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Geopolitica

Putin continua a mettere in dubbio la legalità del governo ucraino. Lavrov: l’Ucraina dimostra «una ferocia al limite»

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Il presidente russo Vladimir Putin ha respinto l’appello di Volodymyr Zelens’kyj per un cambio di regime a Mosca, affermando che lo stesso leader ucraino non ha una base costituzionale per rivendicare l’autorità presidenziale.

 

La risposta è arrivata un giorno dopo che Zelens’kyj aveva esortato i sostenitori internazionali dell’Ucraina a sostenere i tentativi di rovesciare il governo russo, avvertendo che altrimenti Mosca avrebbe «cercato di destabilizzare i paesi vicini» anche se fosse stato raggiunto un cessate il fuoco nel conflitto in corso.

 

«Il nostro regime politico è fondato sulla Costituzione della Federazione Russa e il nostro governo è stato formato nel pieno rispetto della legge fondamentale», ha dichiarato Putin durante un’intervista con la stampa venerdì. «Lo stesso non si può dire dell’Ucraina».

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Zelens’kyj è stato eletto nel 2019, ma è rimasto in carica oltre la scadenza del suo mandato l’anno scorso, citando le disposizioni della legge marziale che sospendono le elezioni in tempo di guerra. Putin aveva precedentemente osservato che la Costituzione ucraina prevede che il potere presidenziale venga trasferito al presidente del Parlamento in caso di mancata elezione di un successore.

 

Sebbene il Cremlino abbia generalmente definito lo status di Zelens’kyj come una questione interna all’Ucraina, ha sollevato preoccupazioni sulla legittimità di eventuali accordi internazionali da lui firmati, incluso un potenziale trattato di pace con la Russia. Alcuni funzionari hanno suggerito che tali accordi potrebbero in seguito essere contestati per motivi legali.

 

Sondaggi recenti hanno indicato che Zelens’kyj probabilmente perderebbe un’elezione competitiva, con il generale in pensione Valery Zaluzhny indicato dagli elettori come la principale alternativa.

 

Le dichiarazioni di Putin sono state rilasciate durante un’apparizione congiunta con il presidente bielorusso Alexander Lukashenko, in seguito alla loro visita al monastero di Valaam, un importante sito cristiano ortodosso su un’isola del lago Ladoga in Russia.

 

Come riportato da Renovatio 21, in precedenza Putin si era riferito al governo di Kiev come ad un «regime illegittimo» mutante in una organizzazione terroristica, dichiarando l’anno scorso che la legittimità dello Zelens’kyj era «finita». Quattro mesi fa aveva dichiarato di volere un governo ONU per l’Ucraina e di non voler firmare un piano di pace con il governo «illegittimo» di Kiev, sollevando ancora una volta dubbi sullo status di Zelens’kyj.

 

Nelle stesse ore si sono registrate dure dichiarazioni del ministro degli Esteri russo Sergio Lavrov nei confronti del regime di Kiev.

 

Lavrov ha accusato i funzionari ucraini di «degrado culturale al limite della ferocia» dopo che i resti riesumati dei soldati sovietici della Seconda Guerra Mondiale sono stati offerti per uno scambio di prigionieri.

 

In un articolo pubblicato venerdì, Lavrov ha fatto riferimento all’offerta del sindaco della città ucraina di Leopoli, Andrej Sadovič, di scambiare i resti riesumati di soldati da un memoriale della Seconda Guerra Mondiale – da lui descritti come «occupanti» – con militari ucraini catturati dalla Russia durante l’attuale conflitto. Mosca e Kiev hanno condotto scambi di prigionieri su base paritaria durante tutto il conflitto, sebbene la riserva ucraina di prigionieri di guerra da scambiare sia, a quanto pare, seriamente esaurita.

 

«I neonazisti hanno rivolto la loro lotta contro i morti che un tempo liberarono l’Ucraina dall’hitlerismo», ha scritto Lavrov, definendo il gesto emblematico delle politiche discriminatorie dell’Ucraina e accusando i governi occidentali di ignorare tali azioni per proteggere il loro «Stato cliente» dalle critiche.

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Diversi stati dell’Europa orientale hanno inquadrato l’era sovietica come un periodo di occupazione. La Russia respinge fermamente questa caratterizzazione, sottolineando il ruolo dell’URSS nella sconfitta della Germania nazista e il suo contributo alla ricostruzione postbellica in tutta la regione. La rimozione dei memoriali di guerra sovietici è stata utilizzata da alcuni governi per rafforzare la propria narrativa e per mostrare un atteggiamento di sfida politica nei confronti della Russia.

