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Italia-Cina, il balletto delle mascherine smascherato da un giornale USA

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Qualche giorno fa, è emerso uno stranissimo video del Ministro degli esteri Luigi Di Maio. Come spesso sta accadendo, si trova all’aperto, su di una pista di atterraggio. Il ministro si lascia andare ad un discorso la cui significazione è sfuggita a molti.

 

«È logico che abbiamo avuto aiuti ma abbiamo avuto bisogno di comprare all’estero. E se abbiamo potuto comprare all’estero con contratti a prezzo di mercato è stato grazie al fatto che abbiamo potuto avere dai governi dove siamo andati a comprare anche la possibilità di esportare i prodotti che acquistavamo», dice il giovane ministro pentastellato.

 

«Li terremo nel nostro cuore e li terremo bene a mente. Perché sono i Paesi che non solo ci stanno mandando aiuti, ma che ci stanno permettendo di esportare quello che acquistiamo con contratti a prezzo di mercato». Ripetiamo: «ci stanno permettendo di esportare quello che acquistiamo con contratti a prezzo di mercato» dice Di Maio. Ci danno il permesso (grazie!) di comprare qualcosa che abbiamo esportato (o viceversa? non capiamo) con contratti a prezzo di mercato (e ci mancherebbe!). Più frase di gratitudine, letteralmente, cordiale. Qualcosa non torna. Al di là della logica, sulla quale molti ancora si stanno interrogando.

 

«Ci stanno permettendo di esportare quello che acquistiamo con contratti a prezzo di mercato» dice  il Ministro degli Esteri Di Maio

 

 

 

Cosa voleva dire, con queste parole arruffate, il capo della Farnesina?

 

La questione, abbastanza ignorata dai grandi media italiani che stanno leggermente facendo il tifo per il governo, è stata indagata da una rivista straniera americano, lo Spectator. Una testata che va avanti quasi da due secoli, ed ha una controparte americana, lo Spectator USA.

Con l’arrivo in Italia del COVID-19  la Cina annunziò al mondo che avrebbe donato forniture di DPI per aiutare l’Italia

 

Proprio quest’ultima ha pubblicato un articolo dal titolo diretto ed eloquente: «L’Italia ha dato alla Cina DPI [Dispositivi di protezione individuale: mascherine etc., ndr] per aiutarla con il coronavirus, poi la Cina glieli ha fatti riacquistare».

 

L’articolista americana parla dei tentativi di PR della Cina infettata che si rivelano «scivolosi come i suoi wet market», ossia i popolari mercati con le bestie  esotiche vive considerati come possibili centri di sviluppo delle epidemie.

 

Con l’arrivo in Italia del COVID-19  la Cina annunziò al mondo che avrebbe donato forniture di DPI per aiutare l’Italia. Ricorderete la campagna in grande stile, le vignette dell’ambasciata cinese che commemoravano l’aiuto italiano durante il terremoto del Sichuan di fine anni 2000, e il solito di Maio sulla pista d’atterraggio ad aspettare l’aereo carico di dottori cinesi (che competenza possono avere, visto che il virus non lo hanno sconfitto in alcun modo?) e, assieme a qualche mascherina, una manciata di ventilatori. «Informazioni giornalistiche  successive hanno indicato che la Cina ha effettivamente venduto, non donato, i DPI all’Italia», scrive la rivista.

 

In effetti, in Italia alcuni articoli di Giulia Pompili su Il Foglio avevano trattato la questione: uno si intitolava «Ma quali aiuti della Cina contro il virus, è tutta roba che compriamo»; un altro «Che cosa c’è dietro il mistero della donazione cinese all’Italia». Sono di inizio marzo, varrebbe la pena di rileggerli bene: vi si parla appunto di materiale ricevuto dietro compenso, non donato gratuitamente.

 

«La Cina ha costretto l’Italia a riacquistare la fornitura di DPI che l’Italia aveva donato alla Cina durante l’iniziale epidemia di coronavirus» dice un funzionario dell’amministrazione Trump. «La Cina ha poi rimandato in Italia i DPI italiani – alcuni di essi, non tutti… e se li è fatti pagare»

Un alto funzionario dell’amministrazione Trump ha raccontato allo Spectator che la realtà è molto peggio di così: «la Cina ha costretto l’Italia a riacquistare la fornitura di DPI che l’Italia aveva donato alla Cina durante l’iniziale epidemia di coronavirus».

 

«Prima che il virus colpisse l’Europa, l’Italia aveva inviato tonnellate di DPI in Cina per aiutarla a proteggere la propria popolazione», ha spiegato la fonte dell’amministrazione Trump.

 

Le parole del ministro («la possibilità di esportare i prodotti che acquistavamo») sono quindi riferite a questa situazione?

In realtà, è tutto lo sforzo di questa diplomazia della mascherina cinese ad essere fallimentare, e su un piano globale.

