Essere genitori

«Ecco i primi segni di discriminazione su mio figlio»: un padre ci scrive

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Un lettore di Renovatio 21, padre di un bimbo di sei anni, ci scrive della situazione che sta vivendo con la scuola elementare dopo le nuove norme – e quelle nuovissime, di cui nessuno, nemmeno gli istituti e le farmacie, sembrano rendersi conto.

 

«Ho un bimbo di sei anni. Lo mandiamo ad una scuola privata, perché, quando lo abbiamo iscritto, ritenuto che in quel particolare istituto sarebbe stato “scudato” da insegnamenti discutibili che vedevamo in tutte le scuole pubbliche – sto parlando di gender, “inclusività”, “affettività” etc. Non siamo scontenti della scelta. Tuttavia, l’esborso per la retta pesa non poco sul bilancio della famiglia».

 

«Nei giorni scorsi si è avuta la situazione per cui cinque bambini della classe di mio figlio sono risultati positivi. È così scattata la procedura secondo la nuova legge del governo: i bambini vaccinati (ricordiamo, si tratta di bambini di sei anni…) rimangono a scuola, i non vaccinati vanno in DAD. Già questa, consentitemi, è una bella discriminazione, e pure un’infrazione della privacy… è chiaro che chi è a casa non è stato artificialmente immunizzato».

«Sono sgomento. Posso dire che ho percepito nettamente che questo è l’inizio della discriminazione verso i nostri figli. E, lo dico a tutti, oggi come oggi non abbiamo nessun mezzo per proteggerli da essa»

 

Il genitore ci racconta come funziona la didattica a distanza.

 

«La DAD è, come sa ogni genitore, un disastro sotto ogni punto di vista. Costringe i genitori a stare a casa a fianco del bambino, con sacrificio delle ore di lavoro. C’è anche da dire che in molti casi, le lezioni si svolgono nel caos più totale, perché i bambini piccoli continuano a far rumore e a perdere l’attenzione: del resto, sono a casa loro, non a scuola. Nell’ibrido casa-scuola, molti bimbi si comportano, giustamente, come se fossero tra le mura domestiche, perché lo sono, con la particolarità di avere collegata tutta la classe. Abbiamo sopportato anche la DAD, pure ammirando la calma mantenuta dalla maestre».

 

«La procedura prevedeva quindi che, dopo 5 giorni, il bambino che vuole tornare in classe deve fare un tampone. La scuola, il giorno prima, ci manda un modulo per avere il tampone gratuito in farmacia. È lo stesso che abbiamo fatto giorni fa quando la scuola ci ha chiesto di testare la classe per capire se c’erano i cinque casi necessari per mandare tutti nel lockdown “splittato” vaccinati/non-vaccinati».

«La parte difficile è stata quando mio figlio, appena passati oltre, mi ha chiesto: “papà, perché non potevamo entrare? Papà, perché entravano tutti e noi no? Papà cosa è successo?” Non posso descrivervi l’amarezza che ho provato. E la vergogna»

 

La famiglia del lettore ha accettato anche questa.

 

«Siamo quindi andati in farmacia per fare il tampone, esibendo il documento debitamente compilato per avere il tampone gratuito previsto dalla scuola e dalle istituzioni sanitarie. In farmacia ci dicono tuttavia che quel modulo non è più valido dallo scorso giovedì. “Ora ci vuole la ricetta del medico con questo codice numero” ci dicono, indicando un numero messo su un cartello vicino alla casa. Ho chiesto loro come fosse possibile: ho stampato e compilato un documento della scuola arrivatomi poche ore prima. “È così. Pensi che a noi le autorità sanitarie hanno mandato la comunicazione per il giorno stesso, incredibile. Non ci è possibile quindi non farle pagare il tampone del bambino”. Tre persone di questo centro tamponi mi confermano la storia – peraltro tutti gentilissimi, e increduli quanto me. Io accetto anche questa: sono 15 euro, pazienza».

 

«Sulla chat dei genitori qualcuno fa notare il problema. Alcuni tuttavia dicono che da loro la farmacia ha accettato lo stesso. Altri dicono che no. Altri dicono di aver pagato il tampone del bambino 8 euro. Io, semplicemente, spengo la chat perché non ne voglio più sapere niente, il problema è risolto. Il labirinto della burocrazia finito. Quanto mi sbagliavo».

