Gender

Femminista brasiliana ottiene asilo in Europa dopo aver rischiato 25 anni di carcere per aver detto che un trans è un uomo e non una donna

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Un’attivista brasiliana per i diritti delle donne ha ottenuto lo status di rifugiata in un Paese europeo non specificato, dopo essere stata accusata di reati penali in Brasile per aver definito un politico transgender da uomo a donna come un uomo. Lo riporta l’European Conservative.

 

Isabella Cêpa, commentatrice dei social media e femminista nota per la sua lotta contro la violenza domestica, rischiava fino a 25 anni di carcere in base alla legge brasiliana sul «razzismo sociale», una disposizione di legge che considera i presunti discorsi transfobici come una forma di discriminazione razziale.

 

Il caso ha scatenato una controversia mondiale sull’assurda applicazione delle leggi antidiscriminazione in Brasile per sopprimere le opinioni critiche in materia di genere.

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I problemi legali della Cêpa sono iniziati all’inizio del 2021, quando ha risposto alla copertura mediatica che celebrava la consigliera di San Paolo Erika Hilton (un maschio biologico che si identifica come donna) come la «donna più votata» in Brasile.

 

In un post video, Cêpa ha espresso la sua delusione, affermando di essere «delusa di sapere che la donna più votata a San Paolo (in seguito si è scoperto che era in tutto il Paese) era un uomo». Hilton ha sporto denuncia alla polizia, avviando un’indagine penale. A metà del 2022, la Cêpa era stata accusata di cinque capi d’imputazione per «razzismo sociale».

 

Questa accusa deriva da una sentenza del 2019 della Corte Suprema Federale del Brasile, che ha interpretato l’omofobia e la discriminazione contro le persone LGBT come una forma di razzismo. Nel 2023, la Corte ha stabilito che gli insulti omofobi sono punibili con il carcere, equiparandoli all’incitamento all’odio razziale. Le pene possono variare dai due ai cinque anni.

 

«Questo caso non riguarda un crimine d’odio, ma una differenza di opinioni politiche», ha affermato la Cêpa in un’intervista.

 

Nel luglio 2024, mentre tentava di imbarcarsi su un volo per la Spagna, la Cêpa fu fermata all’aeroporto di Salvador Bahia. Dopo aver esaminato il suo caso, gli ufficiali federali conclusero che soddisfaceva i criteri per la persecuzione politica. Ordinarono alla compagnia aerea di non partire senza di lei e la scortarono sull’aereo, consigliandole di non tornare in Brasile.

 

A giugno di quest’anno ha presentato domanda formale per ottenere lo status di rifugiata, che le è stato concesso da una nazione europea non resa nota.

 

La Cêpa diventa la prima persona al mondo a cui viene concesso asilo a causa di persecuzioni per convinzioni critiche di genere, e il primo brasiliano dalla fine del regime militare nel 1985 a ricevere asilo politico per persecuzioni di Stato.

 

«Questa è una realtà che molte donne in tutto il mondo si trovano ad affrontare» ha dichiarato MATRIA Brasile, un’organizzazione per i diritti delle donne che ha sostenuto il caso della Cêpa. «È profondamente preoccupante che nel nostro Paese la democrazia, la libertà di credo e la libertà di parola sembrino non essere più valide.

 

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Oltre al caso della Cêpa, altri brasiliani rischiano di essere perseguiti per aver espresso opinioni critiche sul genere.

 

Karen Mizuno, una commentatrice femminista, è sotto inchiesta per aver sarcasticamente deriso un’affermazione online secondo cui gli archeologi sarebbero «transfobici» per aver classificato un antico fossile come femmina, sulla base del suo osso pelvico. Il tweet della Mizuno è stato trattato come potenziale incitamento all’odio. Potrebbe rischiare fino a tre anni di carcere.

 

Un altro caso riguarda un bidello e un amministratore dell’Università Federale di Paraíba, accusati di «razzismo sociale» dopo aver chiesto a una studentessa transgender di uscire dal bagno delle donne e aver richiesto la documentazione del suo status legale di genere.

 

In Europa si era avuto il caso della norvegese Christina Ellingsen, dell’organizzazione femminista globale Women’s Declaration International (WDI), è sotto indagine della polizia per aver fatto la denuncia in un tweet in cui ha criticato il gruppo di attivismo trans FRI. «Perché insegna ai giovani che i maschi possono essere lesbiche? Non è una terapia di conversione?» avrebbe twittato la Ellingsen.

 

Il caso si replicò in Norvegia con l’attrice e cineasta Tonje Gjevjon, una lesbica nota nella cultura popolare del Paese, che osò scrivere su Facebook che «è semplicemente impossibile per gli uomini diventare lesbiche quanto lo è per gli uomini rimanere incinti. Gli uomini sono uomini indipendentemente dai loro feticci sessuali».

 

L’attrice fu quindi informata di essere sotto indagine e di rischiare tre anni di carcere per l’espressione delle sue opinioni.

 

Come riportato da Renovatio 21, a fine 2020 la Norvegia ha adottato una nuova legge penale che punisce le persone per aver detto qualcosa di considerabile come incitamento all’odio nei confronti di persone transgender anche nel contesto della propria casa o conversazioni private.

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La battaglia tra femministe e transessuali va avanti oramai da un pezzo, al punto che il mondo transessualista ha trovato un acronimo per definire le femministe che non accettano il dogma transgender imposto ora all’intera società occidentale: le chiamano TERF, trans-exclusionary radical feminists ossia femministe radicalo trans-escludenti.

 

Il caso più celebre di persona definita TERF per aver espresso dubbi sul fatto che maschi biologici possano essere definiti «donne» è stata la scrittrice di Harry Potter JK Rowling, che è peraltro la donna più ricca del Regno Unito.

 

Il tema delle TERF e della follia transessualista è stato toccato da un comico americano Dave Chapelle, in uno special trasmesso da Netflix. Chapelle ha subito durissime critiche, con manifestazioni di protesta da parte di vasti gruppi di lavoratori del servizio di streaming. Due settimane fa, un uomo è salito sul palco durante un show di Chapelle e lo ha aggredito perché irritato dalle sue battute sul transgenderismo.

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