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Economia

La catastrofe energetica ed industriale italiana dietro alla nazionalizzazione dell’ILVA

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Pochi giorni fa il governo italiano ha di fatto nazionalizzato l’ILVA, nominando un «commissario straordinario» ovvero un funzionario governativo che diventa gestore dell’azienda a prescindere dalla proprietà – la quale vede al 38% lo Stato italiano e in maggioranza un gruppo franco-indiano).

 

All’inizio dell’anno a definire inevitabile la nazionalizzazione era stato sulle colonne di Renovatio 21 il professor Mario Pagliaro, chimico del CNR ed accademico di Europa. Prima ancora, esattamente un anno fa, commentando sempre per Renovatio 21 la nazionalizzazione di EDF – l’ENEL francese – da parte del governo di Parigi, il professor Pagliaro aveva anche lanciato una previsione sull’imminente ritorno dell’economia pianificata.

 

Da diversi anni Renovatio 21 cerca i commenti del professore riguardo l’evolversi della situazione energetica italiana, mettendola in relazione con il calo della produzione industriale. Siamo alle soglie del marzo 2024 e, dopo quattro anni di montagne russe pandemiche e belliche, siamo giocoforza tornati a sentirlo.

 

Professor Pagliaro la questione del gas ha dominato la discussione sull’energia in Italia. È possibile quantificare il calo dei consumi italiano del 2023? 

Certo. Più che un calo, si è trattato di un crollo: nessuno avrebbe creduto che fosse possibile una riduzione a due cifre dopo i consumi già anemici del 2022. Eppure il consumo di gas in Italia è crollato di altri 7 miliardi ti metri cubi, dopo averne perso 7,5 miliardi nel 2022. Sono numeri che non si sono mai verificati nella storia italiana del consumo di gas naturale. Per trovare un consumo più basso, bisogna tornare al 1997: ma allora la rete del gas di città di molti Comuni italiani, ad esempio in Sicilia, non era ancora stata raggiunta dal metano. 

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E questo crollo si spiega con il crollo della produzione industriale?

Della produzione industriale e dei consumi civili, esatto. La percentuale di gas naturale utilizzata per produrre energia elettrica infatti non cambia: anche nel 2023 è stata pari a circa un terzo (il 34%) dei consumi totali di gas. A scendere drasticamente sono i consumi civili e quelli industriali. Il gas nell’industria si usa per produrre calore ad alta temperatura, e vapore. Oltre che, dove si fa cogenerazione, anche per produrre energia elettrica.

 

Se la produzione industriale crolla, crolla anche la domanda di gas naturale: che non viene più richiesto dalle aziende con gli impianti fermi o che girano al minimo.

 

D’altra parte, famiglie, aziende, hotel, ristoranti, panifici e uffici che usano il gas per il riscaldamento, la produzione di acqua calda sanitaria e per alimentare i forni per la cottura, hanno tagliato drasticamente i consumi, nonostante i prezzi nel 2023 siano rientrati a valori accettabili.

 

E il gas importato via nave, a quanto ammonta adesso in Italia?

Al 25% dei gas consumato in totale: quasi 17 miliardi su poco più di 61, in crescita del 18% sul 2022.

 

Veniamo ad ILVA, da poco nazionalizzata dal governo. A quanto ammonta la bolletta energetica pagata dalla più grande acciaieria di Italia?

A 60 milioni di metri cubi al mese, che alle tariffe pagate direttamene al grande distributore nazionale pari a circa 50 centesimi per metro cubo, equivalgono a 30 milioni di euro al mese. Proprio a gennaio è arrivata una sentenza amministrativa che ha respinto un ricorso con cui l’azienda si opponeva ad una delibera che avrebbe di fatto disposto lo stop alle forniture a causa del debito di oltre 100 milioni nei confronti del fornitore del gas. Che non può fermarsi perché significherebbe lo spegnimento degli altiforni.