 

«La cosa più dura succede il mattino che ho portato a scuola mio figlio, un mattino piovoso. All’ingresso un signore dell’istituto ci ferma: “scusi, devo vedere il green pass… del bambino”. Io gli rispondo che è nel libretto assieme alla giustificazione, come le altre volte. Lui mi dice che invece deve controllarlo fuori, all’entrata del cortile, dove ci trovavamo. Io, tenendo sempre per mano il bambino, obbedisco. Tiro fuori il QR, lui lo passa sul suo telefonino. “Mi dispiace, qui mi dice che il certificato non è valido”. Il signore sembra anche un po’ imbarazzato. Io cerco di mantenermi calmo. Tiro fuori l’intero documento, facendogli vedere, anche qui contro ogni privacy, data nome ed esito negativo. Lui ripassa lo scanner sopra il green pass del mio bambino: vedo chiaramente lo schermo diventare rosso, con la X di errore: certificato non valido».

Sì, la burocrazia pandemica è oramai arrivata ad un livello parossistico: nessuno è in grado di capire veramente quali siano le regole vigenti. Vi basta entrare in una chat qualsiasi di genitori di scuola per comprendere il caos e lo sconforto, anche perché nemmeno gli addetti delle scuole ne capiscono qualcosa

 

«A quel punto ho cominciato a sentire con chiarezza, oltre che l’adrenalina che saliva, anche qualcosa di inaspettato: il silenzio di mio figlio. Percepivo chiaramente che il bambino non stava comprendendo la situazione, dove lui veniva bloccato fuori dalla sua scuola mentre altri bambini con i loro papà e mamme entravano e uscivano sorridenti. Il mio pensiero è andato subito a questa questione: dovevo risolvere questa domanda che si era creata nella mente del bambino, e con una parte della testa stavo già cercando cosa dirgli. Con un’altra parte di me invece fissavo il signore davanti a me. Il quale, davanti a questo impasse, decide di chiamare qualcuno, forse un superiore della scuola, per chiedere cosa fare. Al termine della chiamata, che con evidenza non è servita a niente, gli viene un’idea. Dice che forse cambiando applicazione… quindi bofonchia qualcosa sul “tampone” che non capisco bene. Ripassa lo scanner: verde. Può entrare».

 

«Tuttavia quei pochi minuti, dove sono riuscito a mantenermi esteriormente tranquillo, non sono stati la parte difficile di questa “disavventura”, chiamiamola così. La parte difficile è stata quando mio figlio, appena passati oltre, mi ha chiesto: “papà, perché non potevamo entrare? Papà, perché entravano tutti e noi no? Papà cosa è successo?” Non posso descrivervi l’amarezza che ho provato. E la vergogna. Per la cronaca, gli ho dato una risposta di circostanza “non è successo niente, tutto normale”. Di questa risposta mi vergogno moltissimo».

 

«Mi è stato chiaro che il bambino forse non aveva capito quel che stava accadendo, ma stava interiorizzando un quadro in cui lui era in qualche modo colpevole: del resto, se non lo fanno entrare nella scuola che gli piace tanto, se una persona di cui si fida lo esclude dalla normalità, la colpa deve essere sua, o della sua famiglia».

Sì, la DAD è un inferno: a livello profondo non riesce a far capire al bambino che la scuola è diversa dalla casa, l’istituzione pubblica dallo spazio privato. Forse li stanno abituando allo smart working? O a all’abolizione della distinzione tra pubblico e privato come nei programmi del Forum di Davos?

 

«Si tratta di un piccolo episodio, mi rendo conto, ma apre una voragine immensa, dentro e fuori di me: stiamo minando la percezione della società che hanno i bambini? Li stiamo abituando all’idea di un mondo dove per fare cose normali c’è bisogno del lasciapassare? Li stiamo inducendo ad interiorizzare un senso di colpa riguardo al proprio status, sanitario o meno che sarà, deciso da un software?»

 

«Sono sgomento. Posso dire che ho percepito nettamente che questo è l’inizio della discriminazione verso i nostri figli. E, lo dico a tutti, oggi come oggi non abbiamo nessun mezzo per proteggerli da essa».

