Psicofarmaci

«I demoni nella mente». La campionessa olimpica Simone Biles vittima degli psicofarmaci?

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In queste Olimpiadi appena concluse un episodio soprattutto ci riempi di angoscia e disgusto. Quello che riguarda Simone Biles.

 

La giovanissima ginnasta aveva vinto 4 ori e un bronzo ai giochi di Rio nel 2016. All’epoca fummo inondati di informazioni sulla sua storia personale: finita in casa di affidamento, viene adottata dal nonno materno e la nuova moglie. Si allena 32 ore alla settimana, per cui la famiglia opta per l’homeschooling. La famiglia è molto cattolica…

 

Tutti incantati dalla ragazzina di colore che ce l’ha fatta.  La magia sembra perdurare anche durante queste disgraziate olimpiadi edochiane (cioè, di Tokyo) del 2020 – cioè 2021. Quando annuncia che si ritira dalle competizioni, i giornali di tutto il mondo la giustificano in ogni modo. Anzi, di più: la innalzano a livelli munchauseniani.

 

Il Washington Post scrive che porta il peso di essere la GOAT, acronimo che sta per  Greatest of All Times, la migliore di tutti i tempi, e pazienza se lì a bordo pista c’era Nadia Comaneci, la più grande atleta del XX secolo nonché prima ad aver ottenuto il punteggio massimo di 10. Il giornale di Amazon ci fa sapere che ora il suo hashtag su Twitter è associato all’emoji della capra, che si dice appunto goat in inglese.

 

Perché i giornali di tutto il mondo hanno dimenticato gli oscuri trascorsi con gli psicofarmaci della Biles, di cui pure avevano scritto qualcosa un lustro fa?

Quindi ecco che accusano i «twisties», nuovo termine della ginnastica artistica che tutto il mondo ora ha imparato a conoscere: il twisty è un blocco mentale dell’atleta che perde la sua consapevolezza spaziale durante un esercizio intenso. Simone ne soffrirebbe, e quindi andrebbe compatita all’istante (gli altri atleti, si vede, no).

 

Poi ecco il colpo di scena: si è ritirata perché è una vittima degli abusi sessuali di Larry Nassar, il medico delle atlete USA dal 1996 al 2017. Il dottor Nassar avrebbe abusato di 150 ginnaste. La Biles, secondo un tweet dell’ex ginnasta Andrea Orris, sarebbe molto traumatizzata.

 

La stampa va oltre: nel bel mezzo della crisi della ragazza, la BBC e tutta una serie di testate mondiali la definiscono superhuman. Superumana.

 

A nostro parere non c’è nulla di sovrumano in qualcuno che si ritira in questo modo opaco, e per certi versi egoico in modo quasi tirannico (il mondo è ai suoi piedi, il mondo la implora di competere…) da una parte dei giuochi: perché non è tornata a casa a curarsi, è rimasta fino alla gara in cui ha voluto essere, saltando tutte le altre.

 

Così come, per citare uno che di superuomini dovrebbe saperla lunga, «umano, troppo umano» ci è sembrato il discorso che ha fatto subito quando ha deciso di collassare la sua Olimpiade.

 

«Sto combattendo con i demoni». Sì, la ragazza dice di avere «i demoni nella mente».

 

Ecco, più che sovrumano, ci sembra preternaturale. Anzi no: ci sembra un effetto naturalissimo, se ci ricordiamo una storia in cui la Biles era finita qualche anno fa.

 

Perché i giornalisti di tutto il mondo possono essersene dimenticati, Renovatio 21 invece la rammenta perfettamente.

 

Nel 2016 scoppia lo scandalo sul doping russo. Si tratta, con ogni evidenza, di un’arma geopolitica lanciata contro Putin, che negli ultimi anni dell’era Obama lo aveva surclassato in ogni modo, Crimea e Siria in primis.

 

Ci potrebbe quindi essere la Russia dietro all’hackeraggio della WADA, l’ente mondiale antidoping, nell’estate di quell’anno.

 

Saltano fuori elenchi di atleti olimpici statunitensi possibilmente dopati, dalle sorelle Venus e Serena Williams in giù.

 

«Simone Biles potrebbe passare alla storia dello sport come la prima atleta narcolettica a vincere quattro medaglie d’oro in una sola olimpiade»

Tutti gli atleti USA avrebbero assunto sostanze proibite grazie allo scudo dell’uso terapeutico: se prendi quel farmaco perché hai una malattia, non è esattamente doping. La chiamano TUE, «Therapeutic Use exemption». Basta dire che hai quella malattia.

