Misteri

Messina Denaro, la massoneria e Roosevelt a Castelvetrano

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La faccenda era partita un po’ in sordina. I giornali, all’inizio, cominciarono con lo scrivere che il medico di Matteo Messina Denaro sarebbe massone.

 

Poi, rapidamente, hanno iniziato a saltar fuori altri «massoni nell’orbita di Messina Denaro», così li ha definiti Repubblica.

 

Infine, da giorni, è il diluvio.

 

Ecco il politico «sotto processo perché sospettato di essere tra i vertici di una loggia massonica segreta che avrebbe raggruppato il gotha di tutta la provincia» che si sarebbe vantato con un amico massone: «Quando eravamo ragazzini ci volevamo bene, poi lui ha fatto la sua strada (…) Siccome noi ci volevamo bene, capito, assai ci volevamo bene, perciò da me puoi stare tranquillo che né mi manderà nessuno, né viene nessuno. Sono in commissione antimafia, appena arrivano lettere anonime sulla massoneria le strappo».

 

«Quando si parla di logge segrete il nome di Matteo salta fuori puntuale come un orologio e non c’è collaboratore di giustizia che non abbia ribadito come uno dei capisaldi del potere e della forza del boss in questi trent’ anni di latitanza sia stata la sua vicinanza se non appartenenza a logge nascoste e con uomini che poi, guarda caso, hanno sempre entrature nei palazzi del potere siciliano» scrive La Repubblica. «Mafia e massoneria sono andati a braccetto da sempre, non è una novità. I verbali dei processi sulla vecchia mafia sono pieni di testimonianze».

 

«Diversi pentiti raccontato che alla massoneria erano affiliati Totò Riina, Michele Greco, Francesco Madonia, Stefano Bontade, Angelo Siino, Vito Cascioferro: i capi storici di Cosa Nostra».

 

Non può mancare la citazione di «Michele Sindona, il banchiere della mafia», il quale «è stato associato alla loggia Camea (…) E in queste logge agivano anche funzionari della Regione: come Salvatore Bellassai, che aveva la sua stanza proprio di fronte a quella del presidente Piersanti Mattarella. Bellassai era il capo della P2 di Gelli per la Sicilia e la Calabria. Ma queste sembrano narrazioni ormai da libri di storia della mafia» si vola altissimi. E qui è sempre il giornale fondato dal «laico» Eugenio Scalfari.

 

«Di certo c’è che Messina Denaro e le sue sentinelle sparse per la Sicilia occidentale, nel suo regno che va da Agrigento a Trapani, hanno avuto legami strettissimi con esponenti di logge massoniche segrete e non, che a loro volta hanno avuto entrature nei palazzi della politica e della burocrazia del capoluogo di regione, Palermo».

 

Quindi arriva l’intervista al giudice che per nove anni ha dato la caccia al boss. «Le indagini sulle ricerche di Matteo Messina denaro furono totalmente ostacolate. Ogni volta che si alzava il livello, ad esempio sulla massoneria, in molti […] cominciavano a non crederci più» dice a La Stampa. «Ripartimmo con enorme fatica dalla massoneria […] ma non fu facile nemmeno stavolta […] Mi ritrovai in una riunione senza nemmeno il consenso dei colleghi». Pensai che l’indagine fosse stata totalmente ostacolata, che la cattura non fosse ritenuta prevalente e che sarebbe stato impossibile ricominciare daccapo».

 

Accade però una cosa particolare: dopo la pubblicazione di questa intervista, il magistrato però scrive una lettera alla Stampa: «In riferimento all’intervista pubblicata su La Stampa di ieri, non ho mai detto che “le mie indagini furono totalmente ostacolate. Pensai non lo volessero prendere” (…) il Procuratore ed i miei colleghi, al contrario di me sul capitolo massoneria, non ritenevano più credibile il collaboratore da cui le relative indagini erano scaturite». Il giornalista ribatte: «La dottoressa sa perfettamente che le è stato inviato in visione il testo dell’intervista e che, alle 21,15, su sua richiesta telefonica di parziali modifiche al testo, le stesse sono state accolte nel corpo pubblicato (…) La vicenda del collaboratore, in relazione alle indagini sulla massoneria, è spiegata nel prosieguo dell’intervista».