 

La lunga lettera del lettore tocca molti temi di cui si discute molto in questi giorni, senza arrivare a nessuna soluzione. Non abbiamo idea se il disguido sia stato di carattere tecnico o di incompetenza del «controllore»: forse doveva usare una app particolare? Una modalità diversa da quella che stava usando? Non sappiamo. Tuttavia, la lettera centra moltissime questioni di grande importanza per chi è  genitore nell’anno del Signore 2022.

  Non pensate che, una volta appresa la legge corrente, possiate condividerla

 

Innanzitutto, permettiamoci una risata dinanzi alla Lega Nord, che faceva i capricci all’interno del suo stesso governo-drago per far sapere che non potevano votare un decreto legge che «discrimina i bambini». Evidentemente, si tratta di un altro partito che ha perso ogni contatto con la realtà, e che tira fuori la testa ogni tanto per cercare di captare qualche voto flottante.

 

Sì, la burocrazia pandemica è oramai arrivata ad un livello parossistico: nessuno è in grado di capire veramente quali siano le regole vigenti. Vi basta entrare in una chat qualsiasi di genitori di scuola per comprendere il caos e lo sconforto, anche perché nemmeno gli addetti delle scuole ne capiscono qualcosa. E  non pensate che, una volta appresa la legge corrente, possiate condividerla: il figlio del lettore, con probabilità, ora sarà tenuto a tenere in classe una FFP2 per 5 giorni (il solito numero così, a caso). Qualcuno ha fatto notare di recente che questo è un’obbligo assurdo: non esistono FFP2 omologate per bambini, esistono FFP2 di piccola taglia, che ora installano per legge su nasi e bocche dei bimbi. Aggiungiamo, l’obbligo potrebbe pure esporre i bimbi ad un rischio: come riportato da Renovatio 21, i danni delle FFP2 dei bambini sono stati stimati da un’associazione di consumatori tedesca, che ha inoltre ricordato che «esistono criteri di questo tipo per le mascherine per bambini». In pratica: dannoso e possibilmente illegale.

 

Sì, la DAD è un inferno: a livello profondo non riesce a far capire al bambino che la scuola è diversa dalla casa, l’istituzione pubblica dallo spazio privato. Forse li stanno abituando allo smart working? O a all’abolizione della distinzione tra pubblico e privato come nei programmi del Forum di Davos, con il Grande Reset per cui «non possiederai niente e sarai felice?»

 

Tuttavia, è sulla questione personale, psicologica, che bisogna soffermarsi.

 

È vero, non sappiamo che effetto farà nei bambini sentire sulla propria pelle questi primi segni di esclusione sociale. E, come il nostro lettore, non abbiamo idea di cosa gli vada raccontato.

Non sappiamo che effetto farà nei bambini sentire sulla propria pelle questi primi segni di esclusione sociale. Non abbiamo idea di cosa gli vada raccontato

 

Circa venti anni fa, fecero vincere l’Oscar per il miglior film straniero ad un film mediocre, La vita è bella. Nella pellicola si vedeva il papà di un bambino ebreo (interpretato da un comico delle sagre del PCI) cercare di spiegare a suo figlio un cartello posto fuori da un negozio all’indomani delle leggi razziali in Italia.

 

 

Nell’era del green pass e del razzismo biomolecolare, i cani, i cavalli, i canguri, possono entrare – i non vaccinati no

 

«Perché i cani e gli ebrei non possono entrare, babbo?» chiedeva il bambino. Il padre improvvisava una risposta: «gli ebrei e i cani non ce li vogliono. Ognuno fa quello che gli pare, Giosuè. Là c’è un negozio, un ferramenta, dove non fanno entrare gli spagnoli e i cavalli. E là c’è un farmacista, ieri ero con un mio amico, un cinese che c’ha un canguro, dice: si può entrare? No, qui cinesi e canguro non ce li vogliamo. Eh, gli sono antipatici, che vuoi fare?».

 

Il film era contorto e non sappiamo se questa battuta dovesse far ridere lo spettatore. Quello che sappiamo è che questa situazione oggi rappresenta la vita reale di milioni di cittadini, milioni di padri che non sanno cosa dire ai loro figli.

 

Con una differenza: nell’era del green pass e del razzismo biomolecolare, i cani, i cavalli, i canguri, possono entrare – i non vaccinati no.

 

 

 

 

 

 

 

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