Geopolitica

Preghiamo per Gonzalo Lira

Pubblicato

il

Di Gonzalo Lira, lo scrittore cileno-statunitense prelevato nella sua abitazione di Kharkov dai servizi di sicurezza ucraini tre settimane fa, non si è avuta più alcuna comunicazione.

 

Al momento, non possiamo sapere se sia vivo, morto, in carcere o a casa, ma impossibilitato a comunicare con il mondo – cosa che, se accade ad un giornalista, di solito indica molto del Paese in cui ciò accade.

 

Gli account social di Lira, che aveva ricostituito dopo che un precedente arresto da parte delle autorità ucraine, sono silenti.

 

Era proprio tramite le varie piattaforme, dove veniva spesso «bannato», che Lira forniva le sue analisi sul conflitto in corso e, più in generale, sulla situazione economica internazionale, nonché sulla politica interna americana: in uno dei suoi ultimi video parlava dello scenario di rimozione di Biden dalla Casa Bianca; in un altro, dal tono satirico, chiedeva ai suoi spettatori americani di votare per Biden, ma per non Joe, ma per il figlio Hunter.

 

Le acute analisi di Lira erano condivise in tutto il mondo, tanto più che venivano da qualcuno che risiedeva nella zona di guerra, e proclamava le sue idee sul regime di Kiev con sprezzo delle bande banderiste, che già un anno fa erano andate a cercarlo in casa. In quell’occasione, Lira era riuscito a fuggire e ad installarsi un una abitazione segreta, dove però era stato raggiunto dalle forze di Kiev e portato via per una settimana.

 

Una volta tornato libero, Lira – che è discendente del libertador fondatore del Cile José Miguel Carrera – aveva continuato a fare podcast e video esattamente come prima, senza alterare di una virgola le sue posizioni critiche rispetto a Kiev e alla NATO. Questo almeno fino a inizio mese, quando i servizi ucraini hanno operato in casa sua un raid con mitragliatori spiegati.

 

Il servizio segreto interno SBU avrebbe quindi pubblicato una nota per cui Lira sarebbe stato preso in custodia per aver «giustificato» l’operazione russa.

 

Gli ucraini hanno quindi ritenuto giusto girare e montare un video in cui si mostrava, e celebrava, l’arresto di Lira, inquadrando libri incriminanti sul tavolo dello scrittore: erano volumi su Putin, e pazienza se, per ignoranza, gli ucraini non si potessero accorgere che si trattava di saggi ferocemente critici del presidente russo.

 

 

La notizia era stata celebrata, AK-47 in mano, da un inviato di guerra transessuale americano (!?), che ora parrebbe arruolato tra le truppe di Kiev, il quale già si era «occupato» di Lira nel precedente arresto e che nega lo status di giornalista a Gonzalo definendolo «agente delle menzogne di Putin».

 

Nel suo video celebrativo, l’ucrainista transgender promette che la «giustizia» a tutti i «propagandisti» della Russia in ogni parte del mondo – un sentimento non dissimile a quello del capo del servizio segreto militare ucraino GUR Kirill Budanov che rivendica la promessa di «continuare ad uccidere russi ovunque».

 

Difficile che la situazione diventi più allucinante di così.

 

Non esistono notizie sulle condizioni attuali di Lira. La notizia, invece, è il fatto che il Dipartimento di Stato USA ha pubblicamente deciso di non rispondere sull’argomento.

 

Pressato sull’argomento da un giornalista durante una conferenza stampa, un portavoce del Dipartimento di Stato si rifiuta di dire se negozierà con Zelens’kyj per il rilascio di Lira, che è cittadino statunitense nato in California.

 

«Come vi sentite rispetto al fatto che i nostri alleati mettono in prigione cittadini americani per la loro libertà di parola» aveva chiesto il giornalista Liam Cosgrove.

 

«Siamo al corrente della cosa» aveva risposto il portavoce di quello che è il ministero degli Esteri USA. «Ovviamente sosteniamo l’esercizio della libertà di parola, ovunque nel mondo. E basta»,

 

«Quindi non state lavorando per ottenere la liberazione» ha chiesto ancora il giornalista.

 

«I miei commenti sono quelli che ho appena fatto» ha risposto il portavoce

 

 

In pratica, pare di capire, Gonzalo Lira è abbandonato a se stesso, perseguitato da un Paese che vuole entrare nella NATO e nella UE mettendo in galera i giornalisti stranieri.

 

Uno pensa: e quelle associazioni mondiali che danno i voti ai Paesi per la libertà di stampa?

 

E gli ordini dei giornalisti, compreso quello italiano?

 

Niente, non una parola. Così come davvero nessuno aveva osato aver qualcosa da ridire quando il regime Zelens’kyj ha lanciato, qualche mese fa, una vera legge bavaglio che assoggetta la stampa, internet e perfino i colossi tecnologici operanti nel Paese al potere centrale di Kiev. Sappiamo bene che l’Ucraina è, di fatto, un laboratorio per quello che accadrà anche da noi, dove la libertà di espressione prevista dalle Costituzioni è stata violata e sbeffeggiata, tanto da divenire una barzelletta, da ben prima che scoppiasse la guerra del Donbass.

 

Abbiamo negli occhi ancora l’incredibile recente intervista del Washington Post a Zelens’kyj, dove, con tono paranoide, il presidente ucraino intimava ai giornalisti di dire quali fossero le loro fonti all’interno del suo governo. Il giornale di Bezos, in seguito, è arrivato a far sparire parti dell’intervista online che mettevano in cattiva luce l’ex comico.

A Zelens’kyj, abbiamo capito, è permessa qualsiasi cosa. Tuttavia il livello di abominio democratico raggiunto stupisce perfino noi.

 

Chiediamo quindi ai lettori di Renovatio 21 una preghiera per Gonzalo. Molto altro, in questo momento, non possiamo fare.

 

 

 

 

Immagine screenshot da YouTube

 

 

 

Più popolari

Exit mobile version