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Streamer di Call of Duty critica l’indottrinamento LGBT dei bambini: l’azienda lo punisce ma il numero dei suoi follower su Twitter esplode

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Uno popolare videogiocatore streamer – cioè una persona che trasmette in streaming le proprie prodezze videoludiche – del videogame Call of Duty ha visto crescere la sua popolarità dopo essersi opposto all’indottrinamento LGBT dei bambini. Per aver denunciato la diffusione dell’ideologia omosessualista fra i più piccoli, la casa produttrice del videogioco lo aveva punito.

 

Lo streamer, Nick Kolcheff, noto però in rete come «NICKMERCS», aveva risposto a un tweet sugli scontri scoppiati in California al di fuori di una riunione del consiglio scolastico, un episodio segnalato anche da Renovatio 21 che ha visto attivisti pro-LGBT scontrarsi con gruppi di genitori armeni-americani e ispanici che si opponevano alla sessualizzazione dei bambini nelle scuole.

 

Mentre i suoi tweet hanno portato Call of Duty di proprietà di Activision a rimuovere i prodotti di Nick dal suo negozio, la sua difesa dei bambini ha portato ad un incredibile aumento dei follower, che sul social di Musk sono cresciuti di circa 50.000 unità, nonostante il fatto che Nick stesse effettivamente perdendo centinaia di follower un giorno prima del tweet.

 

«Lasciate che le persone amino chi amano e vivete la vostra vita», aveva twittato con la solita retorica individualista uno streamer pro-LGBT.

 

«Dovrebbero lasciare in pace i bambini piccoli. Questo è il vero problema», ha risposto Kolcheff, il quale nel 2020 figurava tra i primi dieci videoatleti per guadagni complessivi.

 

 

«A causa dei recenti eventi, abbiamo rimosso il pacchetto “NICKMERCS Operator” dal negozio di Modern Warfare II e Warzone», ha twittato Call of Duty l’8 giugno, in risposta a un altro tweet. La serie di videogiochi è di proprietà di Activision, che come noto sarebbe stata comprata, assieme all’associata Blizzard, dal colosso di Bill Gates Microsoft, anche se l’operazione, del valore di 68,7 miliardi di dollari, non è ancora andata in porto del tutto.

 

«Siamo concentrati sulla celebrazione del PRIDE con i nostri dipendenti e la nostra comunità» ha scritto l’account Twitter di Call of Duty, una delle più popolari serie di videogiochi di guerra al mondo.

 

 

Da notare che l’Activision-Blizzard aveva avuto i problemi in stile post-#metoo: accuse di maschilismo, atteggiamenti impropri verso le poche dipendenti femmine, etc.

 

Call of Duty vendeva una «skin» a 20 dollari, che permetteva ai giocatori di assomigliare a Kolcheff, un giocatore assai popolare grazie ai suoi seguitissimi stream.

 

Il Kolcheff ha difeso i suoi commenti di fronte alla censura di Call of Duty.

 

«Semplicemente non penso che sia un posto per un insegnante o una scuola – non penso sia il posto giusto per parlare di cose del genere», ha detto nel suo live streaming. «Non è che penso che non se ne dovrebbe parlare. Se è quello che avete capito da quel tweet, allora vi sbagliate».

 

 

La sua popolarità potrebbe anche essere stata aiutata da uno spettacolo di supporto da parte di un collega streamer che si chiama «TimTheTatman» che ha chiesto a Call of Duty di rimuovere il suo «pacchetto» dal negozio a sostegno di Kolcheff.

 

 

Al momento il tweet originale di NICKMERCS ha superato i 15 milioni di visualizzazioni.

 

Come riportato da Renovatio 21, è emerso pochi mesi fa che il Pentagono ha usato Call of Duty come strumento di reclutamento.

 

A inizio anno vi è stata la notizia per cui un’altra azienda produttrice di videogiuochi, la Ubisoft – la società dietro videogiochi di estremo successo di Assassin’s Creed e Rainbow Six – starebbe collaborando con la polizia britannica per affrontare i discorsi ritenuti «tossici» dei giocatori online.

 

Sulle restrizioni alle conversazioni nei videogiochi lavora da anni l’Anti-Defamation League (ADL), l’associazione di difesa della reputazione ebraica passata a vagliare qualsiasi altro argomento possa definirsi hate speech.

 

Il programma dell’ADL per le aziende di videogames ruota attorno alla sorveglianza dei giocatori, incoraggiando le aziende a bandire i discorsi di «odio online» e «suprematismo bianco», espandendo i sistemi di segnalazione all’interno del gioco per vietare agli utenti i loro discorsi e facendo pressioni sui governi per cambiare i loro leggi per criminalizzare i giocatori se quello che dicono online non è ritenuto consono.

 

«I legislatori dovrebbero approvare leggi che ritengano gli autori di gravi molestie e odio online responsabili dei loro reati sia a livello statale che federale» raccomanda in uno dei suoi punti il recente documento dell’ADL sui videogiochi, mentre invita le aziende ad ammodernarsi, perché «Gli autori di abusi che utilizzano la chat vocale nei giochi online per prendere di mira le persone spesso sfuggono al rilevamento».

 

 

 

 

 

Immagine di The Conmunity – Pop Culture Geek  via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic (CC BY 2.0)

 

 

 

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