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Il ministro ugandese accusa gli USA di usare le restrizioni sui visti per promuovere l’«agenda LGBT»

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Il ministro degli Esteri dell’Uganda ha recentemente accusato gli Stati Uniti di utilizzare restrizioni sui visti contro i politici ugandesi come un modo per «promuovere l’agenda LGBT» nella nazione conservatrice.

 

La settimana scorsa il ministro degli Affari Esteri in Uganda Henry Okello Oryem ha dichiarato alla Reuters che «c’è un golpe al Dipartimento di Stato negli Stati Uniti» e ha sostenuto che «se ne sta prendendo il controllo da parte di persone che spingono la comunità LGBT agenda in Africa».

 

«Perché non impongono le stesse sanzioni ai Paesi del Medio Oriente che hanno leggi uguali o più severe contro le persone LGBT?» si è chiesto Oryem, promettendo che «se negheranno il visto ai nostri parlamentari», andranno «a Shanghai, Guangzhou». «Ci sono moltissimi posti belli da visitare» oltre agli Stati Uniti, ha detto il ministro.

 

Come riportato da Renovatio 21, nell’ultimo mese era emerso che l’Uganda sta cercando un prestito dalla Cina dopo che la Banca Mondiale ha bloccato i finanziamenti per la connettività a causa dell’adozione della legge anti-omosessualità.

 

Le osservazioni sono state condivise dopo che il Segretario di Stato Antony Blinken ha rilasciato un comunicato stampa lunedì 4 dicembre in cui dichiarava l’estensione della politica di restrizione dei visti al 2021. La politica originale è stata imposta in seguito alle elezioni presidenziali dell’Uganda del 2021, che Blinken ha descritto come «imperfette». Era inteso come un modo per «prendere di mira coloro che si ritiene siano responsabili o complici del indebolimento del processo democratico in Uganda».

 

Bisogna abituarsi alla neolingua: la sodomia è «processo democratico». Il sesso contronatura è «democrazia»: non abbiamo, in verità, tanto da obiettare.

 

Le restrizioni implementate da Blinken includono «funzionari attuali o ex ugandesi» coinvolti in «politiche o azioni volte a reprimere membri di popolazioni emarginate o vulnerabili. Questi gruppi includono, ma non sono limitati a, attivisti ambientali, difensori dei diritti umani, giornalisti, persone LGBTQI+ e organizzatori della società civile» – in pratica, vere e proprio sanzioni per mancata sottomissione al dogma arcobalenato.

 

Nel pieno stile della rappresaglia, il Blinken ha anche osservato che «anche i familiari stretti» di questi funzionari «potrebbero essere soggetti a queste restrizioni», affermando che «gli Stati Uniti sono al fianco del popolo ugandese e restano impegnati a lavorare insieme per promuovere la democrazia, i diritti umani, la salute pubblica e la prosperità reciproca».

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Gli Stati Uniti e l’Uganda hanno una storia recente di forte disaccordo e opposizione nelle aree dell’ideologia di genere e dell’aborto. Dopo che l’Uganda ha approvato a marzo una legge severa nota come «legge anti-omosessualità», il portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale (NSC) di Biden, John Kirby, aveva criticato la legislazione definendola una violazione dei diritti umani.

 

Come riportato da Renovatio 21, il Kirby arrivò a definire la promozione dei «diritti» omotransessuali come «il fondamento della politica estera americana».

 

La legge ugandese amplia le politiche già conservatrici dell’Uganda riguardo all’omosessualità includendo il divieto totale degli atti sessuali tra persone dello stesso sesso, del «matrimonio» tra persone dello stesso sesso e dell’autoidentificazione LGBT, e impone lunghe pene detentive a chiunque sia direttamente coinvolto nell’omosessualità o consenta tali atti. verificare.

 

Gli osservatori occidentali hanno espresso particolare preoccupazione per la parte della legislazione che «propone la pena di morte per chiunque sia coinvolto in omosessualità aggravata». La legge specifica anche la punizione per coloro che «reclutano un bambino allo scopo di commettere atti omosessuali».

 

In risposta alla reazione negativa del mondo occidentale liberale, il presidente dell’Uganda Yoweri Museveni ha rispettato la legge, definendo l’omosessualità «un tipo di malattia». Nonostante le continue critiche, il presidente ugandese ha dichiarato che «nessuno ci distoglierà» dalla decisione.

 

Il mese scorso, l’amministrazione Biden ha annunciato che avrebbe rimosso quattro nazioni africane – Uganda, Niger, Gabon e Repubblica Centrafricana – dall’African Growth and Opportunity Act (AGOA) a causa di «gravi violazioni» dei «diritti umani», che sono in realtà i «valori» della dissoluzione progressista.

 

Gli attacchi diplomatici potrebbero non essere gli unici tipi di reazione che l’Uganda sta sperimentando.

 

Come riportato da Renovatio 21, poco dopo l’approvazione della legge anti-sodomia, l’Uganda è stata improvvisamente teatro di attacchi terroristici con enormi stragi sia sul suo territorio che all’estero, presso le basi del contingente di pace ugandese in Somalia.

 

Due mesi fa decine persone sono state uccise e ferite dai militanti di un gruppo estremista – il quale non si faceva vivo dal 1998 – che hanno attaccato una scuola secondaria nell’Uganda occidentale.

 

Come riportato da Renovatio 21, solo due settimane prima, 54 suoi soldati ugandesi stati trucidati dai terroristi islamici in Somalia dove si trovavano in missione di pace per conto dell’Unione Africana. A perpetrare l’eccidio sarebbero stati gli islamisti di al-Shabaab («la gioventù»), gruppo noto per il sequestro della cooperante italiana di due anni fa – per il quale il governo di Conte e Di Maio pagò fior di milioni.

 

Musuveni ha più volte lanciato l’appello agli altri Paesi africani di «salvare il mondo» dall’imperialismo omosessualista inflitto al continente dall’Occidente.

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr
 

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