Geopolitica

Riyadh nella SCO: Xi corteggia il «Sud del mondo» contro gli USA e i loro alleati

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Sauditi entrano come partner nel forum politico-militare guidato da Pechino e Mosca. Malgrado la mediazione cinese, la rivalità regionale tra Arabia Saudita e Iran è destinata a rimanere. La Cina porta però nella sua orbita un alleato di Washington. I cinesi hanno più difficoltà nel proprio «cortile di casa».

 

 

L’ingresso dell’Arabia Saudita nell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (SCO) è un altro colpo diplomatico di Xi Jinping. Il 10 marzo era arrivato l’annuncio che la Cina aveva mediato la firma di un accordo tra sauditi e iraniani per la ripresa delle relazioni diplomatiche dopo sette anni d’interruzione.

 

Il «Sud del mondo» è l’area del globo più interessata dall’azione diplomatica cinese: uno sforzo per controbilanciare le mosse degli USA e dei suoi alleati per contenere l’ascesa geopolitica di Pechino.

 

Con la loro decisione del 29 marzo, i sauditi entrano nella Sco da partner per il dialogo, primo passo per la piena partecipazione. Guidato da Cina e Russia, il forum di consultazione politico-militare riunisce con diversi gradi di affiliazione repubbliche ex sovietiche e Paesi come India, Iran, Pakistan e Turchia.

 

La presenza di attori con interessi non solo «divergenti», ma «conflittuali», mina in realtà l’efficacia del raggruppamento.

 

L’arrivo di Riyadh aggiunge un altro elemento di incertezza. La comune appartenenza alla SCO non ha favorito una distensione tra Cina e India, che da quasi tre anni guerreggiano lungo il confine himalayano conteso. Lo stesso discorso vale per le persistenti tensioni tra Delhi e Islamabad sul Kashmir.

 

La mediazione cinese tra sauditi e iraniani segnala una crescente consapevolezza diplomatica di Pechino, pronta ad assumersi responsabilità che potrebbero portare anche a brutte figure. È indiscutibile che il peso della Cina in Medio Oriente sia sempre più rilevante: arrivare a risultati concreti nella regione è però un altro affare.

 

Lo scambio di diplomatici tra Iran e Arabia Saudita, come la reciproca adesione alla SCO, non metterà certo fine alla loro rivalità regionale: nella migliore delle ipotesi la renderà «più prevedibile».

 

Rispetto all’intesa con i sauditi, il vero successo di Xi è di essere riuscito ad attrarre nell’orbita cinese quello che dovrebbe essere un solido alleato degli USA. Più abile in politica estera che in quella economica interna, il presidente cinese continua a segnare punti nel Sud del mondo per compensare le difficoltà nel suo «cortile di casa».

 

La Cina cerca di allontanare dal Pacifico occidentale la sfera d’azione degli Stati Uniti, ma finora con scarsi risultati. I Paesi del sud-est asiatico non vogliono un conflitto tra Pechino e Washington, ma neanche un’egemonia cinese, accettando il ruolo di equilibratore degli USA.

 

Il Giappone continua ad armarsi in chiave anti-cinese. Oggi Tokyo ha confermato anche che limiterà la vendita all’estero di strumenti per la produzione di microchip, scelta in linea con le richieste statunitensi per contenere l’avanzamento tecnologico della Cina – e nella stessa direzione va la Corea del Sud.

 

Il 13 marzo USA, Australia e Gran Bretagna hanno rivelato i dettagli di AUKUS, il patto militare siglato a settembre 2021 per dotare Canberra di sottomarini a propulsione nucleare.

 

Xi non riesce nemmeno nel vecchio intento di “staccare” l’Europa da Washington. Ieri la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, ha dichiarato che l’evoluzione dei rapporti tra la Cina e Putin sarà il «fattore determinate» per il futuro delle relazioni sino-europee.

 

 

 

 

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