Geopolitica

L’Armenia sta per porre parte del suo territorio sotto il controllo USA

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L’Armenia avrebbe accettato silenziosamente di cedere una parte strategica del suo territorio agli Stati Uniti. Lo riporta il quotidiano spagnolo Periodista Digital.

 

Il piccolo Paese senza sbocco sul mare nel Caucaso meridionale è da tempo in conflitto con il vicino Azerbaigian, ricco di petrolio, che nel 2023 ha ripreso il pieno controllo della regione separatista del Karabakh.

Martedì scorso la testata online spagnuola ha riferito di aver ottenuto una copia di un memorandum da membri anonimi della diaspora armena in Francia, che delinea la creazione di un corridoio di 42 chilometri  attraverso l’Armenia meridionale, che collegherà l’Azerbaigian con la sua exclave di Nakhchivan.

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Secondo quanto riportato, l’area sarebbe gestita da una società statunitense e protetta da circa 1.000 contractor privati armati, autorizzati a usare la forza per «preservare l’integrità del corridoio». L’accordo dovrebbe avere una durata di 99 anni. Secondo l’agenzia di stampa, il testo del memorandum è stato approvato da Stati Uniti, Armenia e Azerbaigian.

 

Periodista Digital ha descritto il documento come «una catastrofe» per l’Armenia, sostenendo che avrebbe favorito gli Stati Uniti, così come i rivali regionali dell’Armenia, Azerbaigian e Turchia, e avrebbe messo a dura prova le relazioni di Yerevan con la Francia.

 

In una dichiarazione rilasciata mercoledì, il governo armeno ha smentito il rapporto, definendolo «un elemento di guerra ibrida e propaganda manipolativa» e liquidando Periodista Digital come «fonte dubbia». Stati Uniti e Azerbaigian non hanno rilasciato dichiarazioni in merito.

 

Yerevan e Baku sono impegnate in colloqui per normalizzare le relazioni, con l’Azerbaigian che chiede all’Armenia di istituire un corridoio di trasporto per Nakhchivan. Il premier armeno Nikol Pashinyan ha respinto la proposta all’inizio di questo mese, affermando che la controversia deve essere risolta sulla base del rispetto reciproco dell’integrità territoriale e dell’uguaglianza.

 

Nelle scorse settimane il Pashinyan aveva dichiarato che l’Armenia probabilmente abbandonerà l’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO), una sorta di «NATO dei Paesi ex sovietici». Yerevan ha sospeso la sua partecipazione all’organizzazione un anno fa, sostenendo di non aver fornito adeguato supporto al Paese durante il conflitto con l’Azerbaigian, conclusosi con il rimpatrio forzato della regione del Nagorno-Karabakh.

 

Mercoledì, durante una conferenza stampa, Pashinyan ha affermato che «per quanto riguarda la questione se lasciare o meno la CSTO, dirò che è molto probabile che l’Armenia lascerà la CSTO piuttosto che scongelare la propria partecipazione».

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La Russia e l’Armenia sono tra le ex repubbliche sovietiche che hanno fondato la CSTO nel 1992; ne fanno parte anche la Bielorussia, il Kazakistan, il Kirghizistan e il Tagikistan. La Russia ha sostenuto che la CSTO non avrebbe potuto considerare l’operazione militare di Baku nella zona come un’aggressione contro un membro dell’alleanza, poiché l’Armenia non ha mai riconosciuto il Nagorno-Karabakh come proprio territorio.

 

Mosca ha anche sottolineato il ripetuto rifiuto da parte di Yerevan delle proposte di compromesso territoriale con Baku avanzate dalle autorità russe. Il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov ha dichiarato in precedenza che l’adesione all’alleanza è una «decisione sovrana» per Yerevan. «L’adesione alla CSTO porta alcuni vantaggi all’Armenia… la CSTO è un’organizzazione che ha ripetutamente dimostrato la sua efficienza», ha sostenuto.

 

Yerevan è diventata sempre più filo-occidentale sotto Pashinyan; durante la conferenza stampa, il primo ministro ha ribadito che «l’Armenia vuole entrare a far parte dell’UE», riflettendo una legge firmata all’inizio di quest’anno che esprime questa intenzione. Tuttavia, ha riconosciuto che sarà «un processo complicato», poiché il paese dovrà soddisfare determinati standard e ottenere l’approvazione di tutti gli Stati membri.

 

Nelle ultime settimane, la tensione in Armenia è stata elevata a seguito dell’arresto di due alti prelati della Chiesa Apostolica Armena (CAA) e di uno dei suoi principali sostenitori, l’imprenditore russo-armeno Samvel Karapetyan. Sono stati accusati di aver cospirato per rovesciare il governo di Pashinyan dopo aver esortato la popolazione a protestare contro la decisione del primo ministro di cedere diversi villaggi di confine all’Azerbaigian.

 

Come riportato da Renovatio 21, l’esodo degli armeni dell’Artsakh (così chiamano l’area del Nagorno-Karabakh) a seguito dell’invasione nell’énclave delle forze azere arriverebbe a contare 100 mila persone, in una zona dove la popolazione armena ha un numero di poco superiore. Le immagini del corridoio di Lachin intasato da vetture di famiglie che fuggono sono a dir poco impressionanti.

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Il primo ministro Pashinyan, cedendo alle lusinghe dell’Ovest, ha irritato giocoforza la Russia, che è l’unico Paese che si era impegnato davvero per la pace nell’area. Mosca non può aver preso bene né le esercitazioni congiunte con i militari americani né l’adesione dell’Armenia alla Corte Penale Internazionale, che vuole processare Putin.

 

Bisogna aggiungere anche i rapporti dell’Occidente con Baku, considerato un fornitore energetico affidabile e ora piuttosto necessario all’Europa privata del gas russo. L’Azerbaigian è una delle ex repubbliche sovietiche ritenute più strategicamente vicine all’Occidente: si considerino inoltre le frizioni con l’Iran e quindi il ruolo nel contenimento degli Ayatollah.

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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0) 

 

 

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