sempre stati avversati e combattuti e uccisi proprio per l’incompatibilità tra la Civitas Dei e la civitas diaboli. Ce lo ha insegnato il Signore: Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi; se hanno osservato la mia parola, osserveranno anche la vostra (Gv 15, 20).

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Pochi giorni fa una chiesa asservita al mondo mi ha processato per scisma e condannato con la scomunica per aver professato apertamente la Fede che il Signore con la Consacrazione Episcopale mi ha ordinato di predicare; la stessa Fede per la quale furono uccisi i Martiri, perseguitati i Confessori, imprigionati o esiliati sacerdoti e Vescovi.

 

Ma come possiamo anche solo pensare che sia la vera Chiesa a colpire i suoi figli e i suoi Ministri, e allo stesso tempo ad accogliere i suoi nemici e a far propri i loro errori?

 

Questa chiesa, che si denomina «conciliare e sinodale», è una contraffazione, una contro-chiesa, per la quale tutto inizia e finisce in questa vita, e che non vuole accettare nulla di eterno proprio perché l’immutabilità della Verità di Dio è intrinsecamente aliena alla rivoluzione permanente che essa ha accolto e che promuove.

 

Se non fossimo perseguitati da chi è ostile alla Croce, dovremmo mettere in discussione la nostra fedeltà a Cristo, che da quel trono di dolore e di sangue ha colpito a morte il Nemico del genere umano.

 

Se il nostro Ministero potesse essere in qualche modo «tollerato», vorrebbe dire che è inefficace e compromesso, anche solo per l’accettazione implicita di una impossibile convivenza tra opposti, di una ermeneutica della continuità in cui c’è posto per la verità e l’errore, per la luce e le tenebre, per Dio e Belial.

 

Ecco perché considero questa sentenza del sinedrio romano come un motivo di chiarezza: un Cattolico non può non essere in stato di scisma con chi rifiuta la Professione della Fede nella Carità. Non può esservi alcuna comunione con chi per primo ha infranto il vincolo soprannaturale con Cristo e con il Suo Corpo Mistico. Né vi può essere obbedienza e sottomissione ad una versione adulterata del Papato in cui l’autorità si è deliberatamente sottratta a Cristo, principio primo di quell’autorità, per mutarsi in tirannide.

 

Così, come nella scelta moralmente necessaria di tornare alla Messa Apostolica ho ritrovato il vero significato del mio Sacerdozio, anche nella decisione di denunciare l’apostasia della Gerarchia modernista e globalista ho ritrovato il senso del mio Episcopato, dell’essere un Successore degli Apostoli, testimone di Cristo e Pastore nella Sua Chiesa.

 

Pavidità, rispetti umani, valutazioni opportunistiche, sete di potere o corruzione hanno condotto molti miei Confratelli a compiere la scelta più semplice: lasciare solo il Signore nella Sua Passione e mischiarsi tra la folla dei Suoi carnefici, o anche solo rimanere a guardare per timore di mettersi contro i sommi sacerdoti e i gli scribi del popolo.

 

Alcuni di essi, come Pietro, ripetono il Non Lo conosco per non essere condotti davanti allo stesso sinedrio. Altri se ne stanno chiusi nel loro cenacolo, accontentandosi di non essere processati e condannati. Ma è questo che il Signore vuole da noi? è a questo che Egli ci ha chiamati, scegliendoci come Suoi Ministri e come annunciatori del Suo Vangelo?

 

Cari fratelli, benedite con me questi tempi di tribolazione, perché è solo in infirmitate che abbiamo la certezza di compiere la Volontà di Dio e di santificarci con la Sua Grazia. Come dice San Paolo: La mia grazia ti basta, perché la mia potenza si dimostra perfetta nella debolezza (2 Cor 12, 9). Il nostro essere docili strumenti nelle mani del Signore è l’indispensabile premessa per far sì che la Sua opera sia veramente divina.

 

A noi non è chiesto altro che di seguirLo: Veni, et sequere me (Mt 10, 21); di seguirLo lasciando tutto il resto, che è compiere una scelta radicale. Ci è chiesto di predicare il Suo Vangelo, di battezzare tutte le genti nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, di custodire fedelmente tutti i precetti che il Signore ci ha comandato di osservare (Mt 28, 19-20).