 

Cominciano a venire un po’ di vertigini.

 

Del resto, ci erano già venute anni fa leggendo Il Quarto livello, libro del giudice Carlo Palermo, che la mafia cercò di bombardare. In una storia che metteva in fila Ali Agca, Gheddafi, certe famiglie reali europee, il terrorismo islamico e altro, il giudice ricordava l’immane densità massonica di Trapani, dove le logge sono in numero spropositato. «Che il boss è stato ed è capo mandamento di una città – Trapani – in cui Cosa Nostra ha costruito la sua crescita finanziaria e dove, nel tempo, si sono contate 16 logge massoniche» scrive Carlo Bonini su Repubblica.

 

«L’ambiente trapanese è da sempre permeato di rapporti fra mafia e pezzi di ambienti che io chiamo genericamente della borghesia mafiosa» dice il procuratore di Palermo sentito da Il Fatto Quotidiano. «Ma lo faccio per non dare specificazione ad elementi che invece riguardano particolari settori. Dall’imprenditoria al mondo della sanità. E certamente va considerato che la provincia di Trapani è la seconda in Sicilia, dopo quella di Messina, per presenza di logge massoniche. Tutti questi elementi ci inducono a spingere i nostri accertamenti e le nostre verifiche. È quello che contiamo di fare in queste ore».

 

Si va oltre, il Corriere della Sera arriva a parlare di «Massoneria braccio destro della mafia: il piano di Messina Denaro». «U Siccu [nome con cui veniva identificato Matteo Messina Denaro, ndr] aveva in testa un’idea grandiosa: che la mafia si pigliasse la politica. Come? Creando logge massoniche coperte “ove vengano affiliati solo personaggi di un certo rango e ove la componente violenta della mafia ne divenga il braccio armato”». Di più: «meno sangue e tanti legami occulti, fino a farsi, secondo qualche pentito, una loggia segreta tutta sua, La Sicilia».

 

Quindi: Matteo Messina Denaro massone?  Con una loggia tutta sua? Eh?

 

«Matteo ha avuto uomini fidati in tante amministrazioni, dalle questure ai Servizi. Così riusciva a sapere in tempo reale delle nostre indagini» continua il magistrato di cui sopra. «Una rete di copertura di carattere massonico lo ha protetto in tutto il mondo».

 

Insomma: in questi lunghi 30 anni di latitanza, più in quella di Provenzano, in queste decadi di grande consumo della narrazione dell’antimafia nazionale, vuoi che si siano sempre dimenticati di parlarci di questo capitolo, di questo ingrediente magico della storiaccia – cioè, la massoneria?

 

«Non è emerso alcun ruolo della massoneria in ordine alla latitanza o all’arresto di Matteo Messina Denaro» assicurava il 19 gennaio all’AdnKronos il Gran Maestro Stefano Bisi, l’uomo alla guida del Grande Oriente d’Italia. «Non risulta alcun procedimento penale avente ad oggetto la massoneria del GOI o peggio la sua vicinanza alla criminalità – dichiara il venerabile – la responsabilità del singolo, ove accertata in via definitiva, resta tale e non coinvolge l’associazione massonica di appartenenza.

 

La Sicilia è una terra di memoria infinita, un gorgo di umanità – fatto di sangue, fatto di storie – che scende giù nei secoli e nei millenni, talvolta domandando apertamente, tra segreti e tragedie, un posto centrale nell’avventura del mondo. Forse per questo, la Sicilia è piena di persone sagge, persone che ricordano con lucidità quanto accade in mezzo al mare e alla Terra…

 

Ecco che, d’un tratto, qualche amico siculo mi ricorda che Castelvetrano, la zona dove Messina Denaro viveva indisturbato, perfino attorno ad un centro studio CNR (lo disse Report), il luogo dove viveva anche il padre «Don Ciccio» Messina Denaro (che  affidò il figlioletto Matteo a Riina, perché imparasse), il luogo che tutta l’Italia ora guarda con, diciamo così, una certa perplessità (perché proprio quel paesello?), fu teatro di un vertice di rilevanza assoluta per le vicende del pianeta.

