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Esodo di massa delle imprese tedesche verso la Polonia: energia troppo cara
Le aziende tedesche stanno espatriando in massa in Polonia a causa degli alti costi energetici. Lo riporta EIRN, che nota che l’approvvigionamento energetico della Polonia si basa per il 70% sul carbone – non il massimo per la politica verde infelicemente abbracciata da Berlino sin dai tempi della Merkel.
La centrale elettrica di Bełchatów in Polonia è la più grande centrale elettrica a lignite del mondo. Varsavia dispone inoltre un programma di energia nucleare. L’ultimo caso eclatante è quello del produttore di elettrodomestici Miele, celebre per i suoi prodotti di qualità, che starebbe delocalizzando parte della sua produzione in Polonia.
Vi sono altri nomi che stanno varcando i confini verso le terre polacche: il fornitore automobilistico francese Valeo prevede di cessare la produzione di motori elettrici a Bad Neustadt an der Saale in Franconia a metà del 2024, trasferendo la produzione in Polonia.
Anche il fornitore automobilistico IFA sta valutando la possibilità di trasferire la produzione da Haldensleben alla Polonia.
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Il produttore di apparecchi acustici Bernafon trasferirà la produzione dei suoi attuali apparecchi intrauricolari da Berlino a Stettino.
TE Connectivity, che produce tra l’altro connettori per automobili nel distretto di Straubing-Bogen, taglia 170 posti di lavoro in Germania e costruisce invece uno stabilimento di produzione in Polonia.
Volkswagen ha annunciato che non costruirà più la sua Golf a combustione a Wolfsburg, ma in Polonia.
Mercedes sta costruendo una fabbrica di furgoni elettrici a Jawor, in Polonia. E Ikea produce la maggior parte dei mobili in legno in Polonia. Secondo i dati dell’Ufficio federale di statistica tedesco, la Polonia è oggi il paese fornitore e di delocalizzazione più attraente per le aziende europee, avendo superato la Germania.
Il 23% delle aziende disposte a delocalizzare ha optato per la Polonia, davanti a Germania (19%) e Turchia (12%).
In Polonia hanno sede quasi 6.000 filiali tedesche, che insieme danno lavoro a circa 430.000 persone. Negli ultimi anni le aziende tedesche hanno investito in Polonia più di 40 miliardi di dollari. Spiccano singoli settori, come ad esempio l’industria automobilistica.
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La Polonia è il più grande esportatore di autobus elettrici nell’UE. Esistono più di 60 siti di produzione di batterie agli ioni di litio.
La Polonia è anche il più grande produttore di elettrodomestici nell’UE: marchi come Philips, Sharp, LG Electronics e TCL producono ogni anno in Polonia oltre 20 milioni di televisori, riporta EIRN.
Come riportato da Renovatio 21, tre mesi fa il ministro delle finanze germanico Christian Lindner aveva dichiarato che prezzi calmierati per l’energia non sarebbero stati prorogati. La decisione era arrivata pochi giorni dopo che la Corte costituzionale tedesca ha bloccato la decisione del governo federale di trasferire 60 miliardi di euro dai fondi inizialmente stanziati per affrontare l’impatto della pandemia di coronavirus, ad altri progetti.
Come riportato da Renovatio 21, l’anno scorso è stato notato che il pacchetto di aiuti energetici da 200 miliardi della Germania avrebbe potuto innescare il collasso finanziario globale. Ulteriormente, era stato calcolato che sanzioni e assenza di gas sarebbero costati all’economia europea, di cui Berlino è notoriamente la locomotiva, almeno 1,6 trilioni di euro.
Mentre la deindustrializzazione diviene un fatto ammesso pubblicamente, il sostegno alla guerra contro Mosca continua nei modi più masochistici possibili. A questo punto è davvero lecito pensare che esso sia un modo per rimilitarizzare la Germania, concetto considerato un tempo totalmente tabù dalla comunità internazionale e dalla NATO stessa, che, si dice, sia nata proprio per il fine di impedire il ritorno dei teschi a costituire una potenza armata.
La situazione energetica nel 2022 si era fatta così disperata che vi erano allucinanti progetti governativi segreti di consegna a domicilio del danaro in caso di blackout. Era invece usato politicamente il tema dei centri per «sfollati energetici», ossia luoghi riscaldati per chi non può più permettersi che la sua casa sia calda.