 

Ci è chiesto di tramandare intatto ciò che abbiamo ricevuto – tradidi quod et accepi – senza aggiunte, senza cambiamenti, senza omissioni. E di predicare il Verbo opportune, importune, sopportando tutto: in omni patientia et doctrina (2 Tim 4, 2). Ci è chiesto di prendere la nostra croce ogni giorno, di rinnegare noi stessi, di essere pronti a salire il Calvario e farci crocifiggere con Cristo per risorgere con Lui, per partecipare della Sua vittoria e del Suo trionfo nell’eternità beata del Cielo.

 

Ci è chiesto di completare nella nostra carne ciò che manca ai patimenti di Cristo, per il bene del Suo Corpo che è la Chiesa (Col 1, 24). Occorre che i Pastori tornino ad appartenere a Cristo, scrollando da sé il giogo opprimente di un asservimento al mondo che li rende complici della rovina della Chiesa.

 

Dal Sacratissimo Cuore, trafitto da una lancia, sgorga la Grazia infinita dei Sacramenti e principalmente del Sacerdozio cattolico. Esso assicura la perpetuazione dell’azione redentrice di Cristo attraverso la Storia, perché il Sacrificio perfetto della Vittima divina – che mediante il proprio sangue entrò una volta per sempre nel Santuario (Eb 9, 12) – continui ad essere offerto sotto le Specie sacramentali all’Eterno Padre.

 

Similmente, quando la Chiesa appare vinta e la si dà per morta, una lancia al suo costato rinnova quel sangue e quell’acqua, preparando le premesse di una futura restaurazione e garantendo la conservazione del Sacerdozio, della Messa, dei Sacramenti: della Tradizione. Saranno quel sangue e quell’acqua ad irrigare questa terra arsa e spaccata dalla siccità, assetata di Vero e di Bene, perché il semen Christianorum germogli e dia frutto.

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Guardatevi dai falsi profeti, che vengono a voi sotto l’aspetto di pecore, ma che nell’intimo sono lupi rapaci (Mt 7, 15): con queste parole, significativamente proposte dalla Liturgia di questa VII Domenica dopo Pentecoste e che leggeremo nell’ultimo Vangelo, il Signore ci mette in guardia da coloro che usurpano il dono della profezia per contraddire la Fede che Egli ha rivelato e insegnato agli Apostoli affinché fosse tramandata fedelmente nel corso dei secoli.

 

Il Signore non dice: Guardatevi da chi semina l’errore, ma dai falsi profeti.

 

Chi sono questi falsi profeti, questi pseudochristi di cui parla la Sacra Scrittura? Sorgeranno infatti falsi cristi e falsi profeti e faranno grandi portenti e miracoli, così da indurre in errore, se possibile, anche gli eletti. Ecco, io ve l’ho predetto (Mt 24, 24-25). Costoro sono i mercenari, i falsi pastori, coloro che possiamo riconoscere ex fructibus eorum, dai loro frutti, da ciò che essi compiono (Mt 7, 16-20). I frutti li conosciamo e li abbiamo sotto gli occhi: la distruzione pianificata della Vigna del Signore da parte dei Suoi stessi vignaioli.

 

Quanto mi viene imputato come crimine per dichiararmi scismatico e condannarmi alla scomunica è stato messo agli atti di un processo che condanna non me, ma i miei accusatori, nemici della Croce di Cristo.

 

Quando l’eclissi che oscura la Chiesa terminerà e Nostro Signore tornerà ad essere al centro della vita dei suoi Ministri, chi oggi è ostracizzato troverà giustizia, e chi ha abusato del proprio potere per disperdere il Gregge del Signore dovrà rispondere al Suo tribunale e a quello della Storia. Noi continueremo a fare quello che hanno fatto tutti i Vescovi cattolici, spesso venendone perseguitati.

 

E continueremo nella nostra opera anche se ciò viene ostacolato da chi usurpa il potere delle Sante Chiavi contro la Chiesa stessa. L’autorità dei Pastori – e quella del Sommo Pontefice – è nelle mani di falsi pastori, che in quanto tali contano proprio sul nostro rispetto per la Gerarchia e sulla nostra abituale obbedienza, per farci accettare il tradimento di Cristo e la rovina delle anime. Ma l’autorità viene solo da Cristo, che vuole che tutti siano salvi e che giungano per mezzo dell’unica Arca di Salvezza all’eterna beatitudine.