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Per quale motivo l’ILVA non dovrebbe tornare a guadagnare come avveniva quando era di proprietà dei Riva?

Perché da allora il mondo è cambiato. Le relazioni internazionali sono entrate in crisi. L’Italia non riceve più gas a basso costo dalla Russia. Il costo dell’energia quindi non tornerà mai più ai livelli di quegli anni.

 

D’altra parte, l’Italia non può restare senza un produttore di acciaio da minerale perché altrimenti diverrebbe dipendente dall’estero anche per il semilavorato principale dell’industria metalmeccanica che include tanto quella automobilistica che quella militare.

 

Per quale motivo la produzione industriale è crollata? 

Perché la domanda di beni italiani dall’estero è crollata. E rischia di continuare a farlo a causa della crisi delle relazioni internazionali che, da allora, si è ulteriormente acuita con la nuova crisi in Medio Oriente che ha determinato una forte riduzione del traffico navale commerciale dal Mar Rosso.

 

Un solo dato è sufficiente a dare l’idea del calo della domanda estera, in particolare dall’Asia e dal Vicino Oriente. Nel porto di Ravenna da cui partono anche le pregiate piastrelle prodotte in Emilia Romagna, nel 2023 il crollo dei materiali per le ceramiche movimentati è stato pari a 1,4 milioni di tonnellate, un calo del 75% sul 2022. Anche in questo caso, non si tratta di un calo, ma di un collasso.

 

Il risultato complessivo è il calo della produzione industriale nel 2023 del 2,5%, con 11 mesi consecutivi di segno negativo.

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E la domanda interna di beni, perché non riparte?

Perché l’inflazione altissima per mesi, unita ai mancati aumenti salariali in pressoché tutti i comparti, ha tagliato il potere di acquisto delle famiglie. Di qui la crescita enorme delle ore di cassa integrazione richieste dalle imprese a Gennaio, ben 49,1 milioni. Con il settore del commercio che da solo fa registrare una crescita del 148%. Né la forte crescita del turismo nei mesi estivi, è in grado di compensare simili cali della domanda di beni e servizi italiani dall’interno e dall’estero. 

 

Di qui la necessità di tornare all’economia pianificata?

Non esistono alternative, se non la completa deindustralizzazione in pochi anni e la povertà di massa.

 

Da oltre 3 anni i governi sia a livello nazionale che regionale offrono ai cittadini ogni sorta di «bonus» per sostenerne il reddito ed evitare la crisi sociale. Le aziende da parte loro non procedono ai licenziamenti di massa che il calo delle vendite imporrebbe per mantenersi profittevoli grazie alla Cassa integrazione e agli altri strumenti di tutela sociale dei lavoratori. Ma il debito pubblico a dicembre ha sfiorato i 2900 miliardi di euro e la deindustrializzazione procede molto rapidamente praticamente in tutti i settori, a partire da quello automobilistico.

 

In Italia nel 2023 si si sono prodotte 540mila automobili. Nel 1980, ne furono prodotte 1,5 milioni. Mentre le infrastrutture italiane, a partire dalle strade provinciali a quelle autostradali, necessitano di enormi investimenti per la manutenzione e in alcuni casi il completo rifacimento. Solo lo Stato può sostenere questi investimenti. E solo lo Stato è in grado di supplire alle carenze del settore privato.

 

L’Italia con l’IRI fece da scuola al mondo, e divenne una grande nazione industriale. Deve tornare a farlo: e in tempi molto rapidi. Altrimenti la crisi da economica ed energetica non potrà più essere contenuta.