 

Il giorno dell’Immacolata, l’8 dicembre 1943 a Castelvetrano – lì – si presentò il presidente americano Franklin Delano Roosevelt. Se pensate sia uno scherzo, vi sbagliate. Se vi fa l’effetto di uno dei «corti» di Elio e le Storie Tese (rimaneggiamenti demenziali dell’audio di documentari), «Hitler in Calabria», siete fuori strada (il tedesco arrivò però quantomeno fino a Sorrento, dove scrisse nel libro dell’albergo che se avesse perso le elezioni sarebbe tornato a vivere lì…). Se ridete come se vi dicessero «Stalin a Cuggiono», «Mao Zedong a Grisignano di Zocco», «Churchill a Poggio Rusco», «Hirohito a Quarto Oggiaro», «Bokassa a Brembate», potete pure farlo – salvo poi affrontare la verità.

 

Castelvetrano, questa microcittadina che sembra al centro di tutta questa storia di mafia del 2023, esattamente 80 anni prima era teatro di un incontro con pochi precedenti.

 

Ufficialmente di passaggio dalla Tunisia (prima era stato alle conferenze del Cairo e di Teheran), il presidente Roosevelt, secondo quanto raccontato, decorava dei generali americani presso l’«aeroporto» di Castelvetrano, allora completamente nelle mani delle forze USA, conquistato, dicono le cronache, bizzarramente senza colpo ferire.

 

Considerate che non era solo: con lui c’era il vertice estremo dell’esercito USA, nomi che oggi fanno tremare i polsi. C’era il generale Patton. C’era il generale Eisenhower – un altro futuro presidente. Il comandante dell’aviazione strategica. Il comandante della terza armata.

 

 

In pratica, un concentrato di potere, politico e militare, senza precedenti. Parliamo degli uomini che hanno vinto per il blocco occidentale la Seconda Guerra Mondiale. Se i tedeschi avessero potuto avere un drone di quelli che la CIA ha usato in Afghanistan, avrebbero potuto operare quello che ora si chiama un decapitation strike: un colpo ai vertici tale di mettere fine alla guerra.

 

Gli storici oggi parlano apertis verbis di una possibile «operazione coperta». L’incontro serviva per capire, dicono, cosa ne avrebbero fatto dalla Sicilia. Forse, qualcuno osa, fu programmato lì il «separatismo» à la Salvatore Giuliano, quello per cui la Trinacria doveva divenire un nuovo Stato USA.

 

Anche in queste ricostruzioni manca, ovviamente, l’ingrediente magico – cioè esoterico, cioè, avete capito, insomma, il grembiuletto.

 

Franklin Delano Roosevelt «fu iniziato in massoneria nella Holland Lodge No. 8, di New York City il 10 ottobre 1911, divenne Compagno il 14 novembre 1911 e Maestro il 28 novembre 1911 ed il 28 febbraio 1929 fu iniziato al 32º grado di rito scozzese antico ed accettato l’Albany Concistory di New York. Fu membro della Holland Lodge n. 8 di New York fino al marzo 1935, come il presidente Theodore Roosevelt e il suo futuro vice Harry Truman. Fu membro onorario della Architect Lodge No. 519 di New York e Gran Maestro onorario della Georgia. Nel 1934 divenne pure Gran Maestro onorario dell’Ordine De Molay». Mica è un segreto: lo scrive Wikipedia, pure nella versione italiana. Che continua aggiungendo cose interessanti.

 

«Fra i suoi consiglieri, ebbe rapporti con l’economista britannico John Maynard Keynes, fautore del deficit spending (come l’alta finanza di quel tempo), frequentatore di vari membri della Fabian Society, detentore e studioso degli scritti alchemici ed esoterico-magici di Isaac Newton, che a sua volta fondò il nuovo corso spirituale della massoneria moderna, rispetto alla muratoria medioevale». Insomma, dentro tutto. Non manca niente.