 

Se l’autorità vicaria in terra predica la salvezza dalle false religioni e l’inutilità del Sacrificio di Cristo, essa rompe quel cordone ombelicale che la lega a Lui, delegittimandosi da sé.

 

Noi non ci separiamo dalla Santa Madre Chiesa, ma dai mercenari che la infestano.

 

Non rifiutiamo obbedienza e sottomissione al Pontefice, ma a chi umilia e manomette il Papato contro la Volontà di Cristo.

 

Non impugniamo la Verità rivelata – quod Deus avertat! – ma gli errori che tutti i Papi hanno sempre condannato e che oggi sono imposti da chi vuole rendere la Santa Chiesa serva dei suoi nemici (Lam 1, 1), da chi si illude di poter mantenere vivo il corpo ecclesiale separandolo dal suo Capo che è Cristo.

 

Noi non abbiamo un Pontefice che possa giudicarci e scomunicarci. Se ci fosse un Papa non sarei nemmeno processato, né scomunicato o dichiarato scismatico, perché entrambi professeremmo la medesima Fede e comunicheremmo al medesimo altare. Se oggi Bergoglio mi processa per condannarmi e scomunicarmi, è proprio perché costui fa pubblica professione di appartenere ad un’altra religione e di presiedere un’altra chiesa, la sua chiesa, la chiesa sinodale dalla quale io vengo «cacciato» in quanto Cattolico e, appunto, estraneo ad essa.

 

Pregate, fratelli carissimi. Pregate anzitutto per i fedeli e i Ministri che vivono la contraddizione dell’appartenenza morale alla vera Chiesa di Cristo e alla falsa chiesa dell’usurpatore-Bergoglio, perché si scuotano dal loro torpore e si schierino sotto la Croce, dando testimonianza alla Verità.

 

Pregate per quei Vescovi e sacerdoti che con umiltà e nonostante le loro infermità servono il Signore.

 

Non vanifichiamo il Sangue Preziosissimo che Egli ha sparso per noi, e anzi facciamo in modo di poter ripetere con San Paolo: Gratia Dei in me vacua non fuit (I Cor 15, 10).

 

Questo Sangue scenderà oggi sul nostro Altare, e continuerà a scendervi finché la Chiesa avrà Vescovi che possano perpetuare il Sacerdozio e sacerdoti che celebrino il Santo Sacrificio, secondo il rito consegnatoci dalla Sacra Tradizione.

 

Per questo agiamo con il cuore sereno e nella persuasione che quanto sto compiendo sia conforme alla volontà di Dio.

 

E così sia.

 

+ Carlo Maria Viganò

Arcivescovo

 

 

7 Luglio 2024

Dominica VII post Pent.

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Immagine: Simone Martini (c. 1284-1344), Cristo in Croce (1340), Harvard Art Museum, Boston.

Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia

Cina

Partita autunnale tra Santa Sede e Pechino

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Mentre il Partito Comunista Cinese aumenta la pressione sulla Chiesa cattolica in Cina, la consacrazione episcopale del nuovo vescovo ausiliare di Shanghai, il 15 ottobre 2025, riaccende le tensioni e illustra tutta la complessità del dossier avvelenato ora sulla scrivania di Papa Leone XIV.   L’ordinazione episcopale del vescovo Wu Jianlin si è svolta il 15 ottobre con misure di sicurezza degne di quelle imposte durante l’epidemia di COVID-19 nel Regno di Mezzo. Al punto che alcuni testimoni l’hanno descritta come una «cerimonia gremita»: circa seicento fedeli, tra sacerdoti, religiosi e laici, selezionati con cura, hanno partecipato all’evento, ma sono stati sottoposti a rigorosi controlli.   Consegna obbligatoria dei cellulari all’ingresso, controlli di accesso e una laconica dichiarazione ufficiale dell’Associazione patriottica dei cattolici cinesi, che ignora le varie parole – peraltro molto consensuali – pronunciate dai prelati sul posto.   La cerimonia non ha mancato di lasciare un retrogusto: il prelato che ha presieduto la cerimonia non era altri che mons. Joseph Shen Bin, vescovo di Shanghai e presidente del Consiglio dei vescovi cinesi, non riconosciuto da Roma e strettamente soggetto al Partito Comunista Cinese (PCC).