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Economia

Importatori indiani pagano petrolio russo in yuan

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Le compagnie indiane importatrici di petrolio hanno iniziato a utilizzare lo yuan per pagare direttamente le forniture di greggio russo. Lo riporta The Cradle.   Secondo quanto riportato anche dall’agenzia Reuters, vi sono stati recenti pagamenti in yuan da parte dell’Indian Oil Corporation per «due o tre carichi di petrolio russo». In precedenza, i commercianti dovevano convertire i pagamenti in dirham (Emirati Arabi Uniti) o dollari in yuan, poiché questi ultimi possono essere convertiti direttamente in rubli per pagare i produttori russi.   Ora, secondo «fonti informate» citate da Reuters, si cerca di eliminare questo passaggio costoso. I pagamenti in yuan aumenteranno la disponibilità di petrolio russo per le raffinerie statali indiane, poiché alcuni commercianti russi rifiutavano altre valute.   I commercianti russi e la banca centrale russa si erano opposti all’accumulo di grandi saldi in rupie indiane, derivanti dagli elevati acquisti di petrolio, dato che le esportazioni indiane verso la Russia, pur in crescita in settori come ingegneria e farmaceutica, non bilanciavano le importazioni di greggio.   Questo passaggio ai pagamenti in yuan, di cui non è chiaro il periodo di attuazione, risulta vantaggioso sia per l’India che per la Russia, che necessita di yuan per il commercio con la Cina.   Dato il notevole deficit commerciale dell’India con Russia e Cina, è probabile che la sua Banca Centrale ottenga yuan attraverso una linea di swap con la Banca Popolare Cinese.

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  Immagine di KeenHopper via Wikimedia pubblicata su licenza  Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
 
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Cina

La Cina impone controlli sulle esportazioni di tecnologie legate alle terre rare

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Il ministero del Commercio cinese, ha annunciato il 9 ottobre che imporrà controlli sulle esportazioni di tecnologie legate alle terre rare per proteggere la sicurezza e gli interessi nazionali. Lo riporta il quotidiano del Partito Comunista Cinese in lingua inglese Global Times.

 

Questi controlli riguardano «l’estrazione, la fusione e la separazione delle terre rare, la produzione di materiali magnetici e il riciclaggio delle risorse secondarie delle terre rare». Le aziende potranno richiedere esenzioni per casi specifici. In assenza di esenzioni, il ministero della Repubblica Popolare obbligherà gli esportatori a ottenere licenze per prodotti a duplice uso non inclusi in queste categorie, qualora sappiano che i loro prodotti saranno utilizzati in attività connesse alle categorie elencate.

 

Il precedente tentativo del presidente statunitense Donald Trump di avviare una guerra tariffaria con la Cina si è rivelato un fallimento, principalmente a causa del dominio preponderante della Cina nell’estrazione e nella lavorazione dei minerali delle terre rare. Delle 390.000 tonnellate di ossidi di terre rare estratti nel 2024, la Cina ne ha prodotte circa 270.000, rispetto alle 45.000 tonnellate degli Stati Uniti, e detiene circa l’85% della capacità di raffinazione globale.

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La decisione odierna della Cina avrà certamente un impatto a Washington, soprattutto in vista dell’incontro tra i presidenti Donald Trump e Xi Jinping previsto per fine mese. Oggi si è registrata una corsa all’acquisto delle azioni di MP Materials, il principale concorrente statunitense della Cina nella produzione di terre rare.

 

All’inizio dell’anno, il dipartimento della Difesa statunitense aveva investito in MP Materials, dopo che Trump aveva evidenziato il divario tra Stati Uniti e Cina. Tuttavia, tale investimento è stato considerato insufficiente e tardivo.

 

Come riportato da Renovatio 21, nel 2024 i dati mostravano che i profitti sulla vendita delle terre rare cinesi erano calati. È noto che Pechino sostiene l’estrazione anche illegale delle sostanze anche in Birmania.

 

Secondo alcune testate, tre anni fa vi erano sospetti sul fatto che il Partito Comunista Cinese stesse utilizzando attacchi informatici contro società di terre rare per mantenere la sua influenza nel settore.

 

Le terre rare, considerabili come sempre più necessarie nella corsa all’Intelligenza Artificiale, sono la centro anche del turbolento accordo tra l’amministrazione Trump e il regime di Kiev.