 

Roosevelt, poliomelitico, morì senza vedere la fine della guerra che aveva voluto. Gli successe un altro massone, Truman, al quale si deve il bombardamento atomico di Hiroshima e Nagasaki. Come noto, c’è la coincidenza che quest’ultima era una città giapponese quasi interamente cattolica. Ma stiamo divagando.

 

Non è un segreto che lo sbarco alleato venne in Sicilia proprio per i motivi che per anni si sono sussurrati pudicamente: la voce è che come arrivarono gli americani, furono accolti dai canti dei locali «viva l’America, viva la mafia!». Lucky Luciano, l’architetto del sistema dei clan della mafia di Nuova York, era assunto dalla Marina USA come «traduttore». La posta in gioco per la mafia italoamericana (allora ancora gonfia dei proventi diversificati del proibizionismo) era non da poco: il ritorno di Cosa Nostra in Sicilia, dove era stata estirpata dalla repressione sanguinosa degli uomini di Mussolini.

 

La realtà è che non solo la Marina pescò da Luciano e dai suoi simili. È certa l’implicazione dell’OSS, il servizio segreto esterno USA antesignano della CIA. L’uomo che con ogni probabilità ha intessuto il collegamento profondo fu James Jesus Angleton, che in seguito verrà riconosciuto come la «madre» della CIA (il padre era Allen Dulles).

 

Angleton era cresciuto a Milano, dove si era trasferita la famiglia per il lavoro del padre. Era quindi italofono. Era, inoltre, poeta: ammirava immensamente Ezra Pound, cui scriveva lettere piene di passione letteraria, mentre, dopo la guerra, lo teneva al gabbio. Angleton era, si dice, intimo di Montini. Ha gestito con ogni probabilità il ponte mafioso sulla Sicilia (ripetendosi, pochi anni dopo, con Cuba, alleandosi con i picciotti per far fuori Fidel Castro) e pure, con ogni probabilità, il referendum Repubblica o Monarchia. Qualcuno può immaginare che ci sia lui dietro alla creazione del partito che governò il Paese «liberato» nei suoi decenni di «sovranità limitata»: la DC. Il teorico del democristianismo, il francese Jacques Maritain, le cui idee venivano fatte circolare con forza nei circoli cattolici antifascisti, era stato per anni in America, ospite di quelle università americane da cui veniva Angleton e tutti i suoi colleghi cooptati nell’OSS, università che, mi diceva Gianni Collu, «erano presidi della massoneria».

 

James Jesus Angleton, insomma, è un vero padre della patria – un uomo mitico, a cui, nel bene e nel male, dobbiamo la forma attuale dell’Italia Repubblicana, al quale tuttavia nessuno ha mai pensato di dedicare una via o una piazza. Se vi interessa la sua figura, potete intuirne parzialmente la portata guardandovi il capolavoro di Robert DeNiro The Good Shepherd, o la rara miniserie The Company.

 

E quindi, vuoi che la Sicilia abbia giocato questo ruolo oscuro e fondamentale nella storia del Nuovo Ordine Mondiale?

 

Vuoi che Castelvetrano abbia in qualche modo avuto un ruolo nell’incontro di queste forze occulte che hanno plasmato la storia ben oltre l’isola, la penisola, l’Europa?

 

È un caso che, quando si parli di mafia, di reti internazionali, di poteri inspiegabili, si rifinisca in quello stesso paesino brullo di neanche trentamila abitanti?

 

Capite bene che non ho le risposte. Tuttavia, qualche idea, più generale, la ho da tanto tempo.