 

Gran parte delle forniture e dei kit di prova che la Cina ha venduto ad altri Paesi si sono rivelati difettosi. La Spagna ha dovuto restituire alla Cina 50.000 kit di test rapido che non andavano bene.

 

«La Cina ha poi rimandato in Italia i DPI italiani – alcuni di essi, non tutti… e se li è fatti pagare» dice il funzionario americano

I cinesi non si scusano e non tentano nemmeno di risolvere il problema, anzi succede che « la Cina ha dato la colpa del suo equipaggiamento difettoso ad altri». «La Cina ha detto con condiscendenza ai Paesi Bassi di “ricontrollare le istruzioni” sulle sue maschere dopo che i Paesi Bassi hanno lamentato che metà delle maschere inviate non soddisfacevano gli standard di sicurezza», scrive la rivista.

 

«È malafede quella dei funzionari cinesi che ora affermino di essere quelli che aiutano gli italiani o i paesi in via di sviluppo quando, in realtà, sono quelli che hanno contagiato tutti» dice l’anonimo ufficiale americano.

 

«Naturalmente dovrebbero aiutare. Hanno una responsabilità speciale nell’aiutare perché sono quelli che hanno iniziato la diffusione del coronavirus e non hanno fornito le informazioni richieste al resto del mondo per pianificare di conseguenza».

 

«È malafede quella dei funzionari cinesi che ora affermino di essere quelli che aiutano gli italiani o i paesi in via di sviluppo quando, in realtà, sono quelli che hanno contagiato tutti» dice l’anonimo ufficiale americano

Una critica che, fra le righe, è stata mossa anche in Italia da quei virologi che invece che stare sui social o nelle trasmissioni TV stanno lavorando sul campo: come mai non ci è stato dato dai cinesi il numero degli asintomatici contagiosi? Il numero, ricordiamolo, è stato dato per la prima volta al mondo a Vo’ Euganeo, luogo della prima quarantena totale («Zona Rossa») assieme a Codogno, il luogo dove è avvenuta la prima morte italiana per COVID-19.

 

«La disinformazione che la Cina ha diffuso sta paralizzando le reazioni in tutto il mondo. Siamo rimasti indietro di un mese perché i cinesi non hanno condiviso le informazioni», continua la fonte nel governo Trump.

 

Renovatio 21 ha detto da subito che la i numeri cinesi erano assolutamente da non credere, perché pensati per essere scavalacati dagli altri Paesi.

 

Di recente, sono saltate fuori questioni anche per la quantità di urne cinerarie distribuite e il numero di utenze di telefonia mobile sparite. Noi tuttavia non dimentichiamo quando, oramai due mesi fa, vi parlavamo della nube di solfato sopra Wuhan e Chonqing, rilevata dai satelliti, e dalle testimonianze che filtravano dai forni crematori cinesi aperti 24 ore al giorno. Una scena mostruosa che purtroppo ora stiamo vedendo anche a Bergamo e dintorni.

 

«La disinformazione che la Cina ha diffuso sta paralizzando le reazioni in tutto il mondo. Siamo rimasti indietro di un mese perché i cinesi non hanno condiviso le informazioni», continua la fonte nel governo Trump

Non è comunque l’unico segno visto negli ultimi tempi in merito a questa bizzarra ed irrefrenabile simpatia del nostro governo nei confronti di Pechino. Ne abbiamo scritto.


I cinesi, grati, pare che abbiano provato a scaricare ogni responsabilità riguardo alla pandemia del secolo inventandosi un «
virus italiano».

 

L’offensiva cinese continua. Pochi minuti fa, nella conferenza stampa giornaliera il Presidente della Regione Veneto Luca Zaia ha ringraziato il CEO di Huawei per aver donato centinaia di tablet e telefonini ai pazienti in rianimazione, così da poter collegarsi con i parenti. Iniziativa lodevole, ma pensiamo sempre che in palio per le telecomunicazioni cinesi non c’è solo l’immagine che deve essere mondata della possibile accusa della Cina untore del mondo. C’è nientemento che l’appalto – e quindi il successivo controllo – dell’infrastruttura informatica del XXI secolo italiano, il 5G>.

 

C’è in gioco l’intero modello di controllo sociale del XXI secolo. La Cina è oggi il più  fulgido e consistente esempio al mondo di totalitarismo elettronico

Se volete, possiamo vedere anche oltre: c’è in gioco l’intero modello di controllo sociale. La Cina è oggi il più  fulgido e consistente esempio al mondo di totalitarismo elettronico.

 

I suoi cittadini possono essere controllati, schedati, profilati, trovati in tempo reale, e con sistemi che vanno dai Big Data alla Computer Vision, dall’Intelligenza artificiale sino alla produzione di avanzate tecniche di schedatura genetica. La Cina è pronta, anche qui, ad esportare i suoi prodotti: software, telecamere, algoritmi, metodi.
Stiamo pagando le mascherine che abbiamo donato? A noi importa più, in realtà, un’altra domanda: qualcuno pagherà per tutto questo?

 

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