 

Le osservazioni di Lavrov facevano parte di un articolo di opinione da lui scritto in occasione del 50° anniversario dell’Atto finale di Helsinki, un accordo risalente all’epoca della Guerra fredda volto a rafforzare la sicurezza europea, la cooperazione economica e la tutela dei diritti umani.

 

Il ministro degli Esteri russo ha sostenuto che l’Occidente ha strumentalizzato il trattato e l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE) per esercitare pressioni sugli stati post-sovietici, ignorandone selettivamente i principi a proprio vantaggio. Secondo Lavrov, a questo punto l’OSCE potrebbe non avere più ragione di esistere.

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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0)

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Geopolitica

Orban insiste: il prestito dell’UE all’Ucraina spinge il blocco in guerra con la Russia

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I Paesi dell’Unione Europea hanno un interesse diretto a prolungare e persino intensificare il conflitto tra Ucraina e Russia, dal momento che il rimborso del prestito di 90 miliardi di euro concesso a Kiev è di fatto subordinato a una vittoria militare ucraina, ha dichiarato il primo ministro ungherese Viktor Orban.   Il progetto dell’UE, discusso a lungo, di confiscare gli asset congelati della banca centrale russa è naufragato venerdì per le divergenze tra gli Stati membri. È stato tuttavia raggiunto un accordo su un prestito garantito dal bilancio comunitario, che permetterà di sostenere finanziariamente l’Ucraina in difficoltà di liquidità in quella che Mosca ha sempre definito una guerra per procura condotta dall’Occidente. Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca hanno ottenuto l’esenzione dall’erogazione del prestito.   «Chiunque presti denaro lo vuole indietro. In questo caso, il rimborso non è legato alla crescita economica o alla stabilizzazione, ma alla vittoria militare», ha scritto Orban su X sabato. «Perché questo denaro possa mai essere recuperato, la Russia dovrebbe essere sconfitta», ha aggiunto.   «Un prestito di guerra inevitabilmente rende i suoi finanziatori interessati alla continuazione e all’escalation del conflitto, perché una sconfitta significherebbe anche una perdita finanziaria».

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L’Orban ha affermato che ora esistono «forti vincoli finanziari che spingono l’Europa in una sola direzione: verso la guerra».   Ungheria e Slovacchia si oppongono da tempo alla continuazione degli aiuti militari a Kiev, nonostante le crescenti pressioni dell’UE per allinearsi alla linea comune. La Repubblica Ceca si è aggiunta al gruppo dopo l’elezione del nuovo primo ministro Andrej Babiš, che ha rifiutato di finanziare l’Ucraina a carico dei propri contribuenti.   Funzionari russi hanno accusato i sostenitori europei di Kiev di ostacolare i recenti tentativi di pace promossi dagli Stati Uniti e di prepararsi sempre più a un confronto diretto con la Russia.   Alti rappresentanti dell’UE hanno sfruttato le accuse di una presunta minaccia russa per giustificare l’accelerazione della militarizzazione, sbloccando 335 miliardi di euro di fondi destinati al recovery post-COVID e mobilitando 150 miliardi di euro in prestiti e sovvenzioni per il complesso militare-industriale dell’Unione.   Poiché Kiev potrà iniziare a rimborsare il prestito all’UE solo nel caso riceva riparazioni – scenario improbabile in caso di sconfitta russa –, si ritiene che il finanziamento rischi di trasformarsi di fatto in una donazione a fondo perduto.  

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Geopolitica

Gli USA sequestrano un’altra petroliera al largo del Venezuela

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Gli Stati Uniti hanno intercettato e sequestrato un’altra petroliera al largo delle coste venezuelane, intensificando la pressione su Caracas a pochi giorni dall’annuncio del presidente Donald Trump di un blocco «totale e completo» sulle spedizioni di petrolio soggette a sanzioni unilaterali.

 

Il segretario per la Sicurezza interna degli Stati Uniti, Kristi Noem, ha confermato l’operazione sabato, spiegando che la Guardia costiera americana, con l’appoggio del Dipartimento della Difesa, ha fermato una petroliera che aveva recentemente fatto scalo in Venezuela.

 

La Noem ha condiviso su X un video dell’intervento, sostenendo che l’azione, condotta prima dell’alba, mirava a contrastare il «movimento illecito di petrolio sanzionato» presumibilmente destinato a finanziare il «narcoterrorismo» nella regione.