 

E quindi eccoti che nella lista trovi la nuova eroina atletica americana, fresca degli ori brasiliani.

 

La Biles avrebbe fatto uso di anfetamine e psicofarmaci. In una disciplina dove la concentrazione è tutto, è possibile considerarlo doping?

 

«Simone Biles potrebbe passare alla storia dello sport come la prima atleta narcolettica a vincere quattro medaglie d’oro in una sola olimpiade», scherzavano alcuni dei massimi esperti di antidoping italiani. A riportarlo era Repubblica del 14 ottobre 2016. Non è chiaro se se ne siano ricordati cinque anni dopo quando dovevano scrivere della misteriosa disfunzione dell’atleta a Tokyo.

 

Era riportata anche una bella scaletta cronologica.

 

«Nel settembre del 2012, quindi subito dopo le olimpiadi di Londra, all’inizio del quadriennio olimpico di Rio, la Biles viene autorizzata ad assumere 15mg al giorno di anfetamine per via orale (ha appena 15 anni). L’autorizzazione viene rinnovata nel 2013 e nel 2104».

 

«Nel 2015 la sua patologia ha un’evoluzione e si passa dall’anfetamina al dexmetilfenoidato (una sostanza dagli effetti non dissimili) con un’autorizzazione che scadrà nel 2018».

 

«Le date sono importanti perché è una coincidenza perlomeno suggestiva che nel 2013, cioè proprio a un anno di distanza dall’inizio della terapia a base di anfetamine, che la Biles diventa la Biles, comincia cioè a stupire e a vincere gare» ammette il quotidiano romano.

 

«Se l’autenticità delle carte fosse confermata – spiegava a Repubblica una fonte autorevole – non ci sarebbe alcun illecito. Certo risulta comunque quantomeno singolare che una atleta di quel livello abbia gareggiato alle olimpiadi sotto gli effetti di una terapia che di solito si prescrive ai narcolettici».

 

Una narcolettica che volteggia in aria come una trottola: di per sé quasi una barzelletta, o una nuova possibilità di civiltà sportiva – esistono le paralimpiadi per narcolettici? Lì la Biles vincerebbe a man bassa.

 

«Nel 2013, cioè proprio a un anno di distanza dall’inizio della terapia a base di anfetamine, che la Biles diventa la Biles, comincia cioè a stupire e a vincere gare»

Possiamo dire che nell’ambiente in molti sapevano, compresa qualche collega italiana surclassata, che all’epoca ammiccò a possibili indagini. Anche tra coloro che si occupano di PED (performance enhancing drugs, cioè il doping che va dagli anabolizzanti alle sostanze nootropiche, cioè di potenziamento del cervello) la storia è risaputa ed è stata discussa in qualche tweet varie volte.

 

I giornali del mainstream, invece no: ed è questa la notizia.

 

«Ho l’ADHD e ho preso farmaci da quanto ero una bambina» si è giustificata all’epoca la Biles. L’ADHD, il Disturbo da Deficit di Attenzione Iperattività, è una sindrome sempre più diagnosticata ai bambini americani – un’idea di per sé rifiutata con forza da alcuni psichiatri, che la definiscono alla stregua di una nuova malattia inventata (una volta si diceva: «bimbo discolo», «distratto», etc.) dall’influenza di Big Pharma sulla classe medica.

 

Perché, se diagnosticata, l’ADHD apre alla prescrizione di anfetamine come l’Adderall, uno psicofarmaco che dai bambini è tracimato – spesso legalmente, ma anche no – verso altre categorie adulte: le casalinghe che vogliono avere energie, gli studenti unversitari che vogliono stare svegli a studiare per gli esami, e non ultimi – cosa decisiva per il caso in questione – gli atleti, come per esempio i giocatori di football americani, dove la focalizzazione è tutto.

 

L’Adderall, scrive Wikipedia, «provoca effetti come euforia, desiderio sessuale, un miglior controllo cognitivo come migliorare l’attenzione, la concentrazione e l’impulsività. A queste dosi, induce effetti fisici come diminuzione del tempo di reazione, resistenza alla fatica e una maggiore forza muscolare». Insomma, pare proprio sia doping.