 

Parlare del rapporto tra mafia e massoneria significherebbe tirare via il velo sul legame tra massoneria e Italia, nel suo senso storico: non ve lo dicono alla scuola dell’obbligo, ma la massoneria ha di fatto creato l’Italia unitaria, il «Risorgimento» è interamente roba loro, Garibaldi e Mazzini e tutti gli altri «patrioti» erano grembiulisti di importanza mondiale, invasati dell’odium immortale massonico contro il cattolicesimo e il suo impero, quello degli Asburgo.

 

Questo sarebbe ancora poco: perché parlare della massoneria potrebbe mostrare quanto essa, nei secoli, sia penetrata e incistata nelle nostre istituzioni, lo scandalo P2, quando si scoprì che una loggia massonica univa generali, politici, imprenditori, direttori di giornali, attori comici, nobili, banchieri, personaggi TV sotto la guida di un tale Licio Gelli che vendeva materassi e simultaneamente gestiva trame nel Sudamerica dei colpi di Stato, potrebbe darvi un esempio: ma i tempi sono cambiati, e i giornalisti che ne parlavano, all’epoca, erano detti bonariamente «pistaroli», mentre oggi a scrivere cose terra-terra come quanto riportato sopra si è solo sporchi, ridicoli «complottisti».

 

Se si parlasse davvero della massoneria, diverrebbe inevitabile, credo, che politica e magistratura arrivino a chiedere le liste degli iscritti: voglio dire, hanno il listone dei non vaccinati, lo hanno chiesto negli anni (a certi gruppi giochi per bambini) e ottenuto definitivamente poco fa, e perché non dovrebbe essere possibile sapere chi è iscritto a quell’associazione?

 

Perché alcune associazioni di persone possono essere libere di tenere segreti i nomi degli associati e altre – come la mafia – hanno invece organi dello Stato  preposti alla loro repressione? Scherziamo, ma abbiamo in mente la faccenda della Yakuza in Giappone, che non può essere sciolta perché il Paese ha ferree leggi sulla totale libertà di associazione, da cui l’esistenza di fanzine e rivistine che celebrano i mafiosi (noi invece dobbiamo accontentarci di romanzi e serie che giurano di non voler glorificarne le gesta, ma poi sui risultati nel pubblico non ci esprimiamo).

 

Era l’obiettivo di Rosy Bindi, si disse: «Basta segreti, fuori i nomi», era il succo della richiesta della Commissione antimafia presieduta dall’onorevole piddina. Nel 2017 la Guardia di Finanza perquisì la sede del Grande Oriente d’Italia su mandato della Commissione parlamentare, che già cominciava anche a trattare di incroci con la ‘Ndrangheta (che, ora, è infinitamente più potente della mafia sicula, almeno economicamente).

 

Elenchi o no, non ci pare sia cambiato nulla.

 

Parlare della massoneria, non si può. Perché significherebbe, come può magari intuire il lettore che ci ha seguito fin qui, far saltare la sua intera percezione storica.

 

Qualcuno potrebbe cominciare a pensare che la Storia non è frutto di un progresso cieco, ma è costruita secondo linee umane precise, secondo progetti – la Storia è il prodotto della volontà, umana e forse non solo umana.

 

E quindi, eccoti che ti ritrovi a pensare che sì, la Storia è la storia della lotta tra il Bene e il Male, tra squadre opposte di attori morali, tra chi lotta per la Vita e il suo Dio e chi invece lotta per la Morte e la sua Cultura – servendo, più o meno consapevolmente, un signore che non è il Dio dei cristiani, ma il signore della Terra, il principe di questo mondo.

 

Gratti il racconto di Castelvetrano, e ti ci ritrovi l’abisso della Storia e della condizione umana.

 

I disgraziati che compilano e seguono Renovatio 21 ci sono abituati. Possono riderci dietro, certo come se raccontassimo che, prima di Messina Denaro, a Castelvetrano ci era passato Roosevelt.

 

A noi che interessa? Nulla. Perché, da veri credenti, sappiamo cosa è accaduto, e cosa sta accadendo – e il nostro ruolo in questo disegno, il suo costo esiziale, e la bellezza eroica di tutta questa battaglia.

 

 

Roberto Dal Bosco

 

 

 

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