 

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Immagine di pubblico dominio CCo via Wikimedia

 

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Economia

Ritrovato morto a Kiev un trafficante di criptovalute

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Konstantin Ganich, noto anche come Kostya Kudo, trader di criptovalute e blogger ucraino di rilievo, è stato rinvenuto morto con una ferita d’arma da fuoco alla testa, in un caso che le autorità di Kiev stanno indagando come presunto suicidio sospetto.   Tra i suoi clienti, secondo la stampa locale, figurerebbero anche funzionari ucraini e «persone influenti».   Venerdì, i mercati globali delle criptovalute hanno registrato uno dei crolli più gravi del 2025, scatenato dall’annuncio del presidente statunitense Donald Trump su nuovi dazi del 100% sulle importazioni dalla Cina.   Sabato mattina, la polizia di Kiev ha trovato un corpo all’interno di un’automobile, con un’arma da fuoco intestata a Ganich, come riportato da vari organi di stampa ucraini. Sebbene le autorità abbiano indicato che la vittima era un «imprenditore e blogger legato al mondo delle criptovalute», non ne hanno divulgato pubblicamente l’identità.

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Le indagini puntano verso l’ipotesi del suicidio, con sospetti che l’uomo «avesse confidato ai familiari il suo stato depressivo causato da problemi finanziari poco prima del decesso, inviando loro un messaggio di addio», secondo quanto riferito dalla testata Unian.   Più tardi, sabato, sul canale Telegram di Ganich è comparso un post che confermava la scomparsa del trentaduenne.   Sempre secondo Unian, citando fonti anonime, durante l’ultimo tracollo del mercato crypto, Ganich avrebbe perso fino a 30 milioni di dollari tra investimenti gestiti e i suoi asset personali. L’agenzia ha inoltre indicato che tra i suoi clienti vi erano presunti funzionari ucraini e «figure influenti» non identificate e legami con l’Intelligence ucraina.   Tuttavia, Unian ha riportato anche il parere di altre fonti anonime che contestano l’ipotesi suicidaria. Alcune di esse sostengono che Ganich fosse stato recentemente vittima di estorsioni da parte delle forze dell’ordine.   Venerdì, Trump ha reso noto che gli Stati Uniti imporranno dazi del 100% sui prodotti cinesi a partire dal 1° novembre 2025, in aggiunta a quelli già esistenti. La misura è stata motivata dai nuovi «controlli aggressivi» imposti da Pechino sulle esportazioni di minerali strategici a duplice uso militare. L’annuncio ha provocato un crollo del mercato delle criptovalute, con perdite stimate dagli analisti in 19,33 miliardi di dollari in posizioni aperte.   Non si tratta del primo giovane investitore di criptovalute morto drammaticamente.   Come riportato da Renovatio 21, nel 2021 fu trovato affogato al largo del Costa Rica Mircea Popescu, 41 anni, miliardario in Bitcoin. Due anni fa fu accoltellato a morte per strada a San Francisco Bob Lee, dirigente della società cripto MobileCoin.   Vi sono poi i casidi Gerald Cotten, fondatore di QuadrigaCX, deceduto in India in un ospedale indiano nel 2019 (dove gli erano stati diagnosticati shock settico, perforazione, peritonite e ostruzione intestinale) lasciando bloccati 250 milioni di dollari in Bitcoin, o Nikolai Mushegian, annegato nel 2022 dopo tweet su complotti CIA – un fatto che ha favorito le teorie del complotto sulla sua morte.   Nel 2022 sono morti in circostanze sospette iboss crypto Tiantian Kullander (deceduto nel sonno a 30 anni ) nel sonno e Vjacheslav Taran, 53 anni, co-fondatore della piattaforma di trading e investimenti Libertex, è morto dopo che il suo elicottero si è misteriosamente schiantato in una località turistica vicino a Monaco.

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