Come riportato da Renovatio 21, Deutsche Bank, l’enorme, controversa prima banca del Paese, al pari di Paesi come Polonia e Moldavia, aveva cominciato a prevedere il legno come combustibile per l’inverno.
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Immagine di Jon Worth via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic; immagine tagliata
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Trump risponde al nuovo «missile invincibile russo»: «non stiamo scherzando»
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Bannon: necessario uno Stato cristiano di Gerusalemme
Secondo Steve Bannon, ex consigliere del presidente statunitense Donald Trump e conduttore di podcast, per porre fine al conflitto a Gaza e promuovere la pace nella regione è necessaria una «soluzione a tre Stati», che includa uno «Stato cristiano». Non è chiaro, tuttavia, se egli intenda l’esistenza di uno Stato cristiano parallelamente allo Stato Ebraico ed un futuro Stato musulmano palestinese.
Nel suo podcast War Room dello venerdì, Bannon ha sostenuto che il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu non è riuscito a realizzare la sua visione di un «Grande Israele», un’idea ispirata a una terra biblica che si estende dal Nilo all’Eufrate. Il rifiuto da parte della classe dirigente israeliana di uno Stato palestinese e l’espansione continua degli insediamenti in Cisgiordania sono leggibili come prove di un perseguimento concreto di tale obiettivo.
«Il progetto di Netanyahu per un Grande Israele gli si è ritorto contro… Ha danneggiato Israele. Per questo serve una soluzione a tre stati, e uno di questi deve essere lo stato cristiano di Gerusalemme», ha dichiarato Bannon. «Abbiamo bisogno di uno stato cristiano in Terra Santa. È necessario per garantire che tra 20, 25, 30 anni la situazione sia più o meno stabilizzata».
Steve Bannon says Türkiye is back in the game, “Erdogan’s going to be the security force in Gaza.”
“We’ve unwound in two months what took 100 years to end. The Ottomans are back.
This Greater Israel project blew up in Netanyahu’s face.
The Ottomans played the long game.” pic.twitter.com/K1Qxa4UDiQ
— Clash Report (@clashreport) October 25, 2025
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All’inizio di ottobre, Steve Bannon aveva espresso opinioni non dissimili, dichiarando che la pace a Gaza «non può funzionare» limitandosi a coinvolgere solo «musulmani ed ebrei». Non ha fornito dettagli su come uno stato cristiano potrebbe essere istituito né ha spiegato perché ciò porterebbe stabilità alla regione.
L’ex advisor del presidente Trump durante il primo mandato ha sostenuto che né Israele – definito un «protettorato» e «stato vassallo» degli Stati Uniti – né Hamas, da lui descritto come un «attore minore», determineranno il futuro a lungo termine di Gaza. Secondo Bannon, il Qatar finanzierà la ricostruzione di Gaza, mentre la Turchia assumerà il ruolo di «forza di sicurezza».
L’ex consigliere ha poi affermato che, sebbene il piano di pace di Trump non abbia esplicitamente riconosciuto la sovranità palestinese, il quadro suggerisce ciò che ha chiamato un «proto-Stato palestinese», insinuando che Washington potrebbe, in futuro, riconoscerne la sovranità.
Non è chiaro, tuttavia, se Bannon stia parlando della creazione uno Stato cristiano parallelamente allo Stato Ebraico ed un futuro Stato musulmano palestinese – l’idea politica di Hamas, più che dell’ANP cisgiordana.
Riteniamo l’idea di tre Stati paralleli totalmente errata, ma anche quella di due Stati: come specificato in tanti interventi, Renovatio 21 crede nella soluzione ad uno Stato solamente: lo Stato Cristiano, l’unico a non essere permesso, mentre abbiamo nell’aereo la frizione tra teocrazie, con lo Stato Ebraico e vari Stati Islamici (compreso lo Stato Islamico ISIS, che ad un certo punto pure confinava con lo Stato degli Ebrei).
È evidente che solo uno Stato Cristiano può portare la pace in Terra Santa, così come già dimostrato, secoli fa, con il Regno di Gerusalemme.
No alla soluzione a più Stati. Sì allo Stato Crociato.
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Immagine di Djampa via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International, 3.0 Unported, 2.5 Generic, 2.0 Generic e 1.0 Generic
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La Croazia ripristina la leva militare
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