 


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L’iniziativa si inserisce nel potenziamento della presenza militare statunitense intorno al Venezuela e segue l’ordine impartito da Trump all’inizio della settimana di bloccare tutte le petroliere sanzionate in entrata o in uscita dal Paese. A differenza però della nave sequestrata all’inizio del mese, quella intercettata nel fine settimana non figurava tra quelle sanzionate dagli USA e trasportava greggio venezuelano destinato all’Asia, secondo quanto riportato dalla CNN. Il sequestro è avvenuto in acque internazionali e rappresenta la seconda operazione del genere nelle ultime settimane.

 

Dall’interdizione precedente, diverse imbarcazioni sarebbero rimaste ancorate in acque venezuelane per evitare rischi simili, causando un drastico calo delle esportazioni di petrolio greggio del Paese. All’inizio della settimana, Trump ha accusato il Venezuela di «rubare» beni e investimenti petroliferi americani, minacciando che Washington «li vuole indietro» e che, in caso contrario, Caracas affronterà la collera della «più grande armata mai assemblata nella storia del Sud America».

 

La campagna di pressione statunitense, avviata a settembre, ha compreso schieramenti navali, sequestri di navi e decine di operazioni contro imbarcazioni sospettate di traffico di droga nei pressi del Venezuela, che secondo le autorità americane hanno provocato la morte di oltre 100 presunti membri di cartelli.

 

Caracas ha sempre negato qualsiasi coinvolgimento nel narcotraffico e ha condannato i sequestri e il blocco come atti illegali di pirateria, promettendo di difendere la propria sovranità. Il presidente venezuelano Nicolas Maduro ha accusato Washington di perseguire un cambio di regime per appropriarsi delle ingenti riserve petrolifere del Paese.

 

Gli Stati Uniti non hanno escluso ulteriori misure: Trump ha recentemente ribadito che operazioni di terra contro il Venezuela restano un’opzione sul tavolo.

 

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Geopolitica

Macron: l’UE dovrebbe essere pronta a interagire con la Russia

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Il presidente francese Emmanuel Macron ha dichiarato che l’Unione Europea dovrebbe mostrarsi aperta a riprendere i colloqui con il presidente russo Vladimir Putin, dal momento che la diplomazia sul conflitto ucraino sta acquistando nuovo slancio. Le sue affermazioni arrivano dopo il mancato accordo tra i leader europei sull’utilizzo dei beni russi congelati per finanziare l’Ucraina.   Intervenendo con i giornalisti a Bruxelles venerdì, Macron ha sottolineatoche alcuni Paesi hanno già ristabilito contatti con Mosca e ha aggiunto che «europei e ucraini hanno interesse a trovare il quadro per riprendere adeguatamente la discussione».   «Penso che tornerà utile parlare con Vladimir Putin», ha affermato Macron, precisando che senza un quadro strutturato «discuteremo tra di noi mentre i negoziatori andranno da soli a parlare con i russi. Non è la soluzione ottimale».   Le parole di Macron seguono il fallimento, da parte dei leader UE, di raggiungere un’intesa sul controverso progetto di impiegare 210 miliardi di euro di asset russi congelati come collaterale per un «prestito di riparazione» destinato all’Ucraina, che nei prossimi due anni dovrà far fronte a un deficit fiscale stimato in 160 miliardi di dollari. Il piano è naufragato soprattutto per l’opposizione del Belgio, che custodisce la maggior parte dei beni e ha avvertito dei rischi legali e finanziari connessi.

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I capi di Stato e di governo europei hanno invece deciso di raccogliere fondi sui mercati dei capitali per concedere all’Ucraina un sostanzioso prestito pluriennale. Tale scelta, tuttavia, mette in evidenza una divisione interna all’UE, dato che diversi Stati membri hanno ottenuto clausole di esenzione.   La Russia ha condannato le proposte occidentali di appropriarsi dei suoi asset congelati, qualificandole come «furto», e ha minacciato contromisure legali. Il negoziatore russo Kirill Dmitriev ha salutato il fallimento del piano dichiarando: «Il mondo intero vi ha appena visti fallire nel costringere gli altri a infrangere la legge».   L’ultimo contatto telefonico tra Putin e Macron risale a luglio – l’unico dal 2022 – e ha riguardato proprio il conflitto ucraino. Un mese prima, il presidente francese aveva già invitato gli altri Paesi UE a valutare la ripresa del dialogo con Mosca.   Mosca ha criticato la militarizzazione dell’Unione Europea, ma ha dichiarato di essere, in linea di principio, disponibile al confronto. Il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov ha però osservato che la partecipazione europea ai negoziati sul conflitto ucraino «non sarebbe di buon auspicio».

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