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Il vescovo Shen Bin, la cui nomina nell’aprile 2023 è stata imposta unilateralmente da Pechino, prima di essere ratificata retroattivamente da papa Francesco il 15 luglio, era circondato da tre vescovi riconosciuti in base all’accordo provvisorio concluso tra la Santa Sede e il Vaticano nel 2018: il vescovo Yang Yongqiang di Hangzhou, il vescovo Li Suguang di Nanchang e il vescovo Xu Honggen di Suzhou.   La situazione non è migliore per il vescovo ordinato il 15 ottobre: ​​l’elezione del vescovo Wu Jianlin, 55 anni e originario del distretto di Chongming, risale al 28 aprile 2025, periodo in cui la sede papale è vacante. Non si tratta di una circostanza di poco conto: ha permesso al regime cinese di aggirare i fragili meccanismi di consultazione previsti dall’accordo provvisorio del 2018.   Il nuovo prelato, che ha assunto l’incarico di amministratore diocesano dopo la morte del precedente vescovo nel 2013, incarna la fedeltà alla linea del presidente Xi Jinping. La sua approvazione da parte di Papa Leone XIV, datata 11 agosto 2025, è stata rivelata dalla Sala Stampa vaticana il giorno stesso dell’ordinazione: un modo per dimostrare che la Santa Sede si è trovata ancora una volta di fronte al fatto compiuto.   La consacrazione del 15 ottobre risuona come un gesto di fragile unità, illustrato dal messaggio inviato dal vescovo Thaddée Ma Daqin, l’altro vescovo ausiliare di Shanghai, confinato nel seminario di Sheshan per tredici anni per essersi dimesso dall’Associazione patriottica dei cattolici cinesi, dimostrando così la sua distanza dal PCC.   Assente alla cerimonia, il vescovo Ma Daqin, ordinato nel 2012 con l’accordo del Vaticano, ha espresso il suo auspicio per l’armonia sulla rete WeChat controllata da Pechino: «sono lieto di apprendere che il vescovo Shen Bin ha ordinato stamattina padre Wu Jianlin come vescovo ausiliare. Credo fermamente che, con questo collaboratore, il vescovo Shen potrà guidare le opere della Chiesa cattolica a Shanghai verso uno sviluppo sempre maggiore, per la maggior gloria del Signore».   Eppure, lungi dal suscitare una gioia unanime, questa ordinazione provoca una lacerazione personale tra i cattolici di Shanghai, come testimonia una voce anonima raccolta da AsiaNews il 16 ottobre 2025: «a Shanghai, dovremmo gioire o dovremmo piangere?», si chiede questo fedele locale.   L’incoronazione del vescovo Wu Jianlin avviene in un contesto di relazioni sino-vaticane erose nel tempo: Sandro Magister interpreta questa sequenza come una manifestazione dell’arroganza di Pechino, amplificata dalla «sinizzazione» delle religioni voluta da Xi Jinping. L’accordo del 2018, che affida alle autorità cinesi la proposta iniziale dei candidati episcopali prima dell’approvazione papale, verrebbe così «disprezzato», nelle parole dell’esperto vaticano.   E il Vaticano, dopo aver protestato nel 2023 contro l’insediamento del vescovo Shen Bin, si accontenterebbe di una conferma silenziosa, ratificando peraltro altre tre nomine cinesi dall’elezione di papa Leone XIV. «Se ignoriamo la verità dei fatti; se non interveniamo nella reclusione di un vescovo già legittimamente consacrato (…), è ancora questa la comunione voluta da Cristo?», si chiede il vaticanista italiano, che parla di uno «schiaffo in faccia» dato al nuovo sovrano pontefice.   Più che uno schiaffo in faccia per un papa – Xi Jinping non è certo Filippo il Bello – potrebbe trattarsi di una prova? Da bravi giocatori di Go, gli inventori del gioco più antico del mondo elogiano l’efficacia delle famose «mosse sentite», che costringono l’avversario a rispondere per mantenere l’iniziativa. La sfida per Roma sarebbe ora quella di riconquistare il vantaggio perso, probabilmente durante il precedente pontificato.   Articolo previamente apparso su FSSPX.News

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Due nuovi «santi» venezuelani riaccendono le tensioni tra Chiesa e Stato

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Tralasciando il dubbio valore delle nuove procedure di canonizzazione, una doppia canonizzazione in Venezuela è diventata rapidamente una questione di Stato, rivelando le profonde fratture tra una Chiesa cattolica fortemente coinvolta nell’arena politica, a rischio di apparire come una forza di opposizione, e il potere chavista detenuto dal presidente Nicolas Maduro.

 

Per comprendere la storia, dobbiamo fare un passo indietro. Il 19 ottobre 2025, papa Leone XIV proclamò «santi» i primi due venezuelani nella storia del Paese: José Gregorio Hernández Cisneros, il «medico dei poveri», e María del Carmen Rendiles Martínez, fondatrice della comunità delle Serve di Gesù. L’evento divenne rapidamente un affare politico.

 

Nicolás Maduro, al potere dal 2013, non ha perso tempo a sfruttare la canonizzazione. Dopo la cerimonia nella casa-museo di José Gregorio Hernández, circondato da fedeli e autorità governative, il capo dello Stato ha rilasciato una serie di dichiarazioni sui social media: «Siamo felici per i nostri santi. Sono entrambi grandi! Il papa ha agito giustamente!», ha dichiarato, esprimendo «immensa, eterna gratitudine» al pontefice, che ha definito un «amico» e un «fratello».

 

E presentare l’evento come un gesto provvidenziale di fronte alle «minacce» che la «più grande potenza militare della storia» rappresenterebbe nei Caraibi, vale a dire gli Stati Uniti, che da diversi anni cercano invano di far cadere il regime chavista.

 

Il chavismo ha una lunga storia con la religione: Hugo Chavez ha invocato la cosiddetta Teologia della Liberazione per la sua «Rivoluzione Bolivariana». Il processo di canonizzazione, guidato con grande entusiasmo dal defunto Papa Francesco, è visto da Nicolas Maduro come una forma di benedizione per il regime.

 

Ma l’opposizione non è rimasta indietro. Maria Corina Machado, vincitrice del premio Nobel per la Pace 2025, un premio altamente politico, ed Edmundo Gonzalez, il candidato presidenziale fallito, hanno rilasciato una dichiarazione congiunta in cui José Hernández e Carmen Rendiles vengono descritti come «due santi per 30 milioni di ostaggi venezuelani», riferendosi al destino di 800.000 prigionieri «politici» e migliaia di esuli.

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«Questi santi esemplari, che hanno dedicato la loro vita al servizio degli altri, offrono speranza e consolazione in mezzo all’oscurità», scrivono, invocando un «miracolo imminente»: la caduta del regime chavista.

 

Temendo che la messa papale del 19 ottobre potesse suggerire una forma di approvazione per Maduro, il giorno seguente, durante una messa di ringraziamento a San Pietro, il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato della Santa Sede ed ex nunzio in Venezuela dal 2009 al 2013, ha pronunciato un’omelia in cui ha chiesto «di aprire le prigioni ingiuste, di spezzare le catene dell’oppressione, di liberare gli oppressi, di spezzare tutte le catene».

 

Il caso torna di attualità a Caracas: la «Festa della Santità», prevista per il 25 ottobre 2025 allo stadio Monumental Simon Bolívar , davanti a 50.000 fedeli e alla presenza di tutti i vescovi venezuelani, è stata annullata il 22 ottobre, ufficialmente per «problemi di sicurezza e capienza» – erano state registrate più di 80.000 iscrizioni mentre la capienza non supera i 40.000 posti: «È una questione di sicurezza, sarebbero stati necessari circa tre stadi», spiega uno dei portavoce dell’arcidiocesi.

 

Nell’arcidiocesi di Caracas si vociferava addirittura che il regime chavista intendesse noleggiare autobus per migliaia di sostenitori, trasformando l’evento in una dimostrazione di forza pro-Maduro. Il cardinale Baltazar Porras, arcivescovo emerito di Caracas, ha denunciato il 17 ottobre una situazione «moralmente inaccettabile»: «crescente povertà, militarizzazione come forma di governo, corruzione, mancanza di rispetto per la volontà popolare» e ha chiesto il rilascio dei prigionieri.