 

Vale la pena di ricordare gli effetti collaterali: a livello fisico, ipertensione, ipotensione, tachicardia, dolore addominale, diarrea, nausea inappetenza, cambio della libido, digrignare die denti, perdita del controllo della vescica, rinite, tic nervosi, vista offuscata, insonnia, secchezza delle fauci.

 

Da un punto di vista psicologico, abbiamo cambi di umore, ansia, senso di grandiosità, irritabilità, comportamenti ossessivi e, per gli utilizzatori più addentro, la cosiddetta «psicosi da anfetamina», un disturbo mentale caratterizzato da sintomi psicotici (ad esempio allucinazioni, ideazione paranoide, deliri, pensiero disorganizzato, comportamento grossolanamente disorganizzato) che coinvolge e si verifica tipicamente a seguito di dosi elevate psicostimolanti.

Perché nessuno, davvero nessuno, neanche in questo caso dove gli effetti della psico-droga legale potrebbero essere autoevidenti, se la sente di mettere in discussione delle terapie che, invece che benessere, creano demoni?

 

La dipendenza da Adderall e di altre sostanze simili (come il Ritalin) riempie le cronache americane di storie mostruose: famiglie distrutte, carriere universitarie troncate, carriere sportive disintegrate. Dolori che poi magari si curano con gli oppioidi, e da lì alla morte – su Renovatio 21 lo abbiamo scritto spesso – in USA il passo è divenuto brevissimo.

 

Ora, pare che, come accade in vari Paesi Africani, in Giappone alcuni psicofarmaci non possano entrare per legge. «Se portate Adderall in Giappone per qualsiasi motivo, rischiate l’arresto e la reclusione» scrive nelle FAQ un sito di scambi studenteschi di Kyoto. «Attualmente, l’unico farmaco usato per trattare l’ADHD legale in Giappone è Concerta. Sebbene il Ritalin sia disponibile in Giappone per il trattamento dei disturbi del sonno, non è prescritto ai pazienti con ADHD».

 

Le regole farmaceutiche in Giappone sarebbero quindi belle stringenti. Ecco che qualcuno ha ipotizzato che la Biles possa aver sperimentato una sindrome di astinenza da psicofarmaco: possibile.

 

O è anche possibile il contrario: i «demoni» con cui ha lottato la Biles sono generati dall’unione delle droghe che assume con la pressione che prova nel momento più importante degli ultimi cinque e dei prossimi quattro anni.

 

Il documentarista e sollevatore di pesi Chris Bell, autore di film sugli steroidi e sugli abusi di farmaci, ha indagato la faccenda, prima ipotizzando a Rio l’uso di Adderall, poi quello di Ritalin e Focalin.

 

Qualcuno ha ipotizzato che la Biles possa aver sperimentato una sindrome di astinenza da psicofarmaco

«Nel 2016 Simone Biles ha rivelato di avere l’ADHD e per questo  prende Ritalin e Focalin. Ha ricevuto un’esenzione per uso terapeutico nel 2016 e ha portato a casa 4 medaglie d’oro a Rio. Avanti veloce a Tokyo 2020 e il Ritalin è illegale al 100% in Giappone. Un po’ mi chiedo cosa sia successo» scrive in un tweet.

 

In un altro  tweet si pone la vera domanda: «Mentre sto cercando di scoprire se Simone Biles stava usando farmaci per l’ADHD o no mi sono imbattuto in un documento di 10 pagine pubblicato dal Team USA sulle regole per portare le anfetamine in Giappone che mi porta a una domanda più oscura. Quanto del Team USA è sotto lo speed legale?». Lo speed è il modo in cui gli americani chiamano le anfetamine illegali vendute per la strada.

 

La domanda che si pone Bell è di tipo sportivo.

 

Noi ci racconteremmo se ci rispondessero ad altri due tipi di questione.

 

Perché i giornali di tutto il mondo hanno dimenticato gli oscuri trascorsi con gli psicofarmaci della Biles, di cui pure avevano scritto qualcosa un lustro fa?

 

Perché nessuno, davvero nessuno, neanche in questo caso dove gli effetti della psico-droga legale potrebbero essere autoevidenti, se la sente di mettere in discussione delle terapie che, invece che benessere, creano demoni?

 

 

 

 

 

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Immagine di Agência Brasil Fotografias via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic (CC BY 2.0)

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