 

Nicolas Maduro rispose quattro giorni dopo: «Baltazar Porras ha dedicato la sua vita a cospirare contro José Gregorio Hernández (uno dei neo-canonizzati). È stato sconfitto da Dio, dal popolo». L’accesa discussione tra Chiesa e Stato – in un Paese in cui l’80% della popolazione è cattolica – arriva mentre gli Stati Uniti intensificano la pressione contro il regime chavista.

 

Lo schieramento di una grande flotta al largo delle coste del Paese, accompagnata da un sottomarino nucleare d’attacco, da caccia F-35 e dalla CIA ufficialmente autorizzata da Donald Trump a operare sul territorio venezuelano: si intensifica la pressione su un Paese economicamente rovinato dal bolivarianismo e che – per fortuna o per sfortuna? – è uno dei più dotati in termini di risorse petrolifere. Abbastanza da suscitare cupidigia.

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.News

 

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Immagine di Guillermo Ramos Flamerich via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International

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Spirito

Omelia relativista di Papa Leone XIII: «nessuno possiede tutta la verità»

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Papa Leone XIV ha dichiarato che «nessuno possiede la verità assoluta» e che «nessuno è escluso» dalla Chiesa, durante la sua omelia domenicale del 26 ottobre, pronunciata in occasione della messa giubilare per i gruppi sinodali e gli organismi partecipativi.   Le sue parole, che potrebbero essere interpretate come relativistiche rispetto alla proclamazione della fede unica della Chiesa cattolica, hanno sconvolto moltissimi.   L’amore è la «regola suprema della Chiesa». «Nessuno è chiamato a comandare», ma «tutti sono chiamati a servire»; nessuno deve «imporre le proprie idee», tutti sono invitati all’ascolto reciproco; e «nessuno è escluso» poiché «tutti siamo chiamati a partecipare».   «Nessuno possiede la verità tutta intera, tutti dobbiamo umilmente cercarla, e cercarla insieme»: un’affermazione scioccante per chi è il vicario di colui che è la Via, la Verità e la Vita..   Essere Chiesa sinodale significa riconoscere che la verità non si possiede, ma si cerca insieme, lasciandosi guidare da un cuore inquieto e innamorato dell’Amore.   Leone ha enfatizzato il concetto di Chiesa «sinodale», termine spesso usato dal suo predecessore, Papa Francesco, pur rimanendo vago nel significato. «Le équipe sinodali e gli organi di partecipazione sono immagine di questa Chiesa che vive nella comunione», ha aggiunto oscuramente il romano pontefice.

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«Dobbiamo sognare e costruire una Chiesa umile. Una Chiesa che non sta dritta in piedi come il fariseo, trionfante e gonfia di sé stessa, ma si abbassa per lavare i piedi dell’umanità; una Chiesa che non giudica come fa il fariseo col pubblicano, ma si fa luogo ospitale per tutti e per ciascuno; una Chiesa che non si chiude in sé stessa, ma resta in ascolto di Dio per poter allo stesso modo ascoltare tutti».   «Impegniamoci a costruire una Chiesa tutta sinodale, tutta ministeriale, tutta attratta da Cristo e perciò protesa al servizio del mondo» ha esortato il sommo pontefice con linguaggio sempre più tecnico e cervellotico.   Sebbene nessun individuo possegga la pienezza della verità, la Chiesa cattolica, in quanto Corpo mistico di Cristo guidato dallo Spirito Santo, ha sempre sostenuto di essere la custode del deposito della fede, ossia la verità rivelata da Dio.   I commenti di papa Leone appaiono ambigui e potenzialmente relativistici, poiché non ha chiarito la distinzione tra i membri fallibili della Chiesa, che possono errare nella comprensione della verità, e la Chiesa stessa, che custodisce e proclama l’unica vera fede.   Le parole di Prevost sembrano andare contro il Catechismo della Chiesa Cattolica: «Il Magistero della Chiesa si avvale in pienezza dell’autorità che gli viene da Cristo quando definisce qualche dogma, cioè quando, in una forma che obbliga il popolo cristiano ad un’irrevocabile adesione di fede, propone verità contenute nella rivelazione divina, o anche quando propone in modo definitivo verità che hanno con quelle una necessaria connessione» (CCC, I dogmi della fede, 88).   La Sacra Scrittura parla della «casa di Dio, che è la chiesa del Dio vivente, colonna e base della verità» (1Tim 3,15).  

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Immagine di Edgar Beltrán